Cassazione Penale, Sez. 4, 13 gennaio 2023, n. 939 - Caduta dal tetto per mancanza di idoneo parapetto nel ponteggio: responsabilità di un CSE


 

 

Presidente: PICCIALLI PATRIZIA Relatore: ANTEZZA FABIO
Data Udienza: 25/11/2022
 

Fatto


1. Avverso la sentenza della Corte d'appello in epigrafe indicata, con cui è stata confermata la condanna emessa dal Tribunale di Cassino (anche con riferimento alle statuizioni civili), ha proposto ricorso per cassazione, a mezzo del difensore, l'imputato C.A., ritenuto responsabile, in qualità di coordinatore per la sicurezza in fase esecutiva, del reato di cui all'art. 589, comma secondo, cod. pen., e in particolare dell'omicidio colposo, commesso con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, del lavoratore P.M. che nell'espletamento delle proprie mansioni è caduto dal tetto dell'immobile in costruzione non essendo il relativo ponteggio dotato di idoneo parapetto.

2. Il ricorrente, in particolare, deduce violazione di legge in ordine all'accertamento della responsabilità e in relazione all'erronea applicazione dell'art. 192 cod. proc. pen.; vizio di motivazione in ordine al mancato riconoscimento della circostanza attenuante di cui all'art. 62, n. 6, cod. pen.; erronea applicazione dell'art. 133 cod. pen. per violazione dei criteri di proporzionalità e adeguatezza e vizio di motivazione in relazione alla quantificazione delle statuizioni civili.
3. La Procura generale della Repubblica presso la Suprema Corte ha concluso per iscritto nei termini di cui in epigrafe.
 

Diritto


1. Il ricorso è inammissibile.
2. La Corte territoriale, in ipotesi di «doppia conforme» e con motivazione esente dalle dedotte censure, ha ritenuto accertata la responsabilità dell'imputato in considerazione della circostanza per la quale il parapetto, la cui apposizione costituiva necessario presidio di sicurezza, avrebbe evitato l'evento. La Corte territoriale, in particolare, oltre a ritenere quanto innanzi per aver fatto proprio il sapere scientifico del perito, escusso in dibattimento nel corso del quale ha evidenziato gli esiti peritali anche mediante la proiezione di un filmato relativo a una simulazione virtuale, ha esplicitato gli elementi dai quali ha argomentato l'insussistenza del detto parapetto, invece eseguito, con listelli in legno e rete termosaldata, nel periodo intercorrente tra il sinistro e il sopralluogo dei tecnici (circa 1 ora e 45 minuti).
Orbene, il primo motivo di ricorso è inammissibile ai sensi dell'art. 606, comma 3, cod. proc. pen., in quanto, oltre ad essere meramente ripetitivo dei motivi fondanti l'appello (ex plurimis, Sez. 2, n. 42046 del 17/07/2019, Boutartour, Rv. 277710), è stato proposto per censire diverse da quelle prospettabili in sede di legittimità in quanto costituito da doglianze in fatto, con le quali si prospettano anche erronee valutazioni del giudice di merito, non scandite dalla necessaria analisi critica delle argomentazioni poste a base della decisione impugnata (sul contenuto essenziale dell'atto d'impugnazione si vedano ex plurimis: Sez. 6, n. 8700 del 21/01/2013, Leonardo, Rv. 254584, e, tra le più recenti, Sez. 7, n. 9378 del 09/02/2022, Galperti, in motivazione; si veda altresì Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, Galtellì, Rv. 268822, in ordine ai motivi d'appello ma sulla base di principi rilevanti anche al ricorso per cassazione).
A fronte della ricostruzione di cui innanzi, argomentata in termini congrui, coerenti e non manifestamente illogici, il ricorrente si limita difatti a prospettare una propria ricostruzione alternativa, peraltro perplessa in quanto volta sostanzialmente a sostenere l'assenza di prova dell'insussistenza del parapetto al momento del sinistro o, comunque, l'inconsapevolezza in capo all'imputato del suo mancato ripristino nonostante le indicazioni che egli avrebbe impartito. La censura, comunque prospettata in termini meramente ipotetici nonché fondata su una parcellizzazione dell'apparato motivazionale sotteso alla decisione impugnata, dimentica peraltro che la regola di giudizio compendiata nella formula «al di là di ogni ragionevole dubbio» (art. 533, comma 1, cod. proc. pen .) rileva in sede di legittimità esclusivamente ove la sua violazione, differentemente da quanto avvenuto nella specie, si traduca nella illogicità manifesta e decisiva della motivazione della sentenza, ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., non avendo la Suprema Corte alcun potere di autonoma valutazione delle fonti di prova (Sez. 4, n. 30827 del 16/06/2022, Castello, in motivazione; Sez. 2, n. 28957 del 03/04/2017, D'Urso, Rv. 270108- 01, nonché, con particolare riferimento ai limiti di ammissibilità del ricorso per cassazione avverso sentenza di applicazione di pena su richiesta delle parti, Sez. 4, n. 2132 del 12/01/2021, Maggio, Rv. 280245-01). In sede di legittimità, poi, perché sia ravvisabile la manifesta illogicità della motivazione ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen. è necessario che la ricostruzione dei fatti prospettata dall'imputato che intenda far valere l'esistenza di un ragionevole dubbio sulla sua colpevolezza, contrastante con il procedimento argomentativo seguito dal giudice, sia inconfutabile e non rappresentativa soltanto di un'ipotesi alternativa a quella ritenuta nella sentenza impugnata, dovendo il dubbio sulla corretta ricostruzione del fatto-reato nei suoi elementi oggettivo e soggettivo fare riferimento a elementi sostenibili, cioè desunti dai dati acquisiti al processo, e non meramente ipotetici o congetturali seppure plausibili (ex plurimis, Sez. 4, n. 30827/2022, Castello in motivazione; Sez. 2 n. 3817 del 09.10.2019, dep.2020, Mannile Rv. 278237-01).
3. Parimenti inammissibili sono le censure inerenti alla commisurazione giudiziale della pena, non confrontando il ricorrente il suo dire con la motivazione della sentenza impugnata che, invece, argomenta in ragione della gravità della condotta, anche in considerazione del presidio omesso, e muove dai più favorevoli limiti edittali previsti dall'art. 589 cod. pen. ante modifica apportata con il d.l. n. 92 del 2008 (pag. 7 sent.), e in merito alla ritenuta insussistenza dell'attenuante di cui all'art. 62, n. 6 cod. pen., convenendo lo stesso ricorrente in merito all'accertata non integrale riparazione del danno (pag. 7 set. Appello e pag. 8 ricorso). Tale ultima censura, peraltro, è manifestamente infondata laddove lo stesso ricorrente fa riferimento a un intervento dell'INAIL quanto al danno patrimoniale (pag. 8 del ricorso). Trova difatti applicazione nella specie, ancorché caratterizzata da una parziale erogazione, il principio per cui l'attenuante in esame non è configurabile in caso di erogazione di somme da parte dell'INAIL, avendo la relativa prestazione carattere indennitario e non risarcitorio (Sez. 4, n. 41340 del 15/09/2022, Merlet, non massimata; Sez. 4, n. 45806 del 27/06/2017, Catenelli, Rv. 271023).
4. È infine inammissibile anche la doglianza con la quale sostanzialmente si sindaca la determinazione della provvisionale, statuizione non impugnabile per cassazione in quanto per sua natura insuscettibile di passare in giudicato perché destinata ad essere travolta dall'effettiva liquidazione dell'integrale risarcimento (ex plurimis, Sez. 2, n. 43886 del 26/04/2019, Scarano, Rv. 277711).
5. In conclusione, all'inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende, ex art. 616 cod. proc. pen., che si ritiene equa valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità emergenti dal ricorso nei termini innanzi evidenziati (Corte Cost. 13 giugno 2000, n. 186).
 

P.Q.M.


Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende
Così deciso il 25 novembre 2022