Cassazione Penale, Sez. 4, 26 giugno 2023, n. 27599 - Sfondamento del piano di calpestio del soppalco. Nessun comportamento abnorme


 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI SALVO Emanuele - Presidente -

Dott. ESPOSITO Aldo - Consigliere -

Dott. BRUNO Mariarosaria - Consigliere -

Dott. MARI Attilio - rel. Consigliere -

Dott. D’ANDREA Alessandro - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA



sul ricorso proposto da:

A.A., nato a ((Omissis);

B.B., nato il (Omissis);

F.A.R.A. Srl ;

avverso la sentenza del 21/06/2022 della CORTE APPELLO di L'AQUILA visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere ATTILIO MARI;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore LUCA TAMPIERI che ha concluso chiedendo di dichiarare inammissibili i ricorsi.

Fatto


1. Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte d'appello di L'Aquila ha parzialmente riformato la sentenza emessa il 10/2/2021 dal Tribunale di Chieti nei confronti di A.A. e B.B., concedendo agli imputati il beneficio della non menzione e confermando - nel resto - la sentenza di primo grado con la quale gli stessi erano stati condannati alla pena di mesi quattro di reclusione, previa concessione delle circostanze attenuante generiche ritenute equivalenti alla contestata aggravante, con beneficio della sospensione condizionale, condannandoli altresì (in solido con il responsabile civile FARA s.n.c.) al risarcimento del danno nei confronti della parte civile INAIL, da liquidarsi in separato giudizio, in relazione al reato previsto dall'art. 590 c.p..

Era contestato agli imputati - nella loro qualità di soci amministratori della FARA s.n.c. - di avere cagionato colposamente ad C.C., dipendente della stessa società, lesioni personali di durata superiore ai quaranta giorni, consistenti in trauma vertebro-midollare con frattura; colpa consistita in negligenza, imprudenza ed imperizia nonchè nella violazione delle norme antinfortunistiche che impongono la solidità e stabilità delle opere e strutture presenti sul luogo di lavoro e che prevedono che i pavimenti degli ambienti di lavoro e dei luoghi destinati al passaggio siano in condizioni tali da rendere sicuro il transito e il movimento delle persone - in relazione all'art. 63, comma 1, in combinato con l'art. 64, comma 1, del T.U. emesso con D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81 - avendo realizzato al di sopra del piano uffici dell'azienda un soppalco adibito a magazzino senza effettuare un preventivo calcolo dei carichi che lo stesso avrebbe dovuto e potuto sopportare, utilizzando materiale non idoneo, presso il quale il lavoratore aveva fatto accesso e da cui, a causa dello sfondamento del piano di calpestio, era precipitato al suolo riportando le suddette lesioni.

La Corte territoriale, nel condividere le argomentazioni del Giudice di primo grado, ha ricostruito il fatto sulla base della allegata documentazione fotografica e delle dichiarazioni della persona offesa, oltre che del teste C.C., tecnico della prevenzione presso la ASL di (Omissis) che aveva effettuato un sopralluogo nell'immediatezza del fatto.

Ha quindi rilevato che la dinamica dell'incidente doveva ritenersi del tutto pacifica, essendosi l'infortunio verificato mentre il F.F., era intento a prelevare del materiale posto sul solaio di copertura della zona uffici(previa richiesta formulata dalla collega D.D. e poi ribadita da E.E., (padre degli imputati)2 dove si era arrampicato tramite uno scaffale e dal quale soppalco, perdendo l'equilibrio, era caduto al suolo.

La Corte ha rilevato che la testimonianza della persona offesa doveva ritenersi direttamente riscontrata da quella del collega l.; che il teste C.C., aveva altresì riferito di non aver riscontrato la presenza di alcun cartello di divieto di arrampicarsi sugli scaffali e che comunque la presenza di materiale sul soppalco riscontrata dalle fotografie in atti - doveva ritenersi idonea a dimostrare che il medesimo era utilizzato e che i responsabili della società avrebbero dovuto prevedere che qualche dipendente potesse ivi arrampicarsi e stazionare; circostanze di fatto sulla base delle quali la Corte ha escluso qualsiasi comportamento abnorme da parte del lavoratore, avendo anzi lo stesso ottemperato a un preciso ordine fornito dalla sede della società sita in (Omissis); ha quindi ritenuto che sussistesse l'elemento rappresentato dalla piena prevedibilità dell'evento e quella della susseguente evitabilità attraverso l'adozione di specifiche cautele ovvero sgombrando il soppalco dal materiale o comunque allestendo un deposito sopraelevato realizzato a regola d'arte e con la preventiva valutazione dei rischi; per l'effetto, ha quindi confermato il giudizio di penale responsabilità degli imputati oltre alle conseguenti statuizioni civili.

2. Avverso la predetta sentenza hanno presentato separati ricorsi per cassazione, tramite i propri difensori, gli imputati A.A. e B.B. e il responsabile civile FARA s.n.c., dal coincidente tenore argomentativo.

Hanno premesso il contenuto delle prove delle quali si deduceva l'inesistenza, l'omessa assunzione o valutazione; in particolare, hanno contestato: la circostanza che il soppalco sarebbe stato realizzato dagli imputati e che lo stesso fosse destinato a piano di calpestio e la circostanza che ivi fossero allocati pezzi di ricambio di autovettura poco richiesti sul mercato e che per accedervi fossero necessari mezzi di fortuna.

Hanno dedotto che le dichiarazioni del F.F. non erano state effettivamente confermate da quelle del G.G., da ritenersi a propria volta contraddittorie e smentite da quelle rese dai testi escussi su istanza della difesa, non tenute in adeguato conto dai giudici di merito; e che da nessuna testimonianza sarebbe emerso che il F.F., avrebbe dovuto chiedere il pezzo richiesto dalla sede di (Omissis) proprio nella suddetta allocazione, elemento idoneo a comprovare la sussistenza di un comportamento abnorme da parte del lavoratore.

Operata tale premessa in punto di fatto hanno quindi articolato i ~4 motivi di impugnazione.

Con il primo motivo hanno dedotto il travisamento della prova e la contraddittorietà della motivazione, nonchè la violazione dei canoni di valutazione della prova imposti dall'art. 192 c.p.p., in relazione all'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), in relazione: al fatto che sul piano di copertura vi fossero pezzi di ricambio destinati alla vendita; al fatto chetessendo il materiale accatasto destinato allo smaltimento vi potesse essere una motivazione per i dipendenti di salire sul piano medesimo; al fatto che l'iniziativa del F.F., non fosse stata imprevedibile e abnorme; all'errata interpretazione delle dichiarazioni rese dal teste G.G. in riferimento all'affermazione di avere visto altri collleghi salire sopra il soppalco; al fatto che il comportamento del lavoratore potesse costituire un'evenienza prevedibile per i datori di lavoro; al fatto che i legali rappresentanti della FARA non avessero rispettato le regole di prudenza generica; al fatto che la rinnovazione probatoria avente a oggetto la nuova escussione del teste G.G. non dovesse ritenersi necessaria.

Con il secondo motivo hanno dedotto la mancanza, contraddittorietà e illogicità manifesta della motivazione in ordine al non operato vaglio applicativo della regola di giudizio dell'oltrikkergionevole dubbio, in relazione all'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), hanno argomentato che i dati probatori esaminati dai giudici di merito avrebbero dovuto condurre gli stessi a ritenere sussistente un ragionevole dubbio sull'effettiva ricostruzione del fatto, con specifico riferimento al dato rappresentato dall'abnormità del comportamento tenuto dalla persona offesa anche per effetto della mancata adeguata considerazione delle dichiarazioni rese dai testi escussi su istanza delle difese.

3. Il Procuratore generale ha depositato requisitoria scritta nella quale ha concluso per la dichiarazione di inammissibilità dei ricorsi.

La parte civile ha fatto pervenire conclusioni scritte nella quale ha chiesto di confermare le statuizioni contenute nella sentenza impugnata in punto di risarcimento del danno.

 

Diritto

 


1. I ricorsi vanno rigettati.

2. Va premesso che, vertendosi in una fattispecie di c.d. doppia conforme, le due decisioni di merito vanno lette congiuntamente, integrandosi le stesse a vicenda, secondo il tradizionale insegnamento della Suprema Corte; tanto in base al principio per cui "Il giudice di legittimità, ai fini della valutazione della congruità della motivazione del provvedimento impugnato, deve fare riferimento alle sentenze di primo e secondo grado, le quali si integrano a vicenda confluendo in un risultato organico ed inscindibile" (Sez. 2, n. 11220 del 13/11/1997, Ambrosino, Rv. 209145; in conformità, tra le numerose altre, Sez. 6, n. 11878 del 20/01/2003, Vigevano, Rv. 224079; Sez. 6, n. 23248 del 07/02/2003, Zanotti, Rv. 225671; Sez. 5, n. 14022 del 12/01/2016, Genitore, Rv. 266617).

3. Nel merito i tre ricorsi, contenenti censure reciprocamente coincidenti, possono essere congiuntamente esaminati; così come i due motivi ivi articolati possono pure essere esaminati in via congiunta, atteso che il secondo dei quali si risolve in un'invocazione della violazione del principio contenuto nell'art. 533 c.p.p., comma 1, in diretta conseguenza delle censure articolate nel primo motivo.

4. Va rilevato in via pregiudiziale e in riferimento ad argomentazione contenuta nel primo motivo di impugnazione - riproponente sul punto la specifica richiesta già rivolta al giudice di appello - che va rigettata la censura inerente alla mancata rinnovazione dell'istruzione dibattimentale con specifico riferimento all'omessa rinnovazione dell'audizione del teste G.G..

Sul punto, va difatti rilevato che - in tema di ricorso per cassazione - può essere censurata la mancata rinnovazione in appello dell'istruttoria dibattimentale solo qualora si dimostri l'esistenza, nell'apparato motivazionale posto a base della decisione impugnata, di lacune o manifeste illogicità, ricavabili dal testo del medesimo provvedimento e concernenti punti di decisiva rilevanza, che sarebbero state presumibilmente evitate se si fosse provveduto all'assunzione o alla riassunzione di determinate prove in appello (Sez. 6, n. 1400 del 22/10/2014, PR, Rv. 261799; Sez. 5, n. 32379 del 12/04/2018, Impellizzeri, Rv. 273577).

Nel caso di specie, quindi, la richiesta si fonda sulla dedotta contraddittorietà delle dichiarazioni rese dal G.G., rispetto a quelle della persona offesa, in relazione alla quale la Corte d'appello - con valutazione logica e immune da censure - ha invece dato atto della coincidenza dei rispettivi nuclei centrali delle testimonianze.

5. Ciò posto, i ricorsi ripropongono in modo pedissequo argomenti già prospettatrgii atti di appello, ai quali la Corte territoriale ha dato adeguate risposte e con le quali i ricorrenti hanno, di fatto, omesso di confrontarsi criticamente limitandosi a dedurre una presunta carenza o illogicità della motivazione.

In particolare, le deduzioni contenute nei motivi di ricorso mirano - per la loro gran parte - a sollecitare una rivalutazione nello stretto merito della sentenza da parte di questa Corte, peraltro non consentita in sede di legittimità essendo preclusa in questa sede la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito. (Sez. 6, n. 27429 del 4/7/2006, Lobriglio, P.v. 234559; sez. 6, n. 47204 del 7/10/2015, Musso, Rv. 265482; Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021, B., Rv. 280601).

Ed infatti, è stato più volte ribadito che la Corte di cassazione non può sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di giudizio (Sez. 5, n. 39048 del 25/9/2007, Casavola, Rv. 238215; Sez. 6, n. 25255 dèl 14/2/2012, Minervini, Rv. 253099), restando esclusa la possibilità di una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito, attraverso una diversa lettura dei dati processuali o una diversa ricostruzione storica dei fatti o un diverso giudizio di rilevanza o attendibilità delle fonti di prova (Sez. 2, n. 7380 del 11/1/2007, Messina, Rv. 235716).

Ulteriormente, rispetto al dedotto vizio di travisamento della prova, va ricordato che il vizio medesimo può essere dedotto con il ricorso per cassazione, nel caso - come quello di specie - di cosiddetta "doppia conforme ", nell'ipotesi in cui il giudice di appello, per rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, abbia richiamato dati probatori non esaminati dal primo giudice, ovvero quando entrambi i giudici del merito siano incorsi nel medesimo travisamento delle risultanze probatorie acquisite in forma di tale macroscopica o manifesta evidenza da imporre, in termini inequivocabili, il riscontro della non corrispondenza delle motivazioni di entrambe le sentenze di merito rispetto al compendio probatorio acquisito nel contraddittorio delle parti (Sez. 2, n. 5336 del 09/01/2018, L., Rv. 272018; Sez. 4, n. 35963 del 03/12/2020, Tassoni, Rv. 280155).

6. In particolare, in relazione alle specifiche deduzioni illustrate nel primo motivo di impugnazione, le argomentazioni fatto ivi illustrate appaiono unicamente tese a sollecitare una rivalutazione dei dati fattuali operati dalle due sentenze di merito e da questi esaminati con motivazione intrinsecamente coerente e immune dai dedotti vizi di illogicità e di travisamento delle prove.

Ci si riferisce, nello specifico:

a) alla circostanza relativa alla realizzazione del soppalco, in ordine alla quale la sentenza di primo grado ha dato analiticamente atto di come sia stato lo stesso imputato A.A., in sede di dichiarazioni spontanee, ad affermare di averlo realizzato nell'anno 2014 insieme al cognato H.H.; elemento, lo stesso, da ritenersi peraltro privo di qualsiasi potenziale incidenza causale sul sinistro, dal momento che indipendentemente dal momento di realizzazione della struttura e dai loro autori - i datori di lavoro avrebbero comunque dovuto predisporre misure idonee a evitare i pericoli connessi all'utilizzazione della struttura medesima da parte dei lavoratori;

b) all'elemento relativo alla effettiva destinazione alla vendita del materiale apposto sul soppalco e al fatto che, per arrampicarsi sulla struttura, fosse necessario utilizzare scale portatili oppure arrampicarsi sugli scaffali adiacenti ovvero utilizzare mezzi di fortuna; si tratta di circostanze di fatto analiticamente esaminate dai giudici di primo e secondo grado sulla base del complesso delle testimonianze acquisite e in riferimento alle quali la relativa deduzione difensiva ha l'unico scopo di sollecitare una non consentita rivisitazione nel merito;

c) all'interpretazione delle dichiarazioni del teste G.G. in ordine all'effettiva utilizzazione del soppalco da parte di altri lavoratori; trattandosi, anche in questo caso, di deduzione finalizzata a una diversa valutazione del materiale istruttorio e la cui rilevanza è stata comunque smentita in sede di pronunce di merito, nelle quali è stato specificamente dato atto di come la stessa presenza di materiale sul tavolato - indipendentemente dalla frequenza della relativa utilizzazione da parte del personale - mostrasse comunque che la struttura era utilizzabile e che i responsabili della società avrebbero dovuto prevedere che qualche dipendente potesse ivi arrampicarsi e stazionare al fine di prelevare dei pezzi di ricambio (pag.7 della sentenza di appello); a tale proposito, va altresì incidentalmente rilevato che in tema di prevenzione di infortuni sul lavoro, il datore di lavoro deve comunque vigilare per impedire l'instaurazione di prassi contra legem foriere di pericoli per i lavoratori, con la conseguenza che, in caso di infortunio del dipendente, la condotta del datore di lavoro che abbia omesso ogni forma di sorveglianza circa la pericolosa prassi operativa instauratasi, integra il reato di lesioni colpose aggravate dalla violazione delle norme antinfortunistiche (Sez. 4, n. 10123 del 15/01/2020, Chironna, Rv..278608; Sez. 4, n. 20092 del 19/01/2021, Zanetti, Rv. 281174);

d) all'elemento fattuale relativo alla mancata apposizione di cartelli di divieto, attestata dalle dichiarazioni rese dal C.C., (tecnico della prevenzione presso la ASL di Chieti); in ordine alla quale, come dato atto nelle sentenze di merito, la necessità dell'apposizione medesima era insita nella possibilità di accesso alla struttura da parte dei lavoratori.

7. Nell'ambito del primo motivo di impugnazione, i ricorrenti hanno altresì sollecitato una nuova valutazione in punto di dedotta abnormità del comportamento del lavoratore; che, a propria volta, sarebbe stata concretizzata in quanto la persona offesa avrebbe, di sola propria iniziativa, ricercato il pezzo che gli era stato richiesto da parte della sede di (Omissis) - non nel magazzino - ma presso il soppalco, avendo quindi deciso il lavoratore di sola propria iniziativa di arrampicarsi sulla relativa struttura.

Anche tale specifica censura - e sulla base delle considerazioni sopra espresse - deve considerarsi infondata, in quanto tendente a sollecitare questa Corte a operare una rivalutazione del materiale istruttorio in senso difforme rispetto a quanto operato da parte delle sentenze di merito.

Le quali hanno specificamente dato atto di come - sulla base delle dichiarazioni della persona offesa - il materiale che gli era stato chiesto di prelevare da parte della sede di (Omissis) (ovvero un paraurti per una Autobianchi A112) era stato specificamente collocato proprio al di sopra del suddetto soppalco; nonchè di come (pagg.6 e 7 della sentenza di appello), il H.H., fosse salito al di sopra della struttura in quanto non aveva trovato il pezzo richiesto all'interno del magazzino (e tanto sulla base del contenuto della testimonianza del collega lezzi).

Elementi di fatto che, a propria volta, portano a escludere in radice la sussistenza di un profilo di colpa esclusiva in capo al lavoratore e rammentando - sotto tale aspetto - che il datore di lavoro, destinatario delle norme antinfortunistiche, è esonerato da responsabilità solo quando il comportamento del dipendente sia abnorme, dovendo definirsi tale il comportamento imprudente del lavoratore che sia stato posto in essere del tutto autonomamente e in un ambito estraneo alle mansioni affidategli - e, pertanto, solo al di fuori di ogni prevedibilità per il datore di lavoro - o rientri nelle mansioni che gli sono proprie ma sia consistito in qualcosa radicalmente, ontologicamente, lontano dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nella esecuzione del lavoro (Sez. 4, n. 7188 del 10/01/2018, Bozzi, Rv. 272222; Sez. 4, n. 7012 del 23/11/2022, dep. 2023, Cimolai, Rv. 284237).

8. La valutazione di complessiva infondatezza di tutti i profili di censura prospettati nel primo motivo di impugnazione rende conseguentemente infondate anche quelle contenute nel secondo motivo; con le quali, come detto sopra, è stata dedotta la violazione del principio dettato nell'art. 533 c.p.p., comma 1, in via direttamente consequenziale rispetto ai profili di doglianza prospettati nel primo motivo.

9. Alla declaratoria d'infondatezza segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Gli imputati e la responsabile civile vanno altresì condannati alla refusione delle spese sostenute dalla costituita parte civile, come liquidate in dispositivo.

P.Q.M.


Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali nonchè alla rifusione, in solido, delle spese di giudizio sostenute dalla parte civile INAIL, che liquida in Euro tremila, oltre accessori, come per legge.

Così deciso in Roma, il 31 maggio 2023.

Depositato in Cancelleria il 26 giugno 2023