Cassazione Civile, Sez. Lav., 28 giugno 2023, n. 18516 - Natura professionale della silicosi polmonare del minatore. Necessaria la prova


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ESPOSITO Lucia - Presidente -

Dott. CAVALLARO Luigi - Consigliere -

Dott. GNANI Alessandro - Consigliere -

Dott. SOLAINI Luca - Consigliere -

Dott. CERULO Angelo - rel. Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

 



sul ricorso 33342/2018 proposto da:

A.A., rappresentato e difeso, in virtù di procura conferita in calce al ricorso per cassazione, dall'avvocato FRANCESCO GAROFALO;

- ricorrente -

contro

ISTITUTO NAZIONALE PER L'ASSICURAZIONE CONTRO GLI INFORTUNI SUL LAVORO (INAIL), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso, in forza di procura conferita in calce al controricorso, dagli avvocati LUCIANA ROMEO, e LUCIA PUGLISI, con domicilio eletto in ROMA, VIA IV NOVEMBRE, 144, presso gli uffici dell'Istituto;

- controricorrente -

per la cassazione della sentenza n. 1072 del 2018 della CORTE D'APPELLO DI CATANZARO, depositata il 2 agosto 2018 (R.G.N. 84/2015);

Udita la relazione della causa, svolta nella Camera di consiglio del 23 febbraio 2023 dal Consigliere Dott. Angelo Cerulo.

 

Fatto


1.- Il Tribunale di Crotone, in accoglimento della domanda del signor A.A., ha accertato la natura professionale della silicosi polmonare denunciata il (Omissis), ha accertato una menomazione dell'integrità psicofisica nella misura del 25% e ha pertanto condannato l'INAIL alla liquidazione della rendita, con gl'interessi di legge.

2.- Con sentenza n. 1072 del 2018, depositata il 2 agosto 2018, la Corte d'appello di Catanzaro ha accolto il gravame dell'INAIL e, in riforma della pronuncia di primo grado, ha rigettato la domanda del lavoratore.

A fondamento della decisione, la Corte territoriale ha argomentato che il lavoratore non ha dimostrato di aver svolto lavorazioni nelle miniere e nelle cave in sotterraneo in presenza di roccia contenente silice libera o lavorazioni comunque suscettibili di esporre all'inalazione di polvere di silice libera. Difetta, dunque, la prova del presupposto che fonda la presunzione di eziologia professionale della malattia contratta.

Il lavoratore non ha neppure provato le mansioni, i materiali, l'ambiente lavorativo, elementi necessari per suffragare l'origine professionale della malattia, allorchè non operi la presunzione di legge.

Peraltro, la parte appellata, vittoriosa in primo grado, non ha ottemperato all'onere di devolvere ai giudici del gravame le istanze istruttorie formulate nel giudizio dinanzi al Tribunale e concernenti circostanze contestate dall'INAIL.

3.- Il signor A.A. impugna per cassazione la sentenza della Corte d'appello di Catanzaro, con ricorso notificato il 7 novembre 2018 e affidato a due motivi, illustrati da memoria in prossimità dell'adunanza in Camera di consiglio.

4.- L'INAIL resiste con controricorso e sostiene l'infondatezza dell'impugnazione.

5.- Il ricorso è stato fissato per la trattazione in Camera di consiglio dinanzi a questa sezione, in base all'art. 380-bis.1 c.p.c., nella versione antecedente alle modificazioni introdotte dal D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, e applicabile ratione temporis in virtù della disciplina transitoria dettata dall'art. 35, comma 6, del medesimo D.Lgs..

6.- Il Pubblico Ministero non ha depositato conclusioni scritte.

 

Diritto


1.- Con il primo motivo (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), il ricorrente denuncia omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione fra le parti.

La sentenza impugnata avrebbe trascurato di valutare la consulenza tecnica d'ufficio esperita nel giudizio di primo grado, che ha riscontrato il nesso causale tra l'attività svolta in galleria, documentata dal libretto di lavoro, e l'insorgenza di una patologia silicotica. Tale circostanza, ove fosse stata sottoposta a "ponderata valutazione e disamina", avrebbe condotto a una decisione di segno diverso.

2.- Con il secondo mezzo (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), il ricorrente deduce nullità della sentenza impugnata per violazione dell'art. 132 c.p.c., comma 1, n. 4.

La Corte d'appello di Catanzaro non avrebbe illustrato una "adeguata motivazione" delle ragioni che l'hanno indotta a disattendere le conclusioni della consulenza tecnica d'ufficio.

3.- Le censure, per l'intima connessione che le contraddistingue, possono essere esaminate congiuntamente.

Esse devono essere disattese.

4.- Le doglianze del ricorrente poggiano sull'assunto, addotto a sostegno del primo motivo e sviluppato nella memoria illustrativa (pagina 2), che la Corte di merito abbia pretermesso l'esame di un fatto decisivo, oggetto di discussione tra le parti.

Tale fatto atterrebbe all'origine professionale della malattia, attestata dalla relazione peritale e avvalorata dalle risultanze del libretto di lavoro.

Per le stesse ragioni, prospettate nel secondo mezzo, la motivazione della sentenza d'appello sarebbe gravemente viziata e contravverrebbe alle garanzie prescritte dall'art. 111 Cost., comma 6.

5.- Le censure non scalfiscono la ratio decidendi della pronuncia impugnata.

Il rigetto della domanda del lavoratore s'incentra sulla carenza di prova dello svolgimento di una lavorazione tabellata o della causa di lavoro, al di fuori dei casi in cui si applica la presunzione di eziologia professionale della malattia.

La Corte d'appello, nel ricostruire gli antefatti processuali, evidenzia che, sul tema dell'esposizione a rischio, l'Istituto ha formulato una "decisa contestazione (...) sin dal primo grado" (pagina 5 della sentenza impugnata). Tale contestazione è stata reiterata anche in sede di gravame (pagina 2, punto 2, della sentenza), al fine di stigmatizzare l'erroneità della pronuncia del Tribunale.

A fronte di tale precisa e specifica contestazione degli elementi costitutivi della pretesa azionata, era onere del ricorrente - soggiunge la sentenza d'appello - offrire idonea prova delle lavorazioni cui era stato adibito nel corso degli anni, per giovarsi della presunzione di eziologia professionale della malattia o comunque per dimostrare la causa di lavoro.

Invero, "non tutti i minatori sono esposti a polvere di silice e, per un altro verso, non può attribuirsi alcuna efficacia probatoria al libretto di lavoro, nel quale risultano annotate le generiche qualifiche di assunzione" (pagina 5 della pronuncia d'appello).

La parte appellata - puntualizza la Corte territoriale - non ha manifestato in maniera univoca la volontà di devolvere ai giudici del gravame anche il riesame delle proprie richieste istruttorie, sulle quali il primo giudice non si è pronunciato, e non ha richiamato specificamente le difese di primo grado, così da fare ritenere in modo inequivocabile di avere riproposto l'istanza di ammissione della prova.

Tale valutazione, che i giudici del gravame hanno compiuto (pagine 4 e 5 della sentenza) in conformità alle enunciazioni di principio di questa Corte (Cass., sez. lav., 11 febbraio 2011, n. 3376; nello stesso senso, già Cass., sez. II, 27 ottobre 2009, n. 22687), non è stata infirmata in alcun modo dalla parte ricorrente.

6.- Il percorso argomentativo della sentenza impugnata, così ricostruito, non infrange l'obbligo costituzionale di motivazione dei provvedimenti giurisdizionali.

Le argomentazioni addotte dalla sentenza impugnata sono lineari e coerenti e consentono di cogliere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento (Cass., S.U., 3 novembre 2016, n. 22232).

Il punto nodale, esposto in modo intelligibile ed esauriente, è che la prova dei presupposti della domanda non è stata offerta in primo grado e non è stata ritualmente offerta neppure in sede di gravame, come la Corte di merito rimarca con rilievo che la parte ricorrente non fa segno di alcuna critica.

7.- Nè il fatto, indicato nel primo mezzo, si palesa decisivo e dunque idoneo a sovvertire la decisione impugnata.

Il ricorrente fa leva sulla circostanza che la consulenza tecnica d'ufficio abbia riscontrato l'origine professionale della malattia e che la sentenza impugnata prescinda del tutto dalle acquisizioni dell'elaborato peritale.

Dagli stralci riprodotti a pagina 4 del ricorso per cassazione, si può desumere che il consulente tecnico d'ufficio si è basato sulle dichiarazioni dello stesso lavoratore.

La relazione peritale, pertanto, nei passaggi che la parte ricorrente ha riportato, non vale a scardinare le conclusioni della sentenza impugnata circa l'insussistenza di elementi probatori sull'attività svolta.

Gli elementi probatori non si possono esaurire, sic et simpliciter, nelle asserzioni dell'interessato. Nè risulta con la necessaria specificità che la relazione peritale abbia acclarato tali elementi con autonoma indagine.

Quanto al libretto di lavoro, richiamato a pagina 5 del ricorso per cassazione e neppure trascritto nelle sue parti rilevanti, non si può apprezzare la decisività delle circostanze che il documento rappresenta.

La sentenza impugnata ha illustrato le ragioni che l'hanno indotta a non attribuire alcuna forza persuasiva a tali evidenze documentali, irrimediabilmente generiche (la già richiamata pagina 5 della sentenza d'appello).

Il fatto veicolato dal documento, dunque, è stato esaminato e i giudici d'appello ne hanno escluso la portata dirimente, con motivato apprezzamento, che la parte ricorrente non critica in modo circostanziato.

Nè la deduzione del vizio di cui all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, consente di censurare dinanzi a questa Corte la complessiva valutazione delle risultanze processuali e di contrapporre alla stessa una diversa interpretazione, al fine di ottenere la revisione, in sede di legittimità, degli accertamenti di fatto compiuti dal giudice di merito (Cass., sez. II, 19 luglio 2021, n. 20553).

8.- Il ricorso, in ultima analisi, dev'essere nel suo complesso respinto, in quanto non si ravvisano nè il vizio di radicale carenza di motivazione nè il vizio di omesso esame di un fatto decisivo, peraltro, sotto i profili indicati, irritualmente dedotto.

9.- Il ricorrente dev'essere condannato a rifondere alla parte controricorrente le spese del presente giudizio (art. 385 c.p.c., comma 1), che si liquidano nella misura indicata in dispositivo.

10.- L'integrale rigetto del ricorso impone di dare atto dei presupposti processuali dell'obbligo della parte ricorrente di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l'impugnazione, ove sia dovuto (Cass., S.U., 20 febbraio 2020, n. 4315).

 

P.Q.M.

 


rigetta il ricorso; condanna la parte ricorrente a rifondere alla parte controricorrente le spese del presente giudizio, che liquida in Euro 3.000,00 per compensi, in Euro 200,00 per esborsi, oltre al rimborso delle spese generali e agli accessori di legge.

Dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

In caso di diffusione del presente provvedimento si omettano le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Quarta Civile, il 23 febbraio 2023.

Depositato in Cancelleria il 28 giugno 2023