• Datore di Lavoro
  • Lavoratore
  • Infortunio sul Lavoro
  • Dispositivo di Protezione Individuale
  • Informazione, Formazione, Addestramento 
  • Vigilanza, Ispezione e Prescrizione

 

Responsabilità del datore di lavoro di una spa e di un dirigente dello stabilimento - capo impianto della spa medesima per la morte di due lavoratori dipendenti.

 

Condannati entrambi, ricorrono in Cassazione -  Inammissibili.


 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:


Dott. MORGIGNI Antonio - Presidente


Dott. MARZANO Francesco - Consigliere


Dott. BRUSCO Carlo Giuseppe - Consigliere


Dott. IACOPINO Silvana G. - rel. Consigliere


Dott. BIANCHI Luisa - Consigliere


ha pronunciato la seguente:


SENTENZA/ORDINANZA


sul ricorso proposto da:


1) P.P.R. N. IL (OMISSIS);

2) V.M. N. IL (OMISSIS);

avverso la sentenza n. 371/2008 CORTE APPELLO di TRIESTE, del 09/03/2009;


visti gli atti, la sentenza e il ricorso;

udita in PUBBLICA UDIENZA del 18/01/2010 la relazione fatta dal Consigliere Dott. SILVANA GIOVANNA IACOPINO;

udito il P.G. in persona del Dott. GIALANELLA Antonio che ha concluso per l'inammissibilità dei ricorsi;

uditi i difensori avv. Pellicciotta Massimo e avv. Mendola Giampiero, quest'ultimo in sostituzione dell'avv. Pellicciotta Maurizio, che hanno chiesto l'accoglimento dei ricorsi.

 
 
Fatto

Con sentenza dell'1/2/2008 il Tribunale di Trieste ha dichiarato P.P.R. e V.M. (nonchè D.S. G. e S.G. la cui posizione processuale non interessa perchè assolti per non avere commesso il fatto all'esito del giudizio di secondo grado) colpevoli del reato di omicidio colposo in pregiudizio di Sa.Pa. e M.S., dipendenti della C. spa, e li ha condannati, concesse le attenuanti generiche equivalenti alla contestata aggravante, alla pena il P. di anni uno, mesi sei di reclusione ed il V. a quella di anni uno, mesi quattro di reclusione.


I due decessi sono stati addebitati al P. quale datore di lavoro, dirigente della C.spa, delegato alla tutela della normativa in materia di infortuni sul lavoro, ed al V., nella qualità di dirigente di stabilimento - capo impianto della C. spa medesima.
A seguito di impugnazione del difensore del P. e del V., la Corte di appello di Trieste in data 9/3/2009, in parziale riforma della sentenza del Tribunale, ha riconosciuto ai detti imputati l'attenuante di cui all'art. 62 c.p., n. 6 e, dichiarate la detta circostanza e le concesse attenuanti generiche prevalenti sulle aggravanti, ha rideterminato la pena per il P. in anni uno, mesi uno di reclusione e per il V. in anni uno di reclusione, con i benefici di legge per entrambi.


La vicenda processuale è collegata al funzionamento dell'impianto di depurazione di (OMISSIS) di proprietà del Comune di Trieste ed affidato alla ACEGAS spa che ne aveva dato la gestione alla C. spa.

Poichè l'impianto non funzionava in maniera normale in quanto era corrosa la struttura del digestore anaerobico vale a dire della vasca in cui erano convogliati i fanghi prodotti dalla rete fondiaria e dove avveniva un processo di digestione dei detti fanghi per eliminarne il carico organico con formazione di gas tossici raccolti in una campana gasometrica flottante, si era presentata la necessità di effettuare opere di manutenzione.
Era stato deciso che, tramite la C. spa, venisse iniziata la gestione straordinaria ovvero l'esercizio provvisorio dell'impianto.
La C. spa, pertanto, era la società appaltatrice dell'esercizio provvisorio.
Questo si svolgeva dismettendo il digestore e usando al posto dello stesso la vasca di post ispessimento, ove venivano convogliati i fanghi digeriti e dove per sedimentazione gli stessi si separavano dal liquido di surnatazione che rimaneva in superficie e veniva scaricato nella vasca di surnatazione o surnatante.
Il trasferimento delle acque dalla vasca di post ispessimento a quella di surnatazione avveniva quando la prima era troppo piena tramite il tubo di troppo pieno o di sfioro.
Il biogas contenuto nella vasca di post ispessimento non penetrava nella vasca di surnatazione perchè il liquido presente fungeva da sifone idraulico.
Ciò però non avveniva se il liquido era scaricato al di sotto della quota di m. 2,71 dal piano di calpestio in quanto, in tal caso, dal tubo di troppo pieno i gas venivano immessi nella vasca di surnatazione.
Poichè le cinghie del motore che estraeva i fanghi si erano rotte ed una delle due nastropresse era andata fuori servizio, il volume dei fanghi nella vasca di post ispessimento era aumentato ed aveva causato il rischio di tracimazione.
Per evitare ciò, su disposizione della C. spa, era stata collocata nella vasca di surnatazione una pompa sommergibile, in aggiunta a quella fissa, per facilitare lo svuotamento ed impedire la tracimazione La pompa era stata collocata a circa un metro e mezzo sotto il pelo della vasca ma poi era stata sistemata sul fondo, il che aveva provocato lo svuotamento della vasca al di sotto del livello del tubo di sfioro e la comunicazione atmosferica tra le due vasche e la tracimazione dalla vasca di post ispessimento in quella di surnatazione dei gas, così creandosi una atmosfera irrespirabile.
L'esercizio provvisorio, quindi, aveva determinato una modifica del ciclo lavorativo che aveva comportato l'aumento della presenza di biogas nella vasca di post ispessimento ed il rischio di tracimazione con conseguente collocazione della pompa ausiliaria in sospensione..
Tale pompa era stata abbassata, il che aveva provocato la tracimazione dei gas nel pozzetto di surnatazione.
Sa.Pa. era sceso in detta vasca per recuperare la pompa.
Egli aveva ciò fatto senza essersi assicurato con alcuna corda od imbracatura sicchè, a causa della mancanza di ossigeno, era stato colto da malore, cadendo nella vasca.
Il M., per aiutare il compagno, era, a sua volta, sceso nella vasca munito di maschera antigas. Questa però era inutile perchè consentiva la respirazione solo in presenza di ossigeno nella concentrazione di almeno il 17%.
Egli, per respirare, avrebbe dovuto avere un autorespiratore. Pertanto, era sparito nella vasca.


Secondo la corte di appello, i pregressi corsi di formazione dei lavoratori e di informazione degli stessi sui rischi esistenti negli impianti di depurazione non potevano considerarsi soddisfacenti.

Comunque, la dispensa consegnata in occasione del corso generale di informazione conteneva la prescrizione di indossare le maschere facciali per accedere ai luoghi confinati.
Essa però dettava una cautela che era stata fatale al M., non consentendo le stesse di respirare in luoghi in cui l'ossigeno era assente.
Sarebbe stato necessario un autorespiratore ma nessuno dei lavoratori aveva ricevuto istruzioni sul suo utilizzo.
Nello stabilimento, peraltro, vi era un solo respiratore che doveva servire per gli operai della ditta esterna che era stata incaricata di svuotare il digestore.


Quanto poi ai dispositivi di protezione individuale costituiti dai misuratori di gas e di ossigeno, i giudici hanno osservato che nessuno dei lavoratori aveva parlato del loro utilizzo.
Anche se il manuale di sicurezza conteneva previsioni in ordine ai luoghi confinati, i dipendenti non sapevano quali fossero nel dettaglio tali previsioni, in particolare, che dovevano usare i misuratori.
I giudici avevano, pertanto, concluso che il P. ed il V., nella loro rispettiva qualità, non avevano curato che le formali previsioni del manuale non rimanessero astratte prescrizioni ma trovassero concreata attuazione, traducendosi in una prassi nota e diffusa.
Non era sufficiente mettere a disposizione i dispositivi di protezione individuale ma occorreva assicurarsi che tutti i lavoratori sapessero della loro esistenza, ne conoscessero il funzionamento e la necessità di utilizzo.
Secondo la corte di appello, non era pacifico che tutti i lavoratori sapessero che nella vasca di surnatazione vi erano gas.
Di ciò certamente si era detto consapevole il dipendente R. mentre gli altri avevano dichiarato che era a loro nota unicamente la presenza dei gas nell'attigua vasca di posto ispessimento.
I giudici hanno poi ritenuto che l'eliminazione del digestore e l'utilizzo al suo posto della vasca di post ispessimento aveva determinato una variazione del rischio nella conduzione dell'impianto.


I lavoratori, poi, non sapevano dei rischi specifici nel caso in cui la vasca di surnatazione fosse vuotata oltre la quota di m. 2,71 sotto il livello di calpestio rappresentato dalla messa in comunicazione della stessa con l'attigua vasca di post ispessimento.

Il P. ed il V., comunque, dovevano rispondere del fatto che i lavoratori ignoravano il problema della comunicazione atmosferica delle due vasche qualora quella di surnatazione fosse vuotata oltre il livello di m. 2,71.
La corte territoriale ha pure ritenuto che il P. ed il V. versassero in colpa per non avere esercitato un'adeguata sorveglianza sul Sa. anche mediante un idoneo proposto scelto in sostituzione di quello nominato, il capo squadra Me.Da., assente per malattia.
Se fosse stata esercitata la doverosa vigilanza, si sarebbe impedito al Sa. di calarsi nel pozzetto senza protezione.
Nè, per il collegio, risultava dall'organigramma aziendale un formale incarico dato al M. di svolgere il ruolo del Me. in caso di assenza di quest'ultimo.
Anche il M. si era calato nel pozzetto ignorando che non vi fosse ossigeno nella vasca e, quindi, convinto di essere protetto dalla maschera facciale che si era applicata e di non avere necessità dell'autorespiratore.


Hanno proposto ricorso per cassazione i difensori del P. e del V. i quali hanno contestato il riconoscimento di responsabilità deducendo una motivazione manifestamente illogica, contraddittoria ed, in parte, mancante nonchè erronea applicazione della legge penale con riferimento alle previsioni di cui agli artt. 40 cpv e 113 cod. pen..
Apodittica e categoricamente smentita dalle pacifiche risultanze in atti era l'affermazione della corte in ordine all'insoddisfacente livello dei pregressi corsi di formazione desumibile dalle deposizioni di più lavoratori.
I giudici avevano omesso di valutare quanto dedotto con i motivi di appello in ordine alla oggettiva inattendibilità dei lavoratori che avevano negato di avere ricevuto adeguata preparazione.
Essi, inoltre, non avevano fatto alcun cenno alla immediata genuinità delle contrarie dichiarazioni del lavoratore R..
Illogica poi era la contestazione circa l'asserita mancata conoscenza da parte dei lavoratori della presenza dei dispositivi di protezione individuale fatta dai giudici di secondo grado.
Da una parte, era stato addebitato un insoddisfacente livello di formazione ed una carenza dei dispositivi di protezione individuale e, dall'altra, era stato ritenuto il concorso di colpa dei lavoratori deceduti per non avere adottato le misure che prima si affermavano essere ignorate dai lavoratori e, comunque, non idonee.
Illogica era, altresì, l'affermazione della corte che la dispensa consegnata ai lavoratori in occasione del corso generale di informazione sui rischi presenti negli impianti di depurazione prescriveva la cautela di indossare le maschere facciali con filtro per accedere ai luoghi confinati la quale era sbagliata. La dispensa, invero, andava valutata e letta insieme al manuale della sicurezza.
I ricorrenti hanno anche censurato l'affermazione dei giudici secondo cui non era pacifico che i lavoratori sapessero che la vasca di surnatazione fosse un luogo confinato al quale accedere con procedure note e codificate.
Questa vasca, infatti, si trovava in una zona che pacificamente era luogo confinato, essendovi anche un cartello di pericolo di gas venefico.


La possibile presenza di biogas era fatto notorio e conosciuto da tutti i lavoratori perchè era il rischio specifico di qualsiasi impianto di depurazione.
Erano censurabili anche la affermazione del collegio che i lavoratori non sapevano che tra i dispositivi di protezione individuale vi fossero i misuratori di gas e di ossigeno e quella che vi era stata una variazione del rischio nella conduzione dell'impianto rispetto a quello della gestione ordinaria.


Contrariamente a quanto ritenuto, i lavoratori erano a conoscenza del problema degli effetti della comunicazione atmosferica delle due vasche.
Il M., quale capo squadra supplente, avrebbe dovuto contrastare l'ordine dato da Sa.Ad. ovvero avrebbe dovuto porre in essere i dovuti controlli perchè gli operai che dovevano recuperare la pompa utilizzassero gli strumenti e i dispositivi di protezione individuale idonei per svolgere il lavoro, anche dopo avere visto l'erroneo posizionamento ed aggancio della corda.
Non era stato accertato dal collegio che, se l'azione doverosa omessa fosse stata realizzata, si sarebbe impedito la verificazione dell'evento.
Comunque, il comportamento delle due vittime era da considerare causa sopravvenuta da sola sufficiente a determinare l'evento che faceva escludere il nesso di causalità.
I ricorrenti, da ultimo, si sono doluti della mancata rinnovazione dell'istruzione dibattimentale per disporre, anche di ufficio, il confronto tra i testi escussi, in particolare tra I.I., Iv.Ig., R.G. e tutti gli altri che avevano reso dichiarazioni difformi dai primi circa il nome del soggetto che avrebbe abbassato, contro ogni ordine impartito, la pompa, legando la corda all'interno del pozzetto, comportamento costituente unica causa diretta ed immediata che aveva portato al decesso dei due lavoratori.
Da ultimo, i ricorrenti hanno censurato il rigetto della richiesta di rinnovazione dell'istruzione dibattimentale per svolgere perizia volta ad accertare se presso l'impianto di (OMISSIS) fossero insorti, a seguito dell'esercizio provvisorio, nuovi e/o differenti rischi non valutati dalla società CREA ed in diretto rapporto di causalità con l'evento.

Diritto
 
 
Entrambi i gravami vanno dichiarati inammissibili.

Con il primo diffuso motivo di ricorso si deduce la violazione dell'art. 606 c.p.p., lett. b) ed e) in relazione agli artt. 40 cpv e 113 cod. pen.. Con la denuncia di violazione di legge e di vizio di motivazione della sentenza impugnata i ricorrenti hanno prospettato che tutti gli operai sapevano del rischio e della presenza di biogas nella vasca di surnatazione, ben segnalato in loco e ben descritto nel manuale della sicurezza ed oggetto di specifico corso, oltre che di riunioni in occasione dell'inizio dell'esercizio provvisorio.


Pertanto, ad avviso dei ricorrenti, i giudici di secondo grado avevano immotivatamente attribuito alle affermazioni fatte da tutti i lavoratori un significato probatorio contrario a quello reale, atteso che tali dichiarazioni davano prova assoluta della conoscenza del problema della comunicazione atmosferica delle due vasche.
Il collegio, sempre secondo i ricorrenti, aveva travisato od omesso di valutare il dato probatorio oggettivamente emerso dalle dichiarazioni testimoniali ossia che tutti i lavoratori sapevano che il luogo confinato aveva divieti ed obblighi codificati ed oggetto di specifico addestramento e conoscevano l'impianto sul quale lavoravano da anni con acquisita esperienza.


Dalla formulazione delle censure si evince che i ricorrenti sostanzialmente si sono doluti di un travisamento della prova acquisita e di omissioni nella motivazione da parte dei giudici del merito ma, in realtà, hanno prospettato una ricostruzione alternativa della vicenda processuale che esclude ogni loro responsabilità e che è diversa da quella fatta propria dalla corte territoriale all'esito di una valutazione dei dati acquisiti.
I ricorrenti hanno proceduto ad una disamina delle fonti di prova indicate nella sentenza impugnata, considerate isolatamente, sostenendo che non erano significative.
Per dimostrare ciò, però, i ricorrenti propongono una lettura alternativa degli elementi di prova rispetto a quella compiuta dai giudici, quale emergente dal f complesso delle argomentazioni di merito da costoro svolte.
Dimenticano però che alla corte di legittimità non si può chiedere, esulando dai suoi compiti, un intervento che si risolva nell'accordare preferenza alla versione dei fatti e all'interpretazione delle emergenze probatorie prospettate nel gravame rispetto a quelle risultanti dall'insieme motivazionale della sentenza, così ripetendo l'apprezzamento dei giudici del merito.


Invero, il sindacato del giudice di legittimità sul discorso giustificativo della decisione è circoscritto alla verifica dell'assenza in quest'ultima di argomenti viziati da evidenti errori di applicazione delle regole della logica o connotati da vistose ed insormontabili incongruenze tra loro oppure inconciliabili con atti del processo che siano dotati autonomamente di forza esplicativa o dimostrativa tale che la loro rappresentazione disarticoli l'intero ragionamento svolto, determinando al suo interno radicali incompatibilità così da vanificare o da rendere manifestamente incongrua la motivazione (Cass. Sez. 6, Sent. 38698 del 26/9/2006 Ud., Rv. 234989).
Dall'illustrazione del ricorsi non emerge una manifesta illogicità della motivazione della sentenza, tenuto conto delle risposte sufficienti e coerenti date a tutti i temi sviluppati nell'interesse degli imputati, all'esito di una valutazione che ha avuto riguardo agli elementi fattuali acquisiti, considerati nel loro insieme, e non, come fanno gli impugnanti per dimostrarne l'irrilevanza, isolati l'uno dall'altro e dal contesto in cui si inserivano, così attribuendo un significato probatorio apprezzato con riguardo al complesso delle risultanze vagliate.
Poichè l'operazione logica compiuta dai giudici del merito appare coerente alla decisione impugnata non possono muoversi le censure dedotte con il primo motivo di gravame.


Quanto al secondo motivo di ricorso, è da escludere che il comportamento tenuto dalle vittime fosse da solo sufficiente a determinare l'evento con conseguente esclusione del nesso di causalità.
I giudici del merito, nel rispetto dei principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità, hanno congruamente spiegato che la condotta dei lavoratori in occasione del sinistro non era nè eccentrica, eccezionale nè esorbitante rispetto alla normale prestazione lavorativa che era propria, a fronte della responsabilità dei ricorrenti e degli accertati gravi inadempimenti in materia di prevenzione antinfortunistica (Sez. 4, Sent. n. 36339 del 7/6/2005 Ud, Rv 232227, Pistoiesi; Sez. 4, Sent. n. 25502 del 19/4/2007 Ud., Scarni, Rv 237007; Sez. 4, Sent. 10121 del 23/1/2007 Ud, Masi e altro Rv 236109).
A tali considerazioni i ricorrenti hanno opposto rilievi in fatto volti a suggerire un realtà fattuale che è stata proposta ai giudici come alternativa rispetto a quella illustrata nella sentenza.


Quanto agli ultimi motivi di ricorso, poichè, per i giudici di appello, i lavoratori non sapevano dei rischi specifici nel caso in cui la vasca di surnatazione fosse vuotata oltre la quota di m. 2,71 sotto il livello di calpestio, rappresentati dalla messa in comunicazione della stessa con l'attigua vasca di post ispessimento e dell'accumulo di biogas, non era rilevante accertare il nome di coloro che, sbagliando, avevano collocato la pompa in un punto più basso rispetto a quello originariamente previsto.
Del fatto che i lavoratori ignoravano il problema della comunicazione atmosferica delle due vasche qualora quella di surnatazione fosse vuotata oltre il livello di m. 2,71 dovevano, comunque, rispondere il P. ed il V..
Il collegio, pertanto, ha chiaramente spiegato le ragioni per le quali non era necessario, ai fini della decisione, procedere al chiesto confronto tra testi per pervenire all'identificazione di chi aveva abbassato la pompa.
Ugualmente, i giudici hanno ritenuto di potere decidere senza disporre la chiesta perizia in quanto i dati acquisiti deponevano per una modifica del rischio nella conduzione dell'impianto a seguito dell'esercizio provvisorio.
Hanno, infatti, osservato sul punto che l'eliminazione del digestore e l'utilizzo al suo posto della vasca di post ispessimento aveva determinato detta variazione del rischio, essendovi stato un trasferimento delle reazioni chimiche necessarie ad eliminare il carico organico che avvenivano nel digestore nella vasca successiva di post ispessimento con il conseguente aumento delle percentuali di biogas in questa presenti.
Il travaso dei gas nella vasca di surnatazione, quindi, aveva "riprodotto" in questa la medesima atmosfera irrespirabile.


Come si vede, la corte di appello ha motivato in maniera congrua ed adeguata in ordine alla responsabilità dei ricorrenti e alla non decisività degli ulteriori accertamenti da costoro indicati, così giustificando l'uso del suo potere discrezionale sulla possibilità di decidere allo stato degli atti.
Da ultimo, si osserva che, in conformità alla giurisprudenza di questa Corte, l'inammissibilità originaria del ricorso per cassazione per manifesta infondatezza dei motivi dedotti, come appunto nella specie, non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e, pertanto, preclude anche la possibilità di dichiarare cause estintive del reato nel frattempo maturate (Sez. U., Sent. 22/11/2000, De Luca).


Segue, a norma dell'art. 616 c.p.p., la condanna del P. e del V. al pagamento delle spese del procedimento e di ciascuno al versamento a favore della Cassa delle Ammende, non emergendo ragioni di esonero, della somma di Euro 500,00 a titolo di sanzione pecuniaria.


P.Q.M.
 

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno a quello della somma di Euro 500,00 in favore della Cassa delle ammende.


Così deciso in Roma, il 18 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 26 aprile 2010