Cassazione Civile, Sez. Lav., 24 novembre 2022, n. 34679 - Confermato il licenziamento dell'infermiera che timbra e sottrae le ricette del medico



Presidente: MANNA ANTONIO

 

 

Fatto


1. Con sentenza n. 720/2020, depositata il 16 ottobre 2020, la Corte d’appello di Milano, pronunciando in sede di reclamo, confermava la decisione con la quale il Tribunale di Varese aveva dichiarato legittimo il licenziamento intimato a B.T. dall’Azienda Socio Sanitaria Territoriale (ASST) dei Sette Laghi, con provvedimento del 29 febbraio 2016.
2. La B.T., infermiera, assunta il 24 luglio 1989 alle dipendenze dell’allora Azienda Ospedaliera Ospedale di Circolo di Busto Arsizio e addetta al presidio ospedaliero di Tradate, era stata licenziata senza preavviso a seguito di contestazione disciplinare in data 18 dicembre 2015 avente ad oggetto una serie di comportamenti e così in particolare l’avere la predetta timbrato alcune ricette mediche del prontuario della dott.ssa A.Z., durante la momentanea assenza di quest’ultima e nell’aver inserito le stesse nella propria borsetta personale custodita nell’armadietto, comportamenti costituenti inosservanza delle disposizioni di servizio di particolare gravità, condotta non conforme a principi di correttezza verso superiori o altri dipendenti o nei confronti degli utenti o terzi di particolare gravità, distrazione di beni di spettanza o di pertinenza dell’azienda o ente o ad essa affidati, violazione di doveri di comportamento, violazione dell’obbligo previsto nell’art. 28 del c.c.n.l. 1° settembre 1995 come modificato dal vigente c.c.n.l., inosservanza del Codice di comportamento dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni di cui al d.P.R. n. 62/2013.
Escludeva la Corte territoriale la violazione del principio di specificità della contestazione rilevando che quest’ultima conteneva le indicazioni sufficienti ad individuare nella loro materialità i fatti addebitati alla B.T. e la loro collocazione spazio- temporale.
Rilevava che tanto era confermato dal fatto che la dipendente aveva svolto articolate difese di merito sia nel corso del procedimento disciplinare sia in sede giudiziale, in tal modo dimostrando di avere pienamente individuato i fatti addebitati e compreso il contenuto della contestazione.
Escludeva, altresì, la violazione del principio di immutabilità della contestazione disciplinare evidenziando che la lettera di licenziamento non poneva a fondamento del recesso fatti nuovi rispetto a quelli oggetto della contestazione, ma si limitava essenzialmente a replicare alle giustificazioni rese dalla lavoratrice nel corso del procedimento disciplinare e ad illustrare le ragioni per cui l’ASST dei Sette Laghi non aveva ritenuto tali giustificazioni meritevoli di accoglimento.
La lettera, inoltre, quanto ai fatti addebitati, conteneva mere precisazioni e così anche là dove indicava nel numero di dieci le ricette sottratte dalla B.T..
La Corte milanese riteneva, poi, la sanzione del licenziamento proporzionata alla gravità delle condotte escludendo la fondatezza della tesi della lavoratrice circa la sussistenza di una implicita autorizzazione della dott.ssa A.Z. a timbrare e staccare dal suo ricettario alcune ricette senza averla prima interpellata.
Condivideva il giudizio del Tribunale circa la riferibilità della condotta alla fattispecie prevista dall’art. 13, comma 8, lett. d), del c.c.n.l. applicato (richiamato nella lettera di licenziamento), che prevede l’applicazione della sanzione del licenziamento senza preavviso in caso di “commissione in genere – anche nei confronti di terzi – di fatti o atti anche dolosi, che, costituendo o meno illeciti di rilevanza penale, sono di gravità tale da non consentire la prosecuzione neppure provvisoria del rapporto di lavoro”.
Escludeva che la mancata sospensione cautelare della lavoratrice dal servizio nel periodo intercorrente tra la contestazione disciplinare e il licenziamento potesse essere significativa di una non incidenza della condotta sul vincolo fiduciario.
3. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione B.T. con due motivi cui l’Azienda Sanitaria ha resistito con controricorso.
3. Il Procuratore Generale ha concluso per la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
 

Diritto

 

1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 13, comma 8 lett. d) del c.c.n.l. comparto sanità del 19.04.1994 (rectius 2004) e dell’art. 30 comma 4 del c.c.n.l. 1.09.95 in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ.
Rileva che la Corte territoriale non ha spiegato nulla circa la gravità dei fatti addebitati.
Sostiene che la condotta contestata avrebbe dovuto essere considerata priva di rilievo disciplinare stante una situazione familiare che poteva escludere l’intenzionalità della stessa.
Evidenzia anche la sua inconsapevolezza circa la gravità della condotta.
Sostiene che, in luogo dell’art. 13, comma 8, l’Azienda avrebbe dovuto applicare la più favorevole disposizione contrattuale di cui all’art. 30, comma 4, in relazione agli artt. 112 e 161, comma 1, cod. proc. civ.
2. Il motivo deve essere rigettato.
Le censure impingono nel merito là dove la ricorrente lamenta l’omessa considerazione, ai fini della valutazione della irrilevanza disciplinare dei fatti contestati, di circostanze che, a suo dire, avrebbero meglio delineato la situazione di contorno.
Né risponde al vero che la Corte non abbia motivato circa la gravità di tali fatti.
In sentenza è detto che: “L’utilizzo non autorizzato del timbro del medico di turno e la sottrazione di ricette dal prontuario di quest’ultimo costituiscono condotte che – indipendentemente dalla finalità ad esse sottesa e dalla gravità della situazione familiare di B.T. – compromettono la fiducia dell’ASST nei confronti della lavoratrice e inducono a dubitare del futuro corretto adempimento, da parte di quest’ultima, degli obblighi discendenti dal rapporto di lavoro. La lesione del vincolo fiduciario si connota come irreparabile anche avuto riguardo alla delicatezza delle mansioni svolte dalla reclamante: le mansioni di infermiera professionale, infatti, comportano l’assunzione di significative responsabilità ed includono compiti di collaborazione con il personale medico e di maneggio di documenti e beni aziendali (tra cui farmaci), rispetto ai quali l’elemento fiduciario assume il massimo rilievo. Va pertanto condiviso il giudizio del Tribunale, secondo cui le condotte in esame integrano la fattispecie prevista dall’art. 13, comma 8, lett. d), del c.c.n.l. applicato (richiamato nella lettera di licenziamento), che prevede l’applicazione della sanzione del licenziamento senza preavviso in caso di commissione in genere – anche nei confronti di terzi – di fatti o atti anche dolosi, che, costituendo o meno illeciti di rilevanza penale, sono di gravità tale da non consentire la prosecuzione neppure provvisoria del rapporto di lavoro”.
La gravità è stata, dunque, apprezzata in rapporto alle circostanze oggettive della condotta ed anche alla connotazione soggettiva del vincolo fiduciario che legava la B.T. all’Azienda ed alla particolare delicatezza del ruolo dalla stessa rivestito.
Tale gravità ha, poi, consentito alla Corte territoriale di ritenere che correttamente gli addebiti fossero stati dall’Azienda ricondotti alla previsione di cui all’art. 13, comma 8, lett. d) del c.c.n.l. 19 aprile 2004.
Tale ultima disposizione prevede che: «8. La sanzione disciplinare del licenziamento senza preavviso si applica per: a) terza recidiva nel biennio di minacce, ingiurie gravi, calunnie o diffamazioni verso il pubblico o altri dipendenti, alterchi con vie di fatto negli ambienti di lavoro, anche con utenti; b) condanna passata in giudicato per un delitto commesso in servizio o fuori servizio che, pur non attenendo in via diretta al rapporto di lavoro, non ne consenta neanche provvisoriamente la prosecuzione per la sua specifica gravità; c) accertamento che l’impiego fu conseguito mediante la produzione di documenti falsi e, comunque, con mezzi fraudolenti ovvero che la sottoscrizione del contratto individuale di lavoro sia avvenuta a seguito di presentazione di documenti falsi; d) commissione in genere - anche nei confronti di terzi - di fatti o atti anche dolosi, che, costituendo o meno illeciti di rilevanza penale, sono di gravità tale da non consentire la prosecuzione neppure provvisoria del rapporto di lavoro; e) condanna passata in giudicato: 1. per i delitti indicati nell’art. 15, comma 1, lettere a), b) limitatamente all’art. 316 del codice penale, c) ed e) e comma 4 septies della legge 19 marzo 1990 n. 55 e successive modificazioni; 2. quando alla condanna consegua comunque l’interdizione perpetua dai pubblici uffici; 3. per i delitti previsti dall’art. 3, comma 1 della legge 27 marzo 2001, n. 97».
Quindi la Corte territoriale ha debitamente considerato, ai fini della legittimità dell’adottato licenziamento senza preavviso, l’avvenuta commissione di fatti di gravità tale da non consentire la prosecuzione neppure provvisoria del rapporto di lavoro.
La disposizione invocata alla ricorrente e cioè l’art. 30, comma 4, c.c.n.l. 1° settembre 1995 prevede che: «4. La sanzione disciplinare dal minimo del rimprovero verbale o scritto al massimo della multa di importo pari a quattro ore di retribuzione si applica, graduando l’entità delle sanzioni in relazione ai criteri di cui al comma 1, per: a) inosservanza delle disposizioni di servizio, anche in tema di assenze per malattia, nonché dell’orario di lavoro; b) condotta, nell’ambiente di lavoro, non conforme a principi di correttezza verso superiori o altri dipendenti o nei confronti degli utenti o terzi/pubblico; c) negligenza nell’esecuzione dei compiti assegnati, nella cura dei locali e dei beni mobili o strumenti a lui affidati o sui quali, in relazione alle sue responsabilità, debba espletare attività di custodia o vigilanza; d) inosservanza degli obblighi in materia di prevenzione degli infortuni e di sicurezza sul lavoro ove non ne sia derivato danno o disservizio; e) rifiuto di assoggettarsi a visite personali disposte a tutela del patrimonio dell’azienda o ente, nel rispetto di quanto previsto dall’articolo 6 della legge n.300/70; f) insufficiente rendimento nell’assolvimento dei compiti assegnati rispetto ai carichi di lavoro; g) violazione di doveri di comportamento non ricompresi specificatamente nelle lettere precedenti, da cui sia derivato disservizio ovvero danno o pericolo all’azienda o ente, agli utenti o ai terzi. L’importo delle ritenute per multa sarà introitato dal bilancio dell’azienda o ente e destinato ad attività sociali a favore dei dipendenti».
Orbene, oltre a rilevarsi che la valutazione di gravità della condotta ed il giudizio circa l’impossibilità di una prosecuzione neppure provvisoria del rapporto di lavoro sono stati correttamente resi dalla Corte territoriale, va osservato che con la disposizione transitoria di cui all’art. 30, comma 11, del c.c.n.l. 2004 è stato previsto che: «1. L’art. 30 del CCNL 1 settembre 1995 è disapplicato con decorrenza dall’entrata in vigore del presente contratto».
3. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 2106 cod. civ., dell’art. 30 della l. n. 183/2010 in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. ci si duole del fatto che la Corte territoriale si sia limitata a richiamare la previsione del c.c.n.l. e non abbia tenuto conto del principio affermato da questa Corte (Cass. n. 13411/2020) secondo cui in tema di licenziamento per giusta causa, ai fini della valutazione di proporzionalità è insufficiente un’indagine che si limiti a verificare se il fatto addebitato è riconducibile alle disposizioni della contrattazione collettiva che consentono l’irrogazione del licenziamento, essendo sempre necessario valutare in concreto se il comportamento tenuto, per la sua gravità, sia suscettibile di scuotere la fiducia del datore di lavoro e di far ritenere che la prosecuzione del rapporto si risolva in un pregiudizio per gli scopi aziendali, con particolare attenzione alla condotta del lavoratore che denoti una scarsa inclinazione ad attuare diligentemente gli obblighi assunti e a conformarsi ai canoni di buona fede e correttezza.
Il motivo è infondato per le stesse ragioni evidenziato con riguardo al primo motivo di ricorso.
Contrariamente all’assunto della ricorrente, la Corte territoriale ha effettuato la valutazione di gravità della condotta e della proporzionalità del provvedimento adottato avuto riguardo agli elementi concreti, di natura oggettiva e soggettiva, della fattispecie ed ha utilizzato la scala valoriale formulata dalle parti sociali come parametro per riempire di contenuto la clausola generale dell’art. 2119 cod. civ. (Cass. n. 17321/2020; Cass. 16784/2020).
4. Da tanto consegue che il ricorso deve essere rigettato.
5. Alla reiezione del ricorso segue la regolazione secondo soccombenza delle spese del giudizio di legittimità.
6. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello prescritto per il ricorso, ove dovuto a norma del comma 1-bis, dello stesso art. 13.
 

P.Q.M.


La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento, in favore dell’Azienda controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in euro 200,00 per esborsi ed euro 5.000,00 per compensi professionali oltre accessori di legge e rimborso forfetario in misura del 15%.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso art. 13, se dovuto.
Roma, così deciso nella camera di consiglio del 5 ottobre 2022.