Cassazione Penale, Sez. 4, 27 febbraio 2023, n. 8477 - Crollo del muro perimetrale durante il lavoro di scavo di una trincea


Presidente: DOVERE SALVATORE Relatore: RICCI ANNA LUISA ANGELA
Data Udienza: 20/10/2022
 

 

Fatto




1. La Corte d'appello di Milano con sentenza del 10 dicembre 2021 ha confermato la sentenza del Tribunale di Pavia di condanna alla pena di anni 1 di reclusione di D.M.T., nella qualità di committente dei lavori di scavo su area di sua proprietà, in ordine al delitto di omicidio colposo ai danni di V.B. avvenuto in Valeggio il 7 marzo 2017.
I fatti sono stati ricostruiti nelle sentenze di merito, conformi, nel modo seguente. D.M.T. aveva preso contatti il 6 marzo 2017 con V.B. e gli aveva commissionato l'esecuzione di lavori di messa in sicurezza del proprio fondo, consistenti nello scavo di una trincea, in vista della realizzazione di plateatico in cemento e di un muro di cinta quale contenimento rispetto al "perimetrale" della proprietà confinante. Tale ultimo immobile, di proprietà della società Borgo srl di cui G.C. era legale rappresentante, consisteva in realtà in una porzione di muro realizzata in mattoni pieni debolmente legati fra di loro, con crepe verticali, in pessimo stato di conservazione, privo di copertura e di alcuni solai, in completo abbandono e in una costante condizione di crollo incipiente: proprio per tale ragione era stato oggetto di numerose ordinanze di demolizione comunali ed era già crollato in maniera autonoma in più punti. Il giorno 7 marzo 2017 V.B. aveva iniziato a dare esecuzione al contratto d'opera con un badile ed altri utensili, in presenza della convivente dell'imputato D.M.T., ed aveva scavato una trincea larga 50 centimetri, profonda 60 centimetri e lunga 5 metri, a ,distanza variabile tra i 10 e i 20 centimetri dalla porzione di muro pericolante: ad un certo punto tale muro era crollato e lo aveva sepolto, cagionandone la morte.
L'addebito di colpa a carico dell'imputato è stato individuato nella negligenza ed imprudenza, consistite nell'avere D.M.T. commissionato alla persona offesa, priva della necessarie competenze tecnico professionali, uno scavo per la realizzazione di un muro di contenimento a ridosso di edificio in rovina in difetto di qualsiasi titolo abilitativo ed in difetto delle cautele volte ad impedire il crollo.
In primo grado D.M.T. era stato assolto dal delitto di cui all'art. 449 cod. pen. in relazione al crollo del muro di proprietà della società Borgo srl e la sentenza di assoluzione non era stata impugnata.

2. Avverso la sentenza della Corte di Appello ha proposto ricorso l'imputato con proprio difensore, formulando tre motivi.
2.1. Con il primo motivo ha dedotto violazione di legge in relazione alla affermazione della responsabilità dell'imputato in ordine all'infortunio mortale verificatosi. Il ricorrente rileva che la impossibilità, di cui si dà atto in entrambe le sentenze di merito, di stabilire se lo scavo effettuato da V.B. avesse avuto un ruolo causale rispetto al crollo della porzione di edificio, derivante dalla non misurabilità del detensionamento del terreno, avrebbe dovuto indurre a concludere per la mancanza di un nesso di causa fra i lavori svolti e la morte del lavoratore. V.B. - secondo il ricorrente- aveva iniziato da solo e in autonomia a dare esecuzione al lavoro della scavo in assenza del perfezionamento di un contratto di opera e senza direttive dell'imputato, che, infatti, non era neppure presente il loco. D.M.T. si era limitato a chiedere ausilio a V.B., che era persona esperta, e l'incarico commissionato non aveva avuto efficienza causale rispetto all'evento crollo e quindi neppure rispetto all'infortunio mortale . Anche sul piano controfattuale non poteva dirsi che il comportamento alternativo lecito, ossia la presentazione, primo dell'inizio dei lavori, della Scia corredata da relazione a firma di progettista avrebbe impedito il crollo.
2.2. Con il secondo motivo ha dedotto la mancanza o manifesta illogicità della motivazione in ordine alla ritenuta responsabilità dell'imputato. Il ricorrente ribadisce le osservazioni e le considerazioni svolte con il primo motivo, ed in particolare quella per cui, non essendosi potuto accertare se lo scavo sia stato concausa del crollo, la morte di V.B. non poteva essere imputata alla condotta colposa di D.M.T., tanto più che questi si era rivolto per la esecuzione dei lavori sul suo terreno ad una persona con esperienza pluriennale nel settore dell'edilizia.
2.3. Con il terzo motivo ha dedotto la violazione di legge in ordine al trattamento sanzionatorio. Il ricorrente lamenta che la Corte avrebbe negato il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, senza considerare il buon comportamento processuale estrinsecatosi nella richiesta di incidente probatorio e nella sottoposizione ad interrogatorio, ed avrebbe determinato la misura della pena in maniera non proporzionata rispetto alla gravità concreta dei fatti, senza tenere conto che alla gravità dell'evento non necessariamente corrisponde la gravità della condotta colposa.

3. Il Procuratore generale, in persona del sostituto Giuseppina Casella, ha presentato conclusioni scritte con cui ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.

4. Il difensore del ricorrente ha depositato in data 12 ottobre 2022 conclusioni scritte con cui ha insistito per l'accoglimento del ricorso.

 

Diritto



1. Il ricorso deve essere rigettato.


2. I primi due motivi, attinenti entrambi alla affermazione della responsabilità dell'imputato sia sotto il profilo della individuazione del nesso di causa fra la condotta a lui addebitata e l'evento, sia sotto il profilo della individuazione dei profili di colpa, sono entrambi infondati.
2.1 Invero, con riferimento al nesso di causalità nelle sentenze di merito conformi si è dato atto che il crollo del muro perimetrale era stata la causa naturalistica che aveva determinato la morte da soffocamento di V.B. e che l'apporto causale della condotta dell'imputato era consistito, invece, nell'avergli commissionato dei lavori in prossimità del muro pericolante in assenza delle necessarie cautele, indipendentemente dalle ragioni che in concreto avevano determinato il crollo del muro.
La motivazione della Corte non incorre, pertanto, nel lamentato vizio di contraddittorietà e illogicità. La assoluzione di D.M.T. in ordine al delitto di crollo di costruzioni non era in contraddizione con la affermazione di responsabilità in ordine al delitto di omicidio colposo. I giudici di merito, infatti, hanno sostenuto che non essendo stata raggiunta la prova, stante la impossibilità di misurare il detensionamento del terreno cagionato dallo scavo eseguito da B., che fosse stato proprio lo scavo a determinare il crollo (piuttosto che, in via esclusiva, le piogge e il sisma del giorno precedente o anche solo lo stato di usura dalla costruzione), detto crollo non poteva essere addebitato alla condotta dell'imputato. Questi, ciò nondimeno, era responsabile per la morte di V.B., in quanto aveva commissionato lavori delicati, da effettuarsi in prossimità di un muro pericolante, senza assicurarsi che detti lavori potessero essere svolti in sicurezza e, dunque, aveva posto la vittima nella situazione di pericolo che poi si era concretizzata. In tal modo i giudici hanno valutato la riconducibilità dell'evento morte alla condotta colposa del D.M.T., consistita non già nell'avere determinato le condizioni per il crollo del muro insistente sul terreno confinante, bensì nell'avere dato incarico alla vittima di eseguire lavori in un'area soggetta ad un rischio di crollo, prevedibile.
2.2. La sentenza impugnata resiste alle censure del ricorrente anche nella parte in cui tratta il tema della colpa. Come noto, la titolarità di una posizione di garanzia non comporta, in presenza del verificarsi dell'evento, un automatico addebito di responsabilità colposa a carico del garante, essendo imposta dal principio di colpevolezza, oltre alla verifica della sussistenza della violazione di una regola cautelare che il garante fosse tenuto a rispettare e della rilevanza causale di tale violazione rispetto all'evento, anche la verifica della prevedibilità ed evitabilità dell'evento dannoso (fra le tante: Sez. 4, n. 43966 del 06/11/2009, Morelli, Rv. 24552601).

Le sentenze di merito hanno dato conto, in maniera adeguata e coerente con i dati riportati, dei profili di colpa individuati in capo all'imputato, che attengono nel loro complesso all'aver commissionato lavori, in un'area interessata da un elevato rischio di crollo, ad un soggetto sprovvisto delle necessarie competenze, in assenza di qualsivoglia cautela volta a proteggerlo rispetto a detto rischio ed in assenza altresì di elaborati progettuali e della dichiarazione del progettista in merito alla conformità del progetto alle norme di sicurezza.
Pacifico nella giurisprudenza di legittimità è il riconoscimento in capo al committente di una posizione di garanzia idonea a fondare la sua responsabilità, sia in relazione alla scelta dell'impresa, sia in relazione al mancato controllo dell'adozione da parte dell'appaltatore delle misure generali di tutela della salute e della sicurezza sui luoghi di lavoro. Si è, infatti, sostenuto che in materia di infortuni sul lavoro, il committente ha l'obbligo di verificare l'idoneità tecnico­ professionale dell'impresa e dei lavoratori autonomi prescelti in relazione anche alla pericolosità dei lavori affidati (Fattispecie, relativa alla morte di un lavoratore edile precipitato al suolo dall'alto della copertura di un fabbricato, nella quale è stata ritenuta la responsabilità per il reato di omicidio colposo dei committenti, che, pur in presenza di una situazione oggettivamente pericolosa, si erano rivolti ad un artigiano , ben sapendo che questi non era dotato di una struttura organizzativa di impresa, che gli consentisse di lavorare in sicurezza) (Sez. 4, n. 5409 del 16/11/2021, dep.2022, Vidiri, Rv. 282606; Sez. 3, n. 35185 del 26/04/2016, Marangio, Rv. 267744 ).
Nel caso di specie il contratto di appalto si era perfezionato, come chiarito anche nella sentenza di primo grado, sicché V.B. aveva effettuato i lavori di scavo, non già di propria iniziativa ed in autonomia, ma in quanto incaricato dall'imputato.
D.M.T. è stato ritenuto responsabile per la c.d. culpa in eligendo, ovvero per aver commissionato lavori che richiedevano specifiche competenze a V.B., ovvero ad un soggetto che ne era sprovvisto. I giudici hanno sottolineato che la vittima era imprenditore individuale specializzato in rivestimenti di muri e pavimenti e, per quanto vantasse esperienza pluriennale nel settore dell'edilizia, non era dotato delle competenze tecniche per operare in una area caratterizzata da un elevatissimo rischio di crollo per la presenza di un edificio fatiscente e pericolante: di tale rischio D.M.T. era a conoscenza, posto che i lavori commissionati erano volti proprio a rafforzare il muro di confine in previsione di un possibile crollo . Nella stessa ottica i giudici hanno valorizzato anche la mancata presentazione da parte dell'imputato della segnalazione al Comune di inizio dei lavori, che avrebbe dovuto essere corredata da elaborati progettuali a firma di professionista abilitato e da una relazione asseverante il rispetto delle norme di sicurezza. A fronte di tale percorso argomentativo, il ricorrente ha contestato non già la astratta configurabilità del profilo di colpa individuato, quanto la sua configurabilità concreta in ragione delle ritenute competenze del lavoratore incaricato. In tal modo, tuttavia, da un lato, ha sollecitato la Corte di legittimità ad un apprezzamento di puro fatto e, dall'altro, non ha considerato gli ulteriori profili degli obblighi correlati alla posizione di garanzia assunta da D.M.T., ovvero quello della verifica dell'adozione da parte del soggetto incaricato delle cautele volte a garantire lo svolgimento del lavoro in sicurezza e quello della effettuazione dei lavori sulla base di un progetto redatto da un professionista qualificato.

3. Il terzo motivo, con il quale il ricorrente lamenta la violazione di legge in ordine alla determinazione della pena ed al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, è manifestamente infondato.
3.1. Quanto al primo aspetto si deve ribadire che la graduazione della pena rientra nella discrezionalità del giudice di merito, il quale assolve al relativo obbligo di motivazione se dà conto dell'impiego dei criteri di cui all'art. 133 cod. pen., essendo, invece, necessaria una specifica e dettagliata spiegazione del ragionamento seguito soltanto quando la pena sia di gran lunga superiore alla misura media di quella edittale (Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, Mastro, Rv. 271243; Sez. 4, n. 21294 del 20/03/2013, Serratore, Rv. 256197). A questo proposito la giurisprudenza ha anche specificato che la pena media edittale non deve essere calcolata dimezzando il massimo edittale previsto per il reato, ma dividendo per due il numero di mesi o anni che separano il minimo dal massimo edittale ed aggiungendo il risultato così ottenuto al minimo (Sez. 3, n. 29968 del 22/02/2019, Del Papa, Rv. 276288).
Nel caso in esame la pena è stata determinata in misura inferiore alla media edittale. La Corte territoriale, peraltro, ha motivato congruamente la scelta di confermare la pena irrogata, pari ad anni 1 di reclusione, spiegando che detta pena era in linea con i canoni di cui all'art. 133 cod. pen. e si giustificava in ragione del grado elevato della colpa, consistita in plurimi profili di rimproverabilità.
Si tratta di motivazione che, in quanto esaustiva nel richiamare alcuni degli indici di cui all'art. 133 cod. pen. e in quanto aderente alla risultanze in atti e non illogica, non si presta a censure.
3.2. Quanto al secondo aspetto, in tema di circostanze attenuanti generiche, il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione è insindacabile in sede di legittimità, purché non sia contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell'art. 133 cod. pen., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell'esclusione. Nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche, infatti, non è necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo tutti gli altri disattesi o superati da tale valutazione (Sez. 7, Ord. n. 39396 del 27/05/2016, Jebali, Rv. 268475; Sez. 2, n. 3896 del 20/01/2016, De Cotiis, Rv. 265826; Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, Lule, Rv. 259899; Sez. 2, n. 2285 dell'11/10/2004, dep. 2005, Alba, Rv. 230691). Peraltro il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche può essere legittimamente motivato dal giudice con l'assenza di elementi o circostanze di segno positivo (Sez. 1, n. 39566 del 16/02/2017, Starace, Rv. 270986).
La Corte di Appello ha fatto buon governo di tali principi. I giudici hanno ritenuto che gli elementi evidenziati nel ricorso (ovvero la richiesta da parte dell'imputato di procedere ad incidente probatorio e di essere sottoposto ad interrogatorio) erano già stati tenuti in conto nella commisurazione della pena; che, al di là della mera incensuratezza, non erano stati allegati motivi per una ulteriore mitigazione del trattamento sanzionatorio e che non poteva essere valorizzato a tal fine il legame di amicizia fra l'imputato e la vittima, in quanto tale legame aveva semmai agevolato il conferimento, in maniera sconsiderata, dell'incarico di effettuare lavori e perciò valeva ad accentuare la gravità del reato posto in essere.

4. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
 

P.Q.M.
 



Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Deciso il 20 ottobre 2022