Cassazione Civile, Sez. Lav., 15 dicembre 2022, n. 36855 - Grave infortunio del lavoratore delle ferrovie. Azione di regresso


 

Presidente: RAIMONDI GUIDO
Relatore: AMENDOLA FABRIZIO
Data pubblicazione: 15/12/2022
 

Rilevato che

1. il Tribunale di Imperia, con sentenza n. 35 del 2009, in accoglimento del ricorso proposto dall’INAIL in via di regresso ex artt. 10 e 11 del T.U. n. 1124 del 1965, ha condannato sia le Ferrovie dello Stato (oggi RFI spa) sia l’ex dipendente A.P., quale persona civilmente responsabile per il ruolo rivestito di Capo reparto Infrastrutture 24/U, al pagamento dell’importo capitale di €. 530.798,92, oltre accessori e spese, versato all’assicurato O.M. a titolo di indennità per inabilità temporanea e rendita da postumi permanenti nella misura del 70% in conseguenza del grave infortunio dallo stesso subito in data 8 ottobre 1995;
il Tribunale, con una prima sentenza non definitiva n. 37/2008 ha ritenuto che l’infortunio occorso dal Sig. O.M. fosse imputabile ad entrambi i convenuti che pertanto dovevano essere condannati a rimborsare all’INAIL, entro i limiti del danno civilistico, quanto dallo stesso erogato all’infortunato a titolo di provvidenze assistenziali; rimborso poi quantificato con la successiva sentenza definitiva n. 138/2009 nell’importo sopra indicato;
2. la sentenza non definitiva è stata immediatamente appellata dai convenuti e, con sentenza n. 754 del 2010, la Corte di Appello di Genova ha dichiarato improponibile la domanda di regresso affermando che l’INAIL non avrebbe potuto introdurre la causa prima della conclusione del procedimento penale a carico del A.P., all’epoca ancora in corso;
tale pronuncia di improponibilità è stata cassata con sentenza n. 11312 del 2017 e questa Corte ha conseguentemente rinviato la causa per la decisione su tutte le altre questioni e sulle spese di lite;
3. in seguito a riassunzione, la Corte genovese, decidendo in sede di rinvio ex art. 394 c.p.c., ha condannato RFI spa e A.P., in solido tra loro, al rimborso a favore dell’INAIL delle somme erogate all’infortunato entro i limiti dell’importo di €. 522.659,33, “da devalutarsi sulla base degli indici ISTAT alla data dell’infortunio per poi essere annualmente rivalutata e maggiorata degli interessi legali dal pagamento delle prestazioni assistenziali al saldo, ed €. 210,67 per spese mediche, oltre interessi legali dall’ esborso al saldo”; ha compensato un terzo delle spese di lite per tutti i gradi di giudizio, liquidando le residue a carico della società e del A.P.;
4. la Corte territoriale, con la sentenza qui impugnata, ha – per quanto qui rileva – così argomentato:
4.1. in ordine all’eccezione di giudicato sollevata dai soccombenti in primo grado, la Corte territoriale ha ricordato che la sentenza della medesima Corte genovese n. 379 del 2012, emessa a seguito dell’appello da parte di RFI e del sig. A.P. della sentenza definitiva n. 35/2009 del Tribunale di Imperia, con cui detti soggetti erano stati condannati, in solido, al pagamento di somme quantificate in favore dell’INAIL, aveva respinto la domanda dell’Istituto in conseguenza della caducazione per ragioni processuali operata dalla sentenza n. 754 del 2010, la quale aveva dichiarato l’improponibilità dell’azione di regresso; una volta cassata tale decisione nel 2017 – secondo la Corte ligure – ne restava travolta anche quella n. 379 del 2012, in quanto da essa dipendente, ai sensi dell’art. 336 c.p.c.;
4.2. circa l’eccezione di prescrizione triennale ex art. 112 T.U. n. 1124/1965, pure sollevata dai soccombenti, la Corte ha ritenuto che, qualora sia iniziata “l’azione penale, l’INAIL può agire in via di regresso verso i soggetti responsabili entro tre anni dalla emanazione della sentenza divenuta irrevocabile e ciò è sicuramente avvenuto nella fattispecie in esame, in cui l’Istituto ha deciso di attivarsi ben prima, senza neppure aspettare l’esito finale del giudizio penale”;
4.3. in merito alla responsabilità della società datrice di lavoro e del A.P., la Corte territoriale ha ritenuto, conformemente al primo giudice, che, scrutinando l’istruttoria espletata, entrambi fossero civilmente responsabili dell’infortunio occorso al sig. O.M. e, come tali, soggetti al rimborso delle somme erogate dall’INAIL all’infortunato in forza di quanto disposto dall’ art. 11 T.U. n. 1124/1965;
4.4. quanto invece alla condotta del O.M., la Corte, sulla premessa che risultava provato che questi, al momento del fatto, stava percorrendo il camminamento di un cavidotto in presenza di un treno in movimento, benché ciò fosse vietato, ha escluso – come il Tribunale - che tale comportamento fosse stato “così abnorme da comportare l’esonero assoluto da responsabilità” dei convenuti “in quanto dalle deposizioni testimoniali era emerso che, per effettuare il servizio che era stato affidato al O.M. (verifica della regolarità della coda del treno che era in arrivo da Genova), il camminamento in questione era l’unico percorso possibile; inoltre l’utilizzo del camminamento per effettuare la verifica della regolarità della coda del treno in arrivo era la modalità normalmente prevista per lo svolgimento del servizio da parte dell’ausiliario addetto a tale controllo”; tuttavia – diversamente dal Tribunale – la Corte di Appello ha considerato che il O.M. avesse “colpevolmente concorso nella causazione dell’evento, con conseguente riduzione del danno risarcibile da parte dei responsabili in una misura che pare equo determinare nella frazione di un terzo del totale, in considerazione del grado di intensità della colpa e soprattutto delle conseguenze derivanti dalla violazione dell’ obbligo di non intraprendere il camminamento con il treno in transito (posto che la gravità dell’ infortunio dipese dal fatto che, per cercare di sorreggersi dalla caduta, il O.M. si è appoggiato con la mano sinistra al binario mentre passava il treno con gravissime lesioni)”;
4.4. avuto riguardo, infine, alla quantificazione delle somme oggetto di rimborso in favore dell’INAIL, la Corte genovese, sulla scorta di una CTU effettuata in primo grado e delle tabelle milanesi, ha commisurato il danno civilistico risarcibile dai responsabili civili nei seguenti importi: “€. 758.669,00, a titolo di danno biologico da postumi permanenti quantificati dal CTU nella misura del 70% con la personalizzazione nella misura massima del 25%, in considerazione dell’età in cui il O.M. ha subito l’infortunio (50 anni), del grave trauma psichico subito per l’evento dal quale non si è più ripreso, del fatto che fosse mancino e non abbia più ripreso a lavorare; €. 25.320,00 a titolo di indennità da invalidità temporanea totale quantificata dal CTU in 211 giorni, calcolata nella misura media di €. 120 al giorno; il complessivo importo capitale di €. 783.989,00 deve tuttavia essere ridotto, per il concorso di colpa dell’infortunato valutato nella misura di un terzo, nella residua frazione dei due terzi pari a €. 522.659,33 al quale deve essere aggiunta la somma di €. 316.07 per spese mediche, anch’essa ridotta di un terzo (€. 210,67)”; ciò posto la Corte ha rilevato che “l’onere economico sostenuto dall’ INAIL è stato quantificato nell’importo superiore di €. 666.558,70, di cui €. 413.963,36 per i ratei già corrisposti alla data del 04/10/2017”, con la conseguenza che “l’Istituto può ottenere soltanto un rimborso parziale delle somme dovute all’infortunato, limitato al danno civilistico pari alla somma di €. 522.659,33, da devalutarsi sulla base degli indici ISTAT alla data dell’infortunio per poi essere annualmente rivalutata e maggiorata degli interessi legali dal pagamento delle prestazioni assistenziali al saldo, nonché la corresponsione di €. 210,67 per spese mediche, oltre interessi legali dall’esborso al saldo”;
4.5. la Corte ha concluso poi che, “essendo dunque il danno civilistico risarcibile di gran lunga inferiore a quello previdenziale, tutte le questioni sollevate dalla società RFI in sede di repliche alla capitalizzazione della rendita non assumono rilevanza, in quanto assorbite dal necessario contenimento delle somme rimborsabili entro il minor importo di cui sopra”;
5. per la cassazione di tale sentenza hanno proposto distinti ricorsi Rete Ferroviaria Italiana Spa, con sette motivi, e poi il A.P., con sette motivi; ha resistito con un unico controricorso l’INAIL; ha depositato controricorso anche RFI Spa aderendo al ricorso proposto dal A.P.;
la società e il A.P. hanno comunicato memorie;

 

Considerato che

1. i motivi del ricorso per cassazione proposto dalla società, da ritenersi principale in quanto notificato per primo, possono essere come di seguito sintetizzati:
1.1. con il primo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 2909 c.c., 324 e 336 c.p.c.; si censura la pronuncia d’appello in quanto la sentenza n. 379/2012 della Corte d’Appello di Genova non è stata impugnata dall’Inail nei termini, passando in cosa giudicata, mentre l’art. 336, comma 2, c.p.c., erroneamente applicato dalla pronuncia impugnata, si riferirebbe esclusivamente ai provvedimenti e agli atti dipendenti dalla sentenza riformata o cassata ma non alle sentenze, quale appunto la citata decisione non impugnata dall’Istituto;
1.2. con il secondo si denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 10, 11 e 112 d.P.R. n. 1124 del 1965; premessa l’abolizione della pregiudizialità penale, si sostiene la conseguente necessaria modifica del termine di prescrizione triennale decorrente, ad avviso della ricorrente, dalla data del sinistro o quantomeno dal momento della liquidazione dell’indennizzo al danneggiato pacificamente avvenuta nella specie il 10 maggio 1996, mentre l’azione di rivalsa sarebbe stata intrapresa quasi 7 anni dopo;
1.3. col terzo motivo si lamenta che la Corte territoriale, nonostante una puntuale ricostruzione dei fatti accertati e della giurisprudenza in punto di esonero totale del datore di lavoro da responsabilità, non ne abbia tratto le dovute necessarie conseguenze; si sostiene che l’avventurarsi da parte del O.M. nel camminamento con un treno in movimento non sarebbe stato solo un comportamento imprudente ma un’imprevedibile “follia”, dunque rientrante nella condotta abnorme;
1.4. col quarto subordinato mezzo, la società critica la sentenza impugnata che, pur ritenendo imprudente il comportamento del O.M., ha applicato il concorso di colpa del lavoratore, con conseguente riduzione del danno risarcibile da parte dei responsabili, in una misura pari ad 1/3 del totale, senza alcuna adeguata motivazione, mentre la Corte avrebbe dovuto ritenere un concorso di colpa ben superiore sia in funzione della gravissima infrazione ad una disposizione aziendale sia per le conseguenze estremamente gravi che ne sono derivate;
1.5. con il quinto motivo si sostiene che l’istituto assicuratore pubblico avrebbe dovuto dimostrare non solo gli oneri sostenuti ma anche l’entità del danno civilistico che costituisce il limite dell’azione di regresso e che, in mancanza di tale dimostrazione, il Giudice di merito avrebbe dovuto rigettare il ricorso non potendo provvedere d’ufficio alla determinazione del danno civilistico stante la natura dispositiva del processo;
1.6. con il sesto motivo si eccepisce che, pur avendo l’Inail fatto riferimento ai coefficienti di capitalizzazione del R.D. del 1922, la Corte d’Appello avrebbe proceduto d’ufficio sulla base di un criterio non indicato dall’Inail, ossia alle tabelle elaborate dal Tribunale di Milano.o per la quantificazione del danno biologico, il tutto in violazione del principio dispositivo;
1.7. con l’ultimo mezzo di gravame, denominato “violazione e falsa applicazione della determinazione del danno civilistico”, si chiede l’annullamento della sentenza impugnata nella parte in cui ha applicato gli interessi legali dal pagamento delle prestazioni assistenziali al saldo;
2. i motivi di ricorso per cassazione del A.P., da qualificarsi incidentale perché proposto successivamente avverso la medesima sentenza, possono essere come di seguito sintetizzati:
2.1. con il primo si assume la violazione e erronea applicazione degli artt. 2909 c.c. e 324 c.p.c., nonché dell’art. 336 c.p.c.; si censura la pronuncia d’appello in quanto la sentenza n. 379/2012 della Corte d’Appello di Genova, non è stata impugnata dall’Inail nei termini, passando in cosa giudicata, mentre l’art. 336, comma 2, c.p.c., erroneamente applicato dalla pronuncia impugnata, si riferirebbe esclusivamente ai provvedimenti e agli atti dipendenti dalla sentenza riformata o cassata ma non alle sentenze;
2.2. con il secondo subordinato mezzo si denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 10, 11 e 112 d.P.R. n. 1124 del 1965 in ordine alla prescrizione triennale non riconosciuta dalla Corte territoriale in relazione all’art. 112 del T.U. nel suo testo vigente dopo gli interventi della Corte costituzionale con riguardo all’art. 2935 c.c.;
2.3. il terzo motivo del ricorso incidentale censura il giudizio di colpevolezza e la responsabilità nella causazione del sinistro così come addebitati al A.P. dal giudice del rinvio, eccependo che la decisione impugnata sarebbe viziata da erronea applicazione dell’art. 590 c.p. e della circolare delle Ferrovie dello Stato ESI/W2;
2.4. col quarto motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 2087 c.c. e dell’art. 1227, comma 2, c.c., deducendo che il comportamento dell’infortunato era stato, nella specie, abnorme e imprevedibile e quindi tale da elidere il nesso causale perché il fatto non sarebbe avvenuto se il O.M., violando le disposizioni aziendali, non avesse percorso il camminamento con il treno in movimento;
2.5. col quinto mezzo, il A.P. denuncia la violazione e falsa applicazione ancora dell’art. 1227 c.c., in relazione all’art. 2087 c.c., lamentando che, anche a non voler ammettere il carattere abnorme e imprevedibile della condotta dell’infortunato, comunque occorreva riconoscere la fortissima incidenza del concorso di colpa dell’infortunato nella determinazione dell’evento;
2.6. con il sesto motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., in relazione al disposto degli artt. 10 e 11 del d.P.R. n. 1124 del 1965, nonché la violazione e la falsa applicazione degli artt. 99, 112 e 115 c.p.c., perché in assenza di prova da parte dell’INAIL del danno civilistico, la Corte territoriale avrebbe sopperito essa stessa d’ufficio, in violazione del principio dispositivo;
2.7. con l’ultimo motivo, denominato “violazione e falsa applicazione della determinazione del danno civilistico”, il A.P. censura la sentenza impugnata per avere erroneamente stabilito nella quantificazione del danno civilistico “l’applicazione degli interessi legali dal pagamento delle prestazioni assistenziali”, introducendo così un elemento estraneo al danno civilistico;
3. il primo motivo del ricorso principale e il primo motivo di quello incidentale, da valutarsi congiuntamente perché vertono sulla medesima questione, sono infondati;
infatti, una volta che questa Corte ha cassato la sentenza n. 754 del 2010 della Corte di Appello di Genova che aveva dichiarato l’improponibilità dell’azione di regresso dell’INAIL, è chiaro che, ai sensi dell’art. 336, comma 2, c.p.c., per effetto del cd. effetto espansivo esterno della riforma o della cassazione di una sentenza sugli atti e i provvedimenti (comprese le sentenze, v. Cass. n. 12999 del 2019) dipendenti dalla sentenza riformata o cassata, risulta caducata anche la sentenza della medesima Corte genovese n. 379 del 2012 che, proprio sulla base di detta improponibilità, aveva riformato la sentenza definitiva di primo grado, rigettando la domanda di rivalsa dell’INAIL;
diversamente ragionando, dovrebbe ritenersi che la decisione di improponibilità dell’azione di regresso, nonostante sia stata cassata, continuerebbe a produrre effetto, determinando il rigetto della domanda dell’INAIL e rendendo inutiliter data la sentenza n. 11312 del 2017 di questa Corte Suprema;
4. parimenti infondati sono il secondo motivo del ricorso principale e il secondo motivo di quello incidentale, da valutarsi congiuntamente per connessione;
infatti, la sentenza impugnata sul punto è conforme a Cass. n. 20853 del 2015 (richiamata più di recente da Cass. n. 22876 del 2021);
invero, le Sezioni Unite di questa Corte, investite in merito al contrasto sorto in ordine alla individuazione del dies a quo del termine previsto dall'art. 112, ultimo comma, T.U. n. 1124/1965 e alla necessità di un chiarimento anche circa la natura del termine, hanno precisato che "in tema di assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro, l'azione di regresso dell'INAIL nei confronti del datore di lavoro può essere esercitata nel termine triennale previsto dall'art. 112 del d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, che, stante il principio di stretta interpretazione delle norme in tema di decadenza, ha natura di prescrizione e, ove non sia stato iniziato alcun procedimento penale, decorre dal momento di liquidazione dell'indennizzo al danneggiato (ovvero, in caso di rendita, dalla data di costituzione della stessa), il quale costituisce il fatto certo e costitutivo del diritto sorto dal rapporto assicurativo, dovendosi ritenere che detta azione, con la quale l'Istituto fa valere in giudizio un proprio credito in rivalsa, sia assimilabile a quella di risarcimento danni promossa dall'infortunato, atteso che il diritto viene esercitato nei limiti del complessivo danno civilistico ed è funzionale a sanzionare il datore di lavoro, consentendo, al contempo, di recuperare quanto corrisposto al danneggiato" (in termini: Cass., SS.UU. n. 5160  del 2015); in particolare le Sezioni Unite, partendo dalle medesime considerazioni svolte da Cass. n. 20736/2007, "e cioè dal rilievo del venir meno della coerenza fra gli artt. 10 e 11, da una parte, e l'art. 112, dall'altra, a seguito delle pronunce della Corte Costituzionale e dei mutamenti del regime processuale penale e civile, che si riassumono nella abolizione della cosiddetta pregiudiziale penale, con la conseguente connessione, dell'azione di regresso dell'INAIL, soltanto all'astratta previsione legale quale reato del fatto causativo dell'infortunio", hanno "colmato" la lacuna così creatasi nel sistema aderendo all'indirizzo secondo cui, nell'ipotesi in cui non sia stato iniziato alcun procedimento penale, il termine triennale (di prescrizione) decorre dal momento di liquidazione dell'indennizzo al danneggiato, ovvero, in caso di rendita, dalla data di costituzione della stessa;
nel precedente richiamato, al quale il Collegio intende uniformarsi, ha tuttavia precisato che detto principio stabilito dalle Sezioni unite “espressamente non riguarda l'ipotesi nella quale [analoga a quella che qui occupa] il procedimento penale sia stato, invece, iniziato (nel detto termine triennale). In tal caso, infatti, non vi è una lacuna da colmare, trovando applicazione la citata norma di cui all'ultimo comma dell'art. 112 del T.U. n. 1124/1965, che prescrive che ‘l'azione di regresso di cui all'art. 11 si prescrive in ogni caso nel termine di tre anni dal giorno nel quale la sentenza penale è divenuta irrevocabile’. In altre parole, pur nel mutato quadro complessivo, nel caso in cui (entro il triennio dal pagamento dell'indennizzo o dalla costituzione della rendita) sia stato iniziato il procedimento penale, il decorso del termine triennale di prescrizione non può che restare ancorato al momento della sentenza penale irrevocabile”;
5. il terzo motivo del ricorso incidentale del A.P., con cui questi contesta la responsabilità a lui addebitata dai giudici del merito, è inammissibile;
nonostante si denunci una violazione di legge, rappresentata da una disposizione contenuta nel codice penale (art. 590, comma 3), non si individua affatto l’errore di diritto che sarebbe stato commesso dalla Corte territoriale in rapporto alla norma evocata – che peraltro configura circostanze aggravanti per il reato di lesioni colpose commesso con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro – ma piuttosto mira ad una rivalutazione della vicenda storica, anche attraverso il riferimento a materiali probatori (quali la circolare ESI/W2 del 13 novembre 1991), con l’intento di contestare in fatto i poteri di vigilanza e controllo attribuiti al A.P. dai giudici del merito;
6. il terzo e quarto motivo del ricorso principale e il quarto e quinto motivo di quello incidentale, da valutarsi congiuntamente per connessione, risultano inammissibili;
con essi si critica la sentenza impugnata per avere ritenuto insussistente un comportamento abnorme del lavoratore e, subordinatamente, si dolgono della misura del concorso di colpa dell’infortunato;
6.1. la prima censura è inammissibile;
nella giurisprudenza di questa Corte è costante l'affermazione secondo cui la condotta del dipendente può comportare l'esonero totale del datore di lavoro da responsabilità solo quando presenti i caratteri dell'abnormità, inopinabilità ed esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo ed alle direttive ricevute, come pure dell'atipicità ed eccezionalità, così da porsi come causa esclusiva dell'evento, cioè quando la condotta del lavoratore, del tutto imprevedibile rispetto al procedimento lavorativo "tipico" ed alle direttive ricevute, rappresenti essa stessa la causa esclusiva dell'evento (v., solo tra le recenti, Cass. n. 3763 del 2021 e Cass. n. 25597 del 2021); si è parlato, in proposito, di "rischio elettivo", intendendosi una condotta personalissima del lavoratore, esercitata ed intrapresa volontariamente in base a ragioni e motivazioni del tutto personali, avulsa dall'esercizio della prestazione lavorativa e tale da creare condizioni di rischio estranee alle normali modalità di lavoro e da porsi come causa esclusiva dell'evento, interrompendo il nesso eziologico tra prestazione ed attività assicurata (v. Cass. n. 7649 del 2019; n. 16026 del 2018; n. 798 del 2017; n. 7313 del 2016; n. 28786 del 2014; n. 12779 del 2012; n. 21694 del 2011);
ciò posto, “la valutazione in ordine alla imprevedibilità del comportamento del lavoratore in quanto anomalo e non richiesto dal datore di lavoro (rischio elettivo), tale da escludere la responsabilità del datore di lavoro, è riservata al giudice di merito” (così Cass. n. 2451 del 2011) e le parti ricorrenti, con doglianze che investono inevitabilmente apprezzamenti di fatto, pretendono un sindacato che esorbita dai poteri concessi a questa Corte;
6.2. del pari inammissibili sono anche le ulteriori censure formulate nei motivi in scrutinio, perché – per risalente giurisprudenza di questa Corte - di competenza del giudice del merito è anche la valutazione del comportamento imprudente del lavoratore infortunato al fine di determinare la misura del danno risarcibile (Cass. n. 1110 del 1977; Cass. n. 2337 del 1982; v. pure: Cass. n. 2422 del 2004; Cass. n. 25236 del 2009);
7. con il quinto motivo del ricorso principale ed il sesto motivo di quello incidentale i responsabili civili deducono congiuntamente che l’INAIL avrebbe dovuto dimostrare non solo gli oneri sostenuti dall’Istituto in favore dell’infortunato ma anche l’entità del danno civilistico, costituente il limite dell’azione di regresso, mentre la Corte territoriale avrebbe provveduto d’ufficio alla determinazione del danno;
la doglianza è infondata sulla base del principio di diritto, da cui il Collegio non ritiene di doversi discostare, in base al quale "l'Inail, che agisce quale creditore in via di regresso, deve provare la responsabilità civile del datore di lavoro ed il danno, cioè le prestazioni erogate e da erogare in conseguenza dell'infortunio sul lavoro (in caso di rendita, la sua capitalizzazione); il datore di lavoro che eccepisca la eccessività della somma pretesa, per superamento del limite del danno civilistico, deve provare il fatto impeditivo" (Cass. n. 389 del 1987; Cass. n. 10529 del 2008; Cass. n. 12198 del 2016);
8. parimenti non merita accoglimento il sesto motivo del ricorso principale, con cui si lamenta che la Corte di Appello si sarebbe discostata dai criteri di quantificazione del danno civilistico indicati dall’INAIL, provvedendo d’ufficio sulla scorta delle tabelle periodicamente aggiornate dal Tribunale di Milano.;
una volta acclarato che l'INAIL, che agisce quale creditore in via di regresso, deve provare la responsabilità civile del datore di lavoro ed il danno, cioè le prestazioni erogate e da erogare in conseguenza dell'infortunio sul lavoro, mentre è il datore di lavoro che eccepisca la eccessività della somma pretesa, per superamento del limite del danno civilistico, a dover provare il fatto impeditivo, la società non può certo dolersi che il giudice del merito, nell’ambito dei criteri di valutazione equitativa effettuata ai fini della liquidazione del danno alla persona, abbia fatto uso delle tabelle milanesi di comune applicazione (cfr. Cass. n. 9950 del 2017);
9. il settimo motivo sia del ricorso principale sia di quello incidentale, da valutarsi congiuntamente perché sovrapponibili, sono inammissibili perché nonostante invochino il vizio di cui al n. 3 dell’art. 360 c.p.c. neanche individuano specificamente la norma di diritto che assumono violata, facendo generico riferimento ad una “violazione e falsa applicazione della determinazione del danno civilistico”;
è noto che, con riferimento alla violazione e falsa applicazione di legge ex art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c., il vizio va dedotto, a pena di inammissibilità, sia con l’indicazione delle norme di diritto asseritamente violate, sia mediante la specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie e con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina, così da prospettare criticamente una valutazione comparativa fra opposte soluzioni, non risultando altrimenti consentito alla S.C. di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione (Cass. n. 287 del 2016; Cass. n. 635 del 2015; Cass. n. 25419 del 2014; Cass. n. 16038 del 2013; Cass. n. 3010 del 2012);
10. complessivamente i ricorsi devono essere respinti; le spese seguono la soccombenza liquidate come da dispositivo in favore dell’INAIL;
ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte sia della ricorrente principale sia del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per i ricorsi, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13 (cfr. Cass. SS.UU. n. 4315 del 2020);
 

P.Q.M.
 

La Corte rigetta entrambi i ricorsi e condanna le parti ricorrenti, in solido, al pagamento delle spese liquidate in euro 7.000,00, oltre euro 200,00 per spese, accessori secondo legge e rimborso spese generali al 15%.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per i ricorsi, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma nell’adunanza camerale del 19 ottobre 2022.