Cassazione Penale, Sez. 3, 10 luglio 2023, n. 29826 - Sfruttamento del lavoro e sequestro di macchine da cucire


 

Presidente: LIBERATI GIOVANNI
Relatore: GENTILI ANDREA Data Udienza: 09/03/2023
 

 

Fatto



Con ordinanza datata 18 dicembre 2020, il Gip del Tribunale di Prato aveva respinto l'opposizione proposta dal difensore di U.J., indagato per il reato di cui all'art. 603-bis cod. pen., al decreto di rigetto dell'istanza di dissequestro di 61 macchine da cucire, emesso dal locale Pm.

Contestualmente, il Gip ha convertito il sequestro, originariamente disposto ai sensi degli artt. 253 e segg. cod. proc. pen., in sequestro preventivo, come richiesto dal Pm, atteso che sui beni già sottoposti a vincolo sarebbe potuta intervenire la confisca obbligatoria ex art. 603-bis.2 cod. pen.

Avverso detta ordinanza, il difensore del Un aveva proposto ricorso per cassazione, lamentando la carenza motivazionale circa il fumus commissi delicti.

Con sentenza n. 46176, emessa il 9 dicembre 2021 e depositata il successivo 17 dicembre, questa Corte di cassazione, Sezione IV penale, aveva annullato il provvedimento limitatamente al disposto sequestro preventivo e rinviato, per nuovo esame, al Tribunale di Prato, in funzione di giudice del riesame, dichiarando inammissibile il ricorso nel resto.

In esito al giudizio di rinvio, il Tribunale di Prato aveva, questa volta, emesso ordinanza di non luogo a provvedere, avverso la quale il difensore dell'indagato ha proposto ricorso per cassazione, ottenendone, con sentenza di questa III Sezione penale n. 20745 del 2022, l'annullamento con rinvio al Tribunale di Prato quale giudice dell'impugnazione cautelare.

Con ordinanza emessa il 10 giugno 2022, il Tribunale di Prato, in funzione di giudice del riesame, ha disposto il sequestro preventivo finalizzato alla confisca delle 61 macchine da cucire già oggetto di sequestro probatorio.

Avverso quest'ultimo provvedimento, ha ora interposto ricorso per cassazione il difensore di U.J., formulando due motivi di doglianza.
Con il primo, è stata dedotta la violazione degli artt. 125, comma 3, cod. proc. pen. e 603-bis cod. pen., nonché la carenza ed illogicità della motivazione, con riferimento alla ritenuta sussistenza del fumus commissi delicti.

In particolare, il Tribunale di Prato avrebbe affermato, nel caso di specie, la consapevolezza in capo all'indagato dello stato di bisogno in cui versavano i dipendenti, essendo questa implicata dal ruolo apicale da lui rivestito nell'amministrazione dell'impresa e dalle modalità dello sfruttamento dei lavoratori, emergenti dagli elementi di prova in atti.

Tale metodica avrebbe comportato, ad avviso del ricorrente, il disconoscimento della rilevanza autonoma dell'approfittamento dello stato di bisogno dei lavoratori quale elemento necessario ai fini della punibilità, ai sensi della fattispecie incriminatrice, distinto da quello dello sfruttamento ed integrato dalla conoscenza dello stato esistenziale della persona unita al vantaggio che consapevolmente se ne trae; a tal proposito, il ricorrente ha precisato di aver rilevato, in sede di giudizio di rinvio, che nessuno dei lavoratori escussi a sommarie informazioni aveva dichiarato che il U.J.. fosse consapevole delle loro condizioni socio-familiari.
Con il secondo motivo di doglianza, è stata dedotta la violazione degli artt. 125, comma 3, 321, comma 2, cod. proc. pen. e 603-bis.2 cod. pen., nonché la carenza, contraddittorietà ed illogicità della motivazione, con riferimento alla ritenuta sussistenza del periculum in mora, individuato nel rischio di alienazione, da parte dell'indagato, dei beni oggetto della richiesta di sequestro preventivo.

Il Tribunale di Prato avrebbe, infatti, omesso la valutazione della circostanza - ritenuta fondamentale dal ricorrente, da lui dedotta in sede di giudizio di rinvio e risultante dal testo dell'ordinanza impugnata - che il U.J. aveva richiesto al Pm ed ottenuto di poter utilizzare i macchinari già oggetto di sequestro probatorio; circostanza che deporrebbe in senso contrario rispetto alla volontà di compiere una cessione di azienda al fine di alienarli.

Infine, il giudice del rinvio non avrebbe considerato come l'art. 603-bis.2 cod. pen. preveda la confisca per equivalente, in subordine a quella diretta, di beni di cui il reo abbia la disponibilità; da ciò sarebbe disceso, ad avviso del ricorrente, un ulteriore profilo di carenza motivazionale del provvedimento impugnato, in mancanza di valutazioni circa il patrimonio dell'indagato.
 

 

Diritto



Il ricorso è risultato inammissibile e per tale lo stessa va, pertanto, dichiarato.

Quanto al primo motivo di impugnazione, afferente alla riconducibilità, allo stato degli atti, della condotta posta in essere dal ricorrente all'astratto paradigma normativo descrittivo della fattispecie in provvisoria contestazione, non deve essere trascurato il dato, invece indubbiamente significativo, che ci si trova di fronte ad un provvedimento cautelare ad esclusivo contenuto reale; tale dato, oltre ad implicare, come sarà di seguito segnalato, dei pesanti limiti contenutistici alla impugnabilità del provvedimento applicativo della misura, determina, altresì, la non necessaria sussistenze dei gravi indizi di colpevolezza a carico dell'indagato (Corte di cassazione, Sezione I penale, 27 aprile 2018, n. 18491), essendo, invece, sufficiente il fumus commissi delicti, cioè la astratta sussumibilità del fatto commesso in una fattispecie di reato (Corte di cassazione, Sezione III penale, 21 agosto 2018, n. 36302), e la sua attribuibilità, quanto meno a livello indiziario, alla condotta del soggetto destinatario delle indagini preliminari (Corte di cassazione, Sezione 29 gennaio 2020, n. 3722).

Nel caso in esame tali elementi appaiono ambedue sussistere, posto che - attesa la struttura del reato contestato, la quale prevede la rilevanza penale della condotta di impiego di manodopera, sottoposta a sfruttamento, approfittando dello stato di bisogno in cui quella versa - il consapevole approfittamento dello stato di bisogno in cui versavano i lavoratori utilizzati dall'indagato era stato plausibilmente tratto dalla circostanza che era stato lo stesso indagato, evidentemente messo al corrente della condizione in cui i lavoratori si trovavano, a reperire per loro le precarie sistemazioni abitative nelle quali essi avevano alloggio e dovendosi ritenere che il bisogno abitativo, così da lui precariamente soddisfatto, sia da ricomprendere fra le condizioni integranti lo stato di bisogno necessario ai fini della sussistenza del reato, mentre per ciò che attiene al requisito dello sfruttamento la motivazione della ordinanza impugnata è più che eloquente, indicando, quali indici inequivocabili di esso, la plurima violazione della normativa in materia di sicurezza ed igiene sui luoghi di lavoro, la sorveglianza, tramite strumenti di ripresa televisiva, cui faceva seguito, in caso di errori nello svolgimento dei compiti assegnati, l'obbligo di riparare ad essi in orari esulanti rispetto a quello ordinari di lavoro, la mancata retribuzione in caso di malattie brevi o di riposi, oltre ai pesantissimi ritmi di lavoro imposti alle maestranze del ricorrente.
Passando al secondo motivo di impugnazione, esso è afferente alla pretesa insussistenza del pericolo della dispersione degli strumenti utilizzati dall'indagato per la commissione del reato in provvisoria contestazione; al riguardo va preliminarmente osservato che l'art. 603-bis.2. cod. pen. prevede, in caso di condanna, la confisca obbligatoria delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato, categoria in cui indubbiamente rientrano i macchinari al cui funzionamento erano destinate le persone offese del reato in provvisoria contestazione.

Va, sempre in via preliminare, ricordato che, trattandosi di ricorso per cassazione riguardante un provvedimento cautelare reale, esso può essere proposto con esclusivo riferimento al vizio di violazione di legge, rimanendo estraneo dal possibile perimetro di indagine di questa Corte il vizio di motivazione.

Ora, trattandosi di cose mobili, l'esistenza del pericolo di una loro dispersione è sostanzialmente immanente, dato l'agile regime di trasferimento della proprietà dei beni mobili, tale, fra l'altro, da rendere assai arduo il recupero del bene ove ceduto a terzi; né si può ritenere che il pericolo in questione sia escluso dal fatto che l'indagato abbia ottenuto il permesso di proseguire nello svolgimento della sua attività imprenditoriale, potendo, evidentemente, la stessa essere svolta anche con macchine diverse da quelle che, ad oggi, costituiscono il corpo del reato.

Quanto alla circostanza che in ogni caso la florida condizione patrimoniale del prevenuto consentirebbe, anche ove fosse perduta la disponibilità dei macchinari in questione, il ricorso alla forma sussidiaria di confisca per equivalente, il che renderebbe, ad avviso del ricorrente, del tutto evanescente il periculum in mora, si osserva che proprio la natura sussidiaria della confisca per equivalente la rende una ipotesi subordinata alla impossibilità di provvedere alla confisca diretta, impossibilità che, nei limiti del consentito, deve essere scongiurata onde perseguire la forma elettiva di confisca diretta e non, solamente, quella ad essa logicamente subordinata.

Il ricorso deve, pertanto, essere dichiarato inammissibile ed il ricorrente, visto l'art. 616 cod. proc. pen., va condannato al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3.000,00 in Favore della Cassa delle ammende.

 

PQM
 



Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 9 marzo 2023