Cassazione Penale, Sez. 4, 13 gennaio 2023, n. 928 - Lavoratore investito dalla pala meccanica. Nonostante un concorso di colpa del de cuius, le responsabilità del DL e dei DG dell'impresa committente non possono essere negate 


 

Presidente: PICCIALLI PATRIZIA Relatore: D'ANDREA ALESSANDRO
Data Udienza: 28/09/2022
 

 

Fatto



1. Con sentenza del 29 settembre 2021 la Corte di appello di Torino, in parziale riforma della pronuncia del Tribunale di Alessandria del 23 luglio 2018, ha disposto - per quanto di specifico interesse in questo giudizio - la riduzione della pena inflitta a F.F. nella misura di mesi sette di reclusione, invece confermando la condanna di B.P. alla pena di mesi dieci di reclusione e di C.F. a quella di mesi sette di reclusione.
1.1. I suddetti imputati sono stati ritenuti responsabili del delitto di cui agli artt. 589, commi 1 e 2, cod. pen., in relazione all'art. 2087 cod. civ. e agli artt. 26, 36, 37 lett. a), 63, 64 comma 1 lett. a), 71 comma 3 d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81, per avere, nella rispettiva qualità di: direttore generale della ARAL S.p.a., impresa committente, sino al 1° settembre 2014 (B.P.); direttore generale della ARAL S.p.a., impresa committente (C.F.); legale rappresentante della Euroimpresa S.r.l., impresa appaltatrice, e quindi datore di lavoro (F.F.); per colpa consistita in negligenza, imprudenza ed imperizia e nella violazione della normativa antinfortunistica, cagionato la morte di L.M. - dipendente della Euroimpresa S.r.l. assunto con contratto a tempo indeterminato in data 25 febbraio 2008, con mansioni di operaio di terzo livello addetto alla guida di pale meccaniche e di altre attrezzature adibite alla movimentazione dei rifiuti - a seguito di investimento con pala meccanica dopo che la vittima era transitata a piedi all'interno del reparto FOS 1, interdetto al traffico pedonale.
1.2. Più specificamente: B.P. (fino al 1° settembre 2014) e C.F., nella loro qualità di responsabili della società committente ARAL S.p.a., avevano omesso di fornire dettagliate informazioni sui rischi specifici esistenti nell'ambiente di lavoro e, soprattutto, di segnalare l'elevatissimo rischio residuo di investimento presente durante le fasi di manovra della pala gommata, omettendo di adottare misure atte ad impedire il transito pedonale all'interno del reparto FOS 1 durante le suddette operazioni; F.F., quale responsabile della società appaltatrice Euroimpresa S.r.l., aveva omesso di assicurarsi che L.M. avesse ricevuto un'adeguata formazione e informazione sui rischi specifici connessi all'espletamento delle sue mansioni e alle misure e procedure di prevenzione, protezione ed emergenza da adottare, tenuto, altresì, conto delle specifiche condizioni di lavoro (scarsa illuminazione, presenza di polveri, inquinamento acustico), omettendo, ancora, di adottare misure organizzative atte a garantire la sicurezza nella circolazione all'interno del reparto FOS 1 durante le operazioni con mezzi meccanici in movimento, l'attraversamento pedonale del reparto FOS 1 durante le operazioni di movimentazione dei rifiuti.
Nella condotta degli imputati è stata ritenuta la ricorrenza di colpa generica, per negligenza, imprudenza e imperizia, nonché di colpa specifica, consistita nella violazione dell'art. 2087 cod. civ. e delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, ed in particolare: dell'art. 26, lett. b), e degli artt. 63 e 64, comma 1 lett. a), d.lgs. n. 81 del 2008 da parte di B.P. e di C.F.; degli artt. 36, commi 1 e 2, 37, lett. a), e dell'art. 71 d.lgs. n. 81 del 2008 da parte di F.F..
2. Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso per cassazione, con tre differenti atti, B.P., C.F. e F.F..
2.1. B.P. ha dedotto cinque motivi di doglianza, con il primo dei quali ha eccepito erronea applicazione degli artt. 589, 40 e 41 cod. pen., oltre ad apparenza, mancanza e manifesta illogicità della motivazione con riferimento alla posizione di garanzia riconosciutagli per fatti occorsi successivamente alla cessazione del proprio incarico, considerato che il ricorrente aveva rivestito le funzioni di direttore generale dell'impresa committente ARAL S.p.a. sino al 1° settembre 2014 e che il sinistro si era verificato solo in data 14 ottobre 2014. Non sarebbe possibile, infatti, ritenere la sussistenza di una responsabilità omissiva sine die nei suoi confronti anche per fatti avvenuti dopo l'intervenuta cessazione del suo incarico, altresì considerato che non gli potrebbero giammai essere imputate responsabilità per condotte, quali la mancata apposizione di cartelli o l'omessa formazione dei lavoratori, di sicura competenza del proprio successore.
Con la seconda censura il ricorrente ha lamentato erronea applicazione degli artt. 589, 40 e 41 cod. pen., nonché apparenza, mancanza e manifesta illogicità della motivazione con riguardo alla ravvisata sussistenza dell'elemento soggettivo della colpa.
A dire del ricorrente, infatti, la stessa sentenza di appello avrebbe evidenziato come al momento di verificazione dell'incidente fossero vigenti specifiche prescrizioni, a lui riferibili, considerate nel piano di valutazione dei rischi - come, ad esempio, quella di consentire l'accesso al reparto FOS 1 solo con mezzi meccanici, e non a piedi - che, ove adeguatamente rispettate, avrebbero certamente evitato la realizzazione dell'evento mortale.
Con il terzo motivo il B.P. ha eccepito erronea applicazione degli artt. 589, 40 e 41 cod. pen., nonché apparenza, mancanza e manifesta illogicità della motivazione con riferimento all'autonoma efficienza causale del comportamento tenuto dalla vittima e alla natura consapevole e volontaria dello stesso, e perciò,- all'insussistenza del nesso eziologico tra le omissioni colpose addebitategli e la verificazione dell'evento, con violazione del principio del ragionevole dubbio, di cui all'art. 533, comma 1, cod. proc. pen.
Il ricorrente contesta la parte motivazionale dell'impugnata sentenza in cui la Corte territoriale ha ritenuto la responsabilità concorrente della vittima, nella causazione dell'evento, nella sola misura del 20%, mentre, invece, la condotta posta in essere dal L.M., cui era ben nota l'impossibilità di accedere a piedi nel reparto FOS 1, era stata del tutto imprevedibile ed eccentrica, essendo entrato senza indossare il giubbotto fotoluminescente, avendo omesso di avvertire e non avendo mantenuto la prevista distanza di dieci metri dal mezzo in movimento, così esponendosi al pericolo in maniera consapevole e volontaria. Tale condotta, del tutto imprevedibile e immotivata, sarebbe stata, dunque, non solo oggettivamente negligente e imprudente, ma anche abnorme e palesemente eccentrica rispetto alle mansioni lavorative della vittima, e perciò tale da interrompere il nesso causale tra la condotta imputabile al B.P. e la verificazione del decesso del L.M..
Con la quarta doglianza è stata dedotta erronea applicazione degli artt. 589, 40 e 41 cod. pen., oltre a mera apparenza e manifesta illogicità della motivazione nell'applicazione del giudizio controfattuale.
La sentenza impugnata, infatti, avrebbe omesso di verificare se, con riferimento alle omissioni contestate al B.P., le prescrizioni adottate dalla società committente in esito alla verificazione del sinistro sarebbero state sufficienti ad evitare la verificazione del letale evento. Il L.M., infatti, pur non inquadrato come preposto, aveva di fatto svolto tale ruolo già da anni, per cui avrebbe comunque avuto la chiave per poter accedere al reparto FOS 1.
Con l'ultima censura è stata lamentata erronea applicazione degli artt. 533 e 133 cod. pen., nonché apparenza e manifesta illogicità della motivazione in ordine alla concreta quantificazione della pena. Per il ricorrente, infatti, sarebbe del tutto irrazionale che i giudici di merito gli abbiano inflitto una pena superiore rispetto a quella degli altri coimputati, pur non ricoprendo più all'epoca dei fatti il ruolo di direttore generale della ARAL S.p.a.
2.2. C.F. ha eccepito, in seno al proprio ricorso, due motivi di doglianza, con il primo dei quali - adducendo argomentazioni praticamente coincidenti con quelle espresse nel terzo motivo di ricorso del B.P. - ha lamentato erronea applicazione degli artt. 589, 40 e 41 cod. pen., nonché apparenza, mancanza e manifesta illogicità della motivazione con riferimento all'autonoma efficienza causale del comportamento tenuto dalla vittima e alla natura consapevole e volontaria dello stesso, e perciò all'insussistenza del nesso eziologico tra le omissioni colpose addebitategli e la verificazione dell'evento, con violazione del principio del ragionevole dubbio, di cui all'art. 533, comma 1, cod. proc. pen.
A dire del ricorrente, pertanto, sussisterebbero i presupposti per ritenere l'abnormità e l'imprevedibilità del comportamento tenuto dal L.M., tale da interrompere il nesso eziologico intercorrente tra la condotta riferibile al C.F. e la verificazione del tragico evento.
Con la seconda censura il C.F. ha eccepito erronea applicazione degli artt. 589, 40 e 41 cod. pen., oltre a mera apparenza e manifesta illogicità della motivazione nell'applicazione del giudizio controfattuale, rilevando come - in perfetta analogia con quanto dedotto dal B.P. con il quarto motivo di ricorso
- i giudici di appello non avrebbero adeguatamente verificato che le prescrizioni adottate dopo la verificazione del sinistro (dotazione di ricetrasmittenti, migliore efficacia di impianto sonoro e visivo, dotazione di chiave ai preposti per accedere al reparto FOS 1) non sarebbero state comunque sufficienti ad evitare il decesso del L.M..
2.3. Motivi in gran parte identici sono stati dedotti, infine, nel ricorso proposto da F.F., che con la prima censura ha eccepito, analogamente, erronea applicazione degli artt. 589, 40 e 41 cod. pen., oltre a mancanza ed illogicità della motivazione, con riferimento all'autonoma efficienza causale del comportamento tenuto dalla vittima e alla natura consapevole e volontaria dello stesso e, dunque, all'insussistenza del nesso eziologico tra le omissioni colpose addebitategli e la verificazione dell'evento, con violazione del principio del ragionevole dubbio, di cui all'art. 533, comma 1, cod. proc. pen.
Pure per il F.F., dunque, il comportamento posto in essere dal L.M. sarebbe stato imprevedibile ed eccentrico, e quindi idoneo ad interrompere il nesso causale sussistente tra la condotta imputabile al ricorrente e la verificazione dell'evento.
Anche il F.F., poi, ha eccepito, con la seconda doglianza, mancanza e illogicità della motivazione ed erronea applicazione degli artt. 589, 40 e 41 cod. pen. nell'effettuazione del giudizio controfattuale, lamentando che la Corte di merito non avrebbe adeguatamente verificato come le prescrizioni adottate all'esito della verificazione del sinistro non sarebbero state, comunque, sufficienti ad impedire il decesso del L.M..
Con l'ultima censura è stata lamentata, infine, mancanza di motivazione in ordine alla richiesta conversione della pena detentiva in sanzione amministrativa, ai sensi degli artt. 53 e ss. legge 24 novembre 1981, n. 689.
3. Il Procuratore generale ha rassegnato conclusioni scritte, con cui ha chiesto, in accoglimento dei ricorsi, l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata.
 

Diritto

 


1. I proposti ricorsi non sono fondati, per cui gli stessi devono essere rigettati.
2. In primo luogo prive di fondamento sono le due introduttive doglianze di B.P., con cui il ricorrente ha dedotto l'insussistenza di profili di responsabilità gravanti a suo carico, sul presupposto di non aver rivestito nessuna posizione di garanzia e di non avere, comunque, mai perpetrato condotte colpose di rilevanza penale.
2.1. Il ricorrente ha eccepito, infatti, di non aver rivestito nessuna specifica posizione di garanzia (primo motivo di ricorso) per essersi verificato il mortale evento dopo la cessazione delle sue funzioni di direttore generale della ARAL S.p.a., e perciò in un momento in cui, non potendosi ipotizzare alcuna responsabilità omissiva sine die a suo carico, le perpetrate condotte illecite dovevano essere riferite alla persona del suo successore.
Diversamente, invece, la Corte territoriale ha configurato la penale responsabilità del B.P. facendo riferimento ai principi dettati a disciplina della materia degli infortuni sul lavoro, in particolar modo riguardanti la rilevanza della c.d. causalità additiva o cumulativa, inerente alle concorrenti posizioni di altri garanti rispetto allo specifico rischio considerato.
E' stata ritenuta, infatti, la ricorrenza di condotte colpose omissive poste in essere dal B.P., nel periodo di espletamento delle sue funzioni di direttore generale, eziologicamente collegate alla verificazione del decesso al L.M., in particolar modo consistite in mancate previsioni all'interno del DUVRI e nell'omessa adozione di adeguate misure di sicurezza.
L'indicato aspetto - accertato dai giudici di merito in esito ad una valutazione discrezionale, logicamente e adeguatamente esplicata - consente, allora, di fare riferimento al principio, reiteratamente espresso dalla giurisprudenza di legittimità, per cui, in materia di prevenzione degli infortuni nei luoghi di lavoro, qualora vi siano più titolari della posizione di garanzia, ciascuno è per intero destinatario dell'obbligo di tutela impostogli dalla legge per cui l'omessa applicazione di una cautela antinfortunistica è addebitabile ad ognuno dei titolari di tale posizione (così, tra le altre: Sez. 4, n. 6507 del 11/01/2018, Caputo, Rv. 272464-01; Sez. 4, n. 18826 del 09/02/2012, Pezzo, Rv. 253850- 01; Sez. 4 n. 46849 del 03/11/2011, Di Carlantonio, Rv. 252149-01).
Allorquando, cioè, l'evento sia determinato dalla sommatoria delle condotte omissive ascrivibili a diversi garanti (in termini di gestori del rischio), intervenuti in tempi diversi, è configurabile il nesso causale tra l'evento e ciascuna delle riscontrate omissioni, essendo ognuna di esse essenziale alla sua produzione. La causalità additiva o cumulativa costituisce, infatti, applicazione della teoria condizionalistica di cui all'art. 41 cod. pen., giacché, essendo ciascuna omissione essenziale alla produzione dell'evento, l'eliminazione mentale di ognuna di esse fa venir meno l'esito letale, tenuto conto dell'insufficienza di ciascuna delle altre omissioni a determinarlo (Sez. 4, n. 24455 del 22/04/2015, Plataroti, Rv. 263733-01).
2.2. Del pari non fondata è la censura con cui il B.P. ha lamentato l'insussistenza dell'elemento soggettivo della colpa, in ragione del fatto che al momento di verificazione dell'incidente sarebbero state vigenti specifiche prescrizioni, da lui inserite nel piano di valutazione dei rischi, idonee ad evitare la verificazione del letale evento.
Di contro all'eccepita doglianza i giudici di secondo grado hanno, invece, esplicato, in modo congruo e logico, come, a considerare tutti i documenti riferibili al B.P. prodotti dalla difesa - diffusamente vagliati nella sentenza impugnata - prima dell'aggiornamento del 2015 non vi fosse stata un'adeguata valutazione dei vari rischi presenti nel reparto FOS 1, con conseguente imposizione di specifiche regole e di indicazioni riguardanti la suddetta area.
Nel DUVRI redatto nel 2013, infatti, il B.P. non aveva considerato aspetti di assoluto rilievo ai fini della sicurezza nel reparto FOS 1, non considerandone alcuni specifici rischi e predisponendo prescrizioni inadeguate a prevenire il pericolo di investimenti, senza, peraltro, provvedere alla collocazione di una cartellonistica adeguata.
Ed allora, la censura con cui il B.P. ha criticato le conclusioni cui sono pervenuti i giudici di merito, in esito all'esame delle emergenze probatorie acquisite nel corso del giudizio, si appalesano come volte ad ottenere solo una rivalutazione del materiale probatorio raccolto, il che, avuto riguardo alla coerenza ed alla logicità della motivazione espressa, fa ritenere la stessa certamente non fondata.
Il ricorrente, cioè, ha di fatto prospettato una non consentita lettura alternativa della valutazione operata in sede di merito, il cui esame è, tuttavia, precluso a questo giudice di legittimità, che non può procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e ad un'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (cfr., fra i molteplici arresti in tal senso: Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021, F., Rv. 280601-01; Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Musso, Rv. 265482-01; Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006, De Vita, Rv. 235507-01).
E' noto, in proposito, come il principio dell"'oltre ogni ragionevole dubbio" non possa essere utilizzato, nel giudizio di legittimità, per valorizzare e rendere decisiva la duplicità di ricostruzioni alternative del medesimo fatto emerse in sede di merito su segnalazione della difesa, se tale duplicità sia stata oggetto di puntuale e motivata disamina - come invero accaduto nel caso di specie - da parte del giudice di appello (così, tra le altre, Sez. 1, n. 53512 del 11/07/2014, Gurgone, Rv. 261600-01).

3. Il Collegio ritiene, poi, infondata la doglianza, comune a tutti i ricorrenti (terzo motivo di ricorso di B.P. e primo motivo sia di C.F. che di F.F.), con cui è stata eccepita la riferibilità eziologica del decesso del L.M. in via esclusiva alla sua condotta, in quanto da questi consapevolmente e volontariamente posta in essere con modalità del tutto imprevedibile ed immotivata, nonché eccentrica rispetto alle mansioni lavorative svolte, così da interrompere ogni nesso di causa tra le condotte imputabili ai ricorrenti e la verificazione dell'evento mortale.
La Corte di merito ha, infatti, escluso che la condotta colposa della vittima potesse avere inciso quale causa sopravvenuta sufficiente a determinare l'evento, invece limitando la quantificazione della sua partecipazione concorsuale nella misura del 20%. Il L.M., infatti, aveva certamente agito per colpa (entrando nel FOS 1 senza indossare il giubbotto e senza avvertire), ma, per come congruamente motivato dalla Corte territoriale, «all'epoca non vi erano divieti formalizzati, né sanzioni, l'ingresso attraverso i varchi interni e la circolazione nel FOS 1 non erano regolati in misura idonea», per cui l'ingresso e l'attraversamento di tale reparto, per quanto assai rischioso, non era, di fatto, impedito espressamente.
D'altro canto, la vittima era un lavoratore formalmente addetto ad un altro reparto, che tuttavia, pur non avendo il formale incarico di preposto, era solito relazionarsi con il suo datore di lavoro, muovendosi liberamente per il capannone.
Alla stregua delle indicate precisazioni, allora, la sentenza impugnata risulta conforme ai principi resi da questa Corte di legittimità in tema di interruzione del nesso causale tra la condotta del gestore del rischio e l'evento, in ragione dell'eccentricità del rischio determinato dalla condotta del lavoratore.

E' stato osservato, infatti, che il datore di lavoro, destinatario delle norme antinfortunistiche, è esonerato da responsabilità solo quando, diversamente dal caso di specie, la condotta del dipendente sia abnorme, dovendosi definire tale il comportamento imprudente del lavoratore che sia stato posto in essere da quest'ultimo del tutto autonomamente e in un ambito estraneo alle mansioni affidategli - e, pertanto, al di fuori di ogni prevedibilità per il datore di lavoro - o rientri nelle mansioni che gli sono proprie ma sia consistito in qualcosa radicalmente, ontologicamente; lontano dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nella esecuzione del lavoro (così, tra le tante, Sez. 4, n. 40164 del 03/06/2004, Giustiniani, Rv. 229564-01).
La più recente interpretazione resa da questa Corte di legittimità ha, quindi, ricondotto, superando il requisito della radicale imprevedibilità, il concetto di abnormità della condotta colposa del lavoratore (interruttiva del nesso causale) a quella che sia tale da attivare un rischio eccentrico o esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia (così, tra le altre, Sez. 4, n. 33976 del 17/03/2021, Viga, Rv. 281748-01). In tema di infortuni sul lavoro, cioè, la condotta abnorme del lavoratore, idonea ad escludere il nesso causale, non è solo quella che esorbita dalle mansioni affidate al lavoratore, ma anche quella che, nell'ambito delle stesse, attiva un rischio eccentrico od esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia (Sez. 4, n. 5007 del 28/11/2018, dep. 2019, Musso, Rv. 275017-01).
E' stato, infine, chiarito che qualora l'evento sia riconducibile alla violazione di una molteplicità di disposizioni in materia di prevenzione e sicurezza del lavoro, il comportamento del lavoratore che abbia disapplicato elementari norme di sicurezza non può considerarsi eccentrico o esorbitante dall'area di rischio propria del titolare della posizione di garanzia in quanto l'inesistenza di qualsiasi forma di tutela determina un ampliamento della stessa sfera di rischio fino a ricomprendervi atti il cui prodursi dipende dall'inerzia del datore di lavoro (Sez . 4, n. 15174 del 13/12/2017, dep. 2018, Spina, Rv. 273247-01).

4. Non può neppure essere accolta la censura, comune a tutti i ricorrenti (quarto motivo di ricorso del B.P. e secondo motivo sia del C.F. che del F.F.), relativa alla carenza di espletamento di un adeguato giudizio controfattuale.
La Corte di merito avrebbe omesso di valutare, cioè, se le prescrizioni adottate dalla società committente a seguito del decesso del L.M. sarebbero state sufficienti ad evitare la verificazione del letale evento, altresì considerato che la vittima, quale preposto di fatto, avrebbe comunque avuto la disponibilità della chiave di accesso al reparto FOS 1.
Trattasi, invero, di doglianza che non tiene in adeguato conto il giudizio invece reso dalla Corte territoriale che, con motivazione del tutto logica e congrua, ha espressamente osservato come le nuove misure approvate dallo SPRESAL, in esito alla verificazione del sinistro, risultassero «effettivamente in grado di evitare il rischio da investimento», altresì ritenuto il convincimento, proprio dei giudici di secondo grado, in ordine alla «concreta efficacia preventiva del generale divieto di ingresso, del segnale luminoso all'apertura con la chiave consegnata al soggetto investito del controllo sui lavoratori». La previsione dell'obbligo di utilizzo di ricetrasmittenti, con adozione di sanzioni in caso di relativa inosservanza, ha, poi, indotto i giudici di merito a presumere che il L.M. non «sarebbe entrato nel FOS 1 senza preavvertire T. per il concreto rischio di essere sanzionato».

5. Del tutto priva di pregio è, poi, la doglianza con cui il B.P. (quinto motivo di ricorso) ha eccepito l'illogicità della pena in concreto inflittagli, in quanto applicata in misura superiore rispetto a quella degli altri coimputati pur non ricoprendo più, all'epoca dei fatti, il ruolo di direttore generale della ARAL S.p.a.
Trattasi, invero, di motivo generico e aspecifico, che non si confronta adeguatamente con le valutazioni rese in sentenza dalla Corte di merito, che ha congruamente esplicato come l'entità dell'indicata sanzione, comunque non lontana dai minimi edittali, risulti adeguata rispetto alla configurata responsabilità dell'imputato, «considerato sia che B.P. era il soggetto che doveva garantire la sicurezza quando è stato redatto il DUVRI nel maggio 2013 sia la gravità del fatto, anche per l'età della vittima (L.M. era nato il 29.12.1967) sia della durata della condotta omissiva (dalla conclusione dell'appalto all' l. 9.2014 ».
Si tratta, pertanto, di una motivazione che, in quanto immune da vizi logici e coerente con il dictum della sentenza, non può in questa sede essere censurata.
Né di alcun rilievo è la lamentata sussistenza di una disparità di trattamento con la sanzione imposta agli altri coimputati, assumendo, in proposito, valenza troncante il principio, reiteratamente affermato da parte di questa Corte di legittimità, per cui, in tema di ricorso per cassazione, non può essere considerato come indice di vizio di motivazione il diverso trattamento sanzionatorio riservato nel medesimo procedimento ai coimputati, anche se correi, salvo che il giudizio di merito sul diverso trattamento del caso, che si prospetta come identico, sia sostenuto da asserzioni irragionevoli o paradossali (così, espressamente, Sez. 3, n. 27115 del 19/02/2015, La Penna, Rv. 264020- 01; Sez. 6, n. 21838 del 23/05/2012, Giovane, Rv. 252880-01) - come, invero, non è dato ravvisare nel caso di specie -.

6. Non fondata, infine, è pure la doglianza con cui il F.F. ha lamentato mancanza di motivazione in ordine all'avanzata richiesta di conversione della pena detentiva in sanzione amministrativa, ai sensi degli artt. 53 e ss. l. n. 689 del 1981 (terzo motivo di ricorso).
Rileva, infatti, il Collegio come l'indicato aspetto sia stato, pur implicitamente, vagliato dai giudici di secondo grado, solo limitatisi ad affermare, in modo espresso, l'inopportunità della sostituzione della pena detentiva con la libertà controllata, in quanto unica sanzione sostitutiva nella specie concretamente applicabile all'istante.

7. Tutti i ricorsi devono, in conclusione, essere rigettati, con conseguente condanna dei ricorrenti, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese processuali.

 

P.Q.M.
 



Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Così deciso in Roma il 28 settembre 2022