Cassazione Penale, Sez. 4, 24 febbraio 2022, n. 6640 - Infortunio mortale del nostromo. Responsabilità degli armatori dell'imbarcazione per la pesca delle vongole. Responsabilità amministrativa dell'ente e responsabilità penale dell'imputato


 

 

Presidente: PICCIALLI PATRIZIA
Relatore: DAWAN DANIELA Data Udienza: 03/11/2021
 

 

Fatto

 



1. La Corte di appello di Bologna, in parziale riforma della sentenza resa dal Tribunale di Rimini, per avere escluso la responsabilità dell'ente "M.M. e C s.n.c." per l'insussistenza dell'illecito amministrativo, ha confermato la statuizione di penale responsabilità di M.M. e P.L. in ordine al reato di cui all'art. 589, commi 1 e 2, cod. pen.
2. Entrambi, nella loro qualità di armatori dell'imbarcazione per la pesca delle vongole, denominata "Marinella", M.M. anche nella qualità di comandante e conducente della stessa, sono stati chiamati a rispondere di aver cagionato, per colpa generica ed in violazione di norme prevenzionali, lesioni personali consistite in trauma cranico parte frontale parietale destra, con frattura della volta cranica e trauma chiuso del torace, dalle quali conseguiva la morte di G.L., lavoratore con mansioni di nostromo. Il sinistro è stato così ricostruito: il G.L., a prua, era impegnato nelle operazioni di svuotamento della gabbia dopo la salpata, mentre il M.M. manovrava la draga con il verricello posto più a poppa. Secondo la prassi, il G.L. si era recato ad aprire manualmente lo sportello, aveva messo i piedi dentro la vasca e aveva tentato di sbrogliare le catene di traino della draga che spesso rimanevano inceppate. In quel momento, però, la draga era stata mollata in bando dal M.M., come dallo stesso ammesso, andando a colpire violentemente la testa del lavoratore. Tale ricostruzione era avvalorata dalla circostanza che, quando la barca giunse in porto, la draga era in bando, con la catena di dritta ancora incastrata.
L'addebito colposo, ascritto ad entrambi gli imputati, è di non avere predisposto un piano di sicurezza che comprendesse un progetto dettagliato in cui fossero riportate le sistemazioni inerenti l'ambiente di lavoro a bordo, con particolare riguardo alla vasca di raccolta delle vongole e alla macchina selezionatrice del pescato, e di avere omesso di predisporre una relazione tecnica sulla valutazione dei rischi che tenesse conto del pericolo di investimento con la draga e di caduta in mare per i lavoratori operanti in prossimità e al di sopra della vasca di raccolta delle vongole (art. 6, comma 1, lett. a), b) e e), d.lgs. 271/1999); di avere messo in esercizio, a bordo dell'imbarcazione, un'attrezzatura costituita da verricello che aziona la salpata e la calata in mare della draga, nonché una leva di comando del pistone che muove il pappagallo (telaio metallico agganciato sulla sommità della struttura che sostiene la draga) attivata da una posizione in cui la vista dell'impianto comandato è preclusa dalla cabina di pilotaggio (violazione dell'art. 233 lett. e) d.P.R. 547/1955). Operazioni, queste, che richiedevano di essere effettuate alla presenza e con l'ausilio di una seconda persona. Al solo M.M. viene mosso il rimprovero di avere omesso di predisporre procedure ed istruzioni chiare e comprensibili relative alla sicurezza delle operazioni di bordo, con particolare riguardo all'attività di raccolta delle vongole in prossimità della draga, strumento di lavoro che poteva essere movimentato all'insaputa dei lavoratori intenti ad operare in quella fase lavorativa e che poteva subire delle oscillazioni a causa del movimento ondoso, con conseguente pericolo per i marittimi di investimento o di caduta in mare.
3. Avverso la sentenza di primo grado ricorre, con un unico atto, il difensore degli imputati che solleva due motivi con cui deduce:
3.1. Erronea applicazione delle norme di legge in ordine alla sussistenza dei presupposti oggettivi per la contestazione del reato di cui all'art 589, commi 1 e 2, cod. pen., nonché omessa, contraddittoria ed illogica motivazione in merito alla supposta colpa generica del M.M.. La sentenza impugnata, immotivatamente disattendendo altre ipotesi ricostruttive, si è fondata su una mera ipotesi che non prova affatto il nesso causale tra la condotta degli imputati ed il tragico evento. Né, agli atti si rinviene, diversamente da quanto afferma la Corte di appello, alcuna ammissione di responsabilità da parte del M.M.. Quanto alla P.L., alcun fondamento può trovare l'affermazione della sua colpevolezza atteso che il Giudice di appello ha escluso la responsabilità dell'ente per le violazioni amministrative e che l'imputata non era presente ai fatti.
3.2. Erronea applicazione delle norme di legge in ordine alla sussistenza dei presupposti oggettivi per la contestazione del reato di cui all'art 589, comma 2, cod. pen. Essendo stato escluso l'illecito amministrativo, non può trovare applicazione l'art. 589, comma 2, cod. pen. Alla non applicabilità di detta norma dovrebbe seguire una rideterminazione della pena irrogata che risulterebbe, pertanto, eccessiva.
4. Il Procuratore generale ha concluso chiedendo che ricorsi siano dichiarati inammissibili.
5. Con note scritte, depositate il 27/10/2021, l'avv. Fabio Frabetti, difensore dei ricorrenti, ha prodotto il certificato di morte di P.L., deceduta il 16/07/2020, in data successiva al deposito del ricorso per cassazione. Nelle predette note, il difensore si oppone alla richiesta di inammissibilità formulata dal Procuratore generale, ribadendo !''inesistenza, nel caso di specie, di violazioni antinfortunistiche, oltre ad eccepire l'intervenuta prescrizione.

 

Diritto




1. Preliminarmente deve darsi atto della morte di P.L., derivandone, nei confronti della stessa, l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata.

2. Quanto al M.M., il suo ricorso è infondato e deve, pertanto, essere rigettato.
3. La sentenza impugnata si presenta come "doppia conforme" di responsabilità, avendo il Giudice di appello sostanzialmente confermato la sentenza di primo grado, escludendo la responsabilità amministrativa dell'ente ma confermando integralmente il giudizio di penale responsabilità dell'imputato. Nella sua struttura argomentativa, essa, dunque, si salda con quella di primo grado, sia attraverso ripetuti richiami a quest'ultima, sia per l'adozione degli stessi criteri utilizzati nella valutazione delle prove. Ciò detto, deve osservarsi che gli odierni motivi di ricorso sono stati già valutati dalla Corte territoriale che li ha disattesi con argomentazioni logiche e immuni da errori giuridici.
3.1 Quanto alla dinamica del sinistro, contestata in termini peraltro generici dal ricorrente, la Corte di appello ricorda come sia pacifico, essendo stato ammesso dallo stesso imputato, che, al momento del sinistro, il lavoratore, a prua, fosse impegnato nello svuotamento della gabbia dopo la salpata (operazione che prevedeva l'apertura manuale della draga), mentre il M.M. manovrava la draga con il verricello posto più a poppa; come sia verosimile che, mentre il G.L. tentava di sbrogliare le catene di traino della draga, che spesso rimanevano inceppate, questa venisse mollata in bando dal M.M., andando a colpire violentemente la testa del lavoratore; come tale ricostruzione risulti riscontrata dall'entità delle lesioni prodotte, dagli accertamenti effettuati dal dott. Valli, medico che aveva eseguito l'autopsia, dalla ricostruzione della vicenda in questi stessi termini operata dalla teste P.C. (tenente di vascello della Capitaneria di Porto) e da Be.L. (tecnico della prevenzione della ASL), nonché dallo stesso imputato (il quale ha affermato che, dopo lo svuotamento della gabbia delle vongole e senza prima aspettare il ritorno del G.L., aveva rilasciato in bando la draga, dichiarando espressamente "quando la gabbia è arrivata su ho fermato e lui ha svuotato le vongole... dopo l'ho rilasciato in bando e aspettavo che tornasse") e dalla circostanza che, quando la barca giunse in porto, la draga era in bando, con la catena di dritta ancora incastrata; come cause alternative di produzione del trauma cranico non trovino alcun appiglio negli atti processuali, oltre che, alla luce delle circostanze e argomentazioni esposte, nella logica. Non vi è, dunque, spazio per ricostruzioni alternative del fatto così come pretenderebbe il ricorrente, né in questa sede di legittimità le stesse potrebbero mai trovare accesso. Ciò detto, la Corte di appello richiama i profili di responsabilità, già individuati dal Tribunale, e li ribadisce con motivazione del tutto immune dalle sollevate censure. L'assenza di visuale ha impedito all'imputato di rendersi conto della posizione del lavoratore, determinandolo a mollare in bando la draga, senza prima accertarsi di operare in condizioni di sicurezza: qualora egli avesse avuto la giusta visuale, l'infortunio non si sarebbe verificato posto che il M.M. sarebbe stato ben consapevole della posizione del lavoratore. Il piano di sicurezza dell'imbarcazione - di tipo "standardizzato", riguardando solo i rischi del comparto marineria ma senza previsioni specifiche sulle lavorazioni svolte a bordo - non contemplava la necessità di sbrogliare la catena di traino (problematica che si verificava di frequente) o, comunque, non disciplinava modalità operative in termini di sicurezza ogniqualvolta le operazioni richiedessero la presenza del lavoratore in prossimità della vasca di raccolta delle vongole; nel documento di valutazione dei rischi, inoltre, non era considerata la manovra di disincaglio delle catene di traino né in genere le operazioni compiute su una vongolaia ma solo "operazioni standardizzate".
Con motivazione congrua e corretta in diritto la sentenza impugnata ha concluso nel senso che l'approntamento di una specifica procedura in condizioni di sicurezza avrebbe senz'altro impedito la verificazione dell'evento lesivo.
3.2 Parimenti infondato è il secondo motivo di ricorso. La Corte di appello ha esattamente richiamato i criteri di imputazione oggettiva della responsabilità degli enti, di cui all'art. 5 del d.lgs. 231/2001, rappresentati dall'interesse o dal vantaggio dell'ente medesimo. Gli anzidetti criteri - entrambi evidentemente riferiti alla condotta del soggetto agente e non all'evento - ricorrono, rispettivamente, il primo, quando l'autore del reato abbia violato la normativa cautelare con il consapevole intento di conseç1uire un risparmio di spesa per l'ente, indipendentemente dal suo effettivo raggiungimento; il secondo, qualora l'autore del reato abbia violato sistematicamente le norme antinfortunistiche, ricavandone oggettivamente un qualche vantaggio per l'ente, sotto forma di risparmio di spesa o di massimizzazione della produzione, indipendentemente dalla volontà di ottenere il vantaggio stesso (Sez. 4, n. 38363 del 23/05/2018, CONSORZIO MELINDA S.C.A., Rv. 274320-01). Occorre, per quanto qui di interesse, richiamare la natura autonoma della responsabilità dell'ente rispetto a quella penale della persona fisica che ponga in essere il reato-presupposto. Ai sensi dell'art. 8 del decreto 231, rubricato per l'appunto "autonomia della responsabilità dell'ente", la responsabilità dell'ente deve essere, infatti, affermata anche nel caso in cui l'autore del suddetto reato non sia stato identificato, non sia imputabile ovvero il reato sia estinto per causa diversa dall'amnistia (Sez. 6, n. 28299 del 10 novembre 2015, dep. 2016, Bonomelli e altri, Rv. 267048; Sez. 5, n. 20060 del 4 aprile 2013, P.M. in proc. Citibank N.A., Rv. 255414. Sez. 4, n. 38363 del 23/05/2018, CONSORZIO MELINDA S.C.A., Rv. 274320 - 03, ha stabilito che, in tema di responsabilità da reato degli enti, l'autonomia della responsabilità dell'ente rispetto a quella penale della persona fisica che ha commesso il reato-presupposto, prevista dall'art. 8, d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, deve essere intesa nel senso che, per affermare la responsabilità dell'ente, non è necessario il definitivo e completo accertamento della responsabilità penale individuale, ma è sufficiente un mero accertamento incidentale, purché risultino integrati i presupposti oggettivi e soggettivi di cui agli artt. 5, 6, 7 e 8 del medesimo decreto, tali, autonomia operando anche nel campo processuale. In applicazione del principio la Corte, nel caso di specie, ha escluso che il giudice fosse tenuto a valutare, a favore dell'ente, atti difensivi prodotti in favore degli imputati). La responsabilità amministrativa penale da organizzazione prevista dal d.lgs. n. 231/2001, dunque, investe direttamente l'ente, trovando nella commissione di un reato da parte della persona fisica il solo presupposto, ma non già l'intera sua concretizzazione. La colpa di organizzazione, quindi, fonda una colpevolezza autonoma dell'ente, distinta anche se connessa, rispetto a quella della persona fisica.
Ciò premesso, la Corte di merito - ricordato che il capo di imputazione relativo all'ente "M.M. e C s.n.c." collegava l'interesse e il vantaggio all'esecuzione dei lavori "allo scopo di eseguire i lavori in modo più rapido e meno costoso" - ha osservato come, nella vicenda in esame, non ricorresse il requisito dell'interesse poiché «la mancata adozione delle precauzioni poi imposte dall'ASL (sistemazione dei comandi in modo tale che fosse garantita la visuale sulla postazione di lavoro nei pressi della vasca di raccolta) non corrispondeva ad una scelta nell'organizzazione del lavoro concretamente adottata dalla società e finalizzata a privilegiare le esigenze della produzione e del profitto a scapito della sicurezza del lavoratore, non assumendo rilievo... le condotte derivanti dalla semplice imperizia, dalla mera sottovalutazione del rischio o anche dall'imperfetta esecuzione delle misure antinfortunistiche da adottare». Ha, altresì, escluso la ricorrenza del vantaggio, atteso che non è risultato che «l'omessa adozione di quelle precauzioni avesse incrementato o potesse incrementare la produttività della società, né che il mero spostamento dei comandi in modo da garantire la visuale avesse comportato dei costi per la società».
Come si vede, dunque, la Corte di appello ha offerto una motivazione adeguata e corretta in diritto, laddove ha ricordato il diverso piano su cui opera la responsabilità amministrativa dell'ente rispetto alla responsabilità penale dell'imputato. La prima è stata esclusa perché il Giudice di appello non ha ravvisato nella condotta, pure violativa di norme antinfortunistiche, un interesse o un vantaggio dell'ente nel senso sopra descritto. L'esclusione di detta responsabilità, tuttavia, non comporta il venir meno della sussistenza delle violazioni ascritte all'imputato nel capo di imputazione: violazioni che costituiscono l'antecedente causale nella verificazione dell'infortunio mortale.
3.3. Quanto all'invocata prescrizione, deve osservarsi che i relativi termini non sono ancora decorsi, stante il prescritto raddoppio di cui all'art. 157, comma 6, cod. pen.
4. In conclusione, la sentenza impugnata va annullata senza rinvio nei confronti di P.L. per essere il reato estinto per morte dell'imputata. Deve essere rigettato il ricorso proposto da M.M., il quale viene, in conseguenza, condannato al pagamento delle spese processuali.

 

P.Q.M.
 



Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di P.L. per essere il reato estinto per morte dell' imputata. Rigetta il ricorso proposto da M.M., che condanna al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 3 novembre 2021