Cassazione Civile, Sez. Lav., 15 dicembre 2022, n. 36841 - Risarcimento danno da mesotelioma pleurico


 

 

Presidente: TRIA LUCIA
Relatore: MICHELINI GUALTIERO
Data pubblicazione: 15/12/2022
 

RILEVATO CHE

1. la Corte d'Appello di Genova, in parziale riforma di sentenza del locale Tribunale, ha condannato Ansaldo Energia S.p.A. al pagamento in favore degli eredi di N.S., dipendente dal 6 agosto 1943 al 30 novembre 1982 come operaio presso lo stabilimento di Sampierdarena, deceduto il 17/02/2006 per mesotelioma pleurico diagnosticatogli all'inizio del 2005 e riconosciuto dall'INAIL come malattia professionale, della somma complessiva di € 79.213,44 a titolo di risarcimento del danno iure hereditatis (in luogo della somma complessiva di € 634.299,05 liquidata a tale titolo dal Tribunale) e confermato la condanna della società al pagamento delle rispettive somme di € 200.000 in favore della vedova e di € 163.990 ciascuno in favore dei tre figli a titolo di risarcimento del danno iure proprio;
2. avverso la predetta sentenza propongono ricorso per cassazione, affidato a due motivi, gli eredi di N.S.; resiste con controricorso la società, proponendo inoltre ricorso incidentale con tre motivi; resistono con controricorso al ricorso incidentale le controparti, che hanno altresì depositato memoria;

CONSIDERATO CHE

1. con il primo motivo di ricorso, gli eredi del lavoratore deceduto denunciano, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., violazione del principio di specificità dei motivi di appello ex art. 342 c.p.c., del principio dell'appello come revisio prioris instantiae, dell’art. 112 c.p.c. per mancata ed errata considerazione della ratio decidendi seguita dal Tribunale;
2. con il secondo (art. 360 n. 3 c.p.c.), denunciano violazione o falsa applicazione dell'art. 1226 c.c. in relazione all'art. 2059 c.c., violazione del principio di integralità ed adeguatezza del risarcimento del danno non patrimoniale, errata e falsa applicazione delle Tabelle di liquidazione del danno non patrimoniale terminale e temporaneo, inidoneità ed irrazionalità del criterio liquidatorio adottato dalla sentenza impugnata;
3. con il primo motivo di ricorso incidentale, la società censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione degli artt. 1218, 2087, 2697, 21 d.P.R. 303/1956, 115 c.p.c. (art. 360, n. 3 c.p.c.);
4. con il secondo, violazione e falsa applicazione degli artt. 115, 116 c.p.c., 2727, 2729 c.c., 40 e 41 c.p. (art. 360, n. 3 c.p.c.);
5. con il terzo, violazione e falsa applicazione degli artt. 2059, 2697, 1223 c.c. (art. 360, n. 3 c.p.c.);
6. per motivi di pregiudizialità logico-giuridica devono essere preventivamente trattati i motivi di ricorso incidentale;
7. il primo motivo, con il quale la società ricorda che il dovere di prevenzione imposto al datore di lavoro dall'art. 2087 c.c. non configura un’ipotesi di responsabilità oggettiva, è inammissibile, in quanto in realtà diretto ad una rivisitazione in fatto delle risultanze probatorie acquisite nei gradi di merito; ciò al di fuori del perimetro del giudizio di legittimità, posto che la Corte di merito, esaminando il quinto motivo di appello, ha sottolineato la conoscibilità della dannosità dell'inalazione di polveri di amianto già all'epoca dell’esposizione del lavoratore deceduto e l'omissione di adozione di adeguate misure di protezione;
8. parimenti inammissibile risulta il secondo motivo, con cui la società contesta l'accertamento del nesso di causalità tra lavoro e malattia, posto che la sentenza impugnata ha dato compiutamente conto degli esiti della consulenza tecnica d'ufficio svolta in primo grado, sottoponendola ad analisi critica, ed evidenziando gli elementi di riscontro del nesso eziologico con la patologia, in base al principio di equivalenza delle cause di cui all'art 41 c.p.;
9. egualmente inammissibile si profila il terzo motivo di ricorso incidentale, in quanto non si confronta con la ratio decidendi della decisione impugnata, che non ha proceduto ad automatico riconoscimento di danni in favore dei superstiti in assenza di allegazioni concrete e personalizzanti e di prove relative ai riflessi pregiudizievoli dispiegati dall'evento lesivo, ma ha valutato come da risarcire nella misura indicata il danno non patrimoniale dei congiunti, comprensivo della sofferenza interiore e dei pregiudizi di tipo esistenziale, anche in base a presunzioni ricavate, da una parte, dalla lunga durata del rapporto di coniugio, e d’altra parte, dalla considerazione della effettiva autonomizzazione dei figli dalla famiglia di origine, su base equitativa parametrata alle cd. tabelle di Milano;
10. il primo motivo di ricorso principale non è ammissibile;
11. la Corte di merito è pervenuta all'accoglimento, per quanto di ragione, del sesto motivo di appello della società, tenendo conto dei dati sullo sviluppo della patologia riportati nella CTU e specificando che si trattava di questione di quantificazione del danno iure hereditatis; in proposito, questa Corte ha chiarito che gli artt. 342 e 434 c.p.c., nel testo formulato dal d.l. n. 83 del 2012, conv. con modif. dalla legge n. 134 del 2012, vanno interpretati nel senso che l'impugnazione deve contenere, a pena di inammissibilità, una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice, senza che occorra l’utilizzo di particolari forme sacramentali o la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado, tenuto conto della permanente natura di “revisio prioris instantiae” del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata (Cass. n. 29177/2017; conf. Cass. n. 13535/2018);
12. è invece fondato, per quanto di ragione, il secondo motivo di ricorso principale;
13. questa Corte si è espressa, in materia (v. Cass. n. 17577/2019), nel senso che il danno subito dalla vittima, nell'ipotesi in cui la morte sopravvenga dopo apprezzabile lasso di tempo dall'evento lesivo, è configurabile e trasmissibile agli eredi nella duplice componente di danno biologico "terminale", cioè di danno biologico da invalidità temporanea assoluta, e di danno morale consistente nella sofferenza patita dal danneggiato che lucidamente e coscientemente assiste allo spegnersi della propria vita; la liquidazione equitativa del danno in questione va effettuata commisurando la componente del danno biologico all'indennizzo da invalidità temporanea assoluta e valutando la componente morale del danno non patrimoniale mediante una personalizzazione che tenga conto dell'entità e dell'intensità delle conseguenze derivanti dalla lesione della salute in vista del prevedibile "exitus";
14. è stata poi confermata la correttezza (Cass. n. 12041/2020) di tecniche di liquidazione del danno "terminale" commisurate alle tabelle che stimano l'inabilità temporanea assoluta con opportuni "fattori di personalizzazione", i quali tengano conto dell'entità e dell'intensità delle conseguenze derivanti dalla lesione della salute in vista del prevedibile exitus (Cass. n. 15491/2014, n. 23053/2009, n. 9959/2006, n. 3549/2004);
15. con la pronuncia n. 12041/2020 ora citata, cui il Collegio intende dare continuità, si è chiarito che:
a) in caso di malattia professionale o infortunio sul lavoro con esito mortale, che abbia determinato il decesso non immediato della vittima, al danno biologico terminale, consistente in un danno biologico da invalidità temporanea totale (sempre presente e che si protrae dalla data dell'evento lesivo fino a quella del decesso), può sommarsi una componente di sofferenza psichica (danno catastrofale), sicché, mentre nel primo caso la liquidazione può essere effettuata sulla base delle tabelle relative all'invalidità temporanea, nel secondo la natura peculiare del pregiudizio comporta la necessità di una liquidazione che si affidi ad un criterio equitativo puro, che tenga conto della "enormità" del pregiudizio, giacché tale danno, sebbene temporaneo, è massimo nella sua entità ed intensità, tanto da esitare nella morte (cfr. Cass. n. 23183/2014, n. 15491/2014);
b) si tratta di danni che vanno tenuti distinti e liquidati con criteri diversi;
c) per il danno biologico da invalidità temporanea totale (sempre presente e che si protrae dalla data dell'evento lesivo fino a quella del decesso) la liquidazione può ben essere effettuata sulla base delle tabelle relative all'invalidità temporanea e deve essere effettuata in relazione alla menomazione dell’integrità fisica patita dal danneggiato sino al decesso; tale danno, qualificabile come danno "biologico terminale", dà luogo ad una pretesa risarcitoria, trasmissibile "iure hereditatis" da commisurare soltanto all'inabilità temporanea, adeguando tuttavia la liquidazione alle circostanze del caso concreto, ossia al fatto che, se pur temporaneo, tale danno è massimo nella sua intensità ed entità, tanto che la lesione alla salute non è suscettibile di recupero ed esita, anzi, nella morte;
d) invece il danno catastrofale - che integra un danno non patrimoniale di natura del tutto peculiare consistente nella sofferenza patita dalla vittima che lucidamente e coscientemente assiste allo spegnersi della propria vita - comporta la necessità di una liquidazione che si affidi a un criterio equitativo denominato “puro” − ancorché sempre puntualmente correlato alle circostanze del caso – che sappia tener conto della sofferenza interiore psichica di massimo livello, correlata alla consapevolezza dell'approssimarsi della fine della vita, la quale deve essere misurata secondo criteri di proporzionalità e di equità adeguati alla sua particolare rilevanza ed entità, e all’enormità del pregiudizio sofferto a livello psichico in quella determinata circostanza (vedi, tra le altre, Cass. n. 23183/2014);
e) ai fini della sussistenza del danno catastrofale, la durata di tale consapevolezza non rileva ai fini della sua oggettiva configurabilità, ma per la sua quantificazione secondo i suindicati criteri di proporzionalità e di equità (in termini: Cass. n. 16592/2019; v. pure Cass. n. 23153/2019, n. 21837/2019);
f) per ottenere uniformità di trattamento a livello nazionale, per questa ultima voce di danno si reputa comunemente necessario fare riferimento al criterio di liquidazione adottato dal Tribunale di Milano, per l'ampia diffusione sul territorio, appunto, nazionale e per il riconoscimento attribuito dalla giurisprudenza di legittimità, alla stregua, in linea generale e in applicazione dell'art. 3 Cost., del parametro di conformità della valutazione equitativa del danno biologico a norma degli artt. 1226 e 2056 c.c., salvo che non sussistano in concreto circostanze idonee a giustificarne l'abbandono (cfr. Cass. n. 12408/2011, n. 27562/2017; v. anche Cass. n. 9950/2017);
16. osserva il Collegio che la disparità di trattamento in materia risulta tanto più irragionevole, perché destinata a consumarsi nella sfera protetta dal riconoscimento costituzionale del diritto alla salute quale diritto fondamentale ed inviolabile della persona umana; proprio dal nucleo irriducibile di tale diritto discende il principio dell’integrale riparazione del pregiudizio quale aspetto essenziale della tutela risarcitoria dei valori non patrimoniali dell’individuo;
17. nel caso di specie, invece, la Corte d'Appello di Genova ha ricondotto a nozione unitaria il pregiudizio del dante causa, quale danno biologico terminale ricomprendente sia il danno da lucida agonia o morale catastrofale, che quello biologico ordinario;
18. la sentenza impugnata risulta, quindi, in contrasto con i principi di diritto su enunciati, perché non tiene conto del criterio di liquidazione individuato da questa Corte di legittimità nelle tabelle che stimano l'inabilità temporanea assoluta con opportuni "fattori di personalizzazione", quale parametro di conformità della valutazione equitativa del danno alle disposizioni degli artt. 1226 e 2056 c.c., e perché non considera la duplice componente fenomenologica del danno sottoposto al presente giudizio, avuto riguardo sia agli effetti che la lesione del diritto della salute ha comportato nella dimensione dinamico-relazionale del soggetto danneggiato, sia alle conseguenze subite dallo stesso nella sua sfera interiore, sub specie di sofferenza, di paura, di angoscia, di disperazione, anche in considerazione del prevedibile esito letale;
19. pertanto, per questo aspetto, la sentenza impugnata deve essere cassata, con rinvio al giudice indicato in dispositivo che dovrà procedere a rinnovata liquidazione del danno non patrimoniale iure hereditatis, uniformandosi ai principi innanzi enunciati, regolando anche le spese;
20. il rigetto dell’impugnazione incidentale determina il raddoppio del contributo unificato per la società, ove dovuto nella ricorrenza dei presupposti processuali;

 

P.Q.M.
 


La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso principale, inammissibile il primo.
Dichiara inammissibile il ricorso incidentale.
Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte d’Appello di Genova in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di cassazione.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per parte ricorrente incidentale per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso incidentale, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso nella Adunanza camerale del 18 ottobre 2022.