Categoria: Giurisprudenza civile di merito
Visite: 1904

Tribunale di Roma, Sez. 1, 27 dicembre 2022, n. 9037 - Discriminazione della docente transessuale. Illegittimo il licenziamento


 

FattoDiritto


Con ricorso depositato il 20.02.2020 la ricorrente in epigrafe ha dedotto di aver sottoscritto con la società resistente un contratto di lavoro a progetto della durata di nove mesi, dal 23.09.2019 all'8.06.2020, per svolgere mansioni di docente presso la scuola paritaria ‘Istituto …' di Roma, per un compenso orario di 18 euro, parametrato all'orario delle lezioni previste secondo il calendario predisposto dall'istituto; di aver effettivamente svolto tali mansioni fino al 14.10.2019; in cui ha ricevuto una missiva di preavviso di risoluzione del rapporto, senza indicazione delle motivazioni; che il recesso è stato in realtà determinato da ragioni discriminatorie legate al suo stato di donna transessuale, come ha potuto desumere attraverso colloqui avuti con la preside e con il collega X; che la circostanza del recesso ha avuto una notevole risonanza pubblica, attraverso testate giornalistiche e trasmissioni televisive, ed ha leso l'immagine della ricorrente, stimata poetessa, laureata in Lettere e Filologia ed autrice di vari lavori editoriali, tra cui una raccolta di poesie vincitrice del ‘premio Viareggio'. Tanto premesso, ha chiesto dichiarare la nullità del recesso perché discriminatorio per ragioni di genere, e condannare la società resistente al risarcimento del danno patrimoniale, per la complessiva somma di 10.656 euro, pari ai compensi che sarebbero maturati a suo favore fino alla naturale scadenza del contratto, oltre al risarcimento del danno morale ed all'immagine in misura di 200.000 euro, o in quella somma maggiore o minore ritenuta di giustizia, oltre interessi legali e rivalutazione, e con vittoria delle spese di lite, da distrarsi. Si è costituita la società resistente contestando la domanda e chiedendone il rigetto. Quindi, interrogate liberamente le parti, espletato l'interrogatorio formale del legale rappresentante della resistente, sentiti i testi e sulla documentazione in atti, disposta la trattazione scritta ai sensi della normativa emergenziale, all'odierna udienza la causa è stata discussa e decisa come da dispositivo e contestuale motivazione.

Il ricorso è in parte fondato e deve essere accolto per quanto di ragione. Il contratto di collaborazione concluso tra le parti, decorrente dal 23.09.2019 e con termine all'8.06.2020, contempla la possibilità di recesso unilaterale da parte della società prima della scadenza, con preavviso scritto di quindici giorni, “secondo le previsioni degli articoli 1456,2237 c.c. e del CCNLP a cui le parti aderiscono”, e, dunque, sia per scelta unilaterale che per inadempimento della controparte (doc. 2 prod. ricorr.). Allo stesso modo, il CCNLP FILINS-FINSEI-CISAL Scuola, richiamato dal contratto sottoscritto dalle parti ed applicabile al rapporto di collaborazione in esame, in ordine alla risoluzione del contratto di collaborazione, prevede che: “...alla direzione è riservato il diritto di recesso, con revoca dell'incarico, senza obbligo di motivazione, mediante preavviso scritto a breve termine (quindici giorni) secondo le previsioni dell'articolo 2237 c.c. ... Le parti contraenti, inoltre, richiamano l'attenzione sulla necessità che la presenza e l'apporto del collaboratore siano garantiti non solo in relazione all'attività didattica vera e propria, ma altresì in occasione dei periodici incontri degli organi collegiali (consigli di classe e collegio dei docenti), così come per gli altri adempimenti propri di ogni docente professionista, rilevando che la mancata partecipazione a tali importanti fasi dell'attività scolastica (necessarie per il raggiungimento del programma) può configurarsi come grave inadempienza contrattuale da parte del collaboratore. b) In caso di inadempienza di una delle due parti, l'altra ha il diritto di recesso ipso iure con salvezza di ogni eventuale danno (articolo 1453 c.c., tenuto conto dell'articolo 1455 c.c.)”. Ciò posto, va rilevato come la giurisprudenza di legittimità, dopo un iniziale contrasto degli anni Ottanta, sia oramai consolidata nel ritenere che “la previsione della possibilità di recesso ad nutum del cliente nel contratto di prestazione d'opera intellettuale, quale contemplata dall'articolo 2337 c.c., comma 1, non ha carattere inderogabile e, quindi, è possibile che per particolari esigenze delle parti sia esclusa una tale facoltà di recesso fino al termine del rapporto; sicché anche l'apposizione di un termine ad un rapporto di collaborazione professionale continuativa può essere sufficiente ad integrare la deroga pattizia alla facoltà di recesso così come disciplinata dalla legge, senza che a tal fine sia necessario un patto specifico ed espresso” (Cass. 1 ottobre 2008 n. 2436, Cass. 21 dicembre 2006 n. 27293, Cass. 6 maggio 2000 n. 5738 e Cass. 8 settembre 1997 n. 8690). Ed è stato poi recentemente affermato dalla Suprema Corte che “intanto la predeterminazione di un termine di durata del contratto può integrare rinuncia da parte del cliente al recesso ove dal complessivo regolamento negoziale possa inequivocabilmente ricavarsi la volontà delle parti di vincolarsi per la durata del contratto, vietandosi reciprocamente il recesso prima della scadenza del termine finale”; sicché, in caso di previsione di un termine finale al contratto di collaborazione occorre appurare se, nel caso concreto, in relazione alle pattuizioni convenute, le parti avessero inteso unicamente stabilire la durata massima del rapporto o piuttosto avessero voluto escludere il recesso ad nutum del cliente prima di tale data (Cass. Civ., sez. lav. 7.09.2018 n. 21904; Cass. Civ., sez. lav., 7.10.2013 n, 22786).

Nel caso in esame, le parti contraenti, laddove hanno apposto un termine finale al contratto di collaborazione professionale con la professoressa V.G.C., lo hanno fatto con l'intento di collegare la durata della docenza a quella dell'anno scolastico, ma non hanno evidentemente inteso con ciò escludere, sia per la professoressa che per la società, la possibilità di recedere ad nutum dal contratto, avendo invece espressamente previsto”tale diritto di recesso anche a favore della società, e dunque la possibile revoca dell'incarico, salvo un preavviso di quindici giorni, richiamando in proposito la disciplina dell'articolo 2237 c.c., che riconosce al cliente il diritto al recesso unilaterale. D'altronde, tale possibilità di recedere unilateralmente da siffatto tipo di contratto è connaturale alla specifica tipologia del rapporto, di natura professionale, dunque incentrato sulla reciproca fiducia e sull'intuitu personae. Va tuttavia rilevato che, anche qualora un contratto preveda il diritto di recesso ad nutum in favore di una delle parti, “il giudice del merito non può esimersi dal valutare se l'esercizio di tale facoltà sia stato effettuato nel pieno rispetto delle regole di correttezza e di buonafede cui deve improntarsi il comportamento delle parti del contratto, atteso che la mancanza della buonafede in senso oggettivo, espressamente richiesta dagli articoli 1175 c.c. e 1375 c.c. nella formazione e nell'esecuzione del contratto, può rivelare un abuso del diritto, pure contrattualmente stabilito, ossia un esercizio del diritto volto a conseguire fini diversi da quelli per i quali il diritto stesso è stato conferito. Tale sindacato, da parte del giudice di merito, deve pertanto essere esercitato in chiave di contemperamento dei diritti e degli interessi delle parti in causa, in una prospettiva anche di equilibrio e di correttezza dei comportamenti economici” (Cass. Civ., sez. II, 29.05.2020 n. 10324; Cass. Civ., sez. III, 18.09.2009 n. 20106). Sicché, occorre valutare se nel caso in esame la società abbia esercitato il proprio diritto di recesso unilaterale per ragioni legate alla condizione di transessuale della ricorrente V.G.C., e dunque per motivi discriminatori che sicuramente esulano dalla ratio della norma che consente il recesso ad nutum, integrando in tal caso un abuso del diritto, o piuttosto per motivi legati a scelte prettamente professionali, perfettamente lecite. A tal fine occorre partire dall'esame del preavviso di risoluzione anticipata dal contratto di collaborazione inviato dalla società alla professoressa V.G.C. il 14 ottobre 2019, che è del seguente tenore: “Con la presente le comunichiamo che in base a quanto previsto dagli accordi collettivi e da quello individuale sottoscritto, la preavvisiamo»della risoluzione anticipata del contratto di collaborazione parasubordinata docenti in corso dal 23/09/2019 e pertanto esso cesserà definitivamente in data 14/10.2019. A fronte del periodo di quindici giorni di preavviso previsti, le verrà erogata la indennità sostitutiva corrispondente” (doc. 3 prod. ricorr.).

Va innanzitutto evidenziato come il recesso anticipato ad nutum, previsto dall'articolo 2237 c.c. a favore di colui che si avvale della collaborazione di un professionista, non richieda un obbligo di motivazione. Tuttavia, a fronte dell'anomalia costituita dal recesso ad nutum intervenuto a distanza di soli venti giorni dall'assunzione, la comprensione delle valutazioni che hanno indotto la s.r.l. a siffatta decisione si rende necessaria, per verificare se esso sia stato esercitato secondo buonafede, ed in maniera conforme alla ratio della norma. A tal fine occorre dunque necessariamente esaminare le ragioni esplicate verbalmente alla professoressa al momento della risoluzione del rapporto, ed altresì quelle dedotte nella memoria costitutiva del presente giudizio.

A tal proposito la ricorrente V.G.C. ha dichiarato, in sede di libero interrogatorio, che la dottoressa H, legale rappresentante della resistente, quando le ha comunicato il recesso, le ha detto che nei tre giorni precedenti in cui era stata assente per malattia erano venuti i genitori dei ragazzi, in massa, per lamentarsi del fatto che spiegava troppo rapidamente, che nonostante ciò era indietro con il programma, e che era troppo letterata per essere in grado di insegnare. Nella memoria di costituzione la società sostiene che la ricorrente, nei pochi giorni in cui aveva insegnato nella scuola, aveva formulato agli alunni domande imbarazzanti attinenti la sfera sessuale (“hai già perso la verginità?”), ed aveva risposto in maniera poco consona alla domanda di un ragazzo se un transessuale potesse avere figli (“mi piacerebbe ma non posso farli dal...”); afferma inoltre che la professoressa V.G.C. aveva manifestato la propria indisponibilità ad utilizzare le slides e le mappe concettuali prescritte dalla normativa a sostegno degli alunni con ‘DSA' e ‘BES', e che molti genitori si erano lamentati di ciò.

Siffatte circostanze non sono state tuttavia adeguatamente provate dalla società. Ed infatti il teste X, dipendente della società resistente e collega di lavoro della ricorrente nel periodo in cui questa ha lavorato presso l'istituto, ha riferito che nelle classi in cui insegnava la V.G.C. vi erano effettivamente ragazzi con diagnosi di ‘DSA' e di ‘BES', e che alcuni genitori si erano lamentati del fatto che questa non utilizzasse le slides. Ha altresì riferito che il problema era stato prospettato alla professoressa, che aveva risposto dicendo di non avere tempo per prepararle, e che preferiva un tipo di lezione frontale. Il teste ha poi affermato che la strategia di lavoro si definisce ad inizio settembre, e che vi è un obbligo di legge di utilizzare tali strumenti alternativi per gli studenti con diagnosi di ‘DSA' e di ‘BES', ma ha ammesso che poi occorre approvare i piani personalizzati per ciascuno studente, e che quelli per gli studenti della professoressa V.G.C. non erano ancora stati approvati nel breve periodo in cui la ricorrente aveva insegnato, e che generalmente si approvano a novembre. Quanto alla teste K, madre di un'alunna dell'Istituto, la stessa ha potuto riferire di una sola lezione tenuta dalla V.G.C., un giorno, come supplente nella classe della figlia, a seguito della quale la bambina era tornata a casa lamentandosi di non aver capito niente in quanto la professoressa non aveva utilizzato le slides. La teste ha poi affermato che la propria figlia è affetta da dislessia, ma di non averla fatta certificare presso la ‘ASL'. In ogni caso, non è stata in grado di ricordare in quale periodo si fosse verificato l'episodio.

Entrambe le suddette dichiarazioni non appaiono tuttavia significative di un'effettiva inadempienza della professoressa V.G.C. ai propri impegni didattici. Ed infatti va innanzitutto sottolineato come i fatti riferiti dal teste X si siano svolti all'inizio dell'anno scolastico, quando evidentemente i programmi di lavoro non erano stati ancora perfezionati, come ammesso dallo stesso teste. Laddove invece l'episodio riferito dalla teste K è poco significativo, riguardando solo una supplenza, e non essendo stato comunque chiarito se nella classe in questione vi fossero effettivamente alunni con certificazione di ‘DSA' o ‘BES'. Inoltre, appare quantomeno prematuro un recesso esercitato in così breve tempo, per motivazioni attinenti la scarsa capacità didattica, senza dare alla professoressa la possibilità di ambientarsi e di acquisire piena nozione dei piani didattici personalizzati da applicare ai propri alunni. Devono poi ritenersi rimasti totalmente sforniti di prova gli episodi descritti nella memoria di costituzione in ordine ad alcune domande ed espressioni poco consone, ed afferenti la sfera sessuale propria e degli alunni, utilizzate dalla V.G.C. nelle classi, durante lo svolgimento delle proprie lezioni. Nulla ha riferito in proposito il teste X, che si è dichiarato all'oscuro dei suddetti fatti, mentre sono rimaste isolate le dichiarazioni della teste K, secondo cui la figlia le avrebbe riportato “che a ricreazione alcuni compagni di scuola le avevano raccontato che la professoressa V.G.C. faceva domande molto intime, tipo se avevano perso la verginità. Ne parlai con le altre madri che pure mi dissero di aver appreso tale circostanza dai propri figli ed io mi feci portavoce presso la preside di quello che avevo ascoltato, facendo presente che mia figlia mi aveva riferito personalmente la circostanza. In quell'occasione dissi alla preside che avrei portato via mia figlia dalla scuola”.

In ogni caso, trattasi di dichiarazioni de relato, che avrebbero necessitato di una conferma diretta, o quantomeno di ulteriori riscontri.

AI contrario, il teste X, in ordine a quanto riferito in ricorso circa le reali motivazioni che avrebbero indotto la società a risolvere il rapporto con la V.G.C., ha affermato: “Ad ottobre 2019, non ricordo però il giorno esatto, ho sostenuto un colloquio di lavoro insieme ad una collega, Y, presso la scuola paritaria in materie letterarie. Ad oggi non potrei ricordare che in quella circostanza la dottoressa H ci disse di aver dovuto mandare via l'insegnante di Lettere perché transessuale. Tuttavia, poiché c'è una trascrizione di una telefonata tra me e la ricorrente, in cui risulta che io abbia riferito ciò, presumo che sia vero. Conosco di questa trascrizione in quanto mi è stata mandata dalla ricorrente circa un mese fa, prima di ricevere la citazione come teste. La ricorrente mi ha informato di questa trascrizione in un messaggio telefonico in cui mi ha anche fatto presente che mi avrebbe citato come teste”.

Il tenore di siffatta deposizione evidenzia un indubbio imbarazzo da parte del teste, peraltro preavvertito dalla ricorrente del fatto che sarebbe stato citato come teste e che vi era una trascrizione della telefonata tra loro intercorsa. Tuttavia, egli ha poi sostanzialmente ammesso il contenuto della conversazione avuta con la V.G.C., nei termini dedotti in ricorso, ossia che in occasione del colloquio da lui tenuto per essere eventualmente assunto presso l'istituto, gli era stato detto dalla dottoressa H che avevano dovuto mandare via l'insegnante di Lettere perché transessuale (“poiché c'è una trascrizione di una telefonata tra me e la ricorrente, in cui risulta che io abbia riferito ciò, presumo che sia vero”). La circostanza deve dunque ritenersi provata, non potendo affermarsi, proprio per il contesto in cui la deposizione è stata resa, che il teste sia inattendibile e che abbia voluto favorire la ricorrente, dovendo piuttosto ritenersi che egli abbia più che altro dovuto malvolentieri confermare l'accaduto a causa dell'evidenza della trascrizione, come riportata in ricorso. Il che rende, in definitiva, pienamente attendibile l'ammissione dei fatti operata dal teste X.

Sicché può ritenersi adeguatamente provato che le ragioni che hanno indotto la società resistente a risolvere il rapporto di lavoro con la V.G.C., a pochi giorni dalla sua conclusione, siano ascrivibili proprio alla sua condizione di transessuale. Né può valere a dimostrare il contrario la considerazione, contenuta nella memoria difensiva della resistente, secondo cui l'intento discriminatorio sarebbe smentito dal fatto che la professoressa era stata assunta con la piena consapevolezza della sua condizione di transessuale da parte dell'Istituto, circostanza che emergeva chiaramente dal suo curriculum, ed addirittura attribuendo un particolare valore a tale aspetto, come ripetutamente ammesso dalla stessa ricorrente nelle numerose trasmissioni televisive cui aveva partecipato immediatamente dopo il licenziamento, e dove aveva dato ampia risonanza alla vicenda, affermando tra l'altro, specificamente, nel corso dell'intervista a ‘La vita in diretta' del 17.10.2019, che era stata addirittura incoraggiata a parlare della propria condizione agli studenti, essendo stata ritenuta tale esperienza una ricchezza della quale i ragazzi avrebbero potuto giovarsi. Tali circostanze non escludono infatti una successiva diversa determinazione, magari motivata dal timore di perdere alunni a seguito di qualche protesta pervenuta da alcuni genitori.

Dalle osservazioni innanzi svolte discende l'illegittimità del recesso anticipato dal contratto a progetto concluso tra la ricorrente e la s.r.l., ed il conseguente diritto della V.G.C. a conseguire il compenso contrattualmente previsto per l'intera durata del rapporto (Cass. Civ., sez. Lav., 29.11.2006 n. 25238). Pertanto, la ricorrente ha diritto a percepire il compenso così come pattuito per il periodo stabilito, ossia per i mesi intercorrenti tra la data di ottobre 2019, da cui non le è stato più consentito di lavorare, e non le è stata quindi corrisposta la relativa retribuzione, e quella dell'8.06.2020, di scadenza del contratto. Esso è pari alla complessiva somma di 10.656 euro, correttamente calcolata in ricorso, pari al compenso orario di 18 euro, fissato nel contratto, moltiplicato per il numero di ore lavorative intercorrenti tra l'anticipata cessazione del rapporto e la naturale scadenza dell'8.06.2020.

Va, invece, rigettata la richiesta di risarcimento del danno morale e del danno all'immagine che parte ricorrente assume esserle derivati dall'illegittimo recesso. A tal proposito è sufficiente sottolineare come in verità dagli atti di causa non sia emerso alcun comportamento della società atto a determinare una diffusione di notizie relative alla risoluzione del rapporto con la ricorrente, ed alle sue ragioni, ed al contrario come sia stata la stessa V.G.C. a dare risonanza all'accaduto, imputandolo pubblicamente alla propria condizione di transessuale, tanto da indurre la società ad intimarle, tramite un legale, di porre fine a tale condotta, lesiva dell'immagine dell'Istituto (doc. 8 prod. resist.). Sicché la ricorrente non può dolersi di situazioni da essa stessa determinate.

Le spese seguono la soccombenza in misura di un quarto e si compensano per il residuo, tenuto conto del complessivo esito della lite. Esse si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.


Definitivamente pronunciando, in parziale accoglimento della domanda, dichiara l'illegittimità del recesso della s.r.l. dal contratto di collaborazione concluso con la ricorrente il 23.09.2019, e condanna la società, in persona del legale rappresentante, al pagamento della somma di 10.656 euro a favore di V.G.C., oltre interessi e rivalutazione come per legge.

Rigetta per il resto la domanda.

Condanna la resistente al pagamento di un quarto delle spese processuali a favore della. ricorrente, che liquida, per l'intero, in complessivi 9.500 euro, oltre IVA e CPA come per legge, da distrarsi a favore del procuratore antistatario. Compensa tra le parti i restanti tre quarti.