Cassazione Penale, Sez. 4, 20 febbraio 2023, n. 7013 - Abbattimento di una betulla e caduta di un pesante ramo sul capo dell'operaio. Responsabilità del datore di lavoro e ruolo di un coordinatore nominato senza la compresenza di più aziende


 

Presidente: MONTAGNI ANDREA
Relatore: CENCI DANIELE Data Udienza: 23/11/2022
 

 

Fatto




1. La Corte di appello di Torino il 19 novembre 2021 ha integralmente confermato la sentenza, appellata dagli imputati, con la quale il G.u.p. del Tribunale di Cuneo il 21 settembre 2018, all'esito del giudizio abbreviato, ha riconosciuto C.R. ed A.A. responsabili, in cooperazione ex art . 113 cod. pen., del reato di omicidio colposo, con violazione della disciplina anti-infortunistica, fatto commesso il 30 marzo 2015, in conseguenza condannando ciascuno, riconosciute le circostanze attenuanti generiche e quella del risarcimento del danno alle parti civili e stimate le stesse equivalenti all'aggravante, operata la riduzione per il rito, alla pena di giustizia, condizionalmente sospesa.

2. I fatti, in estrema sintesi, come concordemente ricostruiti dai Giudici di merito.
2.1. Avendo il Comune di Boves (CN) appaltato i lavori per la realizzazione di una pista forestale alla s.n.c. "R.moter", nel primo pomeriggio del 15 gennaio 2015 il dipendente della "R.moter" C.R., mentre stava procedendo con una motosega all'abbattimento di un'alta betulla, è stato colpito al capo (non si è accertato se nell'occasione protetto da casco o meno) da un pesante ramo, che gli ha provocato gravi fratture che lo hanno condotto a morte il 30 marzo 2015.
2.2. Sono stati ritenuti responsabili dell'accaduto, in cooperazione colposa tra di loro, ai sensi dell'art. 113 cod. proc. pen., gli odierni ricorrenti.
2.2.1. C.R. è stato ritenuto responsabile in qualità di datore di lavoro (essendo amministratore delegato della "R.moter"), per avere solo assai genericamente previsto nel piano operativo di sicurezza (acronimo: P.O.S.) il rischio di caduta di oggetti dall'alto, senza fare specifico riferimento alle evenienze che possono accadere in un fitto bosco, quale, ad esempio, quella dell'albero che, cadendo, colpisca un altro albero, e per avere omesso di informare e di formare adeguatamente il lavoratore dipendente C.R., anche tenuto conto che la "R.moter " era un'impresa edile, non un'impresa boschiva, che era la prima volta che si accingeva a tale tipo di attività, che la vittima, che generalmente era impiegata come autista, non aveva mai svolto in precedenza l'attività di taglialegna e che non erano stata disposte efficaci misure per la verifica circa l'effettivo impiego dei dispositivi di protezione individuale, primo tra i quali il casco protettivo.
2.2.2. Quanto al geometra A.A., che era stato nominato coordinatore della sicurezza dal Comune committente, premesso che, diversamente dalle previsioni, non si aveva, in realtà, la compresenza di più ditte da coordinare, i Giudici di merito hanno ritenuto che lo stesso abbia, tuttavia, effettivamente svolto l'incarico, recandosi più volte nel cantiere boschivo, così di fatto ingerendosi nella esecuzione dei lavori, ed in un'occasione in particolare contestando formalmente il mancato impiego del casco protettivo. In tale veste l'imputato ha anche redatto un piano di sicurezze e di coordinamento (acronimo: P.S.C.), non meno generico del P.O.S., di cui ricalca il testo, e, avendo fatto, appunto, accesso in più occasioni, non si è reso conto delle manchevolezze della ditta, che, anche solo avuto riguardo al profilo formale, risultava impiegare personale non adeguatamente formato per il pericoloso lavoro di abbattimento degli alberi.

3. Ciò premesso, ricorrono per la cassazione della sentenza gli imputati, tramite separati ricorsi curati da distinti Difensori di fiducia, affidandosi ciascuno a più motivi, con i quali si denunziano promiscuamente violazione di legge e vizio di motivazione.

4. Ricorso nell'interesse di C.R. (due motivi).
4.1. Con il primo motivo lamenta violazione dell'art. 40 cod. pen. e vizio motivazionale, quanto al difetto di valutazione controfattuale della efficacia salvifica degli adempimenti che si assumono essere stati omessi da parte dell'imputato.
Rammentato che si è addebitato a C.R. di non avere formato né informato adeguatamente il dipendente, il ricorso pone il tema della concretizzazione - o meno - nel caso di specie dello specifico rischio che le regole cautelari miravano a fronteggiare e della prova che il comportamento osservante avrebbe evitato l'evento pregiudizievole e della verifica, di tipo controfattuale, della efficacia impeditiva del comportamento alternativo lecito.
Inoltre, sotto il profilo della causalità della colpa, si sottolinea avere la Difesa già con l'atto di appello sostenuto che, essendo incerta la dinamica dell'incidente, non può dirsi con certezza che la somministrazione al dipendente di una diversa formazione avrebbe impedito l'evento dannoso poi verificatosi. Sotto tale profilo, la sentenza impugnata non spiegherebbe perché il comportamento alternativo lecito (cioè, nel caso di specie, una differente formazione ed un più elevato numero di lezioni teorico-pratiche, come indicato alla p. 13 della motivazione), avrebbero determinato un diverso sviluppo degli accadimenti.
Non si sarebbe indagato, insomma, sul tema della causalità giuridica, e non solo materiale. Si richiamano precedenti di legittimità stimati pertinenti.
Le sentenze di merito non avrebbero indagato aspetti rilevanti, tra i quali: quale fosse l'albero abbattuto, la sua altezza e le sue caratteristiche, quale tecnica sia stata adoperata per abbatterlo, se prima sia stata o meno ispezionata l'area attorno all'albero da tagliare, verso quale direzione la pianta sia caduta, la correttezza e la prudenza nell'attività di taglio da parte dei soggetti agenti, se la vegetazione fosse fitta o meno, se il ramo che ha colpito la vittima appartenesse alla pianta tagliata o ad un'altra, se la persona offesa indossasse o meno il casco protettivo, tema quest'ultimo di rilevante importanza e che non sarebbe stato adeguatamente sondato, poiché ben potrebbe essere accaduto che il lavoratore indossasse correttamente il casco e che, pur rimanendo a debita distanza, sia stato colpito da un ramo di pianta diversa da quella abbattuta. Si tratta di aspetti - si evidenzia - già segnalati con l'atto di appello ma trascurati nella decisione che si impugna.
In conseguenza, la Corte territoriale avrebbe posto in essere «Un approccio che svaluta la conoscenza del fatto [...], esprime l'adesione ad un condizionalismo debole, che veicola nella causalità il senso comune, in cui il tassello del mosaico da asportare in via controfattuale non è un dato scientifico, ma un assioma: si poteva fare di più, si poteva fare di meglio, quindi la causalità non manca mai. Ragionando così, si apre una voragine tra omissione ed evento: la responsabilità diventa oggettiva ed il nesso causale affermato a prescindere da qualsiasi condizionamento reale tra omissione ed evento: la responsabilità diventa oggettiva [...] solo quando sia stata individuata l'origine eziologica dell'accadimento lesivo, è possibile accertare se la violazione della regola cautelare abbia cagionato l'evento o meno» (così alla p. 7 del ricorso).
La sentenza si fonderebbe su giudizio probabilistici, supposizioni e congetture ed incerto sarebbe il «punto di partenza del discorso [...] Solo una volta acquisita la certezza processuale che il casco non fosse stato calzato dal lavoratore, ovvero non fosse stata stato osservato un corretto distanziamento dalla zone delle operazioni, oppure fosse stata trascurata l'ispezione delle fronde, sarà possibile immaginarne le ripercussioni in tema di impedimento dell'evento effettivamente verificatosi» (così alla p. 8 dell'impugnazione).
In altre parole, i Giudici di merito non avrebbero adeguatamente affrontato né il tema dell'accertamento della causalità materiale né quello della verifica della causalità giuridica, accontentandosi solo del vago ragionamento che si rinviene alla p. 13 della sentenza impugnata, ove ci si limita ad affermare che le omissione colpose da parte del datore di lavoro si pongono come antecedente causale dell'evento occorso.
Ad avviso del ricorrente, però, seguendo «questa linea di ragionamento, l'inadempimento dell'obbligo di adeguata valutazione dei rischi, e di conseguente formazione del lavoratore, presenterebbe un'indiscriminata relazione di cause ed effetto, che prescinde dalle caratteristiche del caso concreto. Se l'imprenditore non valuta correttamente il rischio, se non forma a dovere il lavoratore, l'ambiente di lavoro risulta insicuro, di talchè qualsiasi evento lesivo che si verifichi sarebbe sempre da collegare causalmente alla incompleta valutazione dei fattori di rischio» (così alla p. 9 del ricorso). Così procedendo, però, secondo la Difesa, si giungerebbe ad una inammissibile responsabilità di tipo oggettivo, del genere "accertata l'omessa valutazione di un qualsiasi rischio, l'imprenditore sarebbe responsabile per qualsiasi evento dannoso", in contrasto con il costante insegnamento di legittimità, secondo cui «In tema di prevenzione infortuni sul lavoro, il rapporto di causalità tra la condotta dei responsabili della normativa antinfortunistica e l'evento lesivo non può essere desunto soltanto dall'omessa previsione del rischio nel documento, di cui all'art. 4, comma secondo, del D.Lgs. 19 settembre 1994, n. 626 (documento di valutazione dei rischi per la sicurezza e la salute durante il lavoro), dovendo tale rapporto essere accertato in concreto, rapportando gli effetti dell'omissione all'evento che si è concretizzato.(Nella specie, con riferimento all'infortunio sul lavoro causato dal trascinamento delle braccia dell'operatrice nei rulli in movimento di un macchinario, la sentenza impugnata aveva affermato che ove fosse stato operato l'inserimento della previsione di tale rischio nel suddetto documento, l'infortunio sarebbe stato evitato) » (Sez. 4, n. 8622 del 04/12/2009, dep. 2010, Giovannini, Rv . 246498).
La sentenza impugnata, dunque, andrebbe annullata, perché il ragionamento controfattuale sarebbe privo di imprescindibili elementi.
4.2. Con il secondo motivo C.R. censura violazione dell'art. 533 cod. proc. pen. e vizio di motivazione per l'omesso esame critico dei contenuti della relazione di indagine infortunio del Servizio prevenzione e sicurezza degli ambienti di lavoro (acronimo: Spresal) della Asl in data 22 settembre 2015 nonché dei motivi di appello svolti sul punto.
Si rammenta che il servizio Spresal non aveva ravvisato violazioni da parte del datore di lavoro, nemmeno quanto al tema della valutazione dei rischi e della formazione dei dipendenti, mentre a differenti conclusioni è giunto il consulente del P.M., svolgendo i rilievi critici poi posti a fondamento dell'editto di accusa.
La divergenza tra le due qualificate valutazioni, già espressamente sottolineata nell'atto di appello (sub nn. 4-6), avrebbe imposto ben altra ed approfondita motivazione, dovendo verificarsi la "tenuta" del ragionamento giudiziale alla luce del principio dell"'oltre ogni ragionevole dubbio", essendo «altrimenti [...] immanente la sussistenza di dubbi intrinseci alla sentenza di condanna, connessi a/l'esistenza di ipotesi alternative dotate di apprezzabile verosimiglianza e razionalità» (così alla p. 14 del ricorso).

5. Ricorso nell'interesse di A.A. (quattro motivi).
5.1. Con il primo motivo il ricorrente si duole della violazione degli artt. 521 e 522 cod. proc. pen., per avere sia il Tribunale che la Corte di appello pronunziato condanna sulla base di profili di colpa specifica relativi a fatti che non formavano oggetto dell'imputazione e rispetto ai quali al ricorrente non sarebbe stato consentito di approntare una difesa effettiva.
Si rammenta che nella richiesta di rinvio a giudizio si era contestato ad A.A. un unico profilo di colpa specifica, consistente nell'avere previsto nel piano di sicurezza e coordinamento (P.S.C.) di cui all'art. 100 del d. lgs. n. 81 del 2008, a fronte di un rischio di caduta di materiale dall'altro, misure di prevenzione e protezione tipiche di un cantiere edile, e non già di un cantiere forestale, ove si sarebbero dovuti abbattere alberi.
Il ricorrente evidenzia come il P.S.C. risalga al 24 luglio 2013, cioè sia di data anteriore all'assegnazione dei lavori alla s.n.c. R.moter, e che, pertanto, in assenza di ulteriori contestazioni di colpa generica, l'imputato si è determinato a chiedere di essere giudicato con il rito abbreviato, nell'ambito del quale ha depositato memoria difensiva con la quale ha sostenuto: a) l'inapplicabilità del titolo IV del d. lgs. n. 81 del 2008 ai lavori forestali, che, dunque, non erano stati recepiti nel P.S.C. redatto in fase di progettazione; b) che, in ogni caso, il P.S.C. redatto in fase di progettazione ha perso efficacia nella fase esecutiva per il mancato verificarsi della compresenza di più imprese ed è stato, dunque, sostituito da un "piano sostitutivo di sicurezza", presentato nel novembre 2014 dalla società "R.moter", unica assegnataria dell'appalto; c) ancora, che, in ogni caso, anche ove il P.S.C. redatto dal geom. A.A. fosse inopinatamente ritenuto efficace, tale documento sarebbe in concreto idoneo a prevenire i rischi, in virtù del combinato disposto tra le misure generali ivi indicate e le misure specifiche contenute nel P.O.S. della "R.moter", come peraltro evidenziato dal consulente della Difesa e da quello del P.M.; d) infine, che la contestata genericità del P.O.S. non avrebbe avuto alcun ruolo causale o concausale nella verificazione dell'evento, che non è riconducibile ad un rischio interferenziale ma ad un rischio tipico e specifico dell'attività della società "R.moter".
Ciò posto, segnala criticamente che la sentenza di primo grado, in realtà, «ha operato un'evidente metamorfosi dell'unico profilo di colpa specifica - di natura per così dire "documentale" - contestato nel capo d'imputazione, fondando il giudizio di responsabilità penale dell'odierno ricorrente su profili di omessa vigilanza attinenti alla fase di esecuzione dei lavori presso il cantiere, mai indicati nella richiesta di rinvio a giudizio» (così alla p. 5 del ricorso).

Confrontando l'addebito (formalmente elevato dal P.M.), di redazione di un documento contenutisticamente generico in un momento antecedente l'assegnazione dell'appalto, quindi una condotta attiva documentale, con quello (ritenuto sussistente nella sentenza del Tribunale) di mancata verifica della adeguatezza della persona offesa rispetto alla mansione del taglio di alberi che le era stato affidato, differente profilo di genere omissivo, si ritiene essere in presenza di un macroscopico difetto di correlazione tra accusa e sentenza, che renderebbe nulla la decisione del G.u . p. del Tribunale di Cuneo, non essendosi realizzato contraddittorio processuale in ordine a tale profilo, con grave danno per il diritto di Difesa (che aveva peraltro optato per il rito abbreviato).
A tale innovativo aspetto se ne è aggiunto un altro, avendo la Corte territoriale - assume il ricorrente - introdotto e ritenuto sussistente un ulteriore profilo di colpa specifica che non era contenuto nella richiesta di rinvio a giudizio né era stato contestato nel corso del processo di primo grado: si legge, infatti, alla p. 14 della sentenza di appello che A.A., pur essendosi recato nel cantiere e pur avendo rilevato il mancato impiego dei dispositivi di protezione individuale, non è intervenuto e non ha assunto provvedimenti efficaci ed effettivi, quale, ad esempio, la sospensione dei lavori, ed inoltre che l'imputato non ha verificato il P.O.S. della società "R.moter". Ebbene, tali ulteriori nova, concernenti condotte omissive relativa alla fase esecutiva, avrebbero ulteriormente minato il diritto di difesa dell'imputato, che non ha potuto esercitare nessun contraddittorio o prendere posizione.
Donde - si assume - la nullità di entrambe le sentenze di merito, adottate in violazione dell' art . 521 cod. proc. pen.
5.2. Con il secondo motivo si denunzia promiscuamente violazione dell'art. 100 del d. lgs. n. 81 del 2008 e 131 del d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163, e vizio di motivazione in relazione alla rilevanza causale delle presunte carenze del piano di sicurezza e di coordinamento (acronimo: P.S.C.).
Ad avviso del ricorrente, la Corte di appello avrebbe fatto erronea applicazione della disciplina del piano di sicurezza e coordinamento e non si sarebbe confrontata specificamente con motivi svolti nell'impugnazione di merito concernenti il profilo della causalità della colpa relativo alla contestata carenza del P.S .C.
Premesso che il geom. A. ha ricevuto dal Comune di Boves incarico di coordinatore per la sicurezza in fase di progettazione (C.S.P. ) in relazione alla realizzazione di una pista forestale e che nel luglio 2013, cioè prima dell'inizio dei lavori, ha redatto il P.S.C. prescritto per l'evenienza che, a seguito dell'affidamento, si verificasse la compresenza, sincronica o diacronica, di più imprese, sottolinea il ricorrente che una sola impresa è intervenuta nel cantiere, cioè la "R.moter", sicchè non si è mai verificata la situazione di interferenza tra imprese che potesse rendere efficace il P.S.C. redatto dall'imputato; inoltre, al momento dell'infortunio la vittima stava compiendo un'attività connotata da un rischio specifico proprio dell'impresa appaltatrice, rischio rispetto al quale il P.S.C. non avrebbe potuto avere un ruolo precettivo.
Ciò è comprovato, del resto, come posto in luce dal consulente della Difesa, geom. Mauro S., dalla circostanza che la "R.moter" ha presentato, insieme al P.O.S., un "piano sostitutivo di sicurezza" (P.S.S), la cui funzione è proprio quella di sostituire il P.S.C. allorché i lavori vengano eseguiti da un'unica impresa.
L'imputato nell'atto di appello ha rivolto la propria critica - anche - al tema della causalità della colpa, ossia della rilevanza eziologica o meno delle prescrizioni del P.S.C., che al momento dell'infortunio non solo non era cogente ma che era sostituito per legge dal citato P.5.5., rispetto all'infortunio verificatosi in assenza di rischio interferenziale, ma tale aspetto della rilevanza causale non è stato affrontato nella sentenza impugnata, che ha eluso il tema richiamando la doverosità della redazione del P.S.C. e l'essersi Astegiani recato in cantiere.
Si sottolinea, inoltre, avere la decisione del Tribunale, alla p. 8, richiamato la circostanza che il P.S.C. non contemplava rischi specifici derivanti dall'abbattimento di alberi, senza, tuttavia, considerare che i rischi specifici "intra-aziendali" esulano dall'ambito di intervento del P.S.C. e dalle funzioni del coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione, come puntualizzato dalla S.C. («In tema di infortuni sul lavoro, la funzione di alta vigilanza che grava sul coordinatore per l'esecuzione dei lavori ha ad oggetto esclusivamente il rischio c.d. generico, relativo alle fonti di pericolo riconducibili all'ambiente di lavoro, al modo in cui sono organizzate le attività, alle procedure lavorative ed alla convergenza in esso di più imprese; ne consegue che il coordinatore non risponde degli eventi riconducibili al c.d. rischio specifico, proprio dell'attività dell'impresa appaltatrice o del singolo lavoratore autonomo. (In applicazione di tale principio, la Corte di cassazione ha annullato parzialmente con rinvio la sentenza di condanna del coordinatore per la sicurezza dei lavori in relazione al decesso causato dalla precipitazione dal tetto di un dipendente dell'impresa appaltatrice dei lavori di rimozione delle lastre di copertura, rilevando che non era stato accertato se si trattava di un rischio generico, relativo alla conformazione generale del cantiere, ovvero di un rischio specifico attinente alle attività oggetto del contratto di appalto)»: Sez. 4, n. 3288 del 27/09/2016, dep. 2017, Bellotti e altro, Rv. 269046).
Quanto, poi, all'affermazione della Corte di appello circa la genericità contenutistica e la carenza del P.S.C., osserva il ricorrente come la sentenza impugnata non si è confrontata con il rilievo critico, svolto nell'atto di appello, basato sulla relazione tecnica del c.t. della Difesa, secondo cui l'attività di taglio di piante e di alberi è estranea alla definizione di cantiere di cui al titolo IV della del d. lgs. n. 81 del 2008; con la conseguenza che il P.S.C. non dovrebbe regolamentare i rischi interferenziali relativi a tale attività, appunto, esclusa.
Non senza considerare - prosegue il ricorso - che, secondo quanto ritenuto dal consulente del P.M. (alla p. 9 dell'elaborato scritto), l'applicazione congiunta ed integrata delle disposizioni del P.S.C. redatto in fase di progettazione e del P.O.S. di "R.moter" rispetto all'attività forestale deve ritenersi esaustiva. Non avendo la sentenza spiegato perché si distacca da pareri tecnici, si ravvisa un vizio di motivazione che con il ricorso viene denunciato (richiamandosi al riguardo precedente di legittimità stimato pertinente).
5.3. Con il terzo motivo si censura violazione dell'art. 92 del d. lgs. n. 81 del 2008 e, nel contempo, difetto di motivazione in relazione alla ritenuta omessa verifica della formazione da parte del ricorrente e alla sua rilevanza causale.
Secondo il ricorrente, la Corte territoriale avrebbe fatto erronea applicazione della disciplina sulla verifica della formazione dei dipendenti delle imprese appaltatrici da parte del coordinatore per la sicurezza ed avrebbe omesso di motivare adeguatamente sia in ordine alla evidenza della carenza formativa, secondo i Giudici di merito da rilevarsi da parte dell'imputato, sia sulla rilevanza causale nel caso di specie di tale profilo di colpa specifica.
Nell'atto di appello si era contestata l'affermazione che competesse al coordinatore della sicurezza la verifica "in concreto" della correttezza e della completezza della formazione dei lavoratori delle imprese appaltatrici, spettando al coordinatore la verifica di tipo documentale ed essendo onere del datore di lavoro controllare la effettività della formazione, come del resto chiarito dalla S.C. nella motivazione della pronunzia di Sez. 4, n. 27165 del 04/07/2016, Battisti, Rv. 267735.
L'affermazione, che si rinviene alla p. 14 della sentenza impugnata, circa la carenza di formazione dei lavoratori emergente già documentalmente da un punto di vista formale sarebbe, poi, meramente assertiva ma indimostrata, ciò non emergendo da nessun atto processuale, e - anzi - sottolineandosi che la polizia giudiziaria intervenuta non ha rilevato carenza quanto alla formazione dei lavoratori.
Inoltre, Giudici di merito non · hanno spiegato perché l'eventuale sussistenza di omissioni sul piano formativo dei lavoratori abbia avuto una efficacia causale diretta sulla verificazione dell'infortunio.
5.4. Infine, con l'ultimo motivo A.A. lamenta violazione di legge, sia quanto all'art. 92 del d. lgs. n. 81 del 2008, sia quanto alla omissione di pronunzia, ed illogicità della motivazione in relazione alla ritenuta omessa vigilanza del coordinatore sulle attività di cantiere e sulla contestazione di omessa sospensione dei lavori da parte dell'imputato.
La Corte di merito non avrebbe fatto buon governo dei principi che regolano la vigilanza del coordinatore per l'esecuzione sulle attività di cantiere, poiché dal testo della sentenza impugnata non sarebbe possibile ricavare l'esistenza dei presupposti che avrebbero imposto la sospensione dei lavori da parte del coordinatore né la rilevanza causale dell'iniziativa rispetto al verificarsi dell'infortunio.
Ribadito che la contestazione di non avere adottato provvedimenti efficaci e di non avere attivato poteri di sospensione delle attività lavorative è stata introdotta direttamente dal Giudice di appello (p. 14 della sentenza) e che su ciò la Difesa non ha potuto esercitare il contraddittorio, si sottolinea, al contrario, che avere A. effettuato più accessi ed avere in un'occasione, il 7 gennaio 2015, peraltro in presenza di lavori diversi, con oggetto sbancamento del piano stradale e non già di taglio di alberi, stigmatizzato il mancato uso dei dispositivi di protezione individuale (p. 7 della decisione impugnata) dimostrerebbero la professionalità e la diligenza dell'imputato nello svolgimento del proprio compito di "alta vigilanza", anziché il contrario. In ogni caso, la sentenza sarebbe carente di motivazione, lacunosa, illogica ed in contrasto con l'art. 92 del d. lgs. n. 81 del 2008 nella parte in cui non spiega per quali ragioni, cioè in presenza di quali presupposti, l'imputato avrebbe dovuto adottare l'ordine di sospensione dei lavori, previsione che il richiamato art. 92 riconnette al caso di grave ed imminente pericolo.
Si trascura, inoltre, che documentalmente emerge che la situazione di mancato impiego dei dispositivi individuali, riscontrata il 7 gennaio 2015, era risolta allorquando, dopo otto giorni, la mattina del 15 gennaio 2015, l'imputato si è nuovamente recato sul cantiere, constatando la regolarità della situazione; mentre l'infortunio si è verificato nel pomeriggio dello stesso giorno, dovendosi al riguardo evidenziare come esuli dalla responsabilità del coordinatore per la sicurezza l'infortunio causato da fattori estemporanei e contingenti, come, ad esempio, l'uso improprio di strumenti di lavoro ovvero la rimozione di protezioni esistenti, e come «In tema di infortuni sul lavoro, il coordinatore per l'esecuzione dei lavori ha una funzione di autonoma vigilanza che riguarda la generale configurazione delle lavorazioni, e non anche il puntuale controllo, momento per momento, delle singole attività lavorative, che è demandato ad altre figure operative (datore di lavoro, dirigente, preposto). (In applicazione di tale principio, la Corte di cassazione ha ritenuto immune da vizi la sentenza che aveva escluso la responsabilità del coordinatore per la sicurezza dei lavori in relazione alle lesioni patite da un operaio intento allo smontaggio di una rete metallica con l'ausilio di una scala inidonea per dimensioni e struttura, rilevando la puntuale verifica de/l'adeguatezza delle prescrizioni previste nel piano di sicurezza e della loro messa in opera, rispetto ai lavori previsti dal capitolato d'appalto, tra le quali non rientrava l'attività svolta dal lavoratore)» (così, ex plurimis, Sez. 4, n. 45853 del 13/09/2017, P.C. in proc. Revello, Rv. 270991).
In conclusione, ad avviso del ricorrente, non soltanto la sentenza sarebbe illogica nella mancata effettuazione di un corretto giudizio controfattuale rispetto all'efficacia eziologicà quanto ad un profilo di colpa specifica non previamente contestato all'imputato e sul quale non si è svolto il contraddittorio, ma -sarebbe anche carente nella individuazione dei presupposti per il ricorso al potere di sospensione ed inoltre illogica nella misura in cui attribuisce rilievo ad un evento contestato una settimana prima del fatto, il 7 gennaio 2015, e comunque già risolto, come già constatato nel corso dell'accesso delta mattina del 15 gennaio 2015, quando A. ha verificato - e verbalizzato - una situazione regolare, difettando così i presupposti per l'attuazione del potere di sospensione delle attività lavorative.
Entrambi i ricorrenti chiedono, dunque, l'annullamento della sentenza impugnata.

6. Il P.G. nella requisitoria scritta del 13 ottobre 2022 ha chiesto il rigetto del ricorso.

7. E' stata tempestivamente chiesta la trattazione orale del procedimento.


 

Diritto



1. Il ricorso nell'interesse di A.A. è fondato e deve essere accolto, mentre va rigettato quello di C.R.; per i seguenti motivi.

2. Partendo, per comodità espositiva, da quello nell'interesse del datore di lavoro, C.R., l'impugnazione, sotto l'apparente richiamo alla categoria della violazione di legge, si limita a denunziare , nonostante la doppia conforme, pretesi vizi motivazionali, essenzialmente incentrati sull'affermazione che l'istruttoria sulla esatta dinamica dell'infortunio sarebbe insufficiente , tuttavia senza adeguatamente aggredire il cuore della motivazione di condanna, che è - non illogicamente né incongruamente - incentrata sulla estrema genericità e, dunque, sulla inadeguatezza del P.O.S., che si limitava a indicare possibili pericoli "dall'alto", peraltro in presenza di un'attività pericolosa che veniva posta in essere per la prima volta da parte di una ditta edile, non giù forestale, e nello specifico da parte di un lavoratore non adeguatamente formato né informato, che in genere veniva adibito alle - ben diverse - mansioni di autista .
Né si apprezza la possibile significatività della segnalata divergenza tra la valutazione operata in un primo momento dai tecnici della U.S.L. e quella del consulente del Pubblico Ministero, confluita nell'editto e valutata nel contraddittorio delle parti.

3. Quanto al ricorso nell'interesse di A.A., va disatteso il primo motivo di impugnazione, mentre gli ulteriori risultano, almeno in parte, accoglibili; per le ragioni che ci si accinge ad illustrare.

4. La - denunziata - violazione degli artt. 521-522 cod. proc. pen. non sussiste.
4.1. Infatti, la giurisprudenza di legittimità ritiene possibile, quantomeno quando nel capo d'imputazione originario siano stati contestati elementi generici e specifici di colpa, la sostituzione o l'aggiunta di un profilo di colpa, sia pure specifico, rispetto ai profili originariamente contestati senza che ciò valga a realizzare diversità o mutamento del fatto, con sostanziale ampliamento - talora vera e propria modifica - della contestazione; ed in genere si giustifica tale interpretazione con il rilievo che il riferimento alla colpa generica evidenzia che la contestazione riguarda la condotta dell'agente globalmente considerata in riferimento all'evento verificatosi, sicché l'imputato è posto in grado di difendersi relativamente a tutti gli aspetti del comportamento tenuto in occasione di tale evento, di cui è chiamato a rispondere. Si tratta di consolidato orientamento di cui sono espressione, tra le altre, Sez. 4, n. 31968 del 19/05/2009, Raso, Rv. 245313 (resa in un caso di colpa medica), secondo cui «Nei procedimenti per reati colposi, la sostituzione o l'aggiunta di un particolare profilo di colpa, sia pure specifica, al profilo di colpa originariamente contestato, non vale a realizzare diversità o immutazione del fatto ai fini dell'obbligo di contestazione suppletiva di cui all'art. 516 cod. proc. pen. e de/l'eventuale ravvisabilità, in carenza di valida contestazione, del difetto di correlazione tra imputazione e sentenza ai sensi dell'art. 521 stesso codice. (Nella specie, la Corte ha escluso la dedotta violazione di legge nell'ipotesi di condanna del medico per le lesioni colpose gravissime cagionate, in esito ad un parto, ad un neonato, anche per la violazione del dovere di informare la partoriente in ordine alle possibili complicanze per un parto per via vaginale per le dimensioni del nascituro, laddove la contestazione riguardava altri profili di colpa)» (nello stesso senso v. già Sez. 4, n. 2393 del 17/11/2005, dep. 2006, Tucci ed altro, Rv. 232973; Sez. 1, n. 11538 del 23/10/1997, Geremia, Rv. 209136).
Più recenti pronunzie ribadiscono la formula secondo cui, appunto, «Nei procedimenti per reati colposi, la sostituzione o l'aggiunta di un particolare profilo di colpa, sia pure specifica, al profilo di colpa originariamente contestato, non vale a realizzare diversità o immutazione del fatto ai fini dell'obbligo di contestazione suppletiva di cui all'art. 516 cod. proc. pen. e dell'eventuale ravvisabilità, in carenza di valida contestazione, del difetto di correlazione tra imputazione e sentenza ai sensi dell'art . 521 stesso codice» (così, ex plurimis, Sez. 4, n. 18390 del 15/02/2018, p.c. in proc. Di Landa, Rv. 273265).
Inoltre, si è ritenuto non costituire significativo mutamento del fatto un rimprovero di colpa generica, ossia negligenza, pur in presenza di un'imputazione che verte su profili di colpa specifica, peraltro passando da un rimprovero all'agente per fatto commissivo ad un rimprovero per fatto omissivo (così nella assai peculiare vicenda in cui è intervenuta la decisione di Sez. 4, n. 53455 del 15/11/2018, rie. p.c. Galdino De Lima Rozangela in proc. Castellano ed altri, Rv. 274500, cfr. spec. sub nn. 9-11 del "considerato in diritto", pp. 47 e ss.).
Il solo limite che si ritiene esistere consiste nella effettuata verifica in senso positivo circa la concreta possibilità, per l'imputato, di difendersi in ordine all'oggetto dell'imputazione, con richiamo con richiamo, talora esplicito, talaltra implicito, a Sez. U, n. 16 del 19/96/1999, Di Francesco, Rv. 205619, secondo cui
«Con riferimento al principio di correlazione fra imputazione contestata e sentenza, per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume la ipotesi astratta prevista dalla legge, sì da pervenire ad un'incertezza sull'oggetto dell'imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa; ne consegue che l'indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza perché, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l'imputato, attraverso /'"iter" del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine a/l'oggetto dell'imputazione» (principio di diritto quasi testualmente ribadito da Sez. U, n. 36651 del 15/07/2010, Carelli, Rv. 248051).
E le numerosissime, conformi, decisioni successive delle Sezioni semplici della S.C. valorizzano, in sostanza, l'esigenza evitare che l'imputato sia condannato per un fatto, inteso come episodio della vita umana, rispetto al quale non abbia potuto difendersi in concreto: è appena il caso di richiamare, a mero titolo di esempio, tra le tante, Sez. 3, n. 36817 del 14/06/2011, T.D.M., Rv. 251081; Sez. 6, n. 5890 del 22/01/2013, Lucera e altri, Rv. 254419; Sez. 4, n. 4497 del 16/12/2015, dep. 2016, Addio e altri, Rv. 265946; Sez. 2, n. 17565 del 15/03/2017, Beretti, Rv. 269569: particolarmente chiara, in tale prospettiva, la risalente puntualizzazione, che va in questa sede ribadita, di Sez. 4, n. 41663 del 25/10/2005, Cannizzo ed altro, Rv. 232423, secondo cui «In tema di correlazione tra accusa e sentenza, le norme che disciplinano le nuove contestazioni, la modifica dell'imputazione e la correlazione tra l'imputazione contestata e la sentenza (articoli 516-522 cod. proc. pen.), avendo lo scopo di assicurare il contraddittorio sul contenuto dell'accusa e, quindi, il pieno esercizio del diritto di difesa dell'imputato, vanno interpretate con riferimento alle finalità alle quali sono dirette, cosicchè non possono ritenersi violate da qualsiasi modificazione rispetto a/l'accusa originaria, ma soltanto nel caso in cui la modificazione dell'imputazione pregiudichi la possibilità di difesa dell'imputato. In altri termini, poiché la nozione strutturale di "fatto", contenuta nelle disposizioni in questione, va coniugata con quella funzionale, fondata sull'esigenza di reprimere solo le effettive lesioni del diritto di difesa, il principio di necessaria correlazione tra accusa contestata (oggetto di un potere del pubblico ministero) e decisione giurisdizionale (oggetto del potere del giudice) risponde all'esigenza di evitare che l'imputato sia condannato per un fatto, inteso come episodio della vita umana, rispetto al quale non abbia potuto difendersi. (Da queste premesse, la Corte ha escluso la violazione del principio suddetto in una fattispecie in cui l'imputato, a fronte della contestazione per il reato di lesioni personali volontarie, era stato condannato per quello di lesioni colpose)»).
4.2. Ebbene, alla luce del riferito principio, risulta non essere stato leso il diritto di difesa, avendo avuto modo l'imputato di confrontarsi nel processo, in particolare modo attraverso la proposizione di impugnazione (arg. ex Sez. 4, n. 32899 del 08/01/2021, P.G. in proc. Castaldo Mario, Rv. 281997-09; Sez. 4, n. 49175 del 13/11/2019, D., Rv. 277948; Sez. 2, n. 47413 del 17/10/2014, Grasso, Rv. 260960; Sez. 2, n. 46401 del 09/10/2014, Destri e altri, Rv. 261047; Sez. 6, n. 49820 del 05/12/2013, Bilizzi e altri, Rv. 258138; Sez. 2, n. 37413 del 15/05/2013, Drassich, Rv. 256652; Sez. 5, n. 7984 del 24/09/2012, dep. 2013, Jovanovic e altro, Rv. 254649).

5. Quanto, invece, agli ulteriori motivi di doglianza, la decisione impugnata non tiene conto dei seguenti - consolidati - principi di diritto: «In tema di infortuni sul lavoro, la funzione di alta vigilanza che grava sul coordinatore per la sicurezza dei lavori - che si esplica prevalentemente mediante procedure e non poteri doveri di intervento immediato - riguarda la generale configurazione delle lavorazioni che comportino un rischio interferenziale, e non anche il puntuale controllo delle singole lavorazioni, demandato ad altre figure (datore di lavoro, dirigente, preposto), salvo l'obbligo di adeguare il piano di sicurezza in relazione all'evoluzione dei lavori e di sospendere, in caso di pericolo grave e imminente, direttamente riscontrato ed immediatamente percettibile, le singole lavorazioni fino alla verifica degli avvenuti adeguamenti da parte delle imprese interessate. (In applicazione del principio la Corte ha annullato con rinvio la sentenza che aveva riconosciuto la responsabilità del coordinatore per la progettazione e per l'esecuzione dei lavori per il reato di omicidio colposo di un lavoratore travolto dal crollo di un solaio durante la sua demolizione, effettuata in contrasto con quanto progettato, senza spiegare perché tale lavorazione fosse riconducibile al rischio interferenziale e perché egli potesse e dovesse essere a conoscenza di tale demolizione)» (Sez. 4, n. 24915 del 10/06/2021, Paletti, Rv. 281489);
e «In tema di infortuni sul lavoro, l'area di rischio governata dal coordinatore per la sicurezza nell'esecuzione dei lavori si individua in base all'area di intervento di tale garante, per come definita, ai sensi dell'allegato XV al d. lgs 9 aprile 2008, n. 81, dal piano di sicurezza e coordinamento, che comprende, oltre ai rischi connessi all'area di cantiere e all'organizzazione di cantiere, anche i rischi interferenziali connessi alle lavorazioni (cd. rischi generici), tra i quali non rientrano i rischi specifici propri dell'attività della singola impresa, di competenza del datore di lavoro, in quanto non inerenti all'interferenza fra le opere di più imprese. (In applicazione di tale principio la Corte ha ritenuto immune da censure la sentenza che aveva riconosciuto la responsabilità del datore di lavoro dell'impresa che stava eseguendo nel cantiere opere murarie, per le lesioni riportate - in conseguenza della caduta di un pannello durante il disarmo di quelli utilizzati per la realizzazione del cornicione del tetto - dal titolare di altra impresa che nel medesimo cantiere avrebbe dovuto eseguire le opere idrauliche, accompagnato dal primo in un'area sottostante al ponteggio al fine di valutare gli interventi di assistenza muraria da effettuare in relazione agli impianti idrici da realizzarsi)» (Sez. 4, n. 14179 del 10/12/2020, dep. 2021, Costantino Santo, Rv.281014).
Infatti, dovendosi applicare tali principi, occorre convenire con il ricorrente circa la non necessità, nel caso di specie, di nomina del coordinatore per la sicurezza, poiché, come spiegato nelle sentenze di merito (p. 10 della decisione impugnata e p. 7 di quella di primo grado), la originaria ipotesi di compresenza di più ditte impegnate nel cantiere non si è in concreto realizzata, essendovi unicamente la presenza della "R.moter".
5.1. Ciò posto, il punto che non sembra essere stato colto appieno dai Giudici di merito è che si dà atto essersi A.A. comportato in concreto come se vi fosse necessità del coordinatore, pur non essendovi compresenza di più imprese, prima redigendo un piano, che si assume generico, poi effettuando accessi e segnalando formalmente la necessità di corretto uso dei caschi - e si tratta di circostanze di fatto non contestate dal ricorrente - senza, tuttavia, approfondire le implicazioni, logiche e giuridiche, di tale ricognizione di un ruolo svolto ovvero di ruoli svolti "di fatto".
Partendo da tale constatazione, la Corte di merito non si è posta la domanda, che sarebbe stata doverosa, se A.A. si sia, per così dire, "volontariamente accollato" la posizione di garanzia di coordinatore per la sicurezza, impropriamente impiegando in sentenza (p. 14), per descrivere il ruolo di A.A., il termine "ingerenza", che, invece, a rigore, dovrebbe riferirsi alla condotta attiva di più imprese, volendo intendere - deve ritenersi - lo svolgimento di fatto delle funzioni tipiche del garante, in specie coordinatore per la sicurezza in fase di progettazione e/o in fase di esecuzione, mediante un comportamento concludente consistente nella effettiva presa in carico del bene protetto. E, ove si risponda a tale domanda in senso affermativo, non ci si è interrogati circa le conseguenze che possano/debbano trarsi da tale "auto­assunzione", tenendo a mente la distinzione (cfr. Sez. 4, n. 18472 del 04/03/2008, Bongascia, Rv. 240393) tra:
coordinatore per la progettazione, ai sensi degli artt. 90, comma 3, e 91 del d. lgs. 9 aprile 2008, n. 81 (già 4 del d. lgs. 14 agosto 1996, n. 494), che ha essenzialmente il compito di redigere il piano di sicurezza e coordinamento (acronimo: P.S.C.), che contiene l'individuazione, l'analisi e la valutazione dei rischi, e le conseguenti procedure, apprestamenti ed attrezzature per tutta la durata dei lavori;
e coordinatore per l'esecuzione dei lavori, ai sensi degli artt. 90, comma 4, e 92 del d. lgs. n. 81 del 2008 (già art. 5 del d. lgs. n. 494 del 1996), che ha i compiti: (a) di verificare, con opportune azioni di coordinamento e di controllo, l'applicazione delle disposizioni del piano di sicurezza; (b) di verificare l'idoneità del piano operativo di sicurezza (P.O.S.), piano complementare di dettaglio del P.S.C., che deve essere redatto da ciascuna impresa presente nel cantiere; (e) di adeguare il piano di sicurezza in relazione all'evoluzione dei lavori ed alle eventuali modifiche intervenute, di vigilare sul rispetto del piano stesso e sospendere, in caso di pericolo grave ed imminente, le singole lavorazioni.
Si dovrà necessariamente puntualizzarsi se ed eventualmente quale ruolo o quali ruoli abbia in concreto svolto l'agente, se cioè quello di coordinatore per la progettazione e/o quello di coordinatore per l'esecuzione, aspetti di decisiva importanza, che non risultano chiari in sentenza, al fine di offrire risposta alla questioni poste con il secondo, terzo e quarto motivo di ricorso.

5.2. Ove, dunque, si ritenga di dover inquadrare il ruolo eventualmente svolto dal ricorrente in quello di coordinatore per la progettazione, si terrà necessariamente conto che «In tema di infortuni sul lavoro, nel caso in cui i lavori contemplino l'intervento di più imprese o lavoratori autonomi, anche in successione tra loro, il coordinatore per la progettazione risponde per l'infortunio riconducibile all'inadeguata valutazione, nel piano di sicurezza e di coordinamento, del rischio interferenziale, e alla mancata previsione di misure di sicurezza idonee a prevenirlo. (In applicazione di tale principio la Corte ha ritenuto immune da censure la sentenza che aveva riconosciuto la responsabilità del coordinatore per la progettazione per il decesso di un lavoratore caduto dal tetto di un edificio, per non avere previsto, nel piano di sicurezza e coordinamento, l'imbragatura dei lavoratori addetti a lavorazioni sul tetto diverse da quelle di sostituzione dei lucernari)» (Sez. 4, n. 17213 del 15/02/2019, Danzi, Rv. 275713).
5.3. Infine, ove si intenda risolta in senso affermativo la questione dello svolgimento di fatto, da parte dell'imputato, delle funzioni di coordinatore nella fase esecutiva, con specifico riferimento al contenuto dell'ultimo motivo di ricorso, appare meramente affermata, ma in realtà non dimostrata, la ricorrenza di un caso di doverosità da parte di A.A. dell'adozione di ordine di sospensione dei lavori ex art. 92 d. lgs. 81 del 2008, non misurandosi i decidenti con una circostanza fattuale e con un principio di diritto. Le si indica:
A) si legge alle pp. 6 e 14 della stessa sentenza impugnata ed alle pp. 7-8 di quella di primo grado che l'imputato, dopo avere riscontrato il mancato impiego del casco protettivo, ne aveva già raccomandato l'uso ai lavoratori;
B) costituisce punto fermo in materia di infortuni sul lavoro - deve ribadirsi - che non compete al coordinatore per l'esecuzione il puntuale controllo, momento per momento, delle singole lavorazioni, controllo che è demandato ad altre figure (tra le numerose, oltre alle già richiamate Sez. 4, n. 24915 del 10/06/2021, Paletti, e Sez. 4, n. 14179 del 10/12/2020, dep. 2021, Costantino Santo, v. anche: Sez. 4, n. 34869 del 12/04/2017, Leone, Rv. 270756; Sez. 4, n. 27165 del 24/05/2016, Battisti, Rv. 267735; Sez. 4, n. 46991 del 12/11/2015, Portera e altri, Rv. 265661, Sez. 4, n. 18149 del 21/04/2010, Cellie e altro, Rv. 247536).
5.4. Si impone, in definitiva, un nuovo giudizio che, prendendo le mosse dalla corretta ricostruzione in fatto rispetto alle emergenze istruttorie, prima, e dal corretto inquadramento in diritto, poi, dell'effettivo ruolo eventualmente svolto del ricorrente ovvero degli effettivi ruoli avuti nella peculiar vicenda, tragga, con il necessario rigore logico, le conseguenti implicazione, sotto il profilo della eventuale doverosità giuridica di un agire dell'imputato in maniera difforme da come agito, senza trascurare il profilo della c.d. causalità della colpa nel caso di specie, profilo che è stato efficacemente affrontato dalla Difesa nel secondo, terzo e quarto motivo di ricorso e, già prima, nell'atto di appello ma che non è stato adeguatamente risolto nella sentenza impugnata.

6. Consegue dalle considerazioni svolte la reiezione del ricorso di C.R., con condanna dello stesso, per legge (art. 616 cod. proc. pen.), al pagamento delle spese processuali, ed invece l'annullamento della sentenza impugnata limitatamente alla posizione di A.A. , con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello dì Torino per nuovo giudizio.

 

P.Q.M.

 


Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla posizione di A.A. con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Torino per nuovo giudizio.
Rigetta il ricorso di C.R. che condanna al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 23/11/2022.