Cassazione Penale, Sez. 3, 30 novembre 2022, n. 45433 - Procedura di estinzione delle contravvenzioni in materia di sicurezza sul lavoro: l'impossibilità di procedere al pagamento della sanzione amministrativa non può certo costituire una giustificazione


 

Presidente: RAMACCI LUCA
Relatore: NOVIELLO GIUSEPPE
Data Udienza: 16/11/2022
 

Nota a cura di Mario Gallo in Guida al lavoro 3/2023, Sicurezza, la difficoltà economica a pagare la sanzione non scusa il trasgressore, pp. 34-36 

 

Fatto

1. Il Tribunale di Agrigento con sentenza del 1 dicembre 2002 condannava B.A. in relazione al reato di cui all'art. 159 comma 2 lett. a) del D.Lgs. 81/2008, così dichiarando di riqualificare il fatto come contestato e lo condannava alla pena dell'ammenda.

2. Avverso la pronuncia sopra indicata del tribunale, propone ricorso B.A. deducendo tre motivi di impugnazione.

3. Con il primo motivo deduce il vizio di cui all'art. 606 comma 1 lett. c) cod. proc. pen. in relazione agli artt. 521 e 522 cod. proc. pen. nonché il vizio di mancanza di motivazione in ordine alla intervenuta riqualificazione del fatto contestato. Si rappresenta che la riqualificazione sarebbe avvenuta in relazione ad una norma, quale l'art. 159 del Dlgs. 81/2008, che prevede solo la sanzione e non il precetto, per cui tale riqualificazione non permetterebbe di comprendere con precisione l'addebito anche perché il richiamato art. 159 comma 2 cita diverse disposizioni in tema di normativa antinfortunistica. Con incertezza sulla imputazione e impossibilità, in difetto di ogni motivazione, di comprendere la volontà del giudicante.

4. Con il secondo motivo deduce la violazione dell'art. 27 della Costituzione e 533 cod. proc. pen. e il vizio di mancanza e illogicità della motivazione con riferimento all'elemento soggettivo del reato oltre al travisamento della prova. La valutazione da parte del giudice della documentazione prodotta dalla difesa, per dimostrare l'impossibilità dell'imputato di procedere al pagamento della sanzione amministrativa, sarebbe incompatibile con la ricostruzione presente in sentenza con riguardo all'elemento soggettivo del reato. Sia perché l'estratto conto prodotto ed esaminato darebbe contezza, diversamente da quanto sostenuto dal tribunale, della indisponibilità della somma necessaria al pagamento della sanzione amministrativa sia perché risulterebbe agli atti, diversamente da quanto ritenuto dal giudice, la prova della avvenuta trasmissione della dichiarazione dei redditi delle persone fisiche e dell'Irap. Il tribunale avrebbe anche omesso di considerare una prova significativa quale la testimonianza di P.S., nella parte in cui ha rappresentato che nell'anno in questione non era stata svolta alcuna attività e che per l'anno di imposta 2020 la dichiarazioni dei redditi per la ditta del ricorrente era pari a zero.

 

Diritto


1.Il primo motivo proposto è inammissibile. Va premesso che la sentenza costituisce un tutto coerente ed organico, con la conseguenza che, ai fini del controllo critico sulla sussistenza di un valido percorso giustificativo, ogni punto non può essere autonomamente considerato, dovendo essere posto in relazione agli altri, con la conseguenza che la ragione di una determinata statuizione può anche risultare da altri punti della sentenza ai quali sia stato fatto richiamo, sia pure implicito (v. Sez. 4, n. 4491 del 17/10/2012 (dep. 2013), Pg in proc. Spezzacatena e altri, Rv. 255096, conf. Sez. 5, n. 8411 del 21/5/1992, Chirico ed altri, Rv. 191487).
Consegue che al di là della non corretta espressione utilizzata dal giudice in termini di riqualificazione del fatto ai sensi dell'art. 159 comma 2 lett. a) del Dlgs. 81/2008, lo stesso si è solo limitato a richiamare la norma che dispone la sanzione per il fatto come contestato e riconosciuto espressamente in sentenza, nel quadro di una motivazione con cui si dà atto dell'avvenuto accertamento della mancata adozione di iniziative corrispondenti a quelle illustrate nell'art. 122 del Dlgs. 81/2008 di cui al capo di imputazione, come anche della intervenuta adozione di corrispondenti prescrizioni, poi ottemperate dall'imputato, diversamente dall'adempimento, cui il ricorrente era stato successivamente ammesso, consistente nel pagamento di una somma in sede amministrativa, diretto ad estinguere la contravvenzione.
Dunque, non sussiste nessuna violazione degli artt. 521 e 522 cod. proc. pen. a fronte della motivata condanna corrispondente ai fatti addebitati.

2. Anche il secondo motivo è manifestamente infondato. Secondo la procedura di estinzione delle contravvenzioni in materia di sicurezza ed igiene sul lavoro, introdotta dagli artt. 19 ss. D.Lvo 758/1994, il Giudice, prima di pronunciare sentenza di condanna per una delle violazioni ivi previste, deve accertare che si siano regolarmente svolti tutti i passaggi della procedura stessa, costituente condizione di procedibilità dell'azione penale. Nel caso concreto, l'organo di vigilanza ha impartito al contravventore le apposite prescrizioni fissando il termine per adempiere e successivamente ha constatato che la violazione era stata eliminata secondo le modalità imposte; indi, ha invitato il contravventore al pagamento della sanzione amministrativa. La mancata corresponsione della somma necessaria a titolo di oblazione ha determinato la conseguenza che il procedimento riprendesse il suo corso, atteso che è solo con il congiunto adempimento da parte del contravventore di entrambi gli incombenti, ovverosia l'eliminazione delle violazioni per effetto della successiva regolarizzazione ed il successivo pagamento della sanzione amministrativa, che il reato si estingue (art. 24, 1° comma, cfr. in motivazione Sez. 3, n. 45737 del 23/02/2017 Rv. 271410 - 01). In altri termini, per quanto di interesse, a fronte del reato, consumato, il pagamento della sanzione in sede amministrativa partecipa solo della fase, sopravvenuta ed eventuale, di estinzione del reato.
Pertanto è del tutto infondato inferire dalla ritenuta sussistenza di condizioni ostative al predetto pagamento, l'assenza dell'elemento soggettivo del reato e dedurre, nel caso di specie, vizi di violazione di legge e di motivazione riguardo al profilo soggettivo del reato.

Va aggiunto, per completezza, che la deduzione di una impossibilità di procedere al pagamento in questione non può di per sé scusare, per cui anche se rapportata al tema della mera estinzione del reato la censura proposta, fondata su una asserita incapienza dell'imputato, integra una questione giuridica manifestamente infondata per la quale opera il principio per cui il vizio di motivazione non è configurabile riguardo ad argomentazioni giuridiche delle parti. Queste ultime infatti, come ha più volte sottolineato la Suprema Corte, o sono fondate, e allora il fatto che il giudice le abbia disattese (motivatamente o meno) dà luogo al diverso motivo di censura costituito dalla violazione di legge; o sono infondate, come nel caso in esame, e allora che il giudice le abbia disattese non può dar luogo ad alcun vizio di legittimità della pronuncia giudiziale, avuto anche riguardo al disposto di cui all'art. 619 comma 1 cod. proc. pen. che consente di correggere, ove necessario, la motivazione quando la decisione in diritto sia comunque corretta (cfr. in tal senso Sez. 1, n. 49237 del 22/09/2016 Rv. 271451 - 01 Emmanuele). In particolare occorre sottolineare in proposito che nelle contravvenzioni in materia di sicurezza e di igiene del lavoro, ricorre un'ipotesi di forza maggiore, che scusa l'inosservanza degli adempimenti cui è condizionata l'estinzione del reato ad esito della procedura di cui all'art. 24 D.Lgs. 19 dicembre 1994, n. 758, esclusivamente nel caso - diverso da quello dedotto - in cui l'interessato versi in uno stato patologico di tale gravità da determinarne, per tutta la durata, un'assoluta incapacità di intendere e di volere, in grado di impedirgli anche solo di dare disposizioni ad altri per l'adempimento (Sez. 7, Ordinanza n. 10083 del 25/11/2016 (dep. 01/03/2017 ) Rv. 269209 -
01) Entro tale linea di indirizzo si è altresì precisato che il sopravvenuto stato di liquidazione societaria, nemmeno se determinato da difficoltà finanziarie, costituisce causa di forza maggiore idonea a giustificare il mancato adempimento alle prescrizioni impartite dall'organo di vigilanza nell'ambito della procedura di estinzione prevista, in materia di infortuni sul lavoro, dal D.Lgs. 19 dicembre 1994, n. 758 (Sez. 3, Sentenza n. 24410 del 05/04/2011 Rv. 250805 - 01), e che la sopravvenuta dichiarazione di fallimento del contravventore, ammesso alla procedura di estinzione dei reati antinfortunistici o in materia di igiene del lavoro (art. 24, D.Lgs. 19 dicembre 1994, n. 758), non costituisce impedimento rilevante, idoneo a giustificare il mancato espletamento della procedura estintiva (Sez. 3, n. 44399 del 28/09/2011 Rv. 251324 - 01).

3. Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza "versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

 

P.Q.M.
 



Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende
Così deciso il 16/11/2022