Categoria: Cassazione civile
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Cassazione Civile, Sez. Lav., 28 novembre 2022, n. 34971 - Caduta dalla scala e risarcimento del danno. Mancanza del presupposto di fatto ossia la qualifica datoriale


 

 

Presidente: ESPOSITO LUCIA
Relatore: PATTI ADRIANO PIERGIOVANNI
Data pubblicazione: 28/11/2022
 

Rilevato che
1. con sentenza 26 settembre 2018, la Corte d’appello di Palermo ha rigettato le domande risarcitorie proposte da R., F., P. e A.C., in proprio e quali eredi di AL.C., (anche) nei confronti di F.N.: così riformando, in accoglimento del suo appello, la sentenza di primo grado che l’aveva invece condannato al risarcimento del danno, in favore dei predetti, derivante dal decesso del loro congiunto, a seguito di caduta in data 22 maggio 2008, in occasione di lavori commissionatigli dal predetto nella casa della figlia I.N., nei cui confronti pure essi avevano proposto la domanda, però disattesa dal Tribunale;
2. in applicazione del principio di autonomia, ai sensi degli artt. 652 e 75, secondo comma c.p.p., del giudizio civile e del giudizio penale (in riferimento al quale F.N. era stato assolto in entrambi i gradi di merito, con sentenza ormai in giudicato), non avendo i suddetti eredi ad esso partecipato e di cui erano state peraltro acquisite le risultanze probatorie alla stregua di fonti atipiche liberamente valutabili, la Corte territoriale, in esito al loro critico ed argomentato scrutinio, ha escluso, così come il giudice penale, la prova di un rapporto di lavoro subordinato del deceduto con l’appellante e neppure della dinamica dell’infortunio, non essendo stata accertata la caduta del primo da una scala trovata in loco;
3. con atto notificato il 23 novembre 2018, R., F., P. e A.C., in proprio e nella qualità, hanno proposto ricorso per cassazione con cinque motivi, cui F.N. ha resistito con controricorso;
4. entrambe le parti hanno comunicato memoria ai sensi dell’art. 380 bis1 c.p.c.

Considerato che

1. i ricorrenti hanno dedotto falsa applicazione degli artt. 75, primo e secondo comma, 654 c.p.p., per il mancato rispetto del principio di autonomia e separazione dei giudizi civile e penale, avendo la Corte territoriale acriticamente assunto le risultanze probatorie acquisite nel giudizio penale, richiamando il ragionamento ivi compiuto, senza una loro autonoma valutazione (primo motivo); violazione e falsa applicazione dell’art. 2043 c.c., per non avere la corte territoriale autonomamente valutato le risultanze probatorie in applicazione del nesso di causalità regolante il giudizio civile (secondo il principio del “più probabile che non”), diverso da quello del giudizio penale (secondo il principio della “certezza ogni ragionevole dubbio”) (secondo motivo); omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, quale la mancata valutazione delle dichiarazioni rese nell’immediatezza da altri operai presenti nel cantiere edile, anche se non diretti spettatori della dinamica del sinistro, dalle quali sarebbe stato possibile ricavare in via presuntiva la caduta di AL.C. dalla scala, trovata pure a terra al suo fianco (terzo motivo); violazione e falsa applicazione dell’art. 2087 c.c. e degli artt. 70 ss. d.lgs. 276/2003 e del d. lgs. 81/2008, per il mancato accertamento dell’esistenza di un rapporto di lavoro occasionale e accessorio, cui applicabile la normativa di sicurezza denunciata di violazione, sulla base di elementi (copia di assegni, scambio di mails) pure menzionati dalla Corte territoriale, ma non adeguatamente valorizzati (quinto motivo);
2. essi, congiuntamente esaminabili per ragioni di stretta connessione, sono in parte inammissibili e in parte infondati;
3. occorre premettere che il nostro ordinamento non è ispirato al principio dell'unità della giurisdizione e della prevalenza del giudizio penale su quello civile, avendo il legislatore instaurato un sistema di completa autonomia e separazione fra i due giudizi, in virtù del quale è consentito al processo civile, ad eccezione di alcune particolari e limitate ipotesi di sua sospensione ai sensi dell’art. 75, terzo comma c.p.p., di proseguire il suo corso senza essere influenzato da quello penale ed è imposto al giudice di procedere ad un autonomo accertamento dei fatti e della responsabilità civile con pienezza di cognizione, senza essere vincolato alle soluzioni e alle qualificazioni del giudice penale (Cass. 10 marzo 2015, n. 4758); 3.1. pertanto, anche in presenza di un giudicato penale, esso non ha l'obbligo di esaminare e valutare le prove e le risultanze acquisite nel processo penale come fonte del proprio convincimento (Cass. 30 dicembre 2021, n. 42028); sicché, l'accertamento contenuto in una sentenza penale irrevocabile di assoluzione pronunciata “perché il fatto non costituisce reato” non ha efficacia di giudicato, ai sensi dell'art. 652 c.p.p., nel giudizio civile di danno, nel quale (attesa l'autonomia e la separatezza tra giudizio civile e giudizio penale, sottolineata anche da Cass. s.u. pen. n. 22065 del 2021) compete al giudice il potere di accertare autonomamente, con pienezza di cognizione, i fatti dedotti in giudizio e di pervenire a soluzioni e qualificazioni non vincolate all'esito del processo penale (Cass. 14 febbraio 2006, n. 3193; Cass. 25 novembre 2021, n. 36638);
4. in tema di nesso causale, esistono due momenti diversi del giudizio civile: il primo, costituito dalla ricostruzione del fatto idoneo a fondare la responsabilità, per il quale la problematica causale, detta della causalità materiale o di fatto, è analoga a quella penale di cui agli art. 40 e 41 c.p. e il danno rileva solo come evento lesivo; il secondo, al quale va riferita la regola dell'art. 1223 c.c., che riguarda la determinazione dell'intero danno cagionato oggetto dell'obbligazione risarcitoria, attribuendosi rilievo, all'interno delle serie causali così individuate, a quelle che, nel momento in cui si produce l'evento, non appaiano del tutto inverosimili, come richiesto dalla cosiddetta teoria della causalità adeguata o della regolarità causale, fondata su un giudizio formulato in termini ipotetici (Cass. 23 dicembre 2010, n. 26042);
4.1. in tema di responsabilità civile, applicati nella verifica del nesso causale tra la condotta illecita e il danno i principi posti dagli artt. 40 e 41 c.p. e fermo restando il diverso regime probatorio tra il processo penale, ove vige la regola della prova "oltre il ragionevole dubbio", e quello civile, in cui opera la regola della preponderanza dell'evidenza o "del più probabile che non", lo standard di cd. certezza probabilistica non può essere, in materia civile, ancorato esclusivamente alla cd. probabilità quantitativa della frequenza di un evento, che potrebbe anche mancare o essere inconferente, ma va verificato, secondo la cd. probabilità logica, nell'ambito degli elementi di conferma e, nel contempo, nell'esclusione di quelli alternativi, disponibili in relazione al caso concreto (Cass. 3 gennaio 2017, n. 47; Cass. 27 settembre 2018, n. 23197);
5. nel caso di specie, in applicazione del suenunciato principio di autonomia dei giudizi esplicitamente richiamato (dal primo all’ultimo capoverso di pg. 3 della sentenza), la Corte territoriale ha compiuto un accertamento in fatto, in esito ad una valutazione degli elementi di prova acquisiti dal giudizio penale (idonei alla formazione del suo convincimento quali prove cd. atipiche: Cass. 20 gennaio 2017, n. 1593; Cass. 12 febbraio 2021, n. 3689), congruamente argomentata (per le ragioni esposte dal secondo capoverso di pg. 4 al primo di pg. 7 della sentenza), pertanto insindacabile in sede di legittimità, in ordine al presupposto di fatto (qualità datoriale di F.N., indimostrata neppure a titolo di lavoro accessorio od occasionale, piuttosto che di committente di lavoro autonomo di consulenza), comportante un’obbligazione di sicurezza, oltre che sulla stessa dinamica dell’evento, con la conseguenza dell’insussistenza degli elementi istitutivi di alcun possibile nesso causale;
6. non è poi configurabile l’omesso esame di alcun “fatto storico”, principale o secondario, consistendo piuttosto il motivo nella deduzione di mancata valutazione di risultanze processuali, estraneo all’abito devolutivo dell’art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c., riformulato dall'art. 54 d.l. 83/2012, conv. in l. 134/2012 (Cass. s.u. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. 12 ottobre 2017, n. 23940), pure in difetto del carattere di decisività proprio per la deduzione di una pluralità di fatti, atti e documenti, che esclude ex se la portata risolutiva di ciascuno (Cass. 5 luglio 2016, n. 13676; Cass. 28 maggio 2018, n. 13625);
7. le censure si risolvono così, nella sostanza, in una diversa interpretazione e valutazione delle risultanze processuali e di ricostruzione della fattispecie operata dalla Corte territoriale, insindacabili in sede di legittimità (Cass. 7 dicembre 2017, n. 29404; Cass. s.u. 27 dicembre 2019, n. 34476; Cass. 4 marzo 2021, n. 5987), in quanto spettanti esclusivamente al giudice del merito, autore di un accertamento in fatto, argomentato in modo pertinente e adeguato a giustificare il ragionamento logico-giuridico alla base della decisione;
8. i ricorrenti hanno infine dedotto violazione e falsa applicazione dell’art. 2087 c.c., in relazione ad omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, per la mancata adozione da parte del datore di lavoro di alcuna misura di sicurezza nel cantiere edile (quarto motivo);
9. esso è assorbito, in mancanza dei presupposti di applicabilità della norma denunciata;
10. pertanto il ricorso deve essere dichiarato rigettato, con la regolazione delle spese del giudizio secondo il regime di soccombenza e raddoppio del contributo unificato, ove spettante nella ricorrenza dei presupposti processuali (conformemente alle indicazioni di Cass. s.u. 20 settembre 2019, n. 23535).

 

P.Q.M.


La Corte rigetta il ricorso e condanna gli eredi alla rifusione, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio, che liquida in € 200,00 per esborsi e € 5.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso per spese generali in misura del 15% e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso nella Adunanza camerale del 26 ottobre 2022