Cassazione Civile, Sez. Lav., 17 gennaio 2023, n. 1265 - Aggressione a mano armata nel parcheggio della banca e domanda di risarcimento. Rigetto


 

Presidente: ESPOSITO LUCIA
Relatore: MICHELINI GUALTIERO
Data pubblicazione: 17/01/2023
 

Rilevato che

1. la Corte d’Appello di Napoli, per quanto ancora qui rileva, ha confermato la sentenza del locale Tribunale di rigetto delle domande proposte da E.P. contro Intesa Sanpaolo S.p.A., Banco di Napoli S.p.A., Assicurazioni Generali S.p.A., volte al risarcimento degli ulteriori danni biologico, esistenziale e morale differenziali, a seguito dell'aggressione a mano armata subita nel luogo di lavoro il 20/9/2005, in relazione alla quale gli era stata riconosciuta rendita INAIL e corrisposta somma a titolo di risarcimento dei danni dalla compagnia assicuratrice, nonché di danno professionale da dequalificazione;
2. la Corte di merito, ricordato che i fatti erano collegati ad un diverbio dapprima verbale tra l'odierno ricorrente ed altro dipendente della banca (C.P.), seguito dopo 6 giorni dall’aggressione da parte di quest'ultimo con 5 colpi di arma da fuoco nei confronti del primo, nel parcheggio autovetture, per il quale l'aggressore veniva condannato alla pena di anni 6 e mesi 6 di reclusione, ha ritenuto tale aggressione non costituente un rischio tipico connesso allo svolgimento dell'attività lavorativa, avulsa dalle incombenze assegnate dalla banca ad entrambi i dipendenti (il ricorrente era analista informatico, l'aggressore commesso); che ciò non consentiva di individuare in capo all'azienda una responsabilità per violazione dell'obbligo di sicurezza di cui all'art. 2087 c.c., essendo l’aggressione riferibile all'esclusiva volontà dolosa dell'aggressore; che la prospettazione di una responsabilità della banca nel caso in esame risultava di natura oggettiva, essendo esclusa una specifica nocività dell'ambiente di lavoro in nesso causale con le lesioni subite; che la mancata adozione di provvedimenti sanzionatori di trasferimento nei confronti dell'aggressore (il quale aveva minacciato l'odierno ricorrente, che ciò aveva denunciato ai propri superiori ma non all’autorità di pubblica sicurezza) non integrava profili di responsabilità datoriali, perché la banca non ha poteri di P.S. e, pur non avendo adottato provvedimenti disciplinari immediati, non era comunque rimasta inerte; ha altresì ritenuto il difetto di allegazione e prova circa l'effettivo danno professionale lamentato, tenuto conto delle modifiche organizzative intervenute nel periodo tra i ricoveri subiti dal ricorrente per l'aggressione a mano armata ed il suo rientro al lavoro; ha confermato il sostanziale difetto di legittimazione passiva di Banco di Napoli (all’epoca dei fatti il ricorrente era dipendente di San Paolo IMI S.p.A.);
3. E.P. propone ricorso per cassazione affidato a 2 motivi, illustrati da successiva memoria; resistono con controricorso Intesa Sanpaolo e Banco di Napoli, illustrati da successiva memoria, nella quale, tra l'altro, si comunica che la prima società ha incorporato la seconda nelle more della presente fase di giudizio;

Considerato che

1. preliminarmente va disattesa l’eccezione di inammissibilità per difetto di procura nella copia notificata, in quanto la procura ex artt. 83, comma 3, e 365 c.p.c., se incorporata nell'atto di impugnazione, si presume rilasciata anteriormente alla notifica dell'atto che la contiene, sicché non rileva, ai fini della verifica della sussistenza della procura, la sua mancata riproduzione o segnalazione nella copia notificata, essendo sufficiente, per l'ammissibilità del ricorso per cassazione, la sua presenza nell'originale, come nel caso di specie (Cass. S.U. n 35466/2021);
2. con il primo motivo, parte ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2087 c.c., assumendo la responsabilità contrattuale del datore di lavoro per aver omesso di intervenire per impedire l'evento dannoso, conoscendo l'indole violenta dell'aggressore;
3. il motivo non è fondato: parte ricorrente prospetta in capo al datore di lavoro l’esercizio di poteri di prevenzione sulla persona eventualmente esercitabili (entro limiti di legge definiti) dalle autorità di polizia o sanitarie, non collegati all'attività lavorativa ed alla salubrità dell'ambiente di lavoro (queste sì ricadenti nella sfera di controllo e di responsabilità datoriale, diversamente da quanto avvenuto nel caso concreto);
4. in proposito, la sentenza impugnata ha condivisibilmente richiamato i principi espressi in materia da questa Corte, secondo cui, in relazione alla responsabilità del datore di lavoro per violazione degli obblighi di sicurezza, ex art. 2087 c.c., l'onere probatorio a carico del lavoratore non è limitato alla prova dell'evento lesivo, ma comprende anche la prova del nesso causale tra tale evento e l'attività svolta;
5. questa Corte, di recente (Cass. n. 29909/2021), ha ribadito che il contenuto dell'obbligo di sicurezza, previsto dall'art. 2087 c.c., non determina una responsabilità oggettiva a carico del datore di lavoro, essendo necessario che la sua condotta, commissiva od omissiva, sia sorretta da un elemento soggettivo, almeno colposo, quale il difetto di diligenza nella predisposizione di misure idonee a prevenire ragioni di danno per il lavoratore; ne consegue che sono a carico del lavoratore, quale creditore dell'obbligo di sicurezza, gli oneri di allegazione circa la fonte da cui scaturisce siffatto obbligo, del termine di scadenza e dell'inadempimento, ferma la modulazione delle misure di prevenzione adottabili in relazione alle concrete circostanze e alla complessità o peculiarità della situazione che ha determinato l'esposizione al pericolo (cfr. anche Cass. n. 28516/2019);
6. nel caso in esame, la ricostruzione in fatto operata dai giudici di merito ha portato (con motivazione congrua e logica) ad escludere la configurabilità in concreto di elementi di nocività dell'ambiente lavorativo e di concreti fattori di rischio in relazione alla condotta criminosa dell’aggressore, e quindi di nesso eziologico tra la (non accertata) violazione degli obblighi di prevenzione ed i danni subiti dall’odierno ricorrente (vittima di gravissimo reato, ma costituente condotta esterna ai poteri di controllo o di prevenzione del datore di lavoro);
7. con il secondo motivo, parte ricorrente denuncia violazione dell’art. 2103 c.c., sostenendo che il danno da dequalificazione o demansionamento può essere provato in via presuntiva e di avere ampiamente dedotto negli atti del giudizio in proposito;
8. il motivo è inammissibile sotto due profili;
9. da un lato, esso non si confronta con la ratio decidendi della decisione impugnata, che non ha escluso l'ammissibilità di prove per presunzioni in materia, ma ha rilevato nel caso concreto la mancanza di allegazioni circa l'effettivo danno professionale subito, giudicando quelle contenute nell'atto introduttivo generiche e sganciate dalla posizione individuale dell'attore (pertanto inidonee a radicare un percorso probatorio, anche di natura presuntiva);
10. d’altro lato, il motivo risulta carente sotto il profilo della specificità; invero, in tema di ricorso per cassazione, l'onere di specificità dei motivi, sancito dall'art. 366, comma 1, n. 4), c.p.c., impone al ricorrente che denunci il vizio di cui all'art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., a pena d'inammissibilità della censura, di indicare le norme di legge di cui intende lamentare la violazione, di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che è tenuto espressamente a richiamare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo, non potendosi demandare alla Corte il compito di individuare - con una ricerca esplorativa ufficiosa, che trascende le sue funzioni - la norma violata o i punti della sentenza che si pongono in contrasto con essa (Cass. S.U. n. 23745/2020 e successive conformi);
11. le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la regola della soccombenza nei confronti di parte controricorrente (divenuta unica) costituita;
12. al rigetto dell’impugnazione consegue il raddoppio del contributo unificato, ove dovuto nella ricorrenza dei presupposti processuali;

 

P.Q.M.
 


La Corte respinge il ricorso.
Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio, che liquida in € 6.000 per compensi, € 200 per esborsi, spese generali al 15%, accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso nella Adunanza camerale del 26 ottobre 2022.