Cassazione Penale, Sez. 4, 16 febbraio 2023, n. 6565 - Mortale schiacciamento dell'escavatorista. Mancato adeguamento del POS alle più articolate e complesse attività di scavo 


 

 

Presidente: MONTAGNI ANDREA

Relatore: BELLINI UGO Data Udienza: 02/12/2022
 

Fatto

 


1. La Corte di Appello di L'Aquila con sentenza pronunciata alla udienza del 31 Gennaio 2022, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Chieti che aveva riconosciuto C.R. e V.V. colpevoli del reato di omicidio colposo aggravato dalla inosservanza delle disposizioni in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro, sostituiva la pena detentiva ad essi applicata nella corrispondente pena della multa nella misura di euro 30.000 da versarsi in trenta rate mensili di pari importo eliminando al contempo il beneficio della sospensione condizionale della pena e rimetteva al giudice civile la definitiva liquidazione del risarcimento del danno in favore della parte civile costituita INAIL.

2. A C.R., titolare della ditta EDILCOM s.r.l. e datrice di lavoro del lavoratore infortunato e a V.V., quale direttore del cantiere e comunque quale soggetto preposto alla lavorazione, che consisteva nella realizzazione del marciapiede in centro urbano di Fara San Martino, era contestato un difetto di specificazione nel POS, esibito e consegnato all'Amministrazione comunale in relazione alle misure preventive e protettive da adottarsi in relazione alle suddette attività, le quali comportavano anche la realizzazione di scavi fino alla profondità di 2,50 metri, nonché la omessa predisposizione di armature idonee a sorreggere le pareti di tali scavi. Tali inosservanze erano ritenute causalmente efficienti alla determinazione dell'infortunio laddove C.A., occupato nell'attività di escavatorista e sceso dal mezzo con la benna dalla parte della discesa, a causa dell'andamento del terreno e dal fatto che si presentasse cedevole, veniva schiacciato tra la parete dello scavo e lo sfilo metallico dello stabilizzatore, posto che la benna, lasciata a motore acceso, scivolava in avanti, riportando lesioni che ne cagionavano l'immediato decesso.
3. Il giudice distrettuale in via preliminare escludeva che il reato si fosse prescritto in epoca anteriore alla pronuncia della sentenza di appello in quanto la pronuncia di condanna era intervenuta con riferimento al reato ritenuto in contestazione, il quale si presentava aggravato in ragione dell'inosservanza delle disposizioni concernenti la prevenzione di infortuni e che pertanto il termine prescrizionale risultava raddoppiato ai sensi dell'art.157 comma 6 cod.pen.

3.1 Il giudice distrettuale, in punto di responsabilità penale, pure riconoscendo rilievo alla prospettazione degli appellanti, secondo la quale l'infortunio si era verificato non già quando l'escavatorista si trovava all'interno di uno scavo profondo, ma allorquando stazionava all'altezza di uno scavo di circa mezzo metro e che era rimasto schiacciato tra l'escavatore, che si era mosso scivolando per circa 2,50, e la recinzione di una abitazione che delimitava lo scavo e solo successivamente era stato trascinato verso la parte più profonda, riteneva tale accadimento collegato a un difetto di individuazione e di valutazione dei rischi per quel tipo di lavorazioni ai sensi dell'art.96 comma 1 lett.g) D.Lgs. 81/2008. In particolare rilevava come il piano operativo predisposto dalla società esecutrice avesse avuto ad oggetto interventi di rifacimento dei marciapiedi che avrebbero comportato modeste opere di escavazioni, per profondità comunque non superiori a otto centimetri laddove, a seguito di intese con l'amministrazione committente, verosimilmente volte alla verifica della tenuta di tubazioni e all'accertamento di eventuali infiltrazioni, si erano realizzate operazioni di scasso e di escavazione variabili tra 50 cm e 2,50 cm, interventi che avrebbero giustificato la previsione di rischi di infortunio e la predisposizione delle relative misure di prevenzione e protezione in termini adeguati alla maggiore consistenza e alla maggiore profondità degli interventi di scavo, in ragione dell'innalzamento del rischio collegato alle operazioni con mezzi meccanici. Rilevava ancora che la carenza di adeguamento del POS aveva assunto rilievo causale efficiente e decisivo nella dinamica dell'infortunio atteso che, a prescindere dalla colpa concorrente dell'escavatorista, che era sceso dal mezzo lasciando il motore acceso e la benna non correttamente aderente al terreno, la mancata stabilizzazione del terreno intorno allo scavo (pure profondo circa 50 cm) avevano favorito il movimento del mezzo meccanico che movendosi in direzione dello scavo, per la inidonea stabilizzazione e per la cedevolezza del terreno, vi aveva fatto ingresso con una ruota schiacciando il lavoratore contro la recinzione del manufatto limitrofa all'area di scavo. Assume ancora il giudice di appello che qualora fossero stati apprezzati nel POS i rischi derivanti dalla profondità dello scavo e della cedevolezza del terreno, avrebbero potuto essere adottate opportune cautele per evitare i rischi di destabilizzazione del mezzo (quali la predisposizione di una base di appoggio, ovvero la realizzazione di armature, ovvero il mantenimento di distanza adeguata tra il mezzo e lo scavo).

4. Avverso la suddetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione la difesa degli imputati C.R. e V.V. mediante due motivi di ricorso.
Con una prima articolazione lamenta violazione di legge e vizio motivazionale in relazione al mancato pronunciamento del proscioglimento degli imputati per prescrizione laddove il giudice di primo grado aveva escluso la ricorrenza della ipotesi aggravata di cui all'art.589 comma 2 cod.pen. per inosservanza delle disposizioni antinfortunistiche con la conseguenza che non era applicabile il raddoppio del termine prescrizionale previsto dall'art.157 comma 6 cod.pen.
Con un secondo articolato e diffuso motivo di ricorso denuncia contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione all'affermazione della penale responsabilità degli imputati rilevando che la violazione cautelare non risulta dotata di efficienza causale rispetto all'evento.
Premessa la ricostruzione delle fasi dell'evento sulla base delle emergenze documentali, tecniche e dichiarative ed escluso che l'escavatorista, al momento dell'infortunio fosse intento a posizionare una lastra di cemento sotto lo stabilizzatore del mezzo e che lo stesso fosse rimasto schiacciato all'interno dello scavo ovvero lungo la parete dello scavo (profondo solo mezzo metro nel punto interessato), come prospettato in imputazione, gli elementi acquisiti evidenziavano che il C.A. era stato attinto dal mezzo in movimento e schiacciato tra l'escavatore e la recinzione del condominio, di talchè la motivazione della sentenza impugnata era lacunosa per avere dato rilievo decisivo alla presenza di uno scavo della profondità di circa mezzo metro poiché non era stato in nessun atto processuale individuato il punto preciso in cui il lavoratore era stato schiacciato dall'escavatore e al contempo il POS della ditta esecutrice risultava conforme a legge in relazione alla realizzazione di interventi che prevedevano la realizzazione di scavi fino a 1,5 metri di profondità, né era risultato che l'escavatore, in fase di avanzamento verso il lavoratore avesse perso stabilità a causa dello scavo o del terreno lavorato. La causa dell'infortunio era esclusivamente dipesa ad una serie di inosservanze dell'escavatorista che, seppure adeguatamente formato e specializzato, aveva contravvenuto a fondamentali norme di prudenza per essere sceso dal mezzo senza avere spento il motore, senza avere posizionato la benna in modo da impedirne il movimento, senza avere abbassato gli stabilizzatori e azionato il freno di stazionamento, comportamenti tutti ritenuti efficienti ai fini della realizzazione dell'evento anche dall'ispettore del lavoro Lalla e dal consulente del Pubblico ministero. Inoltre il C.A. veniva schiacciato laddove lo scavo era profondo solo 50 cm. Con la conseguenza che la circostanza che più a valle fosse stato realizzato uno scavo profondo m.2,55 non ha svolto alcuna incidenza causale sul decesso del C.A..
A tale riguardo rileva che l'art.119 D.Lgs. n.81/2008 prevede l'adozione di ulteriori prescrizioni in materia antinfortunistica soltanto in presenza di scavi di profondità superiore a 1, 50 metri di talchè nessun rilievo avrebbe potuto essere dato al fatto che erano stati realizzati scavi di mezzo metro, per riconoscere un aggravamento del rischio nella realizzazione di interventi che prevedevano la realizzazione di scavi superficiali. Escludeva pertanto la logicità dell'inferenza secondo la quale potesse riconoscersi un difetto nel POS per ragioni connesse alla profondità dello scavo in quanto si sarebbe posta in violazione dei principi in materia di causalità della colpa e avrebbe fatto sorgere la responsabilità del soggetto titolare di una posizione di garanzia per il solo fatto della "asserita" inosservanza della regola cautelare. Evidenziava inoltre che le prescrizioni integrative del POS, introdotte per consentire la ultimazione dei lavori a seguito dell'infortunio, e codificate in una sezione integrativa (scavo a sezione obbligata con mezzi meccanici) erano già presenti nel POS originario, seppure non in una sezione specifica e all'uopo riportava il testo modificato del POS e l'originaria dizione in punti (da punto 1 a punto 25), con la previsione dei comportamenti da adottare nella situazione venutasi a creare. Assumeva pertanto che il mancato aggiornamento del POS non aveva determinato alcun deficit sulle modalità esecutive da adottare ma l'infortunio era dipeso dalla specifica inosservanza da parte del conducente della disposizione del POS contenuta a pag.46 di 55 concernente la discesa a terra in assenza di stabilizzazione del mezzo e che la presenza dello scavo, peraltro posto a circa 2,50 m. dal punto di stazionamento del mezzo meccanico non aveva avuto alcun rilievo eziologico ai fini della realizzazione dell'evento laddove l'inclinazione assunta dall'escavatore e la parziale entrata della ruota nello scavo appartenevano alla fase successivo dello schiacciamento.
Nella specie ricorrevano pertanto presupposti per ritenere che, sebbene la condotta del lavoratore si fosse inserita nel segmento di lavorazione allo stesso demandato, nondimeno si era manifestato in termini di così macroscopica imprudenza, avventatezza e superficialità da escludere qualsivoglia relazione causale tra la condotta degli imputati e l'evento.
Le parti hanno concluso depositando conclusioni scritte ai sensi dell'art.23 bis D.L. 137/2020.
Il sostituto Procuratore Generale ha chiesto il rigetto del ricorso.
La difesa della parte civile ha concluso per la inammissibilità, ovvero in subordine per il rigetto del ricorso e ha chiesto la liquidazione delle spese del grado. Ha depositato memoria difensiva.
La difesa degli imputati ha concluso in via preliminare per il proscioglimento degli imputati per essere il reato estinto per intervenuta prescrizione. Nel merito ha chiesto l'annullamento della sentenza impugnata in punto di affermazione di responsabilità degli imputati.
 

Diritto



1. Manifestamente infondato è il primo motivo di ricorso che assume il compimento del termine necessario a prescrivere il reato prima della definizione del giudizio di appello, in quanto la circostanza aggravante della inosservanza della disciplina antinfortunistica sarebbe neutralizzata dal giudizio di prevalenza delle circostanze attenuanti generiche operato dal giudice di primo grado.
2. L'argomento difensivo si pone invero in contrasto con la giurisprudenza di legittimità sul punto, laddove è stato ripetutamente affermato che ai fini della prescrizione del reato deve tenersi conto della circostanza aggravante ad effetto speciale e della recidiva ad effetto speciale ancorchè siano ritenute sub-valenti nel giudizio di bilanciamento con le concorrenti circostanze attenuanti, poiché l'art.157 comma 3 cod.pen. esclude espressamente che il giudizio di cui all'art.69 cod.pen. abbia incidenza sulla determinazione della pena massima del reato. Tale principio ripetutamente affermato dalle sezioni semplici della Suprema Corte di Cassazione in relazione alle circostanze aggravanti ad effetto speciale (sez.4, n.38618 del 5/10/2021, Ferrara, Rv.282057) e alla recidiva (sez.6, n.50995 del 9/07/2019, Pastore, Rv.278058), è stato recentemente ribadito dalle Sezioni Unite sia ai fini della procedibilità del reato (n.3585 del 24/09/2020, PG/Li Trenta, Rv.280262), sia ai fini della qualificazione giuridica della recidiva e al computo del termine prescrizionale (n.30046 del 23/06/2022, Cirelli, Rv.283328), sia con riferimento alla valorizzazione dei precedenti penali per il diniego delle circostanze attenuanti generiche (n.20808 del 25/10/2018, Schettino, Rv.275319).

3. Infondate sono invece le articolazioni del secondo motivo di ricorso che attengono al riconoscimento della responsabilità penale degli imputati in relazione al reato di omicidio colposo aggravato dalla inosservanza della disciplina prevenzionistica con particolare riferimento all'ordito motivazionale che assume la ricorrenza di relazione causale tra la contestata inosservanza della regola cautelare (mancato adeguamento del POS alle più articolate e complesse attività di scavo con omessa predisposizione dei relativi strumenti prevenzionistici) e l'evento dannoso, consistito nello schiacciamento dell'escavatorista, sceso dal mezzo e rimasto intrappolato tra l'escavatore, che si era mosso inclinandosi una volta raggiunto il margine dello scavo, e la recinzione dell'edificio confinante.
3.1 Deve considerarsi che la Corte di appello ha confermato la sentenza di primo grado che ha dichiarato gli imputati responsabili del reato ascritto commesso, di concorso in omicidio colposo, configurandosi quindi, nel caso che occupa, una c.d. "doppia conforme" di condanna, avendo entrambi i giudici di merito affermato la responsabilità di C.R. e di V.V. in ordine al reato oggetto di contestazione. Ne deriva che le motivazioni della pronuncia di primo grado e di quella di appello, fondendosi, si integrano a vicenda, confluendo in un risultato organico ed inscindibile al quale occorre in ogni caso fare riferimento per giudicare della congruità della motivazione.
Ulteriore conseguenza della "doppia conforme" di condanna è che il vizio di travisamento della prova può essere dedotto con il ricorso per cassazione solo nell'ipotesi in cui il giudice di appello, per rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, abbia richiamato dati probatori non esaminati dal primo giudice, ovvero quando entrambi i giudici del merito siano incorsi nel medesimo travisamento delle risultanze probatorie acquisite in forma di tale macroscopica o manifesta evidenza da imporre, in termini inequivocabili, il riscontro della non corrispondenza delle motivazioni di entrambe le sentenze di merito rispetto al compendio probatorio acquisito nel contraddittorio delle parti (sez. 2, n. 5336 del 09/01/2018, L. e altro, Rv. 27201801). Nessuna di queste condizioni appare ravvisabile nel caso in disamina, in cui il ricorso, sotto l'apparenza del vizio motivazionale, pretende di asseverare, su alcuni punti specifici, una diversa valutazione del compendio probatorio, richiamando aspetti di merito non deducibili in sede di legittimità.
3.2 È noto infatti che esulano dal numerus clausus delle censure deducibili in sede di legittimità le doglianze che investano profili di valutazione della prova e di ricostruzione del fatto, che sono riservati alla cognizione del giudice di merito le cui determinazioni, al riguardo, sono insindacabili in cassazione ove siano sorrette da motivazione congrua, esauriente ed idonea a dar conto dell'iter logico-giuridico seguito dal giudicante e delle ragioni del decisum. In tema di sindacato del vizio di motivazione, infatti, il compito del giudice di legittimità non è quello di sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito in ordine all'affidabilità delle fonti di prova, bensì di stabilire se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano fornito una corretta interpretazione di essi, dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti, e se abbiano esattamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre (sez. U. n. 930 del 13/12/1995 - dep. 1996, Clarke, Rv. 203428-01; sez.4, n.4842 del 2/12/2003, Elia e altri, Rv.229369). Più recentemente è stato riconosciuto che ricorre il vizio di motivazione manifestamente illogica nel caso in cui vi sia una frattura logica evidente tra una premessa, o più premesse, nel caso di sillogismo, e le conseguenze che se ne traggono, e, invece, di motivazione contraddittoria quando non siano conciliabili tra loro le considerazioni logico-giuridiche in ordine ad uno stesso fatto o ad un complesso di fatti o vi sia disarmonia tra la parte motiva e la parte dispositiva della sentenza, ovvero nella stessa si manifestino dubbi che non consentano di determinare quale delle due o più ipotesi formulate dal giudice - conducenti ad esiti diversi - siano state poste a base del suo convincimento (sez.5, n.19318 del 20/01/2021, Cappella, Rv.281105).

4. Tanto chiarito, nel caso di specie, la Corte di Appello ha ricostruito la vicenda fattuale in modo logico e coerente, evidenziando in termini analitici e coerenti tutti i passaggi salienti, in termini causali, che hanno determinato la verificazione del sinistro.
4.1 A tale proposito la difesa del ricorrente, deduce il travisamento della prova in relazione alla dinamica dell'infortunio, con particolare riferimento alla esatta ubicazione in cui la persona offesa era stata attinta dall'escavatore in movimento rimanendo intrappolato e schiacciato, per sostenere che, a fronte dei gravi profili di colpa ascrivibili all'escavatorista, il mancato adeguamento del POS alle sopravvenute esigenze delle lavorazioni (scavi in profondità con necessità di procedere alla realizzazione delle armature e comunque alla messa in sicurezza dell'area adiacente), non aveva assunto alcuna rilevanza causale, in quanto la persona offesa era stata attinta e schiacciata in un punto in cui lo scavo era profondo solo mezzo metro e quindi non si imponeva la predisposizione di misure di sicurezza diverse da quelle previste per scavi superficiali.
4.2 L'articolazione difensiva è priva di fondamento in quanto il giudice distrettuale, pure prospettando che la causa della morte dell'escavatorista potesse non essere stata determinata dal trascinamento del C.A. nella porzione più profonda dello scavo, ha fornito logico e non contraddittorio rilievo al mancato adeguamento del POS da parte del datore di lavoro, come elemento incidente sull'errata procedura di lavoro seguita dal dipendente infortunato.
4.2.1 Con argomenti privi di frattura logico giuridica ha infatti precisato che l'obbligo a carico del datore di lavoro non si arresta alla predisposizione di un piano operativo di sicurezza che contenga la indicazione delle misure di sicurezza volte a prevenire le fonti di rischio connesse alla natura e alle caratteristiche delle opere oggetto di appalto, ma si estende ad un onere di aggiornamento e di adeguamento del piano, allorquando l'impresa sia chiamata a realizzare opere nuove o aggiuntive che comportano modalità o sistemi di lavorazione più complessi e articolati, così da imporre la riconsiderazione, in chiave prevenzionistica, di ulteriori fonti di rischio e quindi la predisposizione di misure di sicurezza coerenti con l'innalzamento del grado di pericolo connesso alle suddette lavorazioni.
4.3 Deve pertanto ritenersi corretta la valutazione operata dal giudice distrettuale il quale ha evidenziato come "in corso di opera, al fine di verificare ed eliminare alcune infiltrazioni, è stato eseguito un lavoro affatto diverso, consistito in uno scavo variabile tra 50 cm e 255 cm. 'E del tutto evidente come la nuova opera, per le sue caratteristiche di complessità, ha comportato un notevole innalzamento del rischio che non è stato in alcun modo riconsiderato ai fini di un aggiornamento del piano", che avrebbe dovuto tenere conto delle condizioni del terreno (rimosso e quindi per natura cedevole) e le conseguenze in ordine alla stabilità dei mezzi adoperati; sul punto il giudice distrettuale argomentava che "qualora fossero stati apprezzati nel piano operativo per la sicurezza i rischi derivanti dalla profondità dello scavo e dalla cedevolezza del terreno (connessi sia alla profondità sia al fatto che in quel punto si erano verificate infiltrazioni), avrebbero potuto essere adottate opportune cautele per il rischio di destabilizzazione del mezzo", il quale aveva perso stabilità muovendosi in direzione dello scavo che il C.A. stava ispezionando "sia per la pendenza, sia per la cedevolezza del terreno a margine dello scavo e quindi, in mancanza di una idonea stabilizzazione, è precipitato all'interno schiacciando il lavoratore contro la recinzione".
4.4 Gli argomenti del giudice distrettuale oltre che privi di illogicità evidenti, sono resistenti alle censure della difesa dell'imputato la quale assume la contraddittorietà della sentenza impugnata laddove la stessa normativa antinfortunistica (art.119 D.Lgs. 81/2008) non impone l'obbligo di procedere a particolari cautele per armare le pareti dello scavo se non per profondità superiori a m. 1,5 di altezza, mentre nella specie lo scavo era profondo circa mezzo metro.
4.4.1 Invero il giudice distrettuale ha correttamente evidenziato che la esigenza di procedere ad un aggiornamento del POS, ai fini che qui rilevano, era imposta dal fatto che, a fronte della programmazione di opere superficiali che comportavano lo scasso della sede viaria per pochi centimetri (per il rifacimento dei marciapiedi), la ditta appaltatrice si era successivamente assunta nei confronti del comune un impegno aggiuntivo, relativo alla verifica di eventuali perdite dalle condutture idriche e dalle diramazioni verso le abitazioni prospicienti) e quindi alla realizzazione di escavazioni ben più impegnative e profonde e ciò aveva determinato un innalzamento del rischio per la sicurezza delle lavorazioni che si ripercuoteva in differenti ambiti.
4.4.2 Uno di tali ambiti afferiva alla accresciuta instabilità del terreno che si trovava ai margini dello scavo e alla profondità delle escavazioni, cosicchè l'escavatorista, sceso dal mezzo, mentre era intento a perlustrare l'interno di uno scavo profondo circa 50-60 cm., veniva investito dall'escavatore che, sebbene in posizione di arresto, si era mosso e aveva perso in stabilità (per la cedevolezza del terreno scavato) e aveva acquisito inclinazione (in ragione della profondità dello scavo in cui si era incuneato).
4.5 Appare evidente pertanto che la questione, posta dalla difesa dei ricorrenti, circa l'insussistenza dell'obbligo di armare gli scavi profondi è del tutto eccentrica rispetto alla fattispecie in esame. L'esigenza di adeguamento del POS è stata ritenuta cogente dalla Corte di Appello in ragione del diverso atteggiarsi delle lavorazioni rispetto a quanto originariamente previsto nel contratto di appalto (a fronte di POS che avrebbe dovuto invece contenere una apposita sezione sullo "scavo a sezioni obbligate con macchina operatrice"), sia con riferimento alla natura delle lavorazioni aggiuntive (escavazioni più profonde, esplorazione delle condutture), sia con riferimento ai maggiori rischi connessi al mezzo di lavoro impiegato (escavatore) in ragione delle accresciute sezioni di scavo praticate, della cedevolezza del terreno di sedime e della instabilità del mezzo utilizzato.
4.6 La motivazione della sentenza impugnata risulta pertanto priva di contraddizioni e si pone peraltro nel solco della giurisprudenza di legittimità che impone al datore di lavoro un costante aggiornamento del piano operativo della sicurezza in relazione alla natura e alle caratteristiche delle lavorazioni da compiersi (sez.4, n.45862 del 14/9/2017, Prina, Rv.271026; n.2845 del 10/10/2020, Martinelli, Rv.280319).

5. Per le ragioni sopra esposte, il ricorso deve essere rigettato e i ricorrenti vanno condannati al pagamento delle spese processuali nonché alla rifusione sostenute nel presente giudizio di legittimità dalla parte civile INAIL, la quale ha depositata una memoria difensiva pertinente e utile ai fini della decisione, spese che, ai sensi del D.M. 10/03/2014 n.55 si liquidano come da dispositivo.

 

 

P.Q.M.
 


Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Condanna gli imputati alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile INAIL che liquida in euro 3.000,00 oltre accessori.