Cassazione Penale, Sez. 4, 05 luglio 2023, n. 28795 - Infortunio a causa dell'inerzia del mandrino ancora in funzione dopo lo spegnimento e assoluzione del datore di lavoro. Ricorso convertito in appello


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI SALVO Emanuele - Presidente -

Dott. VIGNALE Lucia - rel. Consigliere -

Dott. SERRAO Eugenia - Consigliere -

Dott. RANALDI Alessandro - Consigliere -

Dott. RICCI Anna Luisa - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
 


sul ricorso proposto da:

PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D'APPELLO DI VENEZIA;

nel procedimento a carico di:

A.A., nato a (Omissis);

avverso la sentenza del 18/07/2022 del TRIBUNALE di TREVISO;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. LUCIA VIGNALE;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dr. ODELLO LUCIA, che ha concluso riportandosi alla memoria in atti e chiedendo il rigetto del ricorso;

udito il difensore presente, avvocato ALESSANDRO ROMOLI del foro di TREVISO che ha concluso per l'inammissibilità e, in subordine, per il rigetto del ricorso;

 

FattoDiritto


1. Con sentenza del 18 luglio 7022, il Tribunale di Treviso ha assolto A.A. dall'imputazione a lui ascritta (violazione dell'art. 590 c.p., comma 3, commessa in (Omissis)) perchè il fatto non costituisce reato.

2. Il procedimento ha ad oggetto un infortunio cui lavoro verificatosi presso la MAEG Costruzioni Spa nel quale B.B. riportò lesioni dalle quali derivò una malattia di durata superiore ai quaranta giorni. A.A. è stato chiamato a rispondere dell'infortunio quale legale rappresentante della società e datore di lavoro dell'infortunato per aver messo a disposizione del dipendente una macchina foratrice semiautomatica non conforme ai requisiti di legge perchè munita di una finestra/sportello che dava accesso agli organi lavoratori per consentire la sostituzione della punta anche se la rotazione non era ancora terminata. Secondo la ricostruzione fornita dal Tribunale, l'infortunio si verificò perchè B.B. aprì lo sportello per sostituire la punta della foratrice dopo aver spento la macchina, ma in quel momento, per inerzia, il mandrino era ancora in movimento.

Ciò fece sì che il guanto di sicurezza indossato dal lavoratore fosse agganciato da un truciolo di lavorazione ancorato alla punta e che la mano fosse trascinata dal movimento. Questo determinò una torsione e la frattura scomposta del braccio sinistro. Il Tribunale ha ritenuto che il datore di lavoro non dovesse rispondere dell'infortunio perchè, quando era stata messa in servizio, la foratrice era stata certificata conforme alla normativa in materia di sicurezza; perchè B.B. era stato adeguatamente formato e addestrato al corretto uso della macchina; perchè nessun infortunio analogo si era mai verificato prima.

3. Il Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di appello di Venezia ha proposto ricorso contro la sentenza osservando:

- che la conformità agli standard di sicurezza previsti al momento della fabbricazione della foratrice (2002) è irrilevante, atteso che il datore di lavoro ha l'obbligo di aggiornare i macchinari ai requisiti di sicurezza stabiliti dai provvedimenti successivi alla costruzione e messa in servizio;

- che, quando fu utilizzata, la foratrice non era conforme ai requisiti di sicurezza previsti dal D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, art. 71 atteso che le parti meccaniche in movimento non erano adeguatamente segregate;

- che, dopo l'infortunio, fu installato un sistema di blocco idoneo a consentire l'apertura dello schermo di protezione solo quando l'organo lavoratore avesse raggiunto la stasi;

- che l'adempimento degli obblighi di informazione e formazione non esime il datore di lavoro dall'obbligo di curare la sicurezza dei macchinari;

- che l'assenza di infortuni analoghi non rendeva l'evento imprevedibile.

4. Il Procuratore generale presso la Corte di cassazione ha depositato conclusioni scritte sostenendo che, in assenza di indicazioni quanto alle condizioni di cui all'art. 593 bis c.p.p., comma 7 non si può ritenere che il Procuratore generale presso la Corte di Appello fosse legittimato al ricorso.

5. Si deve subito rilevare che la sentenza di assoluzione pronunciata all'esito del dibattimento ai sensi dell'art. 530 c.p.p., comma 2 può essere appellata dall'ufficio di procura che, pur potendo proporre appello, il Procuratore generale ha ritenuto di proporre ricorso ai sensi dell'art. 569 c.p.p. deducendo erronea applicazione della legge penale.

Come affermato dalle Sezioni Unite nella recente sentenza n. 21716 del 23/02/2023, dep. 22/05/2023, (non ancora massimata) "la legittimazione del Procuratore generale a proporre appello avverso le sentenze di primo grado a seguito dell'acquiescenza del Procuratore della Repubblica consegue alle intese o alle altre forme di coordinamento richieste dall'art. 166 bis disp. att. c.p.p.): che impongono al Procuratore generale di acquisire tempestiva notizia in ordine alle determinazioni del Procuratore della Repubblica in merito all'impugnazione della sentenza" (pag. 23 della motivazione). Ne consegue che lo stesso "fatto processuale" della presentazione del ricorso consente di "ritenere avverata l'acquiescenza sulla base del risultato dell'intesa raggiunta con il Procuratore della Repubblica a mente del combinato disposto degli artt. 593 bis c.p.p. e 166 bis disp. att. c.p.p.: intesa la cui natura "interna" esclude (...) la necessità di certificazioni o attestazioni di sorta da parte del soggetto impugnante" (così, testualmente, pag. 24 della motivazione).

Alla luce di questi principi le conclusioni formulate dal Procuratore generale presso questa Corte di cassazione devono essere disattese.

6. Tanto premesso, si deve osservare che - pur essendo state dedotte sotto forma di violazione di legge - le censure proposte dalla Procura ricorrente sono volte ad una diversa valutazione delle circostanze di fatto sulla base delle quali il Tribunale ha ritenuto non provata la sussistenza della colpa. In questi casi, per giurisprudenza costante, è compite della corte di legittimità "interpretare la volontà della parte, per stabilire di quale mezzo abbia realmente inteso avvalersi e, in caso di dubbio, privilegiare il tipo ordinario di gravame" (Sez. 2, Ordinanza n. 17297 del 13/03/2019, Sezze, Rv. 276441; Sez. 2, n. 1848 del 17/12/2013, dep. 2014, Di Rubba, Rv. 258193). Il ricorso deve, pertanto, essere convertito in appello ai sensi dell'art. 569 c.p.p., comma 3.

 

P.Q.M.


Convertito il ricorso in appello, a norma dell'art. 569 c.p.p., comma 3, dispone la trasmissione degli atti alla Corte di appello di Venezia.

Così deciso in Roma, il 6 giugno 2023.

Depositato in Cancelleria il 5 luglio 2023