Cassazione Penale, Sez. 4, 20 febbraio 2023, n. 7012 - Ribaltamento del parapetto in fase di smontaggio e schiacciamento mortale dell'operaio esperto. Annullamento con rinvio per un'analisi approfondita della dinamica


 

 

Presidente: MONTAGNI ANDREA
Relatore: CENCI DANIELE Data Udienza: 23/11/2022
 

 

Fatto




1. La Corte di appello di Reggio Calabria l'11 maggio 2021 ha integralmente confermato la sentenza, appellata dagli imputati, con la quale il G.u.p. del Tribunale di Reggio Calabria il 14 gennaio 2015, all'esito del giudizio abbreviato, ha riconosciuto M.C. e M.M. responsabili del reato di omicidio colposo, con violazione della disciplina anti-infortunistica, fatto commesso il 27 ottobre 2012, in conseguenza condannando ciascuno, senza circostanze attenuanti, operata la riduzione per il rito, alla pena di giustizia, oltre al risarcimento dei danni, in forma generica, alle parti civili, con assegnazione alle stesse di somma a titolo di provvisionale.

2. I fatti, in estrema sintesi, come concordemente ricostruiti dai Giudici di merito.
2.1. La mattina presto del 27 ottobre 2012 F.C., operaio dipendente della s.p.a. "M.C." (appaltatrice di lavori da parte dell'ANAS), è rimasto vittima di un mortale incidente sul lavoro all'interno del cantiere in cui prestava servizio.
In particolare, essendo in corso lavori su un viadotto autostradale dell'autostrada A3 Salerno - Reggio Calabria, F.C. era intento nelle operazioni di smontaggio di un parapetto costituente paratia di sicurezza della trave di varo ubicata sull'impalcato del viadotto: non essendo stato, però, il parapetto, lungo 4 metri e pesante circa 240 kg., preventivamente "imbragato", F.C. iniziava a svitare, usando lo svitatore, gli ultimi bulloni che in quel momento assicuravano il parapetto alla trave ma il parapetto si ribaltava e schiacciava il malcapitato, che moriva per arresto cardio-circolatorio da asfissia meccanica provocata dal gravissimo trauma toracico addominale riportato.
Al momento dell'infortunio il pesante parapetto non era assicurato, come invece sarebbe dovuto essere, ad una gru tramite una catena in metallo, e non erano presenti né il gruista né altri colleghi di F.C..
2.2. L'ing. M.C., in veste di direttore tecnico di cantiere e di responsabile, per delega scritta, in materia di sicurezza e di salute, ed il geom. M.M., nella qualità di preposto e di supervisore dei lavori, sono stati ritenuti responsabili, a titolo di cooperazione colposa ex art. 113 cod. pen., della morte di F.C., che è risultato essere operaio capace ed esperto, lavoratore che svolgeva le funzioni di capocantiere e di caposquadra e che era stato nominato formalmente preposto per la sicurezza nel cantiere.
Posto che il tipo di situazione di rischio in concreto verificatasi era stata correttamente prevista nel piano operativo di sicurezza (acronimo: P.O.S.), che prevedeva espressamente (nell'integrazione n. 32, punto n. 7) la imbragatura della passarella con le catene dell'autogru, i Giudici di merito hanno ritenuto: non essere stata in concreto osservata la procedura pur prevista nel P.O.S.; essere stata carente l'organizzazione di cantiere per quanto riguarda l'inizio e l'esecuzione dei lavori; essere stato comunque mancante nell'occasione un preposto che vigilasse sulle eventuali imprudenze del preposto sig. F.C. (sulla effettività della cui nomina come preposto al fine della sicurezza le sentenze avanzano peraltro riserve).
In particolare, si è ritenuto:
quanto al direttore di cantiere, ing. M.C., non avere lo stesso attuato quanto esplicitamente previsto dal P.O.S. (con violazione dell'art. 100 del d. lgs. 9 aprile 2008, n. 81), per non avere organizzato correttamente l'attività lavorativa e per non avere adeguatamente vigilato su di essa il giorno dell'incidente, anche avuto riferimento alla circostanza che si lavorava su uno dei viadotti autostradali più alti d'Europa, poiché, se il pesante parapetto fosse stato adeguatamente imbragato con la catena e fissato alla gru, non avrebbe travolto il malcapitato;
quanto al geom. M.M., considerato che la vittima, F.C., non avrebbe mai potuto assumere il ruolo di "garante di sé stesso", non avere adeguatamente vigilato sui tempi ed affinché il lavoro si svolgesse in condizioni di sicurezza: con specifico riferimento all'evento occorso, per non avere impedito che la vittima iniziasse l'attività di smontaggio dei bulloni, pur non essendo presente il gruista e pur non essendo stato previamente imbragato il pesante parapetto, e per non avere vigilato circa il quasi totale smontaggio dei bulloni che tenevano unito il parapetto alla trave di varo, operazione insicura, nelle concreta condizioni in cui è stata posta in essere.
Si è ritenuto l'agire della vittima, in solitudine, senza previa imbragatura del parapetto, sicuramente imprudente, ma non abnorme, in quanto non estranea al processo lavorativo né straordinaria né imprevedibile.

3. Ricorrono per la cassazione della sentenza gli imputati, tramite separati ricorsi curati da distinti Difensori di fiducia, affidandosi ciascuno a più motivi, con i quali denunziano promiscuamente violazione di legge e vizio di motivazione.

4. Ricorso nell'interesse di M.C. (tre motivi).
4.1. Con il primo motivo lamenta violazione degli artt. 40, 41, 113 e 589 cod. pen. e, nel contempo, difetto di motivazione sotto il profilo della mancanza di nesso di causalità tra la presunta condotta omissiva dell'imputato e l'evento lesivo occorso.

Premesso che la sentenza impugnata fonderebbe la responsabilità - anche - del ricorrente sulla mancata presenza dell' ing . M.C. in cantiere la mattina dell'infortunio, si sottopone la stessa a censura poiché, secondo il ragionamento contro-fattuale, quand'anche l'imputato fosse stato presente, non avrebbe potuto evitare l'evento. Di ciò si avrebbe dimostrazione nell'istruttoria, essendo emerso che nella prima fase della lavorazione, quando cioè F.C. era in compagnia di M., F.C. ha invitato il collega a sospendere i lavori per riprenderli solo all'arrivo della gru, per poi - purtroppo - riprendere l'attività di svitaggio dei bulloni in completa solitudine, essendosi allontanato M., così ponendo in essere una condotta abnorme che però tale non è stata riconosciuta - erroneamente ed illegittimamente - dalla Corte di appello .
Ad avviso del ricorrente, dunque, sarebbe da escludere la causalità materiale, in quanto, «ai sensi dell'art. 41, 2 c., c.p., il rapporto di causalità rispetto alle condotte contestate agli imputati Cimai e M.M. risulta escluso proprio allorchè il contegno e il contributo causale riferibili al F.C. sono stati da soli sufficienti a determinare l'evento » ( così alla p. 4 del ricorso).
Inoltre, si censura l'erronea applicazione dell'art. 40, comma 2, cod. pen., da parte della Corte di appello in relazione al mancato riconoscimento della abnormità della condotta della vittima, abnormità che non sarebbe da ricercare - come invece opera la sentenza impugnata - nella estraneità o meno rispetto alla prestazione lavorativa ma, a ben vedere, «in un quid pluris, identificato nella scelta scellerata dell'agente di operare il contrario di quanto appena ordinato al sottoposto M., ovvero l'astensione dallo smontaggio fino all'arrivo della gru e dell'avvenuta imbragatura [...ossia] nell'operato del preposto [...] che contravviene alle direttive imposte da sé medesimo. In quel frangente, nessun preposto del preposto e nessuna altra figura avrebbe potuto impedire un'azione contradetta non solo dalla logica, ma anche dalle dichiarazioni appena precedenti dello stesso F.C.» (così alla p. 5 del ricorso), essendosi in presenza di un fattore incongruo, imprevedibile e contra se del preposto F.C..
4.2. Con il secondo motivo censura promiscuamente violazione degli artt. 40, comma 2, cod. pen. e 16, 18 e 100 del d. lgs. n. 81 del 2008.
La sentenza di appello verrebbe sostanzialmente a parificare tra loro le posizioni di garanzia ricoperte dagli imputati, senza specificamente delimitare l'ambito in cui si colloca l'area del rischio. In particolare, la Corte di appello, pur avendo correttamente affermato {alla p. 16) che il P.O.S. era completo e che la delega conferita all'ing. M.C. era quella di far attuare il P.O.S., tramite i preposti di cantiere, trascura poi di temere nella debita considerazione che l'imputato in quel momento aveva due preposti, cioè il coimputato M.M. e la vittima F.C., anch'essi titolari di delega di funzioni e ricoprenti entrambi "posizioni di garanzia". E quand'anche si accedesse alla tesi della Corte di appello - prosegue il ricorso - secondo cui, mentre svolgeva compiti lavorativi era necessario un altro garante, non potendo essere "garante di se stesso", rimarrebbe comunque la posizione di garanzia dell'ulteriore preposto, il geom. MO., che ha accettato la nomina a preposto. Ne discenderebbe l'insussistenza della violazione dell'art. 100, comma 3, del d. lgs. n. 81 del 2008 da parte dell'ing. M.C., il quale non era tenuto «a vigilare ulteriormente sull'operato del M.M., già preposto del preposto F.C., pena una regressione all'infinito che avrebbe fatto del M.C. il preposto del preposto, vanificando l'essenza stessa della delega di funzioni ex art. 16 d. Lgs. 81/2008, ma anche il c.d. principio di affidamento per come enucleato dalla giurisprudenza di legittimità» (così alla p. 9 del ricorso).
4.3. Tramite l'ultimo motivo M.C. si duole del mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, in quanto il ragionamento al riguardo svolto dalla Corte territoriale, incentrato sulla assenza di un comportamento volto a fornire un effettivo contributo in funzione dell'accertamento della verità, sarebbe distante dai presupposti giuridici per l'applicazione dell'art. 62-bis cod. pen. e, in ogni caso, trascurerebbe la condotta processuale da stimarsi positiva dell'imputato, che ha chiesto l'abbreviato "secco", non ha svolto eccezione processuali e non ha chiesto rinvii dilatori.

5. Ricorso nell'interesse di M.M. (due motivi).
5.1. Con il primo motivo il ricorrente denunzia promiscuamente violazione degli artt. 40, 41, 113 e 589 cod. pen. e 192 e 533 cod. proc. pen. e vizio di motivazione.
Il ricorrente premette che la Corte di appello, avendo rinnovato l'istruttoria tramite esame di più testi, ritiene di avere accertato che la vittima svolgesse nel cantiere le funzioni tipiche di capocantiere e di caposquadra; in realtà, alla stregua delle emergenze istruttorie, che si riferiscono (dichiarazioni dei colleghi M., P., B.), la Difesa ritiene essere emerso che F.C. svolgesse concretamente compiti di preposto per la sicurezza e vigilasse sull'operato degli altri operai: ciò posto, censura la sentenza impugnata per avere trascurato che il giorno dell'infortunio l'unico preposto alla sicurezza del cantiere presente di turno fosse proprio F.C..
Inoltre, l'istruttoria testimoniale avrebbe dimostrato che sia l'ing. M.C. che il geom. M.M. erano quotidianamente in cantiere e che avevano compiti di direzione, di coordinamento, di controllo e di vigilanza ai fini della sicurezza, e che F.C., in presenza di uno dei due, svolgeva anche attività operative e manuali, «mentre, in loro assenza, rimanendo unico preposto presente sul luogo di lavoro, doveva, invece, limitarsi a svolgere funzioni di controllo e direzione dei lavori» (così alla p. 12 del ricorso). In conseguenza, sarebbe illogico il convincimento dei Giudici di merito, «secondo cui il F.C. rivestirebbe solo formalmente la funzione di preposto, occupandosi invece "ordinariamente" di funzioni esecutive, qualità del tutto smentita dai testi che affermano che costui alternasse, eseguendole, ora le funzioni di preposto in assenza dei suoi sovraordinati [cioè M.C. e M.M.], ora quelle di operatore esecutivo alla presenza di questi ultimi» (così alla p. 12 del ricorso). Coerentemente con tale impostazione, la mattina presto del 27 ottobre 2012, essendo assenti sia M.C. che M.M., F.C. ha impartito le direttive sulle operazioni da eseguire, ha vigilato sull'attività di smontaggio del parapetto da parte di M., poi, arrivato ad un certo punto, gli ha ordinato di interrompere, dovendosi attendere l'arrivo del gruista, «salvo poi [F.C.] accingersi incomprensibilmente a proseguire, in solitudine, l'interrotta operazione di smontaggio che gli costò la vita » ( così alla p. 12 del ricorso).
Ulteriore illogicità si rinviene, ad avviso del ricorrente, nella sentenza impugnata ove si addebita a M.M. l'om essa vigilanza sull'inizio dei lavori di smontaggio del parapetto, in quanto, in realtà, anche per M.M. vigeva l'orario di inizio delle ore 07.00 ma l'incidente è da collocarsi, secondo la testimonianza di M., tra le ore 06.40 e le 07.00, sicchè, anche ove il geometra quella mattina fosse giunto in cantiere puntualissimo, appunto alle ore 07.00, «comunque non avrebbe potuto impedire al F.C. di iniziare anzitempo la giornata lavorativa (in violazione della normativa di riferimento) e così scongiurare il verificarsi dell'evento infausto» (così alla p. 14 del ricorso). In realtà, la vittima, unico preposto alla sicurezza presente in cantiere in quel momento, avrebbe dovuto far rispettare sia l'orario di inizio delle lavorazioni, fissato alle ore 07.00, sia tutte le procedure di sicurezza e, dunque, non avrebbe dovuto consentire a M. di iniziare lo smontaggio prima dell'arrivo del gruista, nel rispetto della procedura del P.O.S., mentre ad un certo punto ha inopinatamente mancato di rispettare le previsioni del P.O.S.: con la tragica conseguenza che si è visto.
Richiamato, quindi, precedente di legittimità che si stima pertinente (Sez. 4, n. 14915 del 19/02/2019, Arrigoni, Rv. 275577) in tema di posizione di garanzia di datore di lavoro, dirigenti e preposti, si assume essere nel caso di specie «evidente che la nomina di preposto della sicurezza del F.C., oltre a quella del geometra M.M., fosse del tutto adeguata a garantire l'osservanza e l'efficacia delle misure prevenzionistiche adottate a seguito della valutazione del rischio commesso alle attività lavorative in corso di svolgimento, oltre che rispondente ad esigenze pratiche correlate a/l'ampiezza del cantiere ed alla complessità delle lavorazioni ivi svolte che richiedevano la presenza costante di un garante della sicurezza» (così alla p. 17 del ricorso).
Si censura, infine, l'esclusione da parte dei Giudici di merito della caratteristica della abnormità nella condotte della vittima, in quanto, a ben vedere, si sarebbe in presenza di un comportamento anomalo, ontologicamente avulso da ogni intervento ipotizzabile e da ogni scelta prevedibile, connotato da totale mancanza di accortezza, peraltro posto in essere da parte di soggetto estremamente esperto, che era un vero e proprio punto di riferimento per tutti gli altri operai: ne discenderebbe la impossibilità che il ricorrente potesse prevedere la commissione di un simile comportamento.
Si richiama al riguardo giurisprudenza di legittimità stimata pertinente (Sez. 4, n. 418 del 02/03/2011).
5.2. Con l'ulteriore motivo M.M. censura violazione degli artt. 62- bis e 133 cod. pen. e, nel contempo, difetto di motivazione in relazione al mancato riconoscimento delle attenuanti generiche ed alla dosimetria della pena.
5.2.1. Quanto al primo aspetto, il diniego è incentrato sul mancato effettivo contributo all'accertamento della verità dei fatti (p. 83 della sentenza impugnata), trascurando che l'imputato ha accettato di farsi giudicare allo stato degli atti e che il diritto al silenzio è garantito dalla Costituzione e da norme sovranazionali.
5.2.2. In relazione all'ulteriore tema, si sottolinea che il silenzio serbato dall'imputato non può essere valorizzato quale condotta successiva ai fatti di tipo negativo, in quanto il diritto al silenzio è estrinsecazione del diritto di difesa; in ogni caso, si fa presente che la sentenza impugnata espressamente afferma (alla p. 83) che non vi sono rilievi circa la condotta tenuta dagli imputati.
I ricorrenti chiedono, dunque, l'annullamento della sentenza impugnata.

6. Il P.G. nella requisitoria scritta del 12 ottobre 2022 ha chiesto il rigetto del ricorso.

7. Le parti civili tramite memoria in data 6 ottobre 2022 hanno domandato il rigetto del ricorso, ribadendo la sussistenza di una posizione di garanzia in capo agli imputati, la esistenza nel caso di specie di carenze organizzative e richiamando giurisprudenza di legittimità ritenuta pertinente in tema di nesso di causalità.

8. E' stata tempestivamente chiesta dalla Difesa di M.M. la trattazione orale del procedimento.

 

Diritto
 




1. Il primo motivo di doglianze di entrambi i ricorsi è fondato, con assorbimento logico delle doglianze ulteriori.

2. Colgono, infatti, nel segno le censure difensive in tema di costruzione della responsabilità di entrambi gli imputati, in quanto la condotta della vittima appare contraddistinta da due anomalie, di cui una, una, per così dire, ontologica, ed una cronologica.
La prima: emerge pacificamente che la vittima, operaio assai esperto, punto di riferimento per i colleghi ed i dirigenti, prima ha intimato all'operaio M. di astenersi dal continuare lo smontaggio del pesante parapetto sino all'arrivo della gru per poter procedere all'imbragatura, così dimostrando di ben conoscere la procedura di sicurezza e di avere intenzione di rispettarla, per poi, una volta rimasto solo, riprendere il pericoloso smontaggio dei bulloni, con il tragico esito.
La seconda: dalla lettura delle pp. 5-6, 31, 61 e ss., 77-78 e 82 della sentenza impugnata si desume l'attività lavorativa avrebbe dovuto cominciare alle ore 07.00 del mattino ma che l'infortunio mortale è avvenuto tra le 06.40 e le 07.00, prima ancora dell'orario di inizio (si tratta di questione di fatto che era stata già posta alle pp. 3-10 dell'atto di appello nell'interesse di M.M. e che non ha trovato adeguata risposta da parte dei Giudici di merito).
Il primo aspetto, infatti, ove ulteriormente approfondito, potrebbe avere rilevanza al fine dell'eventuale inquadramento o meno del concreto agire della persona offesa F.C. in termini di abnormità o di esorbitanza, nella tradizionale accezione di qualcosa di radicalmente, ontologicamente, lontano dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nella esecuzione del lavoro (Sez. 4, n. 7188 del 10/01/2018, Bozzi, Rv. 272222; Sez. 4, n. 7267 del 10/11/2009, dep. 2010, Iglina e altri Rv. 246695; Sez. 4, n. 40164 del 03/06/2004, Giustiniani, Rv. 229564; Sez. 4, n. 952 del 27/11/1996, dep. 1997, Maestrini, Rv. 206990) ovvero, secondo una ulteriore, persuasiva, puntualizzazione, nel significato di condotta tale da attivare un rischio eccentrico o esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia (in tal senso, tra le numerose, Sez. 4, n. 33976 del 17/03/2021, Viga, Rv. 281748; Sez. 4, n. 5794 del 26/01/2021, Chierichetti, Rv. 280914; Sez. 4, n. 5007 del 28/11/2018, dep. 2019, PM in proc. Musso, Rv. 275017; Sez. 4, n. 15124 del 13/12/2016, dep. 2017, Gerosa ed altri, Rv. 269603).
L'ulteriore aspetto, se maggiormente indagato, potrebbe avere rilievo onde affermare ovvero escludere la responsabilità degli imputati, essendo il fatto accaduto in un orario in cui nessuno dei due era tenuto ad essere presente in cantiere.

3. Si impone, dunque, l'annullamento della sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di appello di Reggio Calabria, che, naturalmente in assoluta autonomia di giudizio, affronterà i temi in questione, ad esempio raccogliendo ogni possibile dettaglio circa la dinamica dell'infortunio ed eventualmente approfondendo i seguenti temi di fatto: se, in ipotesi, esistesse o meno una prassi di tolleranza verso condotte irregolari o pericolose nel cantiere; se vi fosse una prassi di iniziare le lavorazioni prima dell'orario prefissato, e, nell'eventuale affermativa, la ragione.
Il Giudice del rinvio dovrà provvedere anche sulla regolamentazione delle spese tra le parti di questo giudizio di legittimità.

 

P.Q.M.
 



Annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Reggio Calabria per nuovo giudizio cui demanda altresì la regolamentazione delle spese tra le parti di questo giudizio di legittimità.
Così deciso il 23/11/2022.