La Corte di Appello confermava la sentenza di primo grado che, in accoglimento della domanda proposta dall'INAIL, in rivalsa delle somme erogate in favore dei superstiti di C.D. in relazione all'infortunio sul lavoro a questi occorso con conseguenze mortali, aveva condannato il datore di lavoro.

 

Il datore di lavoro ricorre in Cassazione -  Rigetto.

 

"Questa Corte ha sancito il diverso principio, condiviso dal Collegio, che in tema di assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro, l'azione di regresso dell'INAIL nei confronti della persona civilmente obbligata, a seguito dei numerosi interventi della Corte costituzionale in materia (v. sent. cost. n. 102 del 1981, n. 118 del 1986 e n. 372 del 1988), può essere esperita alla sola condizione che il fatto costituisca reato perseguibile d'ufficio, mentre il preventivo accertamento giudiziale del fatto stesso necessario solo in mancanza di adempimento spontaneo del soggetto debitore o di bonario componimento della lite- non deve necessariamente avvenire in sede penale, potendo essere effettuato anche in sede civile (salvo il riscontro dell'eventuale pregiudizialità penale).

 

Divenendo l'INAIL titolare del credito alla rivalsa per effetto del solo verificarsi del fatto, il termine triennale per proporre l'azione decorre dalla definizione del procedimento penale, quando tale procedimento sia stato iniziato.

 

Il ricorso pertanto va rigettato."


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROSELLI Federico - Presidente

Dott. DI NUBILA Vincenzo - Consigliere

Dott. AMOROSO Giovanni - Consigliere

Dott. NAPOLETANO Giuseppe - rel. Consigliere

Dott. CURZIO Pietro - Consigliere

ha pronunciato la seguente:

sentenza

 

sul ricorso 23727/2006 proposto da:

P.S., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall'avvocato MARCIALIS LUIGI, giusta delega a margine del ricorso;

- ricorrente -

contro

I.N.A.I.L. - ISTITUTO NAZIONALE PER L'ASSICURAZIONE CONTRO GLI INFORTUNI SUL LAVORO, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA IV NOVEMBRE N. 144, presso lo studio degli avvocati ROSSI ANDREA, TARANTINO CRISTOFARO, che lo rappresentano e difendono, giusta delega in calce al controricorso;

- controricorrente -

avverso la sentenza n. 135/2006 della CORTE D'APPELLO di CAGLIARI, depositata il 23/03/2006 R.G.N. 605/04;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 20/04/2010 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE NAPOLETANO;

udito l'Avvocato ROSSI ANDREA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FEDELI Massimo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

La Corte di Appello di Cagliari confermava in parte la sentenza di primo grado che, in accoglimento della domanda proposta dall'INAIL, in rivalsa delle somme erogate in favore dei superstiti di C.D. in relazione all'infortunio sul lavoro a questi occorso con conseguenze mortali, aveva condannato P.S. (datore di lavoro del C.) in solido con M.E. al pagamento della somma di Euro 322.014,41, ridotta,poi, dai giudici di appello ad Euro 247.722,40.

La Corte territoriale, per quello che interessa in questa sede, respinta l'eccezione di prescrizione per aver l'INAIL dopo la sentenza di assoluzione della Corte di appello di Cagliari interrotto, nei confronti del P., il decorso del relativo temine con ripetute diffide di pagamento, riteneva sussistente la responsabilità di detto P. in ordine alla verificazione dell'infortunio occorso al C., ma procedeva ad una diversa determinazione della quota posta a carico dei responsabili civili.

Avverso questa sentenza il P. ricorre in cassazione sulla base di due censure.

Resiste con controricorso l'INAIL.

 

Diritto

 

Con la prima censura il P., deducendo violazione del D.P.R. n. 124 (ndr. 1124) del 1965, artt. 10 e 112, art. 2697 c.c., e art. 414 c.p.c., nonché vizio di motivazione, pone, ai sensi dell'art. 366 bis, così come introdotto dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 6, il seguente quesito di diritto: "è legittimo ai sensi del D.P.R. n. 1164 del 1965, artt. 10, 11 e 102, che il giudicato penale di assoluzione del datore di lavoro per un delitto connesso ad infortunio sul lavoro sia inopponibile all'INAIL quando detto istituto non abbia partecipato al giudizio penale e non abbia fornito la prova né allegato di non aver partecipato al giudizio stesso per non essere stato messo nella condizione di parteciparvi?".

La censura non è accoglibile.

La questione di cui al motivo in esame, infatti, non risulta trattata in alcun modo nella sentenza impugnata ed il ricorrente, in violazione del principio di autosufficienza del ricorso, non ha indicato in quale atto del giudizio di merito ha dedotto la questione con la conseguenza che la stessa deve intendersi sollevata per la prima volta in sede di legittimità e come tale è inammissibile.

Secondo giurisprudenza consolidata di questa Corte, invero, qualora una determinata questione giuridica, che implichi un accertamento di fatto, come nella specie, non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga la suddetta questione in sede di legittimità, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità, per novità della censura, ha l'onere non solo di allegare l'avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di controllare "ex actis" la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa (Cass. 2 aprile 2004 n. 6542, Cass. Cass. 21 febbraio 2006 n.3664 e Cass. 28 luglio 2008 n. 20518).

Con il secondo motivo il ricorrente, denunciando violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 1124 del 1965, artt. 10 e 112, art. 2967 c.c., e art. 414 c.p.c., nonché vizio di motivazione, formula, a norma del richiamato art. 366 bis c.p.c., il seguente quesito di diritto: "si è o meno verificata la decadenza e/o prescrizione dell'INAIL dall'azione di regresso ai sensi del D.P.R. n. 1164 del 1965, artt. 10, 11 e 102, qualora nei confronti del datore di lavoro l'azione penale venga esercitata dopo tre anni dal fatto qualificato come reato e dal quale venga prosciolto?".

La censura è infondata.

Questa Corte ha sancito il diverso principio, condiviso dal Collegio, che in tema di assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro, l'azione di regresso dell'INAIL nei confronti della persona civilmente obbligata, a seguito dei numerosi interventi della Corte costituzionale in materia (v. sent. cost. n. 102 del 1981, n. 118 del 1986 e n. 372 del 1988), può essere esperita alla sola condizione che il fatto costituisca reato perseguibile d'ufficio, mentre il preventivo accertamento giudiziale del fatto stesso necessario solo in mancanza di adempimento spontaneo del soggetto debitore o di bonario componimento della lite- non deve necessariamente avvenire in sede penale, potendo essere effettuato anche in sede civile (salvo il riscontro dell'eventuale pregiudizialità penale).

Divenendo l'INAIL titolare del credito alla rivalsa per effetto del solo verificarsi del fatto, il termine triennale per proporre l'azione decorre dalla definizione del procedimento penale, quando tale procedimento sia stato iniziato.

Il ricorso pertanto va rigettato.

Le spese del giudizio di legittimità vanno compensate in ragione della non puntuale difesa dell'Istituto resistente.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese del spese del giudizio di legittimità.