Cassazione Civile, Sez. Lav., 01 febbraio 2023, n. 2991 - Caduta dalla scala. Non è configurabile una responsabilità del committente in re ipsa 


 

 

La responsabilità per la violazione dell'obbligo di adottare le misure necessarie a tutelare l'integrità fisica dei prestatori di lavoro si estende al committente solo ove lo stesso si sia reso garante della vigilanza relativa alla misura da adottare in concreto e si sia riservato i poteri tecnico-organizzativi dell'opera da eseguire (cfr. in tal senso, Cass. 22 marzo 2002, n. 4129, id. 28 ottobre 2009, n. 22818; 7 marzo 2012 n. 3563; 8 ottobre 2012, n. 17092 e 11/07/2013 n.17178). Non è configurabile una responsabilità del committente in re ipsa e cioè per il solo fatto di aver affidato in appalto determinati lavori ovvero un servizio. È pur vero che è espressamente prevista dalla normativa di settore (prima, il d.lgs. n. 626 del 1994, art. 7; ora, trasfuso sostanzialmente nel d.lgs. n. 81 del 2008, art. 26) tutta una serie di obblighi a carico del committente connessi ai contratti di appalto o d'opera o di somministrazione. Con riferimento ai lavori svolti in esecuzione di un contratto di appalto o di prestazione d'opera, pertanto, il dovere di sicurezza è riferibile, oltre che al datore di lavoro (di regola l'appaltatore, destinatario delle disposizioni antinfortunistiche), anche al committente, con conseguente possibilità, in caso di infortunio, di intrecci di responsabilità, coinvolgenti anche il committente medesimo. Tuttavia, va esclusa una applicazione automatica di tale principio, non potendo esigersi dal committente un controllo pressante, continuo e capillare sull'organizzazione e sull'andamento dei lavori. Orbene, nel caso in esame, la Corte di merito per escludere la responsabilità del committente ha verificato che, in concreto, non vi era stata alcuna incidenza della condotta del committente nell'eziologia dell'evento; ha tenuto conto delle capacità organizzative della ditta scelta per l'esecuzione dei lavori; ha considerato, in tale prospettiva la specificità dei lavori da eseguire e le caratteristiche del servizio da svolgersi; i criteri seguiti dal committente per la scelta dell'appaltatore, soggetto del quale ha verificato l'adeguatezza con riguardo all'attività commissionata ed alle concrete modalità di espletamento della stessa; ha tenuto conto dell' esistenza o meno di un'ingerenza del committente nell'esecuzione dei lavori oggetto dell'appalto (che ha escluso) e della agevole ed immediata percepibilità da parte del committente di eventuali situazioni di pericolo. In conclusione, la censura è infondata.


 

Presidente: ESPOSITO LUCIA
Relatore: GARRI FABRIZIA Data pubblicazione: 01/02/2023
 

 

Rilevato che


1. Il Tribunale di Milano decidendo sul ricorso proposto da J.M. condannò l'Architetto A.P., la Dami s.r.l. e F.T., direttore dei lavori e responsabile della sicurezza, in solido tra loro, a risarcire il danno, per la parte eccedente l'indennità corrisposta al lavoratore dall'Inail, conseguente all'infortunio sul lavoro occorso al J.M. mentre stava eseguendo dei lavori presso un capannone di proprietà della Dami s.r.l..
2. La Corte di appello di Milano, investita del gravame principale da parte di A.P. e di quelli incidentali di F.T. e di J.M., dichiarava inammissibile il ricorso principale e, in accoglimento di quello incidentale della DAMI s.r.l., dichiarava l'esclusiva responsabilità dell'architetto A. P. ed escludeva ogni corresponsabilità del J.M..
3. Condannava perciò A. P. a pagare al lavoratore infortunato la somma di € 94.476,00 per danno differenziale, da invalidità temporanea, danno da riduzione della capacità lavorativa specifica e danno patrimoniale, oltre agli interessi ed alla rivalutazione monetaria dalla sentenza al saldo. Rigettava invece la domanda nei confronti di DAMI s.r.l. e, conseguentemente, quella di DAMI s.r.l. nei confronti di F.T..
4. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso A. P. affidato a otto motivi. Sia J.M. che la DAMI s.r.l. hanno resistito con controricorso. Il ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell'art. 380 bis 1 c.p.c..
 

Considerato che


5. I motivi di ricorso.
5.1. Con il primo motivo di ricorso è denunciata la falsa applicazione di norme per avere la Corte erroneamente ritenuto inammissibile l'appello principale proposto dal P.. Il ricorrente deduce che la sentenza sarebbe affetta da nullità atteso che non avrebbe considerato che le censure formulate con l'appello erano specifiche; che nulla di più poteva dire il ricorrente che aveva denunciato proprio un difetto di adempimenti e di pronuncia sulle eccezioni formulate. Pertanto, la Corte di merito era chiamata proprio a pronunciare su tali eccezioni tenuto conto anche del fatto che lo stesso giudice di appello aveva dato atto che il Tribunale nulla aveva detto sulle questioni dedotte. Chiede in definitiva a questa Corte di dichiarare nulla la declaratoria di inammissibilità dell'appello.
5.2. Con il secondo motivo di ricorso si deduce che la "filtrabilità" dell'impugnazione deve essere decisa in prima udienza. Rilava che, invece, la Corte aveva disposto la riunione degli appelli ed aveva dato corso al normale svolgimento del processo, ammettendo anche la prova testimoniale articolata dall'appellante P.. Contraddittoriamente, perciò, aveva poi dichiarato inammissibile il ricorso.
5.3. Con il terzo motivo di ricorso si denuncia l'omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio ai sensi dell'art. 360 primo comma n. 5 c.p.c.. Il ricorrente deduce che sin dal primo grado era stato eccepito che la domanda del J.M. non era determinata poiché non era stato indicato contro chi si agiva ed a quale titolo era stata imputata ad altri la responsabilità dell'accaduto che, invece, era riconducibile solo al J.M. il quale aveva dichiarato di aver messo un piede in fallo. Osserva il ricorrente che nel giudizio non era stato chiarito perché la scala da cui era caduto il lavoratore fosse inidonea all'uso che ne doveva essere fatto. Inoltre, non era stata fornita la prova della proprietà della scala stessa (che verosimilmente apparteneva al cantiere). Infine rammenta che il lavoratore aveva sottoscritto una quietanza liberatoria nei confronti dell'INAIL e dunque non poteva far valere il risarcimento INAIL e poi negarne la responsabilità.
5.4. Con il quarto motivo il ricorrente deduce che la sentenza, nell'escludere la responsabilità della DAMI s.r.l. sul rilievo che non era stato nominato un responsabile della sicurezza, sarebbe incorsa nell' erronea interpretazione dell'art. 93 del d.lgs. n. 81 del 2008 che esonera il committente dalla responsabilità solo nel caso in cui abbia proceduto alla sua nomina estraniandosi così completamente dal cantiere.
5.5. Il quinto motivo di ricorso denuncia ancora un omesso esame di fatto decisivo, ai sensi dell'art. 360 primo comma n. 5 c.p.c., per avere la Corte di merito omesso di pronunciare su parte delle eccezioni formulate in primo e secondo grado. Nello specifico non avrebbe valutato la condotta processuale tenuta dal J.M. che nel corso del giudizio aveva cambiato difensore ogni volta che veniva raggiunto un accordo su una proposta transattiva. Ad ogni udienza in appello aveva introdotto una domanda nuova e diversa chiedendo addirittura di assumere a teste un soggetto, J.M., omonimo del lavoratore, che nulla aveva a che vedere con la controversia (non era presente in cantiere e non risultava da alcun atto). Inoltre, il giudice di appello avrebbe trascurato di valutare le ammissioni del lavoratore. Questi, infatti, aveva dichiarato di aver utilizzato la scala da cui poi era caduto per propria scelta e con un'operazione maldestra. Infine, la Corte territoriale non avrebbe considerato che la DAMI non solo era committente ma era essa stessa l'assegnataria che aveva poi frazionato l'appalto tra varie ditte coordinandole.
5.6. Con il sesto motivo è denunciato l'omesso esame di un fatto decisivo ai sensi dell'art. 360 primo comma n. 5 c.p.c. per avere la Corte omesso di pronunciare sull'eccezione formulata di mancata prova della titolarità della scala dalla quale il J.M. affermava di essere caduto. Sostiene il ricorrente che in un cantiere nel quale gravitavano cinque differenti imprese, e nella situazione di lavoro del J.M., l'impresa facente capo al A.P. non aveva alcuna utilità a fornire la scala che era invece presente in cantiere ma non ne era stata accertata la proprietà. Inoltre, lo stesso J.M. aveva ammesso di essere caduto a seguito di un suo maldestro uso della stessa. La Corte, perciò, avrebbe dovuto affermare la responsabilità della DAMI per la presenza della scala o dello stesso J.M. per il suo uso inadeguato fatti entrambi imprevedibili da parte del A.P..
5.7. Il settimo motivo ha ad oggetto la nullità della sentenza e si deduce che in appello, per effetto di una serie di rinvii dell'udienza dovuti alla necessità di riunire i ricorsi ed all'espletamento dell'istruttoria all'esito della quale mutava anche la composizione del Collegio, si era determinata una perdita di memoria dei fatti avvenuti nel corso del giudizio, ivi compresi i tentativi di conciliazione della controversia solo sinteticamente verbalizzati. Conseguentemente il P., unico ad aver offerto e corrisposto al J.M. delle somme, è stato il solo ad essere condannato al pagamento delle spese essendo state compensate tutte le altre posizioni ed è stato del pari accolto un inesistente appello incidentale già qualificato dal Collegio di appello come mera memoria di costituzione .

5.8. Da ultimo il ricorrente sostiene che nel merito permarrebbero dubbi sulla dinamica dei fatti e sottolinea che lo stesso lavoratore, nell'avviare il giudizio, aveva dimostrato di non aver chiaro chi fosse il suo datore di lavoro ed in via esplorativa aveva convenuto in giudizio oltre all'architetto P. anche B. P. e la DAMI s.r.l., trascurando di considerare che comunque l'INAIL gli aveva corrisposto l'intero risarcimento. Sottolinea poi che il J.M. pur avendo dichiarato di non poter più lavorare a causa delle lesioni riportate, poi, non era stato ammesso al patrocinio a spese dello Stato essendo risultato provato che era stato assunto con una buona remunerazione.
6. Preliminarmente va rilevato che la DAMI s.r.l. ha notificato il suo controricorso all'Avvocato Telesio Perfetti che tuttavia non risulta essere incaricato della difesa dell'odierno ricorrente. Conseguentemente il controricorso deve essere dichiarato inammissibile non essendo stato ritualmente notificato nei termini al ricorrente.
7. Tanto premesso il ricorso, pur ammissibile, non può essere accolto per le ragioni che di seguito si espongono.
7.1. Quanto alla procura conferita per il ricorso per cassazione questa risulta allegata all'atto depositato nel fascicolo d'ufficio, è ad esso spillata, ed è chiaramente riferibile al giudizio per il quale il ricorso per cassazione è stato proposto.
7.2. Il primo motivo di ricorso è inammissibile non essendo specificato nell'ambito dell'intera censura quali siano le norme di legge che si pretendono violate. Peraltro, la censura non prospetta affatto, come invece sarebbe stato corretto, un error in procedendo della Corte territoriale - censura che avrebbe eventualmente autorizzato il Collegio ad un esame diretto degli atti (cfr. Cass. 21/04/2016 n. 8069, 13/08/2018 n. 20716) - ma piuttosto sembra reiterare, per sintesi, il contenuto delle censure di cui non riporta il contenuto. Neppure, poi, è riportato, per le parti che rilevano, il contenuto della sentenza di primo grado sicché non è possibile comprendere se e in che termini le censure articolate fossero effettivamente idonee a censurare la decisione. Al riguardo va rammentato in primo luogo che la deduzione della questione dell'inammissibilità dell'appello, a norma dell'art. 342 e 434 c.p.c. integra un "error in procedendo", che deve essere denunciato con riguardo all'art. 360 primo comma n. 4 c.p.c.. Solo ove la censura sia sufficientemente specifica, nel rispetto degli artt. 366 n. 6 e 369 n. 4 c.p.c., la Corte è legittimata all'esercizio del potere di esaminare direttamente gli atti del giudizio di merito. Si tratta di un onere di specificazione che, come è noto, deve essere modulato, in conformità alle indicazioni della sentenza CEDU del 28 ottobre 2021 (causa Succi ed altri e/Italia), secondo criteri di sinteticità e chiarezza, realizzati dalla trascrizione essenziale degli atti per la parte d'interesse (e nello specifico pertanto i motivi di ricorso in appello e la sentenza del Tribunale), in modo da contemperare il fine legittimo di semplificare l'attività del giudice di legittimità e garantire al tempo stesso la certezza del diritto e la corretta amministrazione della giustizia, salvaguardando la funzione nomofilattica della Corte ed il diritto di accesso della parte ad un organo giudiziario in misura tale da non inciderne la stessa sostanza ( cfr. Cass. 04/02/2022 n. 3612). In tali limiti, perciò, il ricorrente non è dispensato dall'onere di specificare il contenuto della critica mossa alla sentenza impugnata e deve indicare con puntualità i fatti processuali alla base dell'errore denunciato. Tale specificazione deve essere contenuta, a pena d' inammissibilità, nello stesso ricorso per cassazione. Pertanto, ove il ricorrente censuri la statuizione di inammissibilità conseguente al ritenuto difetto di specificità dell'appello, ha l'onere di precisare, nel ricorso non solo le ragioni per cui ritiene erronea tale statuizione e sufficientemente specifico, invece, il gravame sottoposto al giudice d' appello, ma deve riportare il contenuto dell'atto e della sentenza che intendeva impugnare nella misura necessaria ad evidenziarne la pretesa specificità (cfr. anche Cass. 05/08/2019 n. 20924). Peraltro, la Corte territoriale ha fatto applicazione di principi oramai consolidatisi misurando la sua decisione con i parametri generali indicati da questa Corte per accertare la ammissibilità dei motivi di gravame (successivamente alla sentenza di questa Corte citata dalla Corte di appello, la n. 2143 del 2015, sono intervenute nello stesso senso le sezioni unite con la sentenza 16/11/2017 n. 27199).
7.3. Il secondo motivo è infondato, non essendo ravvisabile alcuna decadenza. Il giudice di secondo grado, davanti al quale pendevano più appelli proposti avverso la stessa sentenza, li ha correttamente riuniti, ha dato corso all'istruttoria necessaria ad accertare le responsabilità per i danni conseguenti all'infortunio occorso al J.M. ed eccedenti l'indennizzo liquidato dall'INAIL, dando sfogo anche alle difese dello stesso P. negli altri giudizi in cui si era costituito, e, all'esito, ha pronunciato unitariamente su tutte le questioni che erano state poste ivi compresa l'ammissibilità del gravame proposto dal P..
7.4. Il terzo motivo è inammissibile poiché, in contrasto con quanto disposto dall'art. 360 primo comma n. 5 c.p.c. nel suo testo novellato e applicabile alla fattispecie, il ricorrente lungi dall'indicare il fatto decisivo pretermesso propone una diversa lettura dei fatti allegati e tutti presi in esame dal giudice di appello.
7.5. Il quarto motivo di ricorso, che denuncia una violazione nell'interpretazione dell'art. 93 del d.lgs. n. 81 del 2008, non può essere accolto. La Corte territoriale ha accertato in fatto che la DAMI s.r.l., società committente dei lavori, non aveva nominato per il cantiere un suo responsabile della sicurezza. Ha sottolineato che l'Architetto F.T. rivestiva la diversa qualifica di coordinatore per la sicurezza nei cantieri di cui all'art. 98 del d.lgs. n. 81 del 2008. Conseguentemente ha ritenuto che per quello specifico cantiere la committente non si era in alcun modo ingerita nelle scelte di sicurezza che erano rimaste affidate all'appaltatore, la AG s.r.l. la quale a sua volta aveva subappaltato alcune attività a terzi, l'architetto P. appunto, senza che la committente ne fosse stata resa edotta. Alla luce di tali accertamenti di fatto, in questa sede non riesaminabili, la decisione della Corte di merito risulta conforme all'insegnamento di questa Corte che ha affermato che la responsabilità per la violazione dell'obbligo di adottare le misure necessarie a tutelare l'integrità fisica dei prestatori di lavoro si estende al committente solo ove lo stesso si sia reso garante della vigilanza relativa alla misura da adottare in concreto e si sia riservato i poteri tecnico-organizzativi dell'opera da eseguire (cfr. in tal senso, Cass. 22 marzo 2002, n. 4129, id. 28 ottobre 2009, n. 22818; 7 marzo 2012 n. 3563; 8 ottobre 2012, n. 17092 e 11/07/2013 n.17178). Non è configurabile una responsabilità del committente in re ipsa e cioè per il solo fatto di aver affidato in appalto determinati lavori ovvero un servizio. È pur vero che è espressamente prevista dalla normativa di settore (prima, il d.lgs. n. 626 del 1994, art. 7; ora, trasfuso sostanzialmente nel d.lgs. n. 81 del 2008, art. 26) tutta una serie di obblighi a carico del committente connessi ai contratti di appalto o d'opera o di somministrazione. Con riferimento ai lavori svolti in esecuzione di un contratto di appalto o di prestazione d'opera, pertanto, il dovere di sicurezza è riferibile, oltre che al datore di lavoro (di regola l'appaltatore, destinatario delle disposizioni antinfortunistiche), anche al committente, con conseguente possibilità, in caso di infortunio, di intrecci di responsabilità, coinvolgenti anche il committente medesimo. Tuttavia, va esclusa una applicazione automatica di tale principio, non potendo esigersi dal committente un controllo pressante, continuo e capillare sull'organizzazione e sull'andamento dei lavori. Orbene, nel caso in esame, la Corte di merito per escludere la responsabilità del committente ha verificato che, in concreto, non vi era stata alcuna incidenza della condotta del committente nell'eziologia dell'evento; ha tenuto conto delle capacità organizzative della ditta scelta per l'esecuzione dei lavori; ha considerato, in tale prospettiva la specificità dei lavori da eseguire e le caratteristiche del servizio da svolgersi; i criteri seguiti dal committente per la scelta dell'appaltatore, soggetto del quale ha verificato l'adeguatezza con riguardo all'attività commissionata ed alle concrete modalità di espletamento della stessa; ha tenuto conto dell' esistenza o meno di un'ingerenza del committente nell'esecuzione dei lavori oggetto dell'appalto (che ha escluso) e della agevole ed immediata percepibilità da parte del committente di eventuali situazioni di pericolo. In conclusione, la censura è infondata.
7.6. Il quinto ed il sesto motivo sono inammissibili poiché pretendono un diverso esame delle emergenze istruttorie e comunque non si confrontano con il nuovo testo dell'art. 360 primo comma n. 5 c.p.c. che come è noto introduce nell'ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all'omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Pertanto, in ossequio agli oneri di specifica allegazione imposti dagli artt. 366 primo comma n. 6 e 369 secondo comma n. 4, cod. proc. civ., il ricorrente de:ve , e nello specifico non lo ha fatto, indicare il "fatto storico" il cui esame sia stato omesso, il "dato" testuale o extratestuale da cui esso risulti esistente, il "come" e il "quando" tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e precisarne la sua "decisività". Resta fermo poi che l'omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (cfr. Cass. 07/04/2014 n. 8053 per tutte).
7.7. Il settimo motivo è infondato. Con esso si denuncia una nullità che si collega alla dispersione di conoscenza dovuta, asseritamente, ai rinvii che si sono resi necessari per procedere alla riunione dei giudizi prima, all'istruttoria testimoniale poi oltre che alla circostanza che, nel mentre, la composizione del collegio giudicante era cambiata. La censura non si confronta però con il fatto che le nullità processuali sono solo quelle che la legge espressamente prevede e nella specie non è neppure indicata quale sia la norma che si assume essere stata violata.
7.8. Anche l'ultimo motivo di ricorso non può essere accolto. Con esso si pretende da questa Corte una attiene nuova valutazione del merito, diversa e più favorevole rispetto a quella già effettuata operata dal giudice di appello e si prospetta una diversa ricostruzione dei fatti che, come è noto, in questa sede non è consentita.
8. In conclusione il ricorso deve essere rigettato e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese nei confronti del solo controricorrente J.M. atteso che, come sopra accertato, il controricorso della DAMI s.r.l. non è stato correttamente notificato ed è perciò inammissibile. Ai sensi dell'art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell'art.13 comma 1 bis del citato d.P.R., se dovuto.

 

P.Q.M.


La Corte rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio in favore di J.M. che liquida in€ 5.000,00 per compensi professionali,€ 200,00 per esborsi, 15% per spese forfetarie oltre agli accessori dovuti per legge.
Ai sensi dell'art. 13 comma 1 quater del d.P. R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente pell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell'art.13 comma 1 bis del citato d.P.R., se dovuto.
Così deciso nella Adunanza camerale del 26 ottobre 2022