• Datore di Lavoro
  • Cantiere Temporaneo e Mobile

 

 

Responsabilità del capo cantiere e responsabile per la sicurezza sul luogo di lavoro e quindi anche della porzione di cantiere sita in c/da (OMISSIS) ove si stavano svolgendo lavori di curvatura delle tubazioni del metanodotto in precedenza posizionate e del relativo trasporto, perchè, in concorso con altri, cagionava, con colpa, il decesso del lavoratore L.S., altro componente della squadra di lavoro con qualifica di aiutante generico, decesso determinato dalle mortali lesioni (coma profondo, midriasi rigida bilaterale, arresto respiratorio e cardiaco, ustioni alla mano destra e al piede destro) conseguenti ad un folgorazione da scarica elettrica provocata dal contatto con i soprastanti cavi dell'alta tensione, di un tubo per il metano manipolato dal L. durante il trasporto.

Ricorre in Cassazione - Respinto.


 
 
REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MOCALI Piero - Presidente

Dott. FOTI Giacomo - Consigliere

Dott. MAISANO Giulio - Consigliere

Dott. MASSAFRA Umberto - rel. Consigliere

Dott. BLAIOTTA Rocco Marco - Consigliere

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

1) M.A. N. IL (OMISSIS);

avverso la sentenza n. 408/2007 CORTE APPELLO di PALERMO, del 12/11/2007;

visti gli atti, la sentenza e il ricorso;

udita in PUBBLICA UDIENZA del 17/03/2010 la relazione fatta dal Consigliere Dott. MASSAFRA Umberto;

Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. GALATI Giovanni che ha concluso per il rigetto del ricorso;

Udito il difensore Avv. TIRINNOCCHI PENNA Salvatore, del foro di Agrigento, che ha concluso chiedendo l'accoglimento dei motivi oggi dedotti.


Fatto
 
Ricorre per cassazione il difensore di fiducia di M.A. avverso la sentenza emessa in data 12.11.2007 dalla Corte di Appello di Palermo che confermava quella in data 12.4.2006 del Tribunale di Trapani - Sezione distaccata di Alcamo - in composizione monocratica, con la quale il M. era stato condannato, con circostanze attenuanti generiche e quella del risarcimento del danno equivalenti alla contestata aggravante della violazione delle norme degli infortuni sul lavoro, alla pena condizionalmente sospesa di mesi otto di reclusione per il delitto di omicidio colposo aggravato in danno di L.S. (accertato il (OMISSIS)).
Secondo la contestazione, il M., quale capo cantiere e responsabile per la sicurezza sul luogo di lavoro e quindi anche della porzione di cantiere sita in c/da (OMISSIS) ove si stavano svolgendo lavori di curvatura delle tubazioni del metanodotto in precedenza posizionate e del relativo trasporto, in concorso con altri, cagionava, con colpa, il decesso del lavoratore L.S., altro componente della squadra di lavoro con qualifica di aiutante generico, decesso determinato dalle mortali lesioni (coma profondo, midriasi rigida bilaterale, arresto respiratorio e cardiaco, ustioni alla mano destra e al piede destro) conseguenti ad un folgorazione da scarica elettrica provocata dal contatto con i soprastanti cavi dell'alta tensione, di un tubo per il metano manipolato dal L. durante il trasporto, al fine di correggere le oscillazioni e per rimetterla in posizione, dopo che lo stesso si era improvvisamente eretto verso l'alto, a causa di un sopravvenuto sbilanciamento dell'imbracatura in cui era contenuto, durante il trasporto effettuato con il veicolo guidato da V. (giudicato separatamente) - ed al quale sbilanciamento il L. aveva cercato di opporre rimedio, riafferrando con le mani il tubo divenuto, nel frattempo - in conseguenza di un contatto con i cavi dell'alta tensione -, un conduttore assai efficace di energia elettrica ad altissima potenza e rimanendo, a causa di ciò, colpito da una scarica di corrente elettrica violentissima.

In particolare al M. era contestata la condotta colposa di aver, con negligenza, imprudenza ed imperizia:

- omesso di avvisare l'ENEL, azienda di erogazione dell'energia elettrica, al fine di concordare una disattivazione temporanea della linea elettrica ad alta tensione, stante la possibilità evidente di uno sbilanciamento, con erezione verso l'alto delle tubazioni trasportate, in prossimità di tale linea a causa del terreno sconnesso ed in pendenza;

- omesso di disporre - in assenza di tale disattivazione - che il trasporto del tubo a mezzo del veicolo cingolato, su terreno sconnesso ed in pendenza, avvenisse lungo una pista di trasporto non sottostante i cavi di conduzione dell'energia elettrica ad alta tensione. Si deducono i seguenti motivi.

1. La violazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e) in relazione agli artt. 40, 43 e 589 c.p. (vizio di motivazione in ordine al nesso di causalità e all'esistenza della colpa), assumendo che non corrispondeva a quanto emerso dagli atti l'affermazione della Corte territoriale secondo cui l'impresa non era di grandi dimensioni onde non si doveva far ricorso al sistema delle deleghe ed in ogni caso era stato ampiamente documentato e provato che il M. non era soggetto preposto ed addetto alla sicurezza, mentre la Corte territoriale non aveva affatto risposto alle critiche che erano state mosse con i motivi.

2. La violazione del principio di correlazione tra fatto contestato e quello ritenuto in sentenza (art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) in relazione all'art. 521 c.p.p.), assumendo che il giudice di 1^ grado, ritenendo che al M., oltre che il profilo specifico di cui all'imputazione, la colpa fosse stata contestata anche sotto il profilo generico, aveva ritenuto che il prevenuto, quale capo cantiere fosse anche addetto alla sicurezza, e per tale motivo ne aveva affermata la sua responsabilità e che le contestazioni sollevate al riguardo con l'atto d'appello erano state disattese dalla Corte di appello senza indicare alcuna fonte processuale.

3. Il vizio motivazionale in ordine al rigetto della richiesta di valutazione con criterio di prevalenza delle concesse circostanze attenuanti sulla contestata aggravante.

 
Diritto

Il ricorso è infondato.

Giova premettere che il nuovo testo dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), come modificato dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46, con la ivi prevista possibilità per la Cassazione di apprezzare i vizi della motivazione anche attraverso gli "atti del processo", non ha alterato la fisionomia del giudizio di cassazione, che rimane giudizio di legittimità e non si trasforma in un ennesimo giudizio di merito sul fatto.
In questa prospettiva, non è tuttora consentito alla Corte di Cassazione di procedere ad una rinnovata valutazione dei fatti ovvero ad una rivalutazione del contenuto delle prove acquisite, trattandosi di apprezzamenti riservati in via esclusiva al giudice del merito.
Il novum normativo, invece, rappresenta il riconoscimento normativo della possibilità di dedurre in sede di legittimità il cosiddetto "travisamento della prova", finora ammesso in via di interpretazione giurisprudenziale: cioè, quel vizio in forza del quale la Cassazione, lungi dal procedere ad una inammissibile rivalutazione del fatto e del contenuto delle prove, può prendere in esame gli elementi di prova risultanti dagli atti onde verificare se il relativo contenuto sia stato o no "veicolato", senza travisamenti, all'interno della decisione (Cass. pen. Sez. 5, 25.9.2007, n. 39048, rv. 238215; Sez. 6, 18.12.2006, n. 752, rv. 235733 ed altre).

Ma in ogni caso non spetta alla Corte di cassazione "rivalutare" il modo con cui uno specifico mezzo di prova è stato apprezzato dal giudice di merito, giacchè, attraverso la verifica del travisamento della prova il giudice di legittimità può e deve limitarsi a controllare se gli elementi di prova posti a fondamento della decisione esistano o, per converso, se ne esistano altri inopinatamente e ingiustamente trascurati o fraintesi (Cass. pen., sez. 4, 12.2.2008, n. 15556, rv. 239533).

Ciò peraltro vale nell'ipotesi di decisione di appello difforme da quella di primo grado, in quanto nell'ipotesi di doppia pronunzia conforme (come nel caso di specie) il limite del devolutum non può essere superato ipotizzando recuperi in sede di legittimità, salva l'ipotesi in cui il giudice d'appello, al fine di rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, richiami atti a contenuto probatorio non esaminati dal primo giudice (cfr. Cass. pen. sez. 4, 3.2.2009, n. 19710 rv. 243636; Conformi: n. 5223 del 2007 Rv. 236130; n. 24667 del 2007 Rv. 237207; sez. 2, 15.1.2008, n. 5994).

Inoltre, è orientamento consolidato quello secondo cui deve essere recepita ed applicata anche in sede penale la regola della cosiddetta "autosufficienza" del ricorso costantemente affermata, in relazione al disposto di cui all'art. 360 c.p.c., n. 5, dalla giurisprudenza civile, con la conseguenza che, quando si lamenti la omessa valutazione o il travisamento del contenuto di specifici atti del processo penale, è onere del ricorrente suffragare la validità del suo assunto mediante la completa trascrizione dell'integrale contenuto degli atti medesimi in modo da rendere possibile l'apprezzamento del vizio dedotto (cfr. Cass. pen. Sez. 4, 26.6.2008 n. 37982 Rv. 241023; Sez. 1, 22.1.2009, n. 6112 Rv. 24322).
Ma a ciò non ha in alcun modo adempiuto il ricorrente che, dopo aver richiamato genericamente gli atti e le deposizioni acquisite, ha esposto la propria visione dell'estensione del cantiere e delle competenze del M., limitandosi ad affermare, a fronte della precisa indicazione contenuta in sentenza, secondo la quale "nel caso di specie è rimasto accertato che l'imputato era il direttore del cantiere e preposto alla sicurezza, dunque referente dell'organizzazione dell'attività di lavoro (collettivo) nell'ambito dello stesso", che "risulta ampiamente documentato e provato in atti che il M. non era il soggetto preposto ed addetto alla sicurezza", senza indicare specificamente e con la massima precisione le fonti di prova e i peculiari documenti a ciò deputati, ovvero allegarli in copia. Tanto meno è dato rinvenire alcuna violazione del principio di correlazione tra contestazione e sentenza: del resto, nei procedimenti per reati colposi, persino la sostituzione o l'aggiunta di un particolare profilo di colpa, sia pure specifica, al profilo di colpa originariamente contestato, non vale a realizzare diversità o immutazione del fatto ai fini dell'obbligo di contestazione suppletiva di cui all'art. 516 c.p.p. e dell'eventuale ravvisabilità, in carenza di valida contestazione, del difetto di correlazione tra imputazione e sentenza ai sensi dell'art. 521 c.p.p. (Cass. pen. Sez. 4 19.5.2009, n. 31968 Rv. 245313).
A fortiori deve ritenersi che ciò valga dove si tratti di aspetti di mera colpa generica, come rappresentato dal ricorrente, sebbene, nel caso di specie la Corte si sia mantenuta correttamente nell'ambito della contestazione riportata nella premessa della stessa.

Del tutto esaustiva e logica s'appalesa la motivazione addotta dalla Corte territoriale per rigettare la richiesta di giudizio di prevalenza delle concesse attenuanti sull'aggravante contestata.

Invero, quanto al giudizio di comparazione di mera equivalenza, si deve rammentare che le "statuizioni relative al giudizio di comparazione tra circostanze aggravanti ed attenuanti sono censurabili in Cassazione soltanto nella ipotesi in cui siano frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico, essendo sufficiente a giustificare la soluzione della equivalenza aver ritenuto detta soluzione la più idonea a realizzare l'adeguatezza della pena irrogata in concreto" (Cass. pen., sez. 1, 16.2.2001, n. 15542, rv. 219263): nel caso di specie, non può ravvisarsi alcuna violazione di tali principi, essendo stata correttamente ed adeguatamente motivata l'impossibilità di addivenire ad un giudizio più favorevole della mera equivalenza poichè "sul presupposto del trattamento sanzionatorio adottato dal primo giudice, particolarmente attento ed adeguato alle evenienze acclarate, non è dato rinvenire ulteriori elementi del fatto (essenziali o anche eventuali) sui quali fondare l'invocata valutazione di prevalenza".

Consegue il rigetto del ricorso e, ai sensi dell'art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

 
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 17 marzo 2010.

Depositato in Cancelleria il 8 aprile 2010