Cassazione Penale, Sez. 4, 27 giugno 2023, n. 27758 - Omessa segnaletica, omessa formazione, mancanza di scarpe antinfortunistiche e ingombri nelle zone di passaggio: investimento della lavoratrice con un carrello elevatore  


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PICCIALLI Patrizia - Presidente -

Dott. FERRANTI Donatella - Consigliere -

Dott. VIGNALE Lucia - Consigliere -

Dott. ESPOSITO Aldo - rel. Consigliere -

Dott. CIRESE Marina - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA



sul ricorso proposto da:

A.A., nato a (Omissis);

B.B. nato a (Omissis);

avverso la sentenza del 12/10/2022 della CORTE APPELLO di NAPOLI;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere ALDO ESPOSITO;

lette le conclusioni del PG FERDINANDO LIGNOLA che ha chiesto dichiararsi l'inammissibilità dei ricorsi.
 

Fatto


1. Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Napoli ha confermato la sentenza del Tribunale di Nola dell'11 maggio 2021, con cui A.A. e B.B. erano stati condannati alla pena complessiva di mesi quattro di reclusione ciascuno, con pena sospesa per la sola A.A., e al risarcimento dei danni in favore della parte civile C.C., in relazione ai reati di cui all'art. 113 c.p., art. 590 c.p., commi 1 e 3, art. 583 c.p., comma 1, n. 1, (capo A), art. 110 c.p., D.Lgs. n. 81 del 2008, artt. 163, 36, 37, 64, 68 e 18 (capi B, C, D ed E) (per avere, in cooperazione tra loro, A.A. in qualità di legale rappresentante della Imentex Srl e formale datore di lavoro, B.B. in qualità di datore di lavoro di fatto, cagionato lesioni personali gravi alla dipendente C.C. per colpa consistita nella violazione di norme poste a tutela della sicurezza sul lavoro e, segnatamente per avere: omesso di disporre nel capannone adibito a carico e scarico di merci un'adeguata segnaletica orizzontale e verticale idonea ad evitare situazioni di rischio per i lavoratori e, in particolare, atta a differenziare i percorsi pedonali da quelli destinati a passaggio dei carrelli e ad indicare l'obbligo di velocità a passo d'uomo per la circolazione dei carrelli nell'opificio nonchè per aver fornito ai lavoratori addetti alle operazioni di carico e scarico merci un carrello elevatore elettrico privo di dispositivi atti a limitarne la velocità, in violazione del D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 163, commi 1, 2 e 3; per aver omesso di effettuare la prevista informazione e formazione dei lavoratori, in violazione dell'art. 81 c.p., comma 2, e D.Lgs. n. 81 del 2008, artt. 36 e 37 in relazione al D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 55, comma 5, lett. c); omesso di assicurare che i luoghi di lavoro fossero conformi ai requisiti di cui all'allegato IV D.Lgs. n. 82 del 2008, lasciando le vie di transito ingombrate da materiali che ostacolano la circolazione in violazione del D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 64; con ciò omettendo le specifiche cautele volte ad evitare che la C.C., dopo essersi recata al distributore automatico di bevande che si trovava all'interno del capannone, privo di segnaletica orizzontale e verticale atta ad evitare situazioni di rischio, mentre D.D., a sua volta, stava sopraggiungendo in retromarcia e a velocità sostenuta alla guida di un carrello elevatore, senza essere stato formato adeguatamente sull'uso della macchina e disponendo di uno Spazio di manovra limitato dalla presenza di materiali che ingombravano il percorso, venisse investita dalla ruota posteriore destra del carrello, subendo lo schiacciamento di entrambi i piedi e riportando così una frattura scomposta della falange ungueale al I, al II, ai III e al IV dito del piede sinistro ed al I, al II e al III dito del piede destro, che comportava un'incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni ed un'inabilità assoluta al lavoro per un periodo della durata di otto mesi).

2. Gli imputati, a mezzo del proprio difensore, ricorrono per Cassazione avverso la sentenza della Corte di appello, proponendo quattro motivi di impugnazione.

2.1. Violazione dell'art. 192 c.p.p. e vizio di motivazione, per omessa indicazione del criterio valutativo ed acquisitivo utilizzato in ordine alla prova dichiarativa della parte civile.

Si deduce che emergevano delle diversità tra le dichiarazioni di C.C. e dei due dipendenti, testi oculari, i quali avevano riferito che la donna, udito il segnale acustico del veicolo in retromarcia, si era fermata ma sbadatamente era stata investita sulle falangi di entrambi i piedi.

La Corte territoriale non ha indicato riscontri alle dichiarazioni rese dalla persona offesa nè ha stigmatizzato il disvalore della prova contraria.

2.2. Violazione dell'art. 41 c.p. e vizio di motivazione in ordine alla verificazione dell'evento quale diretta conseguenza di contravvenzioni non contestate.

Si osserva che la Corte di merito non ha verificato la reale correlazione tra le contravvenzioni contestate in tema di sicurezza sul lavoro nonchè le circostanze di tempo e di luogo, che avrebbero potuto dimostrare l'interruzione del nesso causale.

Le violazioni contestate all'azienda non avevano avuto rilevanza rispetto alla verificazione dell'evento, tanto più che quelle utilizzate dalla Corte distrettuale a sostegno della conferma della pronunzia di condanna erano state superate nella sentenza di primo grado.

La condotta del D.D., conducente del carrello, non era riconducibile alla mancata formazione, per cui l'evento verificatosi non poteva essere considerato dipendente da quest'ultimo. Egli, infatti, era in possesso di adeguata formazione ed informazione nonchè di patente specifica.

Nella sentenza impugnata non è svolto nessun accertamento sulla natura abnorme o eccentrica della condotta della C.C.. Inoltre, la Corte territoriale, ignorando le risultanze processuali, ha ritenuto che l'assenza di un documento attestante la divisione oraria giustificasse la non arbitrarietà del comportamento della persona offesa.

2.3. Violazione dell'art. 583 c.p., comma 1, n. 1, e vizio di motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza della circostanza aggravante per mancata dimostrazione della durata della malattia.

Si rileva che la certificazione Inail prodotta a fondamento della pretesa risarcitoria consistesse solo in un'attestazione di natura previdenziale e non medica. Pertanto, l'ente che aveva emesso tale documento non aveva verificato lo stato fisico reale del lavoratore. Per effetto dell'insussistenza della circostanza aggravante si sarebbe dovuta emettere pronunzia di non doversi procedere per intervenuta prescrizione.

2.4. Violazione di legge in ordine all'omesso riconoscimento dell'intervenuta prescrizione delle contravvenzioni di cui ai capi B), C), D) ed E).

Si deduce che erroneamente era stata riconosciuta la permanenza delle condotte criminose contestate, mentre le norme in questione cessavano di avere rilevanza nel momento della cessazione del rischio.

L'eliminazione del rischio non si ottiene solo con l'adempimento dell'obbligo derivante dalla legge ma anche nel caso in cui venga meno la posizione di garanzia.

 

Diritto


1. I ricorsi sono inammissibili.

2. Con riferimento ai primi due motivi di ricorso, da trattare congiuntamente per ragioni di connessione logica, va rilevato che la Corte distrettuale si è attenuta ai principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità in tema di valutazione delle dichiarazioni rese dalla persona offesa dal reato, secondo la quale occorre effettuare un rigoroso riscontro della credibilità soggettiva ed oggettiva della persona offesa, specie se costituitasi parte civile (circostanza verificatasi nel caso di specie), accertando l'assenza di elementi che facciano dubitare della sua obiettività, senza la necessità, però, del reperimento di riscontri esterni, stabilita dall'art. 192 c.p.p., comma 3, per il dichiarante coinvolto nel fatto (Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012, Bell'Arte, Rv. 253214; Sez. 5, n. 21135 del 26/03/2019, S., Rv. 275312; Sez. 2, n. 41751 del 04/07/2018, Capraro, Rv. 274489; Sez. 2, n. 43278 del 24/09/2015, Manzini, Rv. 265104; Sez. 5, n. 1666 del 08/07/2014, dep. 2015, Pirajno, Rv. 261730).

Questa Corte ha anche statuito che "la valutazione della credibilità della persona offesa dal reato rappresenta una questione di fatto che ha una propria chiave di lettura nel compendio motivazionale fornito dal giudice e non può essere rivalutata in sede di legittimità, salvo che il giudice non sia incorso in manifeste contraddizioni" (Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012; Sez. 2, n. 7667 del 29/01/2015, Cammarota, Rv. 262575) "o abbia fatto ricorso a mere congetture, consistenti in ipotesi non fondate sull'id quod plerumque accidit, ed insuscettibili di verifica empirica, od anche ad una pretesa regola generale che risulti priva di una pur minima plausibilità" (Sez. 4, n. 10153 del 11/02/2020, C., Rv. 278609).

Con motivazione puntuale ed immune dai vizi, la sentenza impugnata ha condiviso la valutazione del Tribunale sull'attendibilità della persona offesa C.C., avendo ritenuto coerente e precisa la narrazione in ordine alle modalità di svolgimento dell'incidente.

Peraltro, la Corte di merito ha sottolineato che le sue dichiarazioni avevano trovato riscontro negli accertamenti eseguiti dagli ispettori del lavoro e dal personale dell'ASL, riguardanti: a) la presenza di plurime ceste ingombranti all'interno del capannone, di voluminosità tale da lasciare solo piccoli corridoi liberi per il passaggio; b) la mancanza di strisce di colore giallo delimitanti i percorsi da seguire, di segnaletica orizzontale che consentisse gli spostamenti in sicurezza, senza essere colpiti da carrelli elevatori, di segnaletica e di segnaletica verticale che indicasse le parti non accessibili a piedi; c) la mancata redazione di un documento di valutazione dei rischi; d) il mancato svolgimento dall'anno 2012 di corsi di formazione da parte del carrellista D.D., per sua stessa ammissione, omissione che evidentemente aveva contribuito ad indurlo a percorrere i corridoi ad alta velocità col carrello elevatore, anche a retromarcia e nonostante la presenza di pile di abiti nelle ceste, che ostacolavano la visione del percorso; e) la mancanza di fasce orarie prestabilite per i dipendenti per recarsi alla macchinetta distributrice delle bevande, per cui non potevano essere mossi rimproveri alla C.C., recatasi a prendere un caffè prima dell'inizio del turno delle ore 8.30, seguendo l'unico percorso possibile in ragione della presenza dei suindicati ingombri; f) la mancata previsione obbligatoria di dispositivi antinfortunistici (scarpe da lavoro).

Con riferimento al nesso causale, con l'esposizione delle suindicate violazioni al d. lgs. n. 81 del 2008, la Corte territoriale ha spiegato, in modo lineare ed esauriente, che, in caso di predisposizione delle necessarie segnaletiche, di adeguata formazione del carrellista e di dotazione di calzature adeguate alla C.C., l'evento lesivo non si sarebbe verificato. L'infortunio costituiva proprio la concretizzazione del rischio, che dette disposizioni intendevano prevenire. Il datore di lavoro che non adempie agli obblighi di informazione e formazione gravanti su di lui e sui suoi delegati risponde, a titolo di colpa specifica, dell'infortunio dipeso dalla negligenza del lavoratore che, nell'espletamento delle proprie mansioni, ponga in essere condotte imprudenti, trattandosi di conseguenza diretta e prevedibile della inadempienza degli obblighi formativi, nè l'adempimento di tali obblighi è surrogabile dal personale bagaglio di conoscenza del lavoratore (Sez. 4, n. 8163 del 13/02/2020, Lena, Rv. 278603, in tema di riconoscimento della responsabilità del datore di lavoro per la morte di un lavoratore, ascrivibile al non corretto uso di un macchinario dovuto all'omessa adeguata formazione sui rischi del suo funzionamento; Sez. 4, n. 49593 del 14/06/2018, T., Rv. 274042).

Al riguardo, la difesa degli imputati riproduce la tesi contraria, già formulata nell'atto di appello, senza replicare all'articolato apparato argomentativo sopra sinteticamente riportato e prospetta genericamente una diversa modalità di svolgimento dei fatti, senza fornire elementi a sostegno della propria ricostruzione alternativa; la difesa, peraltro, non allega e non richiama specificamente le dichiarazioni testimoniali asseritamente a suo favore e i documenti comprovanti il suo assunto, in violazione del principio di autosufficienza. La sentenza impugnata, infatti, non si è limitata ad illustrare il tema dell'omessa formazione del D.D. e della sua incidenza nel determinismo causale, ma ha affrontato tutte le violazioni alla normativa sulla sicurezza nel luogo di lavoro.

Quanto al tema dell'abnormità della condotta della persona offesa, questa Corte ha affermato che, in tema di prevenzione antinfortunistica, perchè la condotta colposa del lavoratore possa ritenersi abnorme e idonea ad escludere il nesso di causalità tra la condotta del datore di lavoro e l'evento lesivo, è necessario non tanto che essa sia imprevedibile, quanto, piuttosto, che sia tale da attivare un rischio eccentrico o esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia (Sez. 4, n. 5794 del 26/01/2021, Chierichetti, Rv. 280914, in fattispecie in cui la Corte ha escluso l'abnormità della condotta del lavoratore, deceduto per essere rimasto intrappolato nella bobina di una macchina per la lavorazione di tessuti, priva di dispositivi di protezione atti a eliminare il rischio di trascinamento e intrappolamento, ritenendo priva di rilievo nell'eziologia dell'evento l'assunzione da parte del lavoratore di farmaci a base di benzodiazepine, idonei a produrre depressione del sistema nervoso centrale; Sez. 4, n. 5007 del 28/11/2018, del). 2019, Musso, Rv. 275017, in fattispecie in cui la Corte ha ritenuto esente da censure la sentenza che aveva escluso la responsabilità del datore di lavoro per le lesioni riportate da un lavoratore che, per sbloccare una leva necessaria al funzionamento di una macchina utensile, aveva introdotto una mano all'interno della macchina stessa anzichè utilizzare l'apposito palanchino di cui era stato dotato; Sez. 4, n. 15124 del 13/12/2016, dep. 2017, Gerosa, Rv. 269603).

Pertanto, perchè possa ritenersi che il comportamento negligente, imprudente e imperito del lavoratore, pur tenuto in esplicazione delle mansioni allo stesso affidate, costituisca concretizzazione di un "rischio eccentrico", con esclusione della responsabilità del garante, è necessario che questi abbia posto in essere anche le cautele che sono finalizzate proprio alla disciplina e governo del rischio di comportamento imprudente, così che, solo in questo caso, l'evento verificatosi potrà essere ricondotto alla negligenza del lavoratore, piuttosto che al comportamento del garante (Sez. 4, n. 27871 del 20/03/2019, Simeone, Rv. 276242, in fattispecie in tema di omicidio colposo, in cui la Corte ha ritenuto esente da censure la sentenza che aveva affermato la responsabilità del datore di lavoro in quanto la mancata attuazione delle prescrizioni contenute nel Pos e la mancata informazione del lavoratore avevano determinato l'assenza delle cautele volte a governare anche il rischio di imprudente esecuzione dei compiti assegnati al lavoratore infortunato).

Questa Corte ha altresì precisato che non integra il "comportamento abnorme" idoneo a escludere il nesso di causalità tra la condotta omissiva del datore di lavoro e l'evento lesivo o mortale patito dal lavoratore il compimento da parte di quest'ultimo di un'operazione che, seppure inutile e imprudente, non risulta eccentrica rispetto alle mansioni a lui specificamente assegnate nell'ambito del ciclo produttivo (Sez. 4, n. 7955 del 10/10/2013, dep. 2014, Rovaldi, Rv. 259313, fattispecie di amputazione di una falange ungueale subita dal dipendente di un panificio che aveva introdotto la mano negli ingranaggi privi di protezione di una macchina "spezzatrice", in cui la Corte ha ritenuto irrilevante accertare se il lavoratore avesse inteso separare un pezzo di pasta dall'altro o invece eliminare delle sbavature del prodotto).

In linea con tali principi, la Corte partenopea ha coerentemente escluso l'abnormità della condotta della C.C., in quanto essa non poteva derivare dalla simmetria tra le fratture alle dita dei piedi, per cui la donna era ferma, in quanto gli ingombri non consentivano di posizionarsi aldilà della corsia percorsa dai macchinari.

I ricorrenti non si confrontano con la risposta fornita nella sentenza impugnata all'analoga censura da loro prospettata con l'atto di appello. Nè specificano in cosa consisterebbe la presunta condotta abnorme della C.C..

3. In ordine al terzo motivo di ricorso, va ricordato che, in terna di reato di lesioni aggravate dalla durata della malattia, è sufficiente la contestazione nel capo d'imputazione della tipologia delle lesioni, laddove risulti acquisita agli atti del processo la documentazione relativa alla durata della malattia (Sez. 4, n. 22782 del 06/02/2018, Montuori, Rv. 273396, relativa a fattispecie relativa alla contestazione nel capo d'imputazione di lesioni "allo stato non ancora qualificate e quantificate", definite in termini di "malattia insanabile"; Sez. 1, n. 8561 del 11/02/2015, De Luca, Rv. 262882).

In adesione a tale principio, per stabilire la durata della malattia, si è attribuito logicamente rilievo alla certificazione Inail. La difesa non ha apportato elementi utili per confutare tale assunto.

4. In relazione al quarto motivo di ricorso, va richiamata la natura permanente delle contravvenzioni contestate.

Le regole di prudenza e le norme di prevenzione, infatti, vincolano permanente i destinatari in ogni fase del lavoro, senza che sia possibile configurare vuoti normativi o di responsabilità in relazione a particolari operazioni da compiere in situazioni o siti pericolosi ovvero quando presso tali luoghi le opere siano terminate o da terminare o momentaneamente sospese per dare corso al altre fasi del processo produttivo; le misure di sicurezza, infatti, devono essere predisposte e mantenute, sia pure con diverse modalità, confacenti alla natura del lavoro da svolgere e alla fase produttiva, prima e durante ciascuna fase del processo lavorativo ed anche al termine di essa, ove siano residuate situazioni di pericolo per i lavoratori passati ad altre incompetenze ma, comunque, sottoposti al rischio derivante dallo stato di fatto residuato dalla fase pregressa.

Tanto premesso sulla materia de quo, la Corte di merito ha illustrato in modo esauriente le ragioni per le quali le contravvenzioni di cui ai capi B), C), D) ed E) dovevano essere considerate reati permanenti, con condotta tuttora perdurante, e conseguentemente non prescritte, sottolineando altresì: a) l'inottemperanza alle prescrizioni impartite dalla ASL NA 3 (vedi verbale di verifica e di adempimento sottoscritto dagli ispettori in data 4 agosto 2016); b) l'irrilevanza dei licenziamenti della C.C. e di altri due dipendenti all'indomani dell'infortunio, in quanto tutti non risultanti adeguatamente formati ed informati; c) l'ininfluenza dello spostamento della sede lavorativa da parte della Imentex Srl .

Le censure difensive al riguardo sono del tutto aspecifiche.

5. Per le ragioni che precedono, i ricorsi vanno dichiarati inammissibili con conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e - non ricorrendo ragioni di esonero - al versamento della somma di Euro tremila ciascuno in favore della Cassa delle ammende.

 

P.Q.M.


Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, il 22 marzo 2023.

Depositato in Cancelleria il 27 giugno 2023