Categoria: Cassazione penale
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Cassazione Penale, Sez. 4, 23 novembre 2022, n. 44546 - Caduta con impatto letale sui cosiddetti ferri di attesa. Responsabilità del datore di lavoro e del coordinatore della sicurezza


 

 

Presidente: FERRANTI DONATELLA Relatore: DAWAN DANIELA
Data Udienza: 20/09/2022
 

 

Fatto




1. La Corte di appello di Napoli ha confermato la sentenza di condanna resa dal Tribunale di Avellino nei confronti di D'A.G. e C.C., ritenuti entrambi responsabili dell'omicidio colposo di R.V., per avere il D'A.G., in qualità di amministratore unico della GE.DA Edilizia s.r.l. (impresa appaltatrice di cui il deceduto era operaio), omesso di predisporre il Piano Operativo per la Sicurezza, non avere assicurato al lavoratore deceduto un'adeguata formazione in materia di salute e sicurezza, non aver munito le aperture nei muri prospicienti il vuoto, di una profondità superiore a m. 0,50, di normale parapetto e tavole fermapiede o comunque di non averle convenientemente sbarrate così da impedire la caduta; il C.C., in qualità di coordinatore della sicurezza durante l'esecuzione dei lavori, omesso di verificare e contestare le predette omissioni ed inadempienze.

2. Dalle risultanze istruttorie, rappresentate dalle testimonianze e dai verbali degli atti irripetibili compiuti sul luogo e nell'immediatezza del fatto, nonché dalla consulenza medico legale a firma del dottor D., il giudice di primo grado ricostruiva una situazione di cantiere nella quale erano state omesse cautele volte ad impedire al lavoratore di precipitare nel vano seminterrato, nel quale vi erano dei c.d. ferri di attesa, ivi installati per il consolidamento dell'edificio, ma privi della copertura di protezione. La causa della morte veniva individuata nella perforazione dell'emitorace sinistro, provocata dall'impatto, durante la caduta, del corpo della vittima con uno di questi ferri di attesa: perforazione da cui derivava il tamponamento cardiaco che inibiva le funzioni del cuore, determinando la morte del R.V.. Il primo giudice, preso atto dell'intervenuto risarcimento del danno in favore dei familiari della vittima, riconosceva ad entrambi gli imputati la circostanza di cui all'articolo 62, n. 6 cod. pen., in misura equivalente all'aggravante contestata e li condannava la pena ritenuta di giustizia.

2. Avverso la sentenza di appello ricorre il difensore di entrambi gli imputati con un unico atto, con il quale solleva quattro motivi.
2.1. Con il primo motivo, deduce violazione di legge processuale, inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullità o inutilizzabilità, nullità della sentenza per nullità della relazione tecnica del dott. D., consulente medico del pubblico ministero; inutilizzabilità della sua relazione medico legale e della sua testimonianza. La Corte di appello, ritenuta la mancata iscrizione all'albo dei periti e dei consulenti del medico legale quale causa di nullità e non di inutilizzabilità della relativa relazione tecnica, ha tuttavia ritenuto tardiva del 17/10/2017: solo in data 19/01/2018 «le difese sollevavano una generica eccezione alternativa di nullità/inutilizzabilità della consulenza tecnica, producendo articoli di stampa tratti da fonti aperte che davano atto dell'esistenza di un'inchiesta penale a carico del professionista per esercizio abusivo della professione». Osserva correttamente la Corte d'appello che l'eccezione così proposta oltre a dover essere considerata tardiva non era adeguatamente supportata da prove dei fatti posti a fondamento della stessa. Rilievo che merita d'essere ribadito in questa sede, stante la assoluta genericità delle deduzioni sul punto, non sorrette da alcuna allegazione.

3. I motivi secondo e terzo, oltre ad essere manifestamente infondati, sviluppano argomentazioni in fatto precluse al vaglio di legittimità, alle quali, comunque, la sentenza di appello ha fornito congrue e compiute risposte, anche ricorrendo al cosiddetto "criterio di resistenza". Essa, infatti, ha condiviso il ragionamento del primo Giudice, secondo cui, pur omettendo di considerare la consulenza tecnica del dott. D., il compendio probatorio residuo porterebbe all'univoca conclusione che individua la causa della morte del lavoratore nell'urto violento con uno dei ferri di attesa che provocava la perforazione ed il tamponamento del cuore. Determinante sul punto si è rivelata, ricorda la Corte territoriale, la testimonianza dell'operaio F., unica persona presente al momento dei fatti, mediante la quale si è appreso che la persona offesa era ancora viva ed in condizioni di parlare subito dopo la caduta dal muretto, essendo deceduta nel brevissimo intervallo di tempo necessario al F. per chiamare i soccorsi e che non esisteva alcuna impalcatura di sicurezza in corrispondenza della scala che i due operai avevano demolito, lasciando solo il muretto su cui la persona offesa si trovava al momento della caduta per sistemare gli attrezzi da lavoro. Non erano state collocate neppure delle tavole di legno per agevolare il passaggio degli operai, una volta demolita la scala. La sentenza impugnata reputa che un prezioso contributo alla ricostruzione della dinamica dei fatti sia stato offerto R.L., cugino della vittima, le cui dichiarazioni (rese ai Carabinieri) sono state ritenute perfettamente collimanti con quelle del F., nel senso di escludere l'ipotesi alternativa di una causa della morte diversa dalla caduta con impatto letale sui cosiddetti ferri di attesa. È, pertanto, certo, si legge nella sentenza di appello, che R.V. fosse vivo durante la caduta e che fosse rimasto in vita nei minuti immediatamente successivi, in condizioni tali da poter parlare al collega F. per chiedergli di attivare i soccorsi, mentre era ormai deceduto quando sopraggiunsero il cugino e il maresciallo dei vigili M.. La Corte territoriale ne trae la logica conclusione che la morte si sia verificata solo a seguito della emorragia conseguente alla profonda lesione dell'emitorace sinistro, provocata dall'impatto con i ferri di attesa. Il fatto che la lesione fosse irrorata di sangue costituisce altresì segno evidente, continua la Corte di appello, della permanenza in vita del R.V. negli istanti immediatamente successivi alla caduta:
«proprio la permanenza in vita della persona offesa porta a ritenere che costui, facendo leva sulle ultime forze rimaste "in limine vitae", si sia spostato dal punto di caduta per guadagnare una posizione più confortevole. E per tale ragione, egli fu trovato nella posizione descritta dai sanitari del 118; posizione che evidentemente non era compatibile con le manovre mediche necessarie per compiere gli atti medici finalizzate constatarne la morte». La sentenza impugnata esclude, motivatamente, qualsiasi altra ipotesi alternativa sulla causa della morte: nessuna responsabilità è ascrivibile ai sanitari i quali giunsero sul luogo quando già il R.V. era deceduto; né risulta che il cugino della vittima, il maresciallo M. e l'operaio F. abbiano tentato di rianimare la persona offesa, attraverso metodiche scorrette e ipoteticamente in grado di cagionarne la morte. Né può seriamente dubitarsi della compatibilità della lesione in questione, riscontrata non solo dal consulente D. ma anche dal medico del 118, con l'urto di uno di uno dei ferri di attesa, «stanti la forma della lesione e le evidenti tracce ematiche presenti su uno di questi tondini».

4. Il quarto motivo è assorbito da quanto sinora detto e, comunque, investe anch'esso una questione di fatto, come tale inammissibile.

5. Alla inammissibilità dei ricorsi segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila ciascuno in favore della Cassa delle ammende.

 

P.Q.M.
 


Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila ciascuno in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 20 settembre 2022