Cassazione Penale, Sez. 4, 26 settembre 2022, n. 36040 - Caduta in mare e annegamento. Responsabilità del comandante del peschereccio


 

 

Presidente: SERRAO EUGENIA
Relatore: DAWAN DANIELA Data Udienza: 19/05/2022
 

 

Fatto




1. La Corte di appello di Cagliari ha confermato la sentenza con la quale il Giudice dell'udienza preliminare di Cagliari, in esito a giudizio abbreviato, con sentenza del 24 maggio 2019, ha condannato D.M. alla pena ritenuta di giustizia (con sospensione condizionale e non menzione); ha altresì condannato l'imputato e il responsabile civile, Generali Italia SPA, al risarcimento dei danni in favore delle parti civili costituite - omissis, rimettendo le parti al competente giudice civile per la liquidazione; ha disposto provvisionale immediatamente esecutiva di euro 100.000,00 ciascuno a favore di S.A. e C.R., e di euro 50.000,00 ciascuno per S.J. e S.A..

2. L'imputato è chiamato a rispondere del reato di cui all'art. 589 cod . pen. per aver cagionato, per colpa, la morte di S.S.. Nei seguenti termini l'imputazione: proprietario del peschereccio iscritto nei Registri navi minori e galleggianti del Compartimento marittimo di Cagliari al n. CA 3671, comandante della stessa unità, nella serata del 23/03/2015, benché fosse previsto il peggioramento delle condizioni meteo-marine, egli trasportava a bordo della sua imbarcazione S.S., affinché lo aiutasse a recuperare le reti da pesca, calate a circa un miglio della costa in località Frutti d'Oro - La Maddalena spiaggia, utilizzando per la navigazione un motore fuoribordo Evinrude Marine matricola 11253, fabbricato nel 1990 e in pessimo stato di manutenzione (dettagliatamente descritto nel capo di imputazione) . Intorno alle 20: 30, a causa del previsto peggioramento delle condizioni meteo-marine, con venti provenienti dai quadranti meridionali, e del conseguente ribaltamento del peschereccio, che il D.M. non conduceva tempestivamente a riva e comunque non governava adeguatamente, il S.S.(che indossava il salvagente anulare) cadeva in mare e decedeva per annegamento, tra le ore 21:30 e le 23:30.

3. Avverso la prefata sentenza di appello ricorre l'imputato, a mezzo del difensore, il quale articola tre motivi.
3.1. Con il primo, deduce violazione degli artt. 41, comma 2, cod. pen.; 192, 546, comma 1, lett. e), 530, 533, 538, 539 e 541, cod. proc. pen. nonché vizio di motivazione. Diversamente da quanto sostenuto nelle sentenze di merito, deve ribadirsi che la decisione del S.S. - di abbandonare il relitto e, sorretto dal salvagente anulare., raggiungere la riva -, contraria a quanto gli aveva ingiunto l'imputato, costituisca da sola causa sopravvenuta idonea ad interrompere il nesso di causalità: la morte del SS. è solo a lui attribuibile. I Giudici del merito hanno omesso dati di fatto che il ricorrente richiama puntualmente, i quali, se considerati, avrebbero portato ad escludere la responsabilità del D.M.. Il tragico errore del S.S. è consistito nell'abbandonare il relitto che lo avrebbe condotto in salvo.
3.2. Con il secondo motivo, deduce violazione degli artt. 41, comma 1 e 133 cod. pen.; 192, 546, lett. e), 530, 533, 538 e 541 cod. proc. pen., nonché vizio di motivazione. Le sentenze di merito appaiono contraddittorie ed illogiche nell'escludere la corresponsabilità del S.S. nella causazione della sua morte. Nella parte conclusiva della sentenza di primo grado si demandava la quantificazione del risarcimento al giudice civile "perché è necessario quantificare il concorso di colpa del danneggiato". La Corte di appello ha confermato la sentenza impugnata anche nella parte in cui statuisce la necessità di quantificare il concorso di colpa del danneggiato in sede civile e ritiene "....in alcun modo profilabile il concorso di colpa della vittima". Nella determinazione della pena, poi, i giudici di merito non hanno tenuto conto della concreta incidenza della compartecipazione della persona offesa all'evento.
3.3. Con il terzo motivo, ripropone l'eccezione di incostituzionalità degli artt. 589 e 589-bis cod. pen., già formulata con l'atto di appello, per violazione dell'art. 3 Cost. e del principio di ragionevolezza. Anche in questo caso, analogo all'omicidio stradale, il giudice dovrebbe poter tener conto, ai fini della pena, della ripartizione della colpa nella determinazione dell'occorso.

4. Il Procuratore Generale ha chiesto che il ricorso sia rigettato.

 

Diritto




1. Il primo motivo di ricorso è infondato.


2. Occorre, in primo luogo, richiamare la premessa da cui hanno preso le mosse entrambe le sentenze di merito, concernente la struttura dell'imputazione. Questa, infatti, dopo la contestazione di colpa generica per negligenza, imprudenza o imperizia, si è incentrata su due aspetti specifici: la sottovalutazione delle condizioni meteo - marine e le condizioni di manutenzione del natante e del motore. La sentenza di primo grado dà conto del fatto che, nel dibattimento, non è emersa la piena prova degli anzidetti due profili specifici di colpa - attese l'impossibilità di stabilire se la barca al momento del rovesciamento stesse procedendo a remi o a motore (trattandosi di un chiattino a remi), la mancata ricostruzione precisa delle condizioni d I mare quando D.M. .e S.S. uscirono con )a barca, e la genericità nelle previsioni meteo, essendosi invece l'istruttoria e la difesa soffermati su diversi, altri, aspetti. Il riferimento è a quello, decisivo, dell'uso dei dispositivi di sicurezza, dalla cui mancanza entrambi i giudici di merito hanno fatto discendere la responsabilità dell'imputato. Sul punto, entrambi i giudici della cognizione hanno ricordato come la giurisprudenza di legittimità abbia sempre ritenuto che, quando nel capo di imputazione siano stati contestati elementi generici e specifici di colpa, la sostituzione o l'aggiunta di un profilo di colpa, sia pure specifico rispetto a quelli originariamente contestati, non vale a realizzare una diversità o mutazione del fatto, con sostanziale ampliamento o modifica della contestazione. Il riferimento alla colpa generica, infatti, implica che la contestazione riguardi la condotta dell'imputato globalmente considerata in relazione all'evento verificatosi, sicché questi è posto in grado di difendersi relativamente a tutti gli aspetti del comportamento tenuto in occasione dell'evento di cui è chiamato a rispondere (Sez. 4, sent. n. 31968 del 19/05/2009, Raso, Rv. 245313 01; Sez. 4, ord. n. 38818 del 04/05/2005, De Bona, Rv. 232427 01 Sez. 4, sent.
n. 2393 del 17/11/2005, dep. 2006, Tucci, Rv. 232973 - 01).

3. È, pertanto, quello relativo alle dotazioni di sicurezza, e segnatamente alla cintura salvagente (il cosiddetto giubbotto salvagente), lo specifico profilo di colpa ascritto al ricorrente, rispetto al quale le sentenze di merito articolano le loro motivazioni. Queste ricordano che il piano di sicurezza dell'imbarcazione dell'imputato, elaborato ai sensi del d.lgs. 27 luglio 1999, n. 271, prevedeva che la barca dovesse essere dotata di un salvagente anulare e di due cinture di salvataggio, nonché di segnali di soccorso, costituiti dai segnali a mano e stelle rosse e dai razzi a paracadute (dispositivi di segnalazione, questi ultimi, congruamente reputati, dai giudici di merito, inutilizzabili perché la barca si era riempita d'acqua ed era rovesciata); che, nella parte relativa alla valutazione dei rischi, in particolare nella scheda "Movimentazione pedonale", era analizzato il rischio di "Cadute a bordo e a mare, scivolamenti, compossibili traumi fratture, ematomi, annegamento", e si individuava quale misura tecnica di prevenzione e protezione l'utilizzo permanente di una cintura di salvataggio, ciò in considerazione della conformazione dell'imbarcazione e delle sue dimensioni, oltre alle caratteristiche di stabilità statica e dinamica, tali da rendere altamente probabile una caduta fuoribordo, risultando, pertanto, indispensabile l'uso permanente di una cintura di salvataggio. Il punto rilevante riguardava, dunque, la presenza, obbligatoria ai sensi dell'articolo 13 d.m. n. 218 del 5 agosto 2002, e l'uso della cintura di salvataggio, prevista dalla predetta norma per ogni persona a bordo: si tratta di un galleggiante - da non confondersi con il salvagente anulare che il S.S. indossava ancora quando ne fu ritrovato il. corpo - che si infila dalla testa e si chiude con una cintura alla vita. Tale dispositivo ha come unica funzione la prevenzione dall'annegamento.

3.1. Dalla deposizione del capo della Marina Militare, Marcello Ledda, richiamata nella sentenza di primo grado, era emerso che la cintura di salvataggio non fosse presente nella barca. La sentenza di primo grado afferma che sono le parole dello stesso consulente della difesa, ing. Roberto Matteoli, a dimostrare che l'uso della cintura, anziché della ciambella salvagente, avrebbe evitato la morte del S.S. giacché essa ha lo specifico vantaggio di tenere fuori la testa della persona, anche qualora questa perda i sensi, evitando così la morte per asfissia.
3.2. Nel soffermarsi, anche con il presente ricorso, sulle ragioni per le quali la responsabilità dell'occorso andrebbe unicamente attribuita alla condotta - che si asserisce essere stata imprudente - della vittima, la quale avrebbe disatteso gli inviti del comandante a non allontanarsi dallo scafo, la difesa dell'imputato non si confronta con le argomentazioni delle sentenze di merito, le quali correttamente evidenziano come il D.M. rivestisse nei confronti del S.S. un posizione di garanzia «particolarmente pregnante, sia in quanto comandante, sia per le responsabilità antinfortunistiche che gli competevano», tali da differenziare profondamente il suo ruolo da quello di un semplice conducente, e ciò perché i titolari di posizione antinfortunistiche devono rispondere del mancato uso dei dispositivi di sicurezza, sia in linea generale, sia con specifico riferimento agli obblighi imposti dall'art. 7 d.lgs. 27 luglio 1999, n. 271. Il fatto che il trasportato non si sia attenuto alle direttive del comandante non comporta assenza di responsabilità di quest'ultimo, e ciò proprio in considerazione della circostanza, fondamentale, che egli non ha provveduto a dotare l'imbarcazione di giubbotti salvagente, il cui uso era indicato come obbligatorio nel piano di sicurezza e la cui unica funzione è, come si è detto, la prevenzione dall'annegamento.
3.3. L'assunto difensivo, per il quale la decisione del S.S. di disattendere le indicazioni provenienti dal comandante e di abbandonare il relitto per raggiungere la riva, sorretto dal salvagente anulare, costituirebbe causa da sola sufficiente a determinare l'evento, ai sensi dell'art. 41, comma 2, cod. pen., è privo di pregio.
3.4. È noto che, perché possa parlarsi di causa sopravvenuta idonea ad escludere il rapporto di causalità, si deve trattare, di un percorso causale autonomo oppure ricollegato all'azione (od omissione) dell'agente ma completamente atipico, di carattere assolutamente anomalo ed eccezionale; di un evento che non si verifica se non in casi del tutto imprevedibili a seguito della causa presupposta. Ebbene, sotto questo specifico profilo, la sentenza impugnata offre un'ampia motivazione. Essa ricorda che il comportamento del S.S., che non era mai stato marinaio e che si era accinto a lasciare il precario appiglio della barca rovesciata per salvarsi a nuoto in circostanze di tempo e di luogo valutate come proibitive solo ex post, non può essere considerato atipico, abnorme ovvero eccezionale, tenuto conto che esso fu certamente innescato da una condotta gravemente imprudente e negligente del prevenuto, rappresentata dall'omessa installazione dei dispositivi di sicurezza individuali, previsti e prescritti dal piano di sicurezza per quella barca da pesca.
3.5. Al riguardo, entrambe le sentenze di merito ricordano che il S.S. non era un uomo di mare, con un addestramento almeno basilare per simili evenienze, e dunque non si poteva certo pretendere, in una situazione di panico, dopo ore in acqua, al buio, con il mare in tempesta, una valutazione fredda delle probabilità di salvarsi andando a nuoto e, viceversa, rimanendo aggrappato al relitto; che è difficile affermare che vi fossero regole di condotta precise, la cui violazione possa essere valutata in termini di imprudenza; che il fatto che il D.M., diversamente dal S.S., si sia salvato non può essere posto alla base di un ragionamento induttivo che porti a costruire la regola generale secondo cui, in situazioni simili, è meglio non abbandonare il natante. Si tratterebbe in tal caso, osservano correttamente i giudici del merito, del tipico ragionamento ex post, poiché sarebbe potuto succedere l'inverso con altrettanta probabilità.
3.6 L'esito mortale di annegamento fu dovuto, secondo quanto congruamente evidenziato dai giudici di merito, all'esposizione incauta al pericolo originato dalla caduta in mare dalla barca a fondo piatto e di per sé a stabilità critica, priva di ponte e particolarmente sensibile per tale tipo di evento dannoso. Si tratta di un ragionamento corretto, in linea con la giurisprudenza di legittimità, la quale sostiene come non sia possibile qualificare come inopinata, abnorme, assolutamente imprevedibile la condotta di un soggetto, pur negligente, la cui condotta inosservante trovi la sua origine e spiegazione nella condotta di chi abbia creato colposamente le premesse su cui si innesta il suo errore o la sua condotta negligente (cfr. Sez. 4, n. 26020 del 29/04/2009, Cipiccia, Rv. 243933 - 01).
3.7. Applicando al caso specifico i criteri sviluppati dalla giurisprudenza di legittimità, in tema di causa sopravvenuta da sola sufficiente a determinare l'evento - secondo cui il relativo concetto non si riferisce solo al caso di un processo causale del tutto autonomo, altrimenti pervenendosi ad una interpretatio abrogans della fattispecie, ma anche al caso di un processo non completamente avulso dall'antecedente e pur caratterizzato da un percorso causale completamente atipico, di carattere assolutamente anomalo ed eccezionale, ossia di un evento che non si verifica se non in casi del tutto imprevedibili a seguito della causa presupposta (Sez. 4, sent. n. 1214 del 26/10/2005, dep. 2006, Boscherini Rv. 233173 - 01; Sez. 4, sent. n. 10626 del 19/02/2013, Morgando Rv. 256391 - 01; Sez. 4, sent. n. 13939 del 30/01/2008, Bauwens Rv. 239593 01; Sez. 4, sent. n. 39617 del 11/07/2007, Tamborini, Rv. 237659 - 01) -, la Corte territoriale ha affermato che «l'imprudenza in ipotesi cornmessa dal S.S. - in realtà difficilmente definibile come tale, non essendovi una regola di condotta precisamente definibile ex ante per casi analoghi - non può ritenersi un anomalo sviluppo della situazione di pericolo nella quale si trovava a causa dell'indisponibilità di idonei mezzi di salvataggio, che comunque avrebbero scongiurato l'evento, tenendo la testa a galla, anche S.S. avesse perso le forze».

4. Le considerazioni sinora esposte valgono anche con riguardo al secondo motivo di ricorso, con il quale il ricorrente assume che la condotta imprudente della vittima configurerebbe un suo concorso di colpa nella causazione dell'evento di cui i giudici di merito avrebbero, se pur contraddittoriamente, tenuto conto.
Il motivo è manifestamente infondato. La sentenza impugnata, rammentando come la decisione del S.S. di raggiungere la costa a nuoto rappresentasse tutt'altro che una scelta arbitraria e priva di giustificazione, rivelandosi invece una scelta disperata, non censurabile a posteriori, di un giovane infreddolito per la permanenza in acqua, poco pratico di uscite in mare, vestito di ingombranti abiti invernali e, per giunta, non accuratamente istruito sul comportamento da tenere in caso di ribaltamento del natante e di immediata caduta in mare, esclude categoricamente un eventuale concorso di colpa della vittima, affermando altresì, a chiare lettere, che «Un concorso di responsabilità colposa della vittima deve essere considerato una circostanza insussistente».

5. È manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 589 e 589-bis cod. pen., già sollevata innanzi al giudice di appello e da questi respinta con motivazione del tutto corretta. Osserva, infatti, la Corte distrettuale «la perfetta irrilevanza della questione nel giudizio in corso, stante la eterogeneità delle fattispecie criminose, frutto di scelte legislative piuttosto recenti come nel caso dell'omicidio stradale (L. 41/2016), con conseguente inesistenza della ventilata ipotesi di violazione dell'articolo 3 Cost.». A questa condivisibile argomentazione, deve aggiungersi che la proposta eccezione di incostituzionalità va del tutto disattesa, proprio in considerazione della categorica ed univoca esclusione, da parte della Corte di appello, di alcun concorso di colpa della vittima.

6. In conclusione: la questione di legittimità costituzionale va dichiarata manifestamente infondata. Il ricorso deve essere rigettato con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché alla rifusione delle spese in favore della parte civile S.A., liquidate in complessivi euro 3.000,00 oltre accessori come per legge e in favore delle parti civili S.J. e S.A., liquidate in complessivi euro 3.600,00 oltre accessori come per legge. Per quanto iguarda il ristoro dell.e spese in favore del.la costituita parte ciV'.ile C.R., ammessa al patrocinio a spese dello Stato, provvederà alla liquidazione la Corte di appello di Cagliari con separato decreto di pagamento ai sensi degli artt. 82 e 83 d.P.R. n. 115/2002 (Sez. U, ord. n. 5464 del 26/09/2019, dep. 2020, De Falco Gennaro, Rv. 277760 - 01).

 

P.Q.M.
 



Dichiarata manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché alla rifusione delle spese in favore della costituita parte civile C.R., ammessa al patrocinio a spese dello Stato, nella misura che sarà liquidata dalla Corte di appello di Cagliari con separato decreto di pagamento ai sensi degli artt. 82 83 d.P.R. n.115/2002, in favore della parte civile S.A., che liquida in complessivi euro 3.000,00 oltre accessori come per legge, e in favore delle parti civili S.J. e S.A., che liquida in complessivi euro 3.600,00 oltre accessori come per legge
Così deciso il 19 maggio 2022