Categoria: Cassazione penale
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Cassazione Penale, Sez. 4, 28 novembre 2022, n. 45134 - Omessa valutazione e segnalazione dei rischi da interferenza fra il cantiere ed il traffico veicolare


 

 

Presidente: FERRANTI DONATELLA Relatore: PEZZELLA VINCENZO

Data Udienza: 09/11/2022

 


Nota a cura di Prosseda Maurizio, Responsabilità del Committente per affidamento dei lavori ad impresa non specializzata La pronuncia della Corte di Cassazione, in ambiente&sicurezza sul lavoro, 1/2023, pp.70-76 

 


 

 

Fatto


1. M.L., in uno con i coimputati I.C. e S.R., veniva rinviato a giudizio dinanzi al Tribunale di Roma per rispondere del reato di cui sub:
TUTTI:
a) art. 113, 590 co. 2 e 3 cod. pen. perché, in cooperazione fra loro, con condotte colpose convergenti causavano a M.M. lesioni personali consistite nella avulsione completa della mandibola con conseguenti incapacità di attendere le ordinarie occupazioni per più di 40 giorni, indebolimento permanente del gusto e della masticazione, grave difficoltà nella favella e deformazione del viso, lesioni protrattesi almeno fino al 25.5.2011.
 

L'azione e l'evento.

Il M.M., dipendente della cooperativa CLER, in "squadra" con il lavoratore S.F. posizionava un cantiere sulla via Ardeatina di fronte al civico n. 1088, ove dovevano essere eseguiti lavori per conto del committente ACEA; i due collocavano la segnaletica stradale; il lavoratore S.F., alla guida della gru posizionata sul camion, prelevava il mini-escavatore e lo posizionava in terra; mentre procedeva a richiudere il braccio della gru questo veniva urtato da un camion - che si allontanava e rimaneva non identificato; il braccio oscillava e colpiva al volto M.M., fermo sulla carreggiata dal lato del marciapiede, provocandogli le lesioni descritte.
 

Le condotte colpose.

Il M.L., nella qualità di datore di lavoro della ditta CLER, ometteva, nel piano operativo di sicurezza, di valutare e segnalare i rischi da interferenza fra il cantiere ed il traffico veicolare, con necessità di aumentare la superficie recintata, in guisa da impedire le possibilità di impatto fra la gru montata su camion e i veicoli di transito; detta omissione dava causa al comportamento imprudente dei due operai, i quali installavano una superficie recintata dalla quale sporgeva il braccio della gru, che veniva attinta dal camion;
(I.C., S.R. e B. non formavano la squadra con 4 componenti, come previsto anche dalle clausole contrattuali della ACEA; detta omissione dava causa all'impatto ed all'evento: invero i componenti assenti avrebbero dovuto segnalare le mansioni di "moviere", regolando l'impegno dell'unica carreggiata disponibile, ed allertando con segnali visivi e con movimenti l'attenzione dei veicoli che si avvicinavano all'area recintata).
 

M.L.:
b) art. 17 comma 1 A) d.lgs. 81/2008 perché, in qualità di legale rappresentante della cooperativa CLER con sede in Roma, via OMISSIS, e dunque di datore di lavoro del M.M., ometteva nel piano operativo di sicurezza, di valutare l'interferenza fra il cantiere ed il traffico veicolare, e la con­ seguente necessità di aumentare la superficie recintata, in guisa da impedire le possibilità di impatto fra la gru montata sul camion e i veicoli in transito;
 

B. L. - I.C.  - S.R.
c) artt. 19 lett. A), B), C), D) ed F) d.lgs. 81/2008 perché, nelle rispettive mansioni, non hanno controllato adeguatamente, in relazione al lavoro da fare, la composizione della squadra; in Roma, il 19.07.2010.
Con sentenza dei 3/11/2017 il Tribunale di Roma, in composizione monocratica, ha dichiarato I.C. e S.R. colpevoli del reato di cui al capo a) e, riconosciute ad entrambi le circostanze attenuanti generiche, li ha condannati alla pena di mesi otto di reclusione ciascuno, oltre al pagamento delle spese processuali, concedendo loro i benefici della pena sospesa e della non menzione della condanna. Il Tribunale ha, inoltre, condannato, in solido, I.C. , S.R.  e la società cooperativa CLER al risarcimento del danno in favore della parte civile M.M., nonchè delle ulteriori parti civili OMISSIS, danni da liquidarsi in separato giudizio. Ha ancora condannato, in solido, I.C. , S.R. e la società cooperativa CLER al pagamento di una provvisionale in favore della parte civile M.M. di 150.000,00 euro, immediatamente esecutiva per legge e da imputarsi alla liquidazione definitiva del danno, rigettando la richiesta di provvisionale del danno per le ulteriori parti civili OMISSIS, nonchè al pagamento delle spese relative all'azione civile in favore della parte civile M.M., liquidate in 9.000,00 euro oltre IVA e CPA, e delle parti civili OMISSIS, liquidate in 10.000,00 euro oltre IVA e CPA.
Il tribunale capitolino ha invece assolto B. L. dai reati ascritti, perché il fatto non sussiste e M.L. dal reato ascritto al capo a) per insussistenza del fatto.
Ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di M.L. per il reato di cui al capo b), perché estinto per intervenuta prescrizione. Ed assolto altro coimputato, B. L. per il reato di cui all'originario capo c) perché il fatto non sussiste e dichiarato non doversi procedere nei confronti di I.C.  e S.R.  per il medesimo reato di cui al capo c), perché estinto per intervenuta prescrizione. Ha, infine, ordinato la confisca della documentazione in sequestro e la permanente allegazione al fascicolo processuale.
Con sentenza del 15/11/2021 in riforma della sentenza di primo grado, appellata da I.C. , S.R. , nonché dal responsabile civile, società cooperativa CLER, e dalle parti civili Omissis, la Corte di Appello di Roma:

1. ha assolto S.R.  dal reato ascritto al capo "A" per non aver commesso il fatto e revocato le statuizioni civili disposte nei suoi confronti in primo grado;
2. ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di I.C.  in ordine al reato sub "A' perché estinto per intervenuta prescrizione;
3. ha condannato M.L., in solido con I.C.  e la società cooperativa CLER (già condannati a questo titolo in primo grado), al risarcimento dei danni in favore di tutte le parti civili costituite, danni da liquidarsi in separato giudizio, nonché al pagamento della provvisionale di € 150.000,00 (già disposta in primo grado) in favore della parte civile M.M.;
4. ha condannato M.L., I.C.  e la società cooperativa CLER, in solido, alla rifusione delle spese legali del secondo grado di giudizio in favore delle parti civili costituite
5. ha confermato nel resto la sentenza impugnata.

2. Avverso tale provvedimento hanno proposto ricorso per Cassazione, a mezzo del medesimo difensore di fiducia, Avv. Leonardo Rosa, con due separati atti deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'art. 173, co. 1, disp. att., cod. proc. pen.:
 

• M.L.
Con un primo motivo lamenta violazione dell'art. 603 co. 3bis cod. proc. pen. in relazione all'obbligo di rinnovazione dell'istruzione dibattimentale di prove dichiarative decisive per la riforma della sentenza assolutoria di primo grado agli effetti civili (punto n. 5 della sentenza) nonché vizio motivazionale sul punto.
Come si legge in ricorso, sebbene siano state entrambe la parti civili (cfr. motivo n. 2 parte civile M.M., motivo n. 3 altre parti civili) a ravvisare, ai fini della riforma della sentenza assolutoria del M.L., la necessità della rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale mediante l'escussione dei testi P. e DP., la Corte territoriale, con motivazione contraddittoria, a pagina 20 della sentenza impugnata, ha tentato di giustificarne la superfluità. Si legge infatti nel provvedimento impugnato: " ... non si ravvisa la necessità della rinnovazione della istruzione dibattimentale, in tutto o in parte, posto che la Corte non discute il contenuto probatorio delle fonti orali assunte e delle fonti documentali acquisite in primo grado, ma la qualificazione e le conseguenze giuridiche di dette fonti, dovendosi cioè concludere che l'omissione, nel POS, della valutazione dei rischi da interferenza veicolare, rappresenti non solo una violazione autonoma, ma anche violazione eziologicamente connessa alle gravi lesioni personali subite da M.M.".

Orbene per il ricorrente il riferimento alla sentenza n. 27620/16 delle SS.UU. di questa Corte operato dal Collegio di seconde cure apparirebbe inconferente, in quanto in quella si è esclusa la necessità della rinnovazione dell'istruzione dibattimentale qualora "della prova dichiarativa non si discuta il contenuto probatorio,, ma la sua qualificazione giuridica, come nel caso di dichiarazioni ritenute dal primo giudice come necessitanti di riscontri ex art. 192, co. 3 e 4 cpp, ed inquadrabili dall'appellante in una ipotesi di testimonianza pura".
Nella sentenza impugnata, invece, si ritiene superflua la rinnovazione in quanto il ribaltamento della decisione assolutoria si fonderebbe su differenti "qualificazione e conseguenze giuridiche" delle fonti di prova acquisite in primo grado. Tale assunto -secondo il ricorrente- è censurabile sotto due profili: in primis perché la Corte territoriale non indica la diversa qualificazione giuridica attribuita alle fonti di prova; in seconda battuta perché fa riferimento alle differenti conseguenze giuridiche della condotta omissiva contestata al M.L., senza che le SSUU richiamate le menzionino tra le ipotesi di superfluità della rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale. E sotto quest'ultimo profilo inammissibile - in presenza di una sentenza di primo grado che ne ha dichiarato l'estinzione per intervenuta prescrizione - apparirebbe il riferimento alla sussistenza della contravvenzione di cui al capo b) dell'imputazione.
Con un secondo motivo lamenta erronea applicazione degli artt. 40, 113, 590, commi 2 e 3, c.p. e 533, co. l, Cod. proc. pen. nonché mancanza e contraddittorietà della motivazione in relazione alla condanna al risarcimento dei danni in favore di tutte le parti civili costituite e delle ulteriori statuizioni civili (punto n.5 della sentenza).
Ricorda il ricorrente che è pacificamente condiviso da tutte le sezioni di codesta Suprema Corte che il presupposto dell'appello di cui all'art. 576 cod. proc. pen., in deroga a quanto statuito dagli artt. 538 e 578 cod. proc. pen., è rappresentato da una sentenza di proscioglimento. Così come è incontestato che, seppure ai soli effetti civili, il giudice dell'impugnazione debba ritenere provata la penale responsabilità dell'imputato al di là di ogni ragionevole dubbio.
Ebbene, per il ricorrente la Corte distrettuale, nel riformare la sentenza di assoluzione, non ha fatto buon governo della predetta regola di giudizio, in qaunto ha omesso di valutare una prova, di natura documentale, che, ove considerata, avrebbe imposto la conferma del giudizio di primo grado. Ci si riferisce alla sussistenza della prova dell'avvenuta - quindi non omessa - valutazione del rischio da interferenza veicolare a pagina 108 del POS, che viene allegato, ove, alla voce "DELIMITAZIONE DEL CANTIERE" si legge: "Tutte le delimitazioni devono essere scelte e dimensionate in relazione alle condizioni del sito, alla tipologia del flusso veicolare/pedonale, ai pericoli generati dal cantiere... ".
Monca e contraddittoria apparirebbe pertanto la motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui, al punto 5, lega il giudizio di responsabilità del M.L.
- in ordine all'evento lesioni colpose - all'omessa valutazione del rischio da interferenza veicolare, considerando esclusivamente il paragrafo 10.2 del POS ed obliterando una prova documentale da ritenersi decisiva ai fini della conferma del giudizio di primo grado e rappresentata dalle richiamate prescrizioni riportate alla successiva pagina 108 del POS.
 

• Cler soc. coop.
Con un primo motivo lamenta violazione degli artt. 40 cod. pen., 2043 cod. civ. e 603 co. 3 cod. proc. pen. nonché motivazione carente, manifestamente illogica e contraddittoria in relazione alla sussistenza del nesso causale tra le condotte omissive ascritte agli imputati al capo a) e l'evento lesioni colpose ed alla conseguente conferma delle statuizioni civili della sentenza di primo grado nei confronti di I.C.  e della società cooperativa CLER, alla condanna alle spese del giudizio di appello di questi ultimi in favore delle parti civili costituite (punti nn. 1 e 3 della sentenza) ed alla omessa rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale
Rileva il ricorrente che correttamente la Corte distrettuale, al punto 1 della sentenza, ha premesso che, secondo l'interpretazione dell'art. 578 cod. proc. pen. fornita dalla Consulta con la sentenza n. 182/2021, il giudice dell'impugnazione, nel decidere la domanda risarcitoria, non è chiamato a verificare se sia integrata la fattispecie penale tipica contemplata dalla norma incriminatrice, in cui si iscrive il fatto reato di volta in volta contestato, contestualmente dichiarato estinto per prescrizione, dovendo piuttosto accertare se sia integrata la fattispecie civilistica dell'illecito aquiliano (art. 2043 cod. civ.). Il giudice dell'impugnazione dovrà valutare se la condotta contestata sia stata idonea a provocare 'un danno ingiusto" secondo l'art. 2043 cod. civ, e cioè se, nei suoi effetti sfavorevoli al danneggiato, essa si sia tradotta nella lesione giuridica soggettiva civilmente sanziona bile con il risarcimento del danno. Così come, correttamente, al punto 3 della sentenza, è stato individuata il criterio eziologico di accertamento della causalità dell'illecito civile in quello della c.d. probabilità prevalente.
Ciò che l'ente ricorrente censura sono le ragioni poste a fondamento dell'individuazione dell'ipotesi più probabile in quella descritta nel capo di imputazione anziché in quella rilevata dal consulente della difesa, arch. S. (punto n. 3 della sentenza, pagine 14 e 15).
Si evidenzia che, nella motivazione della Corte d'appello, il positivo riscontro delle accuse risulta fondato su due fondamentali rilievi: l'attendibilità della persona offesa/parte civile M.M. e del teste S.F. da una parte ed i riscontri probatori dall'altra.
In realtà, sotto tutti i menzionati profili argomentativi la motivazione dell'impugnata sentenza appare manifestamente illogica ed affetta da contraddittorietà sia intrinseca che estrinseca.
Viene analizzato in ricorso in maniera articolata il tema dell'attendibilità della persona offesa/parte civile M.M. e del teste S. F. alla luce della giurisprudenza di questa Corte di legittimità.
Si lamenta che la motivazione della sentenza impugnata appaia assolutamente silente in ordine alle critiche mosse dalla difesa con il primo motivo di appello all'attendibilità della parte civile M.M. e del teste interessato S. F. sulla ricostruzione della dinamica del sinistro.
Viene segnalato come la motivazione dell'impugnata sentenza si appalesi manifestamente illogica sin dalla descrizione della dinamica dei fatti (punto 1, pagine 3 e 4), avendo ribaltato l'ordine razionale delle testimonianze: le dichiarazioni della parte civile M.M. e del teste interessato S. F., gli unici presenti al momento del verificarsi del sinistro de quo, vengono indicate per ultime - "la dinamica veniva confermata anche dallo stesso M.M. e da S. F." - mentre le deposizioni di DG., C., DP. e P. - che hanno ricostruito il sinistro cercando riscontri alle dichiarazioni di questi ultimi - vengono riportate per prime.
La Corte, inoltre, ometterebbe di motivare in ordine all'irrilevanza della denunciata, e pacifica, falsità delle dichiarazioni rese dal M.M. e dallo S.F. nel corso delle loro deposizioni ed evidenziata nell'atto di appello.
Il ricorrente, inoltre, lamenta che, anche, e soprattutto, nella valutazione degli assenti «riscontri» alle dichiarazioni della parte civile M.M. e del teste interessato S., l'impugnata sentenza mostri palesi limiti di contraddittorietà con gli atti e le prove acquisite. In particolare, nel confermare il giudizio di con­ danna, agli effetti civili, di I.C.  e, conseguentemente, della Cler, la Corte non supererebbe le censure difensive mosse alla prima sentenza sull'accertamento di un fatto decisivo: l'impatto tra un camion rosso che transitava su via Ardeatina ed il braccio della gru installata sul camion della Cler.
Il ricorso ripercorre gli snodi della motivazione del provvedimento impugnato per affermare che la Corte territoriale avrebbe dovuto disporre una perizia ex art. 603, co. 3, cod. proc. pen., la cui necessità emergeva, tra l'altro, dalle arbitrarie spiegazioni alternative - rispetto a quella fornita dal c.t. Saccone - quanto alla posizione finale del braccio della gru. Con un secondo motivo si lamenta violazione dell'art. 603 cod. proc. pen. e vizio motivazionale in relazione alla omessa rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale mediante l'audizione degli agenti S.S. e G.S. (ultima parte punto 3 della sentenza).

Per il ricorrente è evidente, sulla base di quanto già evidenziato nel primo motivo di ricorso, che la motivazione con la quale è stato rigettato il secondo motivo di appello presenta i medesimi vizi di quella con la quale sono state confermate le statuizioni civili, essendo fondata sul giudizio di credibilità del M.M. e dello S., dimostratisi entrambi assolutamente inaffidabili.
In conclusione, il ricorrente evidenzia che il ricorso, sorretto da motivi non esclusivamente personali, giova, ex art. 587, co. 4, cod. proc. pen alla posizione del coimputato M.L. , assolto in primo grado, al quale, su appello delle parti civili, la Corte territoriale ha esteso la condanna al risarcimento del danno, utilizzando, però, il criterio dì giudizio di cui all'art. 533, co.1, cod. proc. pen.
Entrambi i ricorrenti chiedono, pertanto, l'annullamento della sentenza impugnata.
 

 

Diritto


1. Tutti i motivi sopra illustrati appaiono manifestamente infondati e, pertanto, i proposti ricorsi vanno dichiarati inammissibili.

2. Ed invero, quanto al primo motivo proposto dal M.L., la Corte territoriale ha correttamente spiegato la ragione per la quale ha ritenuto che non dovesse operare una riassunzione delle prove dichiarative ai sensi dell'art. 603 co. 3-bis cod. proc. pen.
Come si legge a pag.20 del provvedimento impugnato, i giudici del gravame del merito non hanno ravvisato la necessità della rinnovazione dell'istruzione dibattimentale, in tutto o in parte, posto hanno messo in discussione il contenuto probatorio delle fonti orali assunte e delle fonti documentali acquisite in primo grado (che hanno portato il primo giudice a ritenere la violazione datoriale dell'art. 17, lett. a), d.lgs. n. 81/2008), ma la qualificazione e le conseguenze giuridiche di dette fonti (il richiamo è a Sez. Un. n. 27620/2016, p. 17), dovendosi cioè concludere che l'omissione, nel P.O.S., della valutazione dei rischi da interferenza veicolare, rappresenti non solo violazione autonoma (come già ritenuto dal primo giudice con riferimento alla imputazione sub b), ma anche violazione eziologicamente connessa alle gravi lesioni personali subìte da M.M. (contestate sub a).
Orbene, tale valutazione appare corretta.
Diversamente da quanto opina il ricorrente, può senz'altro operarsi il riferimento ad un fatto, come quello di cui all'imputazione sub b, che non è stato escluso, bensì dichiarato prescritto.
Tema decisivo, tuttavia, come si evince dal provvedimento impugnato, è che i giudici del gravame del merito, sul proposto appello delle parti civili, hanno ritenuto di ribaltare il giudizio assolutorio di primo grado, limitatamente ai profili del risarcimento, sul diverso rilievo attribuito dall'assenza nel POS redatto dal datore di lavoro di specifici riferimenti al tipo di rischio che si è poi tragicamente concretizzato con le gravi lesioni a carico del M.M..
Diversamente dal giudice di primo grado, quello di appello ha ritenuto che non valesse ad escludere la responsabilità datoriale la presenza di un preposto e di una prassi secondo cui, in casi come quello di cui all'incidente, si fosse soliti transennare il cantiere e predisporre gli accorgimenti necessari ad evitare pericoli rispetto al traffico veicolare.
A ben guardare, dunque, non si è trattato in alcun modo di rivalutare le prove dichiarative precedentemente assunte, bensì di attribuire un diverso peso ad una circostanza, peraltro già acclarata dal giudice di primo grado, quale quella dell'assenza nel POS di una previsione specifica sul rischio di interferenza tra il cantiere ed il traffico veicolare.
Manifestamente infondato è anche il secondo motivo, che sollecita una rivalutazione di elementi di fatto, in relazione alla portata complessive delle previsioni contenute nel POS, che non è consentita in questa sede di legittimità.
La Corte territoriale evidenzia che nella fattispecie in esame, come scrive il primo giudice, le disposizioni di cui al punto 10.2 del P.O.S. della CLER redatto da M.L., quale parte datrice, in riferimento alla interferenza tra il cantiere e il traffico veicolare, non prevedeva l'uso di semafori o di movieri, ma la segnalazione del cantiere mediante cartelli e segnali ovvero la delimitazione del cantiere con coni (nel caso non ci fossero scavi) o con barriere di protezione (ad es. transenne con pannelli bianchi e rossi, barriere rigide in cemento o similari tipo "new jersey", ecc.) e, ove consentito, con rete arancione. E afferma di condividere anche la valutazione del giudice di primo grado che la mancata previsione nel P.O.S. della CLER di rimedi per regolare il flusso del traffico veicolare in prossimità del cantiere su strade ad intensa percorrenza, qual è la via Ardeatina in prossimità del grande raccordo anulare nell'ora di punta del traffico (la mattina dopo le 08.00) costituisce certamente una insufficiente valutazione del rischio da interferenza tra il cantiere e il traffico veicolare.
Né, con tutta evidenza, l'invocata previsione di cui a pag. 108 del POS, ove alla voce "DELIMITAZIONE DEL CANTIERE" si legge: "Tutte le delimitazioni devono essere scelte e dimensionate in relazione alle condizioni del sito, alla tipologia del flusso veicolare/pedonale, ai pericoli generati dal cantiere... " può costituire un'indicazione sufficiente a poter dire operata la valutazione del rischio poi concretizzatosi in imputazione. Si tratta, con tutta evidenza, di una frase buttata lì, a fonte, invece, di quella che dovrebbe essere una chiara e completa previsione del rischio.
Secondo la logica ed assai completa motivazione della Corte territoriale è la inferenza finale ritenuta dal giudice di primo grado ad essere non corretta, vale a dire che i rimedi per ovviare alla interferenza con il traffico veicolare - semafori e moviere - costituirebbero una prassi normalmente praticata dai capo cantiere della CLER, cosicché, pur in assenza di una specifica previsione nel P.O.S., la responsabilità colposa a carico del capo cantiere sarebbe comunque radicata per imprudenza e per un errore di valutazione, non certo perché l'utilizzo del moviere non fosse specificato al punto 10.2 del P.O.S.
Correttamente la sentenza impugnata reputa che tale affermazione si ponga in palese contrasto con il consolidato principio secondo cui non vale ad esentare da responsabilità il datore di lavoro e il responsabile della sicurezza la presenza di un preposto (cioè del capo cantiere), posto che, quando i titolari della posizione di garanzia siano più di uno, posti sullo stesso piano o su piani diversi, ciascuno di essi è "per intero" destinatario dell'obbligo giuridico di impedire l'evento (così ex multis, le richiamate sentenze 46849/2011, 45369/2010, 8593/2008 e 38810/2005) e ciascuno di essi deve, pertanto, rispondere dell'evento verificatosi per l'omissione delle cautele doverose, causalmente ad esso correlate e fino a che non si esaurisca il rapporto che ha originato la singola posizione di garanzia (n. 29612/2020).
Come ricorda la Corte capitolina, la vigente tutela dell'integrità psicofisica dei lavoratori risente, infatti, della scelta di fondo del legislatore di attribuire rilievo dirimente al concetto di prevenzione dei rischi connessi all'attività lavorativa e di ritenere che la prevenzione si debba basare sulla programmazione globale del sistema di sicurezza aziendale, nonché su un modello collaborativo e informativo di gestione del rischio da attività lavorativa, dovendosi così ricomprendere nell'ambito delle omissioni penalmente rilevanti tutti quei comportamenti dai quali sia derivata una carente programmazione dei rischi.
L'identificazione dell'area di rischio e dei soggetti deputati alla sua gestione serve ad arginare la potenziale espansività della causalità condizionalistica, consentendo di imputare il fatto solo a coloro che erano chiamati a gestire il rischio concretizzatosi.
Nella fattispecie, dunque, per i giudici del gravame del merito, se è vero che I.C. , quale capo cantiere e preposto, era destinatario di posizione di garanzia formale ed anche effettiva, assumendo la qualità di garante dell'obbligo di assicurare la sicurezza del lavoro, in quanto sovraintende alle attività, impartisce istruzioni, dirige gli operai, attua le direttive ricevute e ne controlla l'esecuzione sicchè egli risponde delle lesioni occorse ai dipendenti; è tuttavia anche vero che M.L., quale datore di lavoro, avrebbe dovuto rendere edotti i lavoratori preposti alla specifica lavorazione del rischio da interferenza con il traffico veicolare e informarli sulle modalità esecutive da osservare (movieri o semafori) per evitare qualunque rischio per la sicurezza dei lavoratori e degli utenti della strada. Trattasi, com'è stato correttamente ritenuto, di una serie parallela di adempimenti, a diversi livelli, che radicano a carico di ciascuno e per intero l'obbligo giuridico di impedire l'evento, sicchè l'evento stesso finisce con l'essere determinato dalla sommatoria delle condotte omissive ascrivibili a diversi garanti.

3. Manifestamente infondati sono anche i motivi proposti nell'interesse della Cler soc. coop che si sostanziano in una sollecitazione a questa Corte di legittimità di rivalutare il fatto rispetto a posizioni di imputati per i quali c'è stata doppia conforme affermazione di responsabilità.
Il ricorso pare ignorare il principio secondo cui la rinnovazione in appello riveste carattere di eccezionalità.
Sul punto già la CDA aveva rilevato, quanto al mancato approfondimento istruttorio in primo grado nonostante le richieste ex art. 507 cod. proc. pen. ed alla richiesta di rinnovazione dibattimentale ex art. 603 cod. proc. pen. (attraverso l'audizione degli operanti, in servizio all'epoca dei fatti presso il commissariato Polstato), che la disposizione di cui all'art. 603, co. 1, cod. proc. pen. è fondata sulla presunzione di completezza dell'indagine probatoria esperita in primo grado e subordina la rinnovazione del dibattimento, da una parte alla condizione di una sua necessità, qualificata come assoluta (ossia insuperabile con il ricorso agli ordinari espedienti processuali), dall'altra alla condizione che il giudice la percepisca e la valuti come tale, vale a dire come un ostacolo all'accertamento de/la verità del caso concreto, insormontabile senza il ricorso alla rinnovazione totale o parziale del dibattimento.
Ebbene, per la Corte capitolina, con una motivazione che appare incensurabile in questa sede di legittimità, la richiesta di audizione testimoniale dei due operanti di p.g. andava disattesa, non ravvisandosene l'assoluta necessità ai fini della decisione, alla luce delle acquisizione istruttorie testimoniali e documentali, che hanno sufficientemente chiarito la dinamica della vicenda.
Né -viene sottolineato nella sentenza impugnata- il motivo di gravame nel merito, come anche il presente ricorso, aveva chiarito lo scopo ultimo dell'indicata audizione inteso ad illustrare il posizionamento della segnaletica al momento dell'intervento dei predetti militari, avendo M.M. e S.F. illustrato le modalità con le quali era stata collocata la segnaletica stradale.
Per il resto -va ribadito- in termini assolutamente generici ed aspecifici, con motivi non scanditi da necessaria critica analisi delle argomentazioni poste a base della decisione impugnata e privi della puntuale enunciazione delle ragioni di diritto giustificanti il ricorso e dei correlati congrui riferimenti alla motivazione dell'atto impugnato, si vuole prefigurare una rivalutazione o e/o alternativa rilettura delle fonti probatorie, estranea al sindacato di legittimità e avulsa da una pertinente individuazione di specifici travisamenti di emergenze processuali valorizzate dai giudici di merito.

4. Essendo i ricorsi inammissibili e, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nonché alla rifusione in solido delle spese di assistenza e di rappresentanza in questo giudizio delle costituite parti civili nella misura indicata in dispositivo.
 

P.Q.M.
 

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila ciascuno in favore della cassa delle ammende, nonché alla rifusione in solido delle spese di assistenza e di rappresentanza in questo giudizio delle costituite parti civili che liquida in euro 3000,00 per M.M. e in complessivi euro 4200,00 per Omissis, oltre accessori come per legge.
Così deciso in Roma il 9 novembre 2022