• Appalto e Contratto d'opera
  • Cantiere Temporaneo e Mobile
  • Datore di Lavoro
  • Committente
  • Formazione, Informazione, Addestramento

 

Responsabilità dell'amministratore unico della "C. srl" per omicidio colposo in danno di un lavoratore schiacciato da un pesante carico di cordoli in cemento durante le operazioni di scarico da un camion.

A tale lavoro era appunto intenta la vittima, dipendente della "D. V. s.a.s." che aveva subappaltato dalla "C.s.r.l." parte dei lavori programmati; in particolare, la realizzazione di marciapiedi, compresi il trasporto, il carico, lo scarico e la posa in opera di cordoli di cemento.
Dell'infortunio sono stati inoltre accusati il rappresentante legale, il preposto all'esecuzione dei lavori e il direttore tecnico della "D. V.".
I primi due hanno patteggiato la pena, mentre per il direttore tecnico il Tribunale ha dichiarato non doversi procedere perchè il reato estinto per morte del reo.

Secondo la ricostruzione del Tribunale, l'incidente era stato provocato da un'imperita manovra del ruspista della "C.", intervenuto in aiuto del personale della "D.V." nelle operazioni di scarico dei cordoli.

Il Tribunale, condannando l'imputata, ha ritenuto accertato che, nonostante le due ditte operassero autonomamente, tra esse si fosse instaurata una prassi per cui la "C.", dotata di migliore e più completa organizzazione, interveniva con i propri mezzi ed uomini in aiuto alla "D.V.", in tal guisa avendo finito con l'ingerirsi nell'esecuzione di lavori a questa contrattualmente affidati.

Tale ingerenza aveva comportato l'assunzione, da parte della "C.", della veste di datore di lavoro principale anche nei confronti della ditta subappaltatrice, con il conseguente obbligo di garantire sui luoghi di lavoro il rispetto delle norme antinfortunistiche con riguardo alle precauzioni da seguire nelle operazioni di scarico di pesi dagli automezzi.

Precauzioni non osservate nel giorno dell'infortunio, anche a causa dell'assenza dal cantiere del tecnico della "C.", incaricato di controllare il rispetto nella normativa antinfortunistica.

La Corte d'Appello ha confermato la condanna dell'imputata.

Ricorso in Cassazione - Rigetto.

La Corte afferma che: "l'appaltatore, che abbia a sua volta subappaltato parte dei lavori, non è certamente sollevato dagli obblighi di formazione, informazione, cooperazione e coordinamento, essendo egli comunque titolare dei poteri organizzativi e direttivi inerenti tale sua posizione; di talchè, degli eventi lesivi dipendenti dalla mancata osservanza di norme prevenzionali egli deve rispondere.
Ciò è tanto più vero nei casi in cui l'appaltatore si ingerisca nei lavori subappaltati, come, secondo il coerente argomentare dei giudici del merito, è avvenuto nel caso di specie. Ingerenza negata dall'imputata ma legittimamente ritenuta dagli stessi giudici acquisita attraverso le emergenze probatorie in atti".

"Ancor più evidente è la richiamata responsabilità allorchè, come è stato ritenuto nel caso di specie, i lavori affidati in subappalto si svolgano nell'ambito dell'unico cantiere riconducibile alla società subappaltante, il cui responsabile, secondo il costante insegnamento di questa Corte, rimane comunque titolare dei poteri direttivi generali, e destinatario dei connessi doveri, ed ha comunque l'obbligo di cooperare con le ditte subappaltatrici alla previsione ed attuazione di misure di prevenzione per i rischi connessi con la realizzazione delle opere sbappaltate."

"Del tutto legittimamente, quindi, i giudici del gravame hanno ribadito che l'infortunio occorso al dipendente della "D.V." dovesse ascriversi anche alla responsabilità dell'imputata alla quale, in quanto amministratore unico ella "C. s.r.l.", spettava di garantire e di assicurarsi che i lavori in esecuzione nel cantiere, compresi quelli di scarico dei cordoli, fossero attentamente programmati ed organizzati, non, come in effetti avvenuto, abbandonati all'improvvisazione dei singoli."

"Irrilevante, alla luce di quanto sopra argomentato è la questione, ripetutamente posta dall'imputata all'esame dei giudici del merito, relativa alla individuazione alla normativa di riferimento: se, cioè, al caso di specie debba applicarsi il D.Lgs. n. 626 del 1994 ovvero il D.Lgs. n. 494 del 1996, presupponendo la stessa imputata che la nuova normativa avrebbe attribuito al solo committente dell'opera l'obbligo di attuare le prescrizioni antinfortunistiche.
In realtà, premessa la piena condivisione delle argomentazioni poste dai giudici del merito a sostegno della piena applicabilità, al caso in esame, della normativa dettata con il D.Lgs. del 1994, giustamente ritenuto, non abrogato, bensì integrato da quello del 1996, osserva la Corte che la questione non merita particolari approfondimenti per le ragioni già evidenziate dal primo giudice, e cioè perchè: a) la mancata redazione, da parte del committente, del piano di sicurezza e la mancata nomina del responsabile dei lavori e del coordinatore imponeva alla ditta appaltatrice di predisporre presidi propri diretti a prevenire incidenti sul cantiere e di curare il coordinamento con l'impresa alla quale essa stessa aveva subappaltato parte dei lavori; b) che la partecipazione della società appaltatrice, con l'impiego di propri mezzi e personale, ai lavori appaltati alla "D.V.", eseguiti all'interno del cantiere dalla stessa organizzato, attribuiva per ciò solo alla "C." una diretta responsabilità del mancato rispetto delle norme di prevenzione."

 
REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MORGIGNI Antonio - Presidente

Dott. MARZANO Francesco - Consigliere

Dott. BRUSCO Carlo Giuseppe - Consigliere

Dott. FOTI Giacomo - rel. Consigliere

Dott. MARINELLI Felicetta - Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA/ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

1) C.G., N. IL (OMISSIS);

avverso la sentenza n. 692/2005 CORTE APPELLO di MILANO, del 06/11/2006;

visti gli atti, la sentenza e il ricorso;

udita in PUBBLICA UDIENZA del 09/12/2009 la relazione fatta dal Consigliere Dott. GIACOMO FOTI;

Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. CIAMPOLI Luigi, che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso;

udito il difensore avv. Poloni che ha chiesto l'accoglimento del ricorso.

 
FattoDiritto

OSSERVA

1 - Con sentenza del 28 aprile 2004, il giudice monocratico del Tribunale di Monza ha dichiarato C.G., quale amministratore unico della "C. s.r.l.", colpevole del delitto di omicidio colposo commesso, con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, in pregiudizio di Q. C..

All'affermazione di responsabilità è seguita la condanna dell'imputata, riconosciute le circostanze attenuanti generiche con giudizio di equivalenza rispetto all'aggravante contestata, alla pena, condizionalmente sospesa, di un anno di reclusione, nonchè al risarcimento del danno in favore delle costituite parti civili, da liquidarsi in separato giudizio, con assegnazione di una provvisionale di Euro 25.000,00.

L'infortunio si è verificato in (OMISSIS), all'interno del cantiere della "C. s.r.l.", che aveva appaltato dalla "C.A.A." i lavori di urbanizzazione primaria di un'area destinata alla realizzazione di strutture industriali, durante le operazioni di scarico da un camion di cordoli in cemento. Operazione alla quale era intenta la vittima, dipendente della "D. V. s.a.s." che aveva subappaltato dalla "C.s.r.l." parte dei lavori programmati; in particolare, la realizzazione di marciapiedi, compresi il trasporto, il carico, lo scarico e la posa in opera di cordoli di cemento.

Dell'infortunio sono stati accusati, oltre alla C., V. L., V.A., I.D., nelle rispettive qualità di rappresentante legale, di preposto all'esecuzione dei lavori e di direttore tecnico della "D.V.".

Secondo l'accusa, gli imputati, nelle rispettive qualità, in cooperazione tra loro, avevano cagionato la morte di Q. C. per colpa consistita:
a) nel non avere predisposto, in violazione del D.P.R. n. 547 del 1955, art. 11, commi 1 e 2, misure atte ad evitare la caduta dei cordoli nel corso delle operazioni di scarico, e comunque ad evitare che gli stessi, cadendo, travolgessero i lavoratori impegnati in dette operazioni. Cordoli che, sprovvisti di imbracatura e di dispositivi di legatura ai bancali, venivano scaricati da ambedue i lati dell'autocarro senza alcun coordinamento tra i diversi operatori, in violazione del D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 7;
b) nell'avere omesso l'attività di informazione e formazione dei lavoratori, prevista dal D.Lgs. n. 626 del 1994, artt. 21 e 22.

Mentre i due V. hanno definito le rispettive posizioni patteggiando la pena, nei confronti dell' I. lo stesso tribunale, con la sentenza oggi impugnata dalla C., ha dichiarato non doversi procedere perchè estinto il reato per morte del reo.
Con la stessa sentenza, il giudice ha disposto la trasmissione degli atti alla locale Procura della Repubblica per la verifica della sussistenza di eventuali responsabilità in capo al legale rappresentante della cooperativa agratese, committente dei lavori.

Il tribunale ha ricostruito la dinamica dell'infortunio, alla stregua di quanto emerso dall'esame dei testi indicati dalle parti, in particolare di P.G., in servizio presso l'ASL di Monza, nei seguenti termini.

Sopraggiunto in cantiere l'autocarro della "D.V." carico di cordoli, alle operazioni di scarico della merce avevano provveduto V.A., alla guida di un escavatore di proprietà della stessa ditta, e la vittima Q.C..
Mentre quest'ultimo, posizionato sul lato sinistro dell'autocarro, era intento a cingere con fasce di canapa gruppi di cordoli già scaricati e deposti al suolo, per consentire all'escavatore, condotto dal V., di sollevarli e posizionarli nella zona di lavoro, dal fianco opposto dell'automezzo una ruspa di proprietà della ditta C., condotta da S.G., dipendente della stessa, chiamato dal V., stava procedendo all'operazione di sollevamento dal mezzo di un bancale di cordoli. Nel corso di tale operazione, 14 cordoli erano scivolati e si erano abbattuti al suolo sul lato sinistro dell'autocarro, proprio nella zona in cui si trovava, intento al proprio lavoro, Q.C. che rimaneva travolto e schiacciato dal pesante carico.

L'incidente, quindi, era stato provocato, a giudizio del tribunale, dall'imperita manovra del ruspista della "C.", intervenuto in aiuto del personale della "D.V." nelle operazioni di scarico dei cordoli.

Pur avendo dato atto che dalle risultanze processuali era emerso che le due ditte operavano separatamente ed autonomamente, in zone diverse del cantiere, con mezzi e personale propri, il giudice del merito - ricordato quanto emerso circa l'intervento, in una precedente occasione, di mezzi e di personale della "C." in ausilio dell'impresa subappaltatrice nelle operazioni di scarico dei cordoli, e richiamate le dichiarazioni rese dai due V. e dal funzionario ASL P.G. - ha ritenuto accertato che tra le due imprese si fosse instaurata una prassi per cui la "C.", dotata di migliore e più completa organizzazione, interveniva con i propri mezzi ed uomini in aiuto alla "D.V.", in tal guisa avendo finito con l'ingerirsi nell'esecuzione di lavori a questa contrattualmente affidati.
Tale ingerenza aveva comportato l'assunzione, da parte della "C.", della veste di datore di lavoro principale anche nei confronti della ditta subappaltatrice, con il conseguente obbligo di garantire sui luoghi di lavoro il rispetto delle norme antinfortunistiche con riguardo alle precauzioni da seguire nelle operazioni di scarico di pesi dagli automezzi.

Precauzioni non osservate nel giorno dell'infortunio, anche a causa dell'assenza dal cantiere del tecnico della "C.", incaricato di controllare il rispetto nella normativa antinfortunistica.

Assenza rivelatasi, a giudizio del tribunale, determinante poichè l'infortunio era stato causato dal mancato coordinamento tra il personale dipendente dalle due ditte, trovatosi ad operare simultaneamente e in condizioni di rischio, senza che i singoli interventi fossero stati regolati nei tempi e nelle modalità esecutive. E ciò malgrado esistesse, rispetto alle attività edilizie in fieri, un piano di sicurezza della "C." che prevedeva espressamente la presenza di personale addetto al controllo delle fasi di scarico dei mezzi.

Il tribunale, quindi, ha respinto le tesi difensive dell'imputata che aveva, da una parte, diversamente ricostruito l'infortunio, dall'altra, aveva negato l'esistenza della prassi di cantiere richiamata dal primo giudice, osservando, sotto tale profilo, che solo in via eccezionale, in una sola occasione e su richiesta del V., i mezzi ed il personale della "C." erano intervenuti, essendone stati preventivamente autorizzati, per coadiuvare gli operai della "D.V." nelle operazioni di scarico dei cordoli. Ha respinto, altresì, tutte le altre tesi difensive dirette a confutare sia la posizione di "committente" dei lavori attribuita alla "C.", qualifica spettante alla cooperativa agratese, sia la riconducibilità alla stessa società della normativa di cui al D.Lgs. n. 626 del 1994, essendo nella specie applicabile la normativa di cui al D.Lgs. n. 494 del 1996.

Su appello proposto dall'imputata, la Corte d'Appello di Milano, con sentenza del 6 novembre 2006, ha confermato la sentenza impugnata, rigettando tutte le doglianze proposte nei motivi d'appello, comprese quelle relative alla ritenuta inutilizzabilità delle dichiarazioni rese dai V. e dal teste P..

2 - Avverso tale decisione propone ricorso, per il tramite del difensore, C.G., che deduce:

A) Inosservanza di norme processuali, in relazione all'art. 192 c.p.p., commi 2 e 3, e vizio di motivazione con riguardo alle dichiarazioni dei due V., ritenute travisate, di Ca. G. e Sa.Da., del tutto ignorate, e di S.G., sviate od omesse. Sotto tale profilo, contesta la ricorrente che fossero emersi elementi dai quali trarre la prova di una prassi di cantiere secondo cui i mezzi e gli operai della "C." intervenivano in appoggio di attività spettanti alla "D.V.".

Indebitamente, quindi, il richiamo ad un eccezionale ed isolato intervento in tal senso era stato ritenuto significativo in tesi d'accusa, mentre del tutto travisate sarebbero state le dichiarazioni degli stessi V., chiamate a supporto di detta tesi, ed ignorate quelle dei testi S., Sa. e Ca.Gi. che andavano in direzione del tutto opposta.

I V., peraltro, in quanto imputati per gli stessi fatti, dovevano essere considerati quali chiamanti in correità, non quali testi; le loro dichiarazioni, quindi, per costituire prova, avrebbero dovuto essere riscontrate da altri elementi.

B) Erronea applicazione di norme con riguardo alla ritenuta applicabilità, nel caso di specie, del D.Lgs. n. 626 del 1994, laddove andava applicato il D.Lgs. n. 494 del 1996, e vizio di motivazione sul punto. A tale proposito, sostiene la ricorrente che la normativa di riferimento debba essere individuata nel D.Lgs. n. 494 del 1996 in forza del quale è il committente chiamato a farsi carico degli obblighi di natura antinfortunistica ed a coordinare, a tal fine, l'attività delle varie imprese operanti nel cantiere; tale compito, quindi, incombeva alla "C.A.A.", committente dei lavori, non alla società appaltatrice degli stessi, mentre gli argomenti in contrario avviso prospettati dal giudice del gravame sarebbero viziati, oltre che da violazione di legge, da vizio motivazionale, sotto il profilo della illogicità.
 
C) Inosservanza di norme processuali, in riferimento agli artt. 191, 194, 191, 195, 61, 191 e 195 c.p.p. e vizio di motivazione con riguardo alla testimonianza resa dal funzionario ASL P. G., ritenuta inutilizzabile nella parte in cui, nella ricostruzione dei fatti, costui si è espresso, a giudizio della ricorrente, riportandosi non a quanto direttamente constatato sui luoghi dell'infortunio bensì a quanto appreso da terzi, taluno anche imputato, peraltro in termini puramente congetturali.

D) Violazione del D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 9 e vizio di motivazione, laddove i giudici del merito non hanno considerato che la nomina del coordinatore per la sicurezza non compete all'appaltatore, che dell'attività del subappaltatore risponde costui, non l'appaltatore, che l'estraneità ai fatti della C. è attestata dal fatto che lo S. non è stato neanche inquisito per la vicenda per cui è processo.

E) Vizio di motivazione quanto alla pretesa violazione del D.Lgs. n. 626 del 1994, artt. 21 e 22, sulla quale manca in sentenza qualsiasi accenno; dalla documentazione in atti e dalla deposizione dello S. sarebbe emerso, infatti, che l'imputata aveva avviato al lavoro nel proprio cantiere personale ben addestrato.

F) Violazione dell'art. 521 c.p.p. e nullità della sentenza impugnata, ex art. 522 c.p.p., vizio di motivazione. Rileva, sul punto, la ricorrente, che nel capo d'imputazione le sono state contestate tre ipotesi di colpa specifica in quanto "committente" dei lavori in esecuzione; di guisa che, accertato che altri era il committente, ne dovrebbe derivare la caducazione dell'intera imputazione.
D'altra parte, si sostiene ancora nel ricorso, l'imputata, individuata nel capo d'imputazione, sia pure erroneamente, quale "committente" dei lavori, è stata poi condannata in forza di una diversa qualifica, cioè quale legale rappresentante della società subappaltante, e per un fatto diverso, mai contestato, cioè per essersi ingerita nell'attività della subappaltata.
Di qui la violazione dell'art. 521 c.p.p. e la nullità della sentenza impugnata. Sul punto, il giudice del gravame avrebbe illogicamente motivato.

3 - Osserva la Corte che i motivi di ricorso proposti sono infondati, ovvero inammissibili, concernendo differenti valutazioni degli elementi probatori acquisiti ed allegazioni in fatto non consentite nella sede di legittimità.
 
A) Deve, anzitutto, ribadirsi la piena utilizzabilità delle dichiarazioni rese da V.A. e V.L., in qualità di testimoni assistiti, ex art. 197 bis c.p.p., avendo gli stessi definito le rispettive posizioni processuali, ex art. 444 c.p.p., e dal teste P.G., funzionario ASL, intervenuto sul luogo dell'infortunio.
Le questioni sono state riproposte, in questa sede, dalla ricorrente, benchè la Corte territoriale avesse già fornito, alle censure sul punto formulate nei motivi d'appello, risposte congrue e coerenti sotto il profilo logico.

Non resta, quindi, che ribadire:

a) Quanto ai V.: che le loro dichiarazioni sono state dai giudici del merito legittimamente utilizzate e correttamente valutate alla stregua dei riscontri in atti, opportunamente evidenziati dal giudice del gravame, cosi come dal primo giudice che, in termini ancor più compiuti, ha indicato le ragioni per le quali i V., già usciti dal processo e non più portatori di particolari interessi, dovessero ritenersi più attendibili dei testi a difesa, dipendenti della "C. s.r.l.", viceversa ritenuti non del tutto disinteressati in quanto legati alla predetta società da forti interessi lavorativi.
Tale valutazione è stata eseguita, nel rispetto della normativa di riferimento, anche alla luce dei riscontri in atti che hanno ribadito, secondo il coerente argomentare dei giudici del merito, quanto riferito da V.A. circa le fasi di esecuzione dei lavori di scarico dei cordoli, l'intervento della ruspa della "C.", manovrata dallo S., e le modalità del mortale infortunio.
Giusto rilievo è stato, quindi, legittimamente attribuito all'assunto del V., i cui riferimenti alla "prassi lavorativa" instauratasi tra la "D.V." e la società subappaltante sono stati ritenuti riscontrati, anzitutto, dal fatto, pacificamente accertato, che, almeno in una occasione, precedente il giorno dell'incidente, la "C." era intervenuta in appoggio alla "D.V." nelle operazioni di scarico e posizionamento dei cordoli.
Ulteriore riscontro è stato giustamente individuato nella circostanza che l'organizzazione del lavoro della "D.V." non era nel tempo in alcun modo cambiata in termini di forza di lavoro nè di mezzi utilizzati, di guisa che le necessità di interventi in appoggio da parte della "C.", quantomeno nella fase di scarico dei cordoli, già manifestatesi con il primo e con il secondo intervento, non potevano che essere collegate ad una cronica, e quindi nota, insufficienza strutturale della "D.V.", che giustificava il ricorso ai mezzi ed al personale della società subappaltante, e dunque alla "prassi" richiamata dal V..

Lo stesso S., hanno ancora ricordato i giudici del merito, ha sostenuto che, il giorno dell'infortunio, la semplice richiesta del V., all'arrivo del camion carico di cordoli, era stata sufficiente per indurlo ad intervenire nelle operazioni di scarico, senza che fosse stata avvertita la necessità di chiedere ed ottenere preventivamente, dai dirigenti preposti, la relativa autorizzazione;
condotta che giustamente i giudici del merito hanno ritenuto indicativa della predetta "prassi". Così come significativa in tali termini è stato considerato il breve arco temporale in cui i due accertati interventi erano avvenuti, specie se rapportati al fatto che la "D.V." aveva appena iniziato ad operare.
 
b) Quanto al P.: che la Corte territoriale ha giustamente osservato, da un lato, che egli aveva riferito quanto acquisito in occasione del sopralluogo effettuato sul cantiere, acquisizioni che gli hanno permesso di ricostruire i fatti, dall'altro, che la parte rilevante, ai fini della decisione, della testimonianza dello stesso, riguardava l'accertamento diretto delle numerose infrazioni, in punto di sicurezza, riscontrate nel cantiere -stante la rilevata assenza di difese antinfortunistiche e di un'attività di coordinamento da parte del responsabile della sicurezza, in violazione anche di quanto espressamente previsto nel relativo piano - nonchè dell'impreparazione dello S., intervenuto, per sua espressa ammissione, con la sua ruspa; su un lato dell'autocarro mentre, dall'altro lato, erano impegnati la vittima ed il V..

B) Tanto precisato, i giudici del merito hanno sostenuto che proprio la violazione di norme antinfortunistiche aveva causato la morte del lavoratore, affermazione per vero non oggetto di discussione da parte dell'imputata, che tuttavia contesta di avere assunto, nei confronti dello stesso, una posizione di garanzia.

A tale proposito occorre, tuttavia osservare che, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, e come ha esattamente osservato la Corte territoriale, l'appaltatore, che abbia a sua volta subappaltato parte dei lavori, non è certamente sollevato dagli obblighi di formazione, informazione, cooperazione e coordinamento, essendo egli comunque titolare dei poteri organizzativi e direttivi inerenti tale sua posizione; di talchè, degli eventi lesivi dipendenti dalla mancata osservanza di norme prevenzionali egli deve rispondere.

Ciò è tanto più vero nei casi in cui l'appaltatore si ingerisca nei lavori subappaltati, come, secondo il coerente argomentare dei giudici del merito, è avvenuto nel caso di specie. Ingerenza negata dall'imputata ma legittimamente ritenuta dagli stessi giudici acquisita attraverso le emergenze probatorie in atti.
In particolare, oltre che dalle dichiarazioni dei V., dall'obiettiva e ripetuta, nei termini sopra specificati, partecipazione alle operazioni di scarico dei cordoli di un mezzo e di un dipendente della "C.", stante l'inadeguatezza dei mezzi a disposizione della "D.V.".

Ancor più evidente è la richiamata responsabilità allorchè, come è stato ritenuto nel caso di specie, i lavori affidati in subappalto si svolgano nell'ambito dell'unico cantiere riconducibile alla società subappaltante, il cui responsabile, secondo il costante insegnamento di questa Corte, rimane comunque titolare dei poteri direttivi generali, e destinatario dei connessi doveri, ed ha comunque l'obbligo di cooperare con le ditte subappaltatrici alla previsione ed attuazione di misure di prevenzione per i rischi connessi con la realizzazione delle opere sbappaltate.

Unicità che l'imputata ha cercato di negare ma che tuttavia è apparsa evidente anche nella stessa contestuale presenza, nei pressi del luogo di scarico dei cordoli, della ruspa e dell'operaio della "C.".

Del tutto legittimamente, quindi, i giudici del gravame hanno ribadito che l'infortunio occorso al dipendente della "D.V." dovesse ascriversi anche alla responsabilità dell'imputata alla quale, in quanto amministratore unico ella "C. s.r.l.", spettava di garantire e di assicurarsi che i lavori in esecuzione nel cantiere, compresi quelli di scarico dei cordoli, fossero attentamente programmati ed organizzati, non, come in effetti avvenuto, abbandonati all'improvvisazione dei singoli.

C) Irrilevante, alla luce di quanto sopra argomentato è la questione, ripetutamente posta dall'imputata all'esame dei giudici del merito, relativa alla individuazione alla normativa di riferimento: se, cioè, al caso di specie debba applicarsi il D.Lgs. n. 626 del 1994  ovvero il  D.Lgs. n. 494 del 1996, presupponendo la stessa imputata che la nuova normativa avrebbe attribuito al solo committente dell'opera l'obbligo di attuare le prescrizioni antinfortunistiche.

In realtà, premessa la piena condivisione delle argomentazioni poste dai giudici del merito a sostegno della piena applicabilità, al caso in esame, della normativa dettata con il D.Lgs. del 1994, giustamente ritenuto, non abrogato, bensì integrato da quello del 1996, osserva la Corte che la questione non merita particolari approfondimenti per le ragioni già evidenziate dal primo giudice, e cioè perchè: a) la mancata redazione, da parte del committente, del piano di sicurezza e la mancata nomina del responsabile dei lavori e del coordinatore imponeva alla ditta appaltatrice di predisporre presidi propri diretti a prevenire incidenti sul cantiere e di curare il coordinamento con l'impresa alla quale essa stessa aveva subappaltato parte dei lavori; b) che la partecipazione della società appaltatrice, con l'impiego di propri mezzi e personale, ai lavori appaltati alla "D.V.", eseguiti all'interno del cantiere dalla stessa organizzato, attribuiva per ciò solo alla "C." una diretta responsabilità del mancato rispetto delle norme di prevenzione.

Alla stregua di tali considerazioni deve ritenersi, quindi, manifestamente infondato il vizio motivazionale sul punto proposto dall'imputata con il quarto motivo di ricorso.

D) Manifestamente infondato è anche il vizio di motivazione rilevato con riguardo ai temi della informazione e formazione dei lavoratori, segnatamente dello S., secondo le prescrizioni del  D.Lgs. n. 626 del 1994, artt. 21 e 22., in relazione ai quali il giudice del gravame ha rilevato, richiamando la documentazione prodotta dall'imputata: a) che lo S. certamente non aveva frequentato il corso di formazione del (OMISSIS) poichè al tempo non era ancora dipendente dalla "C."; b) che l'unico corso al quale detto lavoratore era stato avviato si era tenuto il 29.7.2000, cioè in epoca successiva all'infortunio, e che non risultava che in tale occasione fossero state fornite informazioni circa i rischi connessi allo scarico dall'autocarro delle cataste di cordoli.

A fronte di tali considerazioni, la ricorrente non produce idonea documentazione attestante la veridicità del proprio assunto, ma si limita a riportare stralci delle generiche e non appaganti dichiarazioni rese dal suo dipendente.

E) Ancora infondato è l'ultimo motivo di ricorso, incentrato su una presunta violazione del disposto di cui all'art. 521 c.p.p., in relazione alla indicazione dell'imputata, nel capo d'imputazione, quale committente dei lavori, laddove la condanna è intervenuta in forza della diversa qualifica di legale rappresentante della "C. s.r.l." e per un fatto mai contestato, cioè per essersi ingerita nell'attività della subappaltata.

In realtà, il fatto inizialmente contestato e le responsabilità attribuite, cioè di avere causato, in cooperazione colposa con altri, l'infortunio mortale oggetto del processo per non avere:

- predisposto adeguate misure per prevenire la caduta del materiale scaricato, curato il coordinamento, tra i lavoratori delle due imprese coinvolte nelle operazioni di scarico, - provveduto alla formazione del personale dipendente, sono rimasti del tutto inalterati ed hanno costituito il punto centrale della decisione impugnata, cui si è aggiunto il rilievo del diretto coinvolgimento della "C." nelle operazioni di scarico dei cordoli;
circostanza che certamente non ha reso "diversi" i fatti contestati nè ha inciso sul diritto di difesa dell'imputata, abbondantemente ed efficacemente esercitato.

In proposito, del resto, questa Corte ha affermato che: "Nei procedimenti per reati colposi, la sostituzione o l'aggiunta di un particolare profilo di colpa, sia pure specifica, al profilo di colpa originariamente contestato, non vale a realizzare diversità o immutazione del fatto ai fini dell'obbligo di contestazione suppletiva di cui all'art. 516 c.p.p. e dell'eventuale ravvisabilità, in carenza di valida contestazione, del difetto di correlazione tra imputazione e sentenza ai sensi dell'art. 521 c.p.p." (Cass. n. 2393/06).

Il ricorso deve essere, in conclusione, rigettato e la ricorrente condannata al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.
 
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 9 dicembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 11 marzo 2010