LA NUOVA SORVEGLIANZA SANITARIA DOPO LA LEGGE N. 85/2023: UNA RIFORMA DI SISTEMA E UN NUOVO PARADIGMA PER GLI ACCERTAMENTI SANITARI SUI LAVORATORI
25 luglio 2023


Giovanni Scudier - Avvocato, Studio Legale C&S Casella e Scudier - Padova - Componente del Comitato Scientifico di ANMA - Associazione Nazionale Medici Competenti e d’Azienda


La Legge n. 85/2023 ha convertito in legge il D.L. n. 48/2023, confermando le modifiche del D.Lgs. n. 81/08 che riguardano il Medico Competente e la sorveglianza sanitaria. La riforma comporta un cambio di approccio alla valutazione dei rischi, con un impatto profondo sul sistema del Decreto 81/08 e una nuova prospettiva verso gli accertamenti sanitari sui lavoratori, che supera il divieto dell'art. 5 dello Statuto dei Lavoratori.
 

La conversione in legge conferma la “nuova" sorveglianza sanitaria
La Legge 3.7.2023 n. 85 ha convertito il D.L. n. 48/23, il cosiddetto Decreto Lavoro.
E’ stato convertito in legge anche l’art. 14 del D.L., che aveva introdotto modifiche agli articoli 18, 21, 25, 37, 71, 72, 73 e 87 del D.Lgs. n. 81/08; queste modifiche sono state sostanzialmente confermate in sede di conversione, salvi soltanto pochi ritocchi su alcuni articoli e l’aggiunta di una modifica all’art. 98 sui requisiti del Coordinatore per la Sicurezza nei cantieri.
Tra gli interventi del Decreto Legge che la conversione ha lasciato immutati, è compreso quello a nostro avviso più significativo, e cioè l’ampliamento della sorveglianza sanitaria di cui al “nuovo” 18, comma 1, lett. a) del Decreto 81.
Quali sono i punti salienti della modifica normativa?
Rinviando anche ai contenuti di un nostro precedente commento al D.L. 48¹, che rimane attuale essendo rimasta uguale la norma dopo la conversione, i contenuti della nuova norma si possono riassumere nei punti che seguono.
a) La norma modificata è l’art. 18 del Decreto 81/08, che contiene gli obblighi del datore di lavoro e dei dirigenti, ma il vero oggetto della riforma è la disciplina della sorveglianza sanitaria.
b) Si ampliano i casi nei quali vige l’obbligo di nomina del MC per il datore di lavoro, il quale vi deve provvedere “nei casi previsti dal presente decreto legislativo e qualora richiesto dalla valutazione dei rischi di cui all’articolo 28"; il MC a ciò appositamente nominato deve eseguire la sorveglianza sanitaria quando la valutazione dei rischi lo richiede. Oggetto principale della modifica normativa è dunque l’allargamento dell’ambito di applicazione della sorveglianza sanitaria: essa va effettuata non più soltanto nei casi in cui la legge la prevede espressamente, ma anche in relazione a tutti i rischi (i) che la valutazione dei rischi accerta come presenti nel luogo di lavoro, e (ii) per i quali la tutela dei lavoratori esposti a quei rischi richiede una sorveglianza sanitaria.
c) Il legislatore allarga la sorveglianza sanitaria, e quindi la tutela dei lavoratori, non già aggiungendo nuovi “casi previsti dalla legge” secondo la previgente impostazione, bensì collegando in maniera esplicita e definitiva la sorveglianza sanitaria alla valutazione dei rischi.
d) La riforma coinvolge anche le organizzazioni dove il MC è già stato nominato, il quale ora può, e allo stesso tempo deve, effettuare la sorveglianza sanitaria (non solo per i rischi normati, ma anche) per i rischi emersi in sede di valutazione dei rischi.
e) Per le organizzazioni in cui non è presente un MC, la norma anche dopo la conversione lascia irrisolto il tema delle modalità di effettuazione di questa nuova valutazione dei rischi, che è finalizzata ai profili sanitari, ma viene eseguita senza la collaborazione di un MC.
Questo è il quadro di sintesi delle novità, destinate ad avere un forte impatto pratico in termini di ampliamento dell’ambito della sorveglianza sanitaria; peraltro questa modifica ha un significato rilevante anche in termini complessivi di sistema, perché tocca nel profondo il tema della valutazione dei rischi, del suo rapporto con la sorveglianza sanitaria, del ruolo del MC nel contesto aziendale.
Occorre dunque soffermarsi su questi aspetti per valutare, assieme alle implicazioni pratiche, il significato che la riforma può assumere nella evoluzione complessiva del sistema disegnato dal Decreto 81 nonché nella disciplina degli accertamenti sanitari sui lavoratori.
 

Il superamento della contrapposizione “rischi normati/rischi non normati”.
Il legislatore ha scelto di superare il criterio della sorveglianza basata su un elenco chiuso di casi, valorizzando invece i risultati della valutazione dei rischi.
Il primo effetto di questa scelta è che essa pone fine alla distinzione tra “rischi normati” e “rischi non normati” e alla discussione sulla assoggettabilità alla sorveglianza sanitaria di questi ultimi.
Come noto, negli ultimi anni si è sviluppato un dibattito interpretativo tra la tesi che riteneva che la sorveglianza sanitaria dovesse limitarsi ai soli “rischi normati”, cioè i soli rischi elencati dal legislatore, e la tesi secondo cui poteva (doveva?) invece estendersi anche ai “rischi non normati”, quelli che vengono evidenziati dalla valutazione dei rischi e presentano caratteristiche tali da rendere necessaria una sorveglianza sanitaria anche nel silenzio del legislatore.
La prima tesi escludeva la sorveglianza sanitaria dei rischi non normati in forza di una lettura rigorosa e restrittiva dell’art. 41 comma primo lettera a), accompagnata dal richiamo all’art. 5 dello Statuto dei Lavoratori; la seconda tesi la ammetteva in base ad una lettura coordinata del Decreto 81 e alcuni dati testuali espliciti.
Il dibattito aveva coinvolto innanzitutto gli stessi organi istituzionali.
Nel senso della ammissibilità, alcuni anni orsono INL, nella sua circolare 12 ottobre 2017, prot. 3² affermava che “la sorveglianza sanitaria dei lavoratori, così come declinata dall’art. 41 del D.Lgs n. 81/2008, diviene un obbligo nel momento in cui la valutazione dei rischi evidenzi la necessità di sottoporre il lavoratore a sorveglianza sanitaria”; argomentava che “tale obbligo non è però esplicitamente individuato da un’unica disposizione normativa ma, almeno nel Titolo I del D.Lgs. 81/2008, vi sono almeno tre fattispecie cui ricondurre i comportamenti omissivi dell’obbligo in esame, fattispecie dotate ognuna di una diversa previsione sanzionatoria”; tra queste fattispecie citava l’art. 18 comma 1 lettera c), “nei casi in cui si debba valutare lo stato di salute del lavoratore, al fine dell’affidamento dei compiti specifici, che non dipendono dai rischi presenti nell’ambiente di lavoro, ma dalla capacità del lavoratore stesso di svolgerli (es. lavori in quota, lavori in sotterraneo o in ambienti chiusi in genere, lavori subacquei, ecc.)“. In sostanza, muovendo dalla prospettiva della sanzione, INL affermava che la sorveglianza sanitaria dei rischi non normati risponde ad un obbligo del datore di lavoro, e che come tale essa è considerata dall’art. 18 lettera c), con conseguente disciplina sanzionatoria.
In senso negativo si pronunciava invece con l’interpello n. 2/2022 la Commissione per gli interpelli in materia di salute e sicurezza sul lavoro, rispondendo a specifico quesito sul punto³: dopo una elencazione delle norme di riferimento - articoli 2, 18 comma 1 lettera a), 18 comma 1 lettera c), articolo 20 comma 2 lettera i), 25, 28, 41 comma 1 e 2 - concludeva che “allo stato, in considerazione della complessa e articolata normativa vigente, cui fa peraltro riferimento l'articolo 41, comma 1, lettera a) del decreto legislativo n. 81/2008, la sorveglianza sanitaria debba essere ricondotta nell'alveo del suddetto articolo 41”.
Non diversamente, l’interpello n. 2/ 2023, a fronte di un quesito invero non altrettanto specifico, rispondeva che “la Commissione ritiene che, ai sensi dell'art. 18, comma 1, lett. a)...la nomina del medico competente sia obbligatoria per l'effettuazione della sorveglianza sanitaria nei casi previsti dall'art. 41.e che, pertanto, il medico competente collabori, se nominato, alla valutazione dei rischi di cui all'art. 17“.
E’ significativo, negli Interpelli, il richiamo formale al testo dell’art. 41 del Decreto 81, perché la lettera di questa norma ha sempre costituito il principale baluardo della interpretazione restrittiva, unitamente al divieto di visite mediche sui lavoratori da parte del datore di lavoro sancito dall’art. 5 dello Statuto dei Lavoratori, considerato come una sorta di principio di chiusura del sistema.
Vero è però che nel Decreto 81/08 non mancavano le norme per addivenire ad una conclusione diversa: innanzitutto le norme, quali gli art. 25 e 28, che legano strettamente il MC alla valutazione dei rischi; ancora, il già ricordato art. 18 comma 1 lettera c) con l’obbligo incondizionato di tutelare i lavoratori tenendo conto “delle condizioni degli stessi in rapporto alla loro salute e sicurezza”. Vi erano poi alcuni dati testuali ancora più espliciti nel prevedere la sorveglianza sanitaria anche per i rischi non elencati dal legislatore: in particolare l’Allegato 3B, che richiede al MC di fornire informazioni sui dati aggregati sanitari e di rischio dei lavoratori sottoposti a sorveglianza sanitaria, menziona anche rischi non normati (microclima severo, infrasuoni, ultrasuoni) nonché, esplicitamente, “altri rischi evidenziati dalla valutazione dei rischi”.
L’esigenza di sorveglianza dei rischi non normati è stata evidenziata anche in diversi documenti delle società scientifiche (ANMA, Manuale del Medico Competente) e degli organismi associativi interdisciplinari (CIIP, Primo Documento di Consenso sulla Sorveglianza Sanitaria, 2020).
Peraltro, mentre si dibatteva se fosse lecito o meno visitare un lavoratore esposto ad un rischio non normato, la giurisprudenza penale non ha mai mostrato alcuna incertezza nel ritenere quella visita uno strumento di tutela dei lavoratori e nel sanzionarne la omissione, indipendentemente dal tipo di rischio, assumendone quindi implicitamente la piena liceità e anzi la doverosità.
In punto di responsabilità per morte o lesione del lavoratore, infatti, più sentenze hanno ritenuto penalmente rilevante la omessa sorveglianza sanitaria anche in caso di rischi non normati; anzi il tema della distinzione tra rischi normati e rischi non normati non risulta neppure mai sviluppato in tale contesto. Così, è stato ritenuto responsabile di omicidio colposo il datore di lavoro che non aveva sottoposto a visita medica un lavoratore morto per un colpo di calore mentre raccoglieva angurie nelle ore centrali di un giorno in cui vi era una temperatura esterna molto elevata ed un alto tasso di umidità; ancora, per un infortunio mortale occorso ad un lavoratore diabetico, intento ad effettuare una lavorazione in quota, che precipitava dalla scala sulla quale era salito in conseguenza dell’urto proveniente da un camion deputato allo scarico di materiale nell’area cantiere, il datore di lavoro veniva sì condannato per non aver verificato la sicurezza dell’area di cantiere, ma veniva individuato come profilo di colpa anche la “violazione della prescrizione del medico competente che vietava al dipendente di effettuare lavori in quota": conclusione di per sé incompatibile con la tesi che vieta la sorveglianza, giacché in questo caso, trattandosi di rischio non normato, una sorveglianza sanitaria non avrebbe dovuto neppure esistere, né una prescrizione del MC.
La scelta del D.L. 48 e della legge di conversione 85/2023, dunque, non rappresenta una “novità” per l’ordinamento, se per novità intendiamo l’introduzione di qualcosa che non esisteva; ma è certamente una novità, anzi una grande novità, avere tradotto in norma di diritto positivo quella che fino ad ora era una conclusione possibile, già di fatto applicata in più contesti, ma non univoca.
D’ora in poi non potranno più esserci dubbi di sorta sulla liceità (ma anche sulla doverosità) della sorveglianza sanitaria sui rischi non elencati dal legislatore, e quindi sulla liceità della condotta del datore di lavoro e del MC che la effettuano (ma anche sulla responsabilità omissiva se non la effettuano).
La questione diventa, quali sono questi rischi, come individuarli, chi deve farlo.
 

La nuova distinzione tra "rischi nominati” e "rischi valutati” e l'esigenza di un nuovo approccio alla valutazione dei rischi
Come detto in una precedente nota, non avremo più la contrapposizione “rischi normati/ rischi non normati”; abbiamo invece la distinzione tra “rischi nominati” e “rischi valutati”: i primi sono quelli espressamente elencati dal legislatore, i secondi sono quelli che emergono dalla valutazione dei rischi.
Di fatto, tutti i rischi, per i quali la sorveglianza sanitaria vale a tutelare il lavoratore, devono ricevere sorveglianza sanitaria; siano essi nella legge o meno.
Per certi versi, la vecchia normativa era meno problematica, almeno per quanti volevano aderire alla tesi più restrittiva: poiché a guidare la sorveglianza sanitaria era solo il legislatore, eventuali rischi pur valutati come esistenti e rilevanti potevano essere ignorati ai fini della sorveglianza, con la motivazione che il legislatore vietava di sorvegliarli.
Solo quanti aderivano alla tesi più estensiva si ponevano il problema di come valutare questi rischi, e quale disciplina di sorveglianza adottare.
Ora la regola generale, valida per tutti, è che a “guidare” la sorveglianza sanitaria non è più il legislatore (o meglio, non è più solo il legislatore), ma è la valutazione dei rischi di ogni singola organizzazione: e ciò cambia completamente la prospettiva, per il datore di lavoro che effettua la valutazione del rischio.
Innanzitutto, diventa un obbligo cercare i rischi non nominati: se un rischio esiste ma non viene individuato, la mancata sorveglianza sanitaria che ne deriva non può più trovare giustificazione nella mancata previsione da parte del legislatore, e integra invece una omissione.
Dopodiché, individuati i rischi non nominati, occorre valutarli nella prospettiva della sorveglianza sanitaria: una volta accertato che un certo rischio esiste, non si tratta più soltanto di individuare le misure di prevenzione, ma occorre anche decidere se esso richiede o no una sorveglianza sanitaria (in ragione del grado di esposizione, delle condizioni personali del lavoratore, e così via).
Un punto, a questo riguardo, è importante sottolineare: un rischio non nominato, che venga individuato come esistente, non necessariamente va fatto oggetto di sorveglianza sanitaria; potrebbe essere che le condizioni non lo richiedano.
Se volessimo tradurre questa situazione attraverso la rappresentazione del rapporto tra il DVR e il Protocollo Sanitario, sicuramente il legame tra i due documenti si rafforza, ed a questo legame occorrerà dedicare massima attenzione; però la riforma non li rende necessariamente identici e sovrapponibili: certamente un rischio contemplato nel Protocollo non può non esserci nel DVR, ma è altrettanto vero che un rischio potrebbe essere contemplato e gestito nel DVR ma non essere presente nel Protocollo Sanitario, se si ritiene che non richieda sorveglianza. Questo apre un ulteriore fronte che meriterà approfondimento futuro, che riguarda le modalità di redazione dei due documenti, posto che ragionevolmente sarà opportuno, se non addirittura necessario, esplicitare le motivazioni delle scelte compiute ai fini della sorveglianza sanitaria.
 

La valutazione dei rischi “non nominati” nelle organizzazioni prive di MC
La riforma avrà un impatto diverso sulle organizzazioni già dotate di MC e su quelle che ne sono prive.
Le organizzazioni in cui un MC è già presente apparentemente non sono interessate dalla riforma, posto che la lettera a) dell’art. 18 disciplina una fase che esse hanno già superato e cioè la nomina del MC; ma in realtà, come già si è avuto modo di osservare in sede di primo commento, anche qui l’effetto è grande, e consiste nell’obbligo - non più oggetto di dubbio - di sottoporre a sorveglianza sanitaria tutti i rischi valutati che lo richiedono, e non soltanto i rischi nominati dal legislatore; l’effetto anzi è ancora più grande se si considera cosa questo significa in termini di assetto generale del sistema di sicurezza aziendale e il salto di qualità che ne deriva in termini di collaborazione del MC alla valutazione dei rischi.
Per le organizzazioni in cui il MC non è stato nominato (cioè quelle senza rischi normati, nelle quali finora la valutazione dei rischi non ha evidenziato l’esistenza di nessuno dei rischi per i quali la legge espressamente chiede la sorveglianza sanitaria), vale naturalmente altrettanto il principio della estensione ai rischi non normati; qui però la riforma pone anche un altro ed assai rilevante problema, che è insieme di natura concettuale ed organizzativa.
Il nuovo art. 18 mette in capo a queste organizzazioni, in pratica, due obblighi: un primo obbligo, valutare tutti i rischi in una prospettiva nuova e cioè per cercare se vi siano rischi, pur non nominati dal legislatore, che richiedono sorveglianza sanitaria; un secondo obbligo, in caso di esito positivo della ricerca, di nominare il MC per effettuare su questi rischi la sorveglianza sanitaria.
Il primo obbligo è, con tutta evidenza, la sfida più immediata per queste organizzazioni; è una sfida complessa, perché richiede di rivedere la valutazione dei rischi già compiuta, ponendosi in una prospettiva nuova che non è più soltanto “prevenzionale” in senso stretto; ma è anche la sfida allo stato più difficile da gestire, per la incompiutezza della riforma sul punto.
Praticamente tutti i commentatori hanno evidenziato l’anomalia di una norma che da un lato impone di nominare il MC quando questa necessità deriva dalla valutazione dei rischi, e quindi sostanzialmente richiede una valutazione dei rischi eseguita nella prospettiva della materia sanitaria; però dall’altro lato la stessa norma richiede che questa valutazione dei profili sanitari venga eseguita da una organizzazione (da un datore di lavoro) priva di un soggetto avente la professionalità e le conoscenze necessarie per farlo, quale è appunto il MC.
Chi collabora con il datore di lavoro per valutare i rischi e decidere se richiedono sorveglianza sanitaria? Nelle organizzazioni dove già c’è il MC, lo fa quest’ultimo, naturalmente; nelle altre, la norma non lo dice.
Certo, la valutazione dei rischi viene effettuata dal datore di lavoro in collaborazione con il RSPP; questa è la regola generale e naturalmente vale anche in questo caso.
La questione è, se il datore di lavoro e il RSPP siano in possesso delle conoscenze necessarie per adempiere in maniera adeguata all’obbligo che si impone loro.
Una prima osservazione è che, tra i rischi non nominati dal legislatore (quelli che fino ad oggi abbiamo chiamato i rischi non normati) ce ne sono alcuni assurti a rango di rischi “tipici”, per così dire, nel senso che oramai comunemente il mondo degli operatori li associa all’idea della sorveglianza sanitaria; si pensi ad esempio al rischio di caduta dall’alto per lavoratori affetti da diabete, epilessia, malattie psichiche, cardiopatie; si pensi ai rischi da stress termico e da colpo di calore; non mancano anzi pubblicazioni, anche da parte di organismi istituzionali, che prevedono la sorveglianza sanitaria. Per questi rischi, non nominati ma comunque noti, il compito richiesto al datore di lavoro e al suo RSPP potrebbe apparire più semplice, e tutto sommato predeterminato; il pericolo però è di incorrere in una sorta di automatismo in cui il MC viene nominato, e la sorveglianza effettuata, a prescindere da una valutazione reale di quel rischio e della sua conformazione all’interno di ogni singola organizzazione.
Oltre a questi, ci sono però molti altri rischi che non sono altrettanto tipicamente conosciuti, né altrettanto approfonditi dalla dottrina scientifica; non sono già esplorati, e gli aspetti sanitari di questi rischi, anche nei loro elementi di base, sono sconosciuti al datore di lavoro e al RSPP per formazione personale, per professione, per conoscenze.
Infine, indipendentemente dalla “novità” o meno dei singoli rischi, il datore di lavoro e il RSPP non dispongono delle informazioni che il MC invece possiede perché, in ragione del suo ruolo, le ricava direttamente dai lavoratori stessi in occasione della visita; e sono informazioni fondamentali per valutare questi rischi in funzione del loro impatto sanitario sui lavoratori. Non a caso, una parte molto rilevante della discussione sui rischi non normati ha sempre riguardato, più ancora che rischi particolari in sé considerati, l’incidenza delle condizioni personali del lavoratore rispetto a rischi noti.
Queste considerazioni ci dicono che, quando ci si pone la questione se il datore di lavoro e il suo RSPP sono in grado di fare ciò che il legislatore chiede loro, il vero tema sul tavolo è quello del significato ultimo della presenza del MC nelle organizzazioni.
Questo conduce a ricordare che la collaborazione del MC alla valutazione dei rischi, prevista più volte nel Decreto 81, esprime uno dei tratti essenziali del sistema che il Decreto 81 stesso ha disegnato; nella prospettiva della salute, intesa come tutela del lavoratore in chiave sanitaria, la funzione del medico è essenziale da un lato per il patrimonio di conoscenze professionali che lo contraddistinguono, dall’altro lato per il patrimonio di informazioni individuali che egli, in ragione del suo essere medico, a ciò qualificato, è legittimato a raccogliere dal lavoratore.
Anche qui, è stata la giurisprudenza dei casi concreti ad avere colto - meglio del legislatore, verrebbe da dire - il significato ultimo della presenza del MC al fianco del datore di lavoro all’interno di una organizzazione aziendale.
Fin dal 2008, e riferendosi addirittura al Decreto 626/94, la Suprema Corte sanciva che “il legislatore.. ha inteso evidentemente individuare la figura di un medico di qualificata professionalità, in grado di diventare il collaboratore del datore di lavoro e del responsabile del Servizio di prevenzione e protezione aziendale” .
Successivamente, la giurisprudenza ha via via definito la figura del MC sottolineando che, ai fini della valutazione dei rischi, il MC non è soltanto un collaboratore del datore di lavoro, ma un collaboratore necessario, e lo è perché è qualificato: “è evidente, avuto riguardo all’oggetto della valutazione dei rischi, che il datore di lavoro deve essere necessariamente coadiuvato da soggetti quali, appunto, il ‘medico competente’, portatori di specifiche conoscenze professionali tali da consentire un corretto espletamento dell’obbligo mediante l’apporto di qualificate cognizioni tecniche; ciò che contraddistingue il MC è la ”sottoposizione al datore di lavoro dei rilievi e delle proposte in materia di valutazione dei rischi che coinvolgono le sue competenze in materia sanitaria”¹º; con la ulteriore fondamentale sottolineatura, come poco sopra si ricordava, che «in tema di valutazione dei rischi, il ‘medico competente’ assume elementi di valutazione non soltanto dalle informazioni che devono essere fornite dal datore di lavoro, ma anche da quelle che può e deve direttamente acquisire di sua iniziativa, ad esempio ... perché fornitegli direttamente dai lavoratori sottoposti a sorveglianza sanitaria.¹¹
La necessità di un collaboratore qualificato per la valutazione dei rischi¹², dunque, emerge con forza dal sistema, ed è una delle linee fondanti del Decreto 81 che però, nella attuazione concreta di oltre quindici anni di applicazione, è rimasta molto indietro, poco applicata quando non totalmente ignorata; una delle ragioni “normative” di questo ritardo è certo il vulnus iniziale, consistente nell’aver previsto il MC come collaboratore del datore di lavoro nella valutazione dei rischi, ma senza farne un elemento costitutivo del sistema di sicurezza aziendale e configurandolo piuttosto come una sorta di elemento occasionale.
La riforma dell’art. 18 lettera a) costringe tutti a fare i conti con questa anomalia; che non è anomalia del sistema, pensato anzi per una pienezza di tutela senza vuoti, ma è anomalia della norma, là dove il Decreto 81 non ha previsto la nomina del MC come regola generale.
Da un lato il nuovo art. 18 corregge in parte l’anomalia della norma, perché il legame tra valutazione dei rischi e sorveglianza sanitaria ora è sancito come regola generale, per tutte le organizzazioni; però non la corregge fino in fondo, anzi almeno in parte la ripropone, e la rende più manifesta, perché lascia il datore di lavoro privo, almeno in una prima fase di valutazione dei rischi, di quello che dovrebbe essere il suo naturale, necessario collaboratore.
Forse dal punto di vista operativo si affermerà, nella prassi, una sorta di valutazione in due fasi: una prima fase sarebbe svolta con il supporto “atecnico” e non istituzionalizzato al datore di lavoro da parte di un medico in possesso dei requisiti propri del MC (anche se ciò non garantirebbe la completezza ed efficacia di collaborazione propria del MC, posto che mancherebbe quantomeno, per quanto approfondita sia la collaborazione, tutto il patrimonio di conoscenza che deriva al MC dalla conoscenza delle cartelle sanitarie dei lavoratori); in una seconda fase, che ci sarebbe soltanto nel caso in cui risultasse necessario nominare un MC, quest’ultimo una volta in carica svolgerebbe gli obblighi suoi propri, ivi inclusa la collaborazione alla valutazione dei rischi. Si arriverebbe così a definire la sorveglianza sanitaria soltanto dopo che le conclusioni raggiunte dal datore di lavoro nella prima fase saranno state verificate dal MC, che potrà validarle e farle proprie, ma anche modificarle o smentirle.
Si può dunque affermare che la riforma è rimasta a metà, perchè lascia irrisolto il problema di come compiere la valutazione dei rischi quando il MC non c’è; ma va anche osservato che, se il problema della mancata previsione di un MC si pone in maniera nuova e ben più perentoria rispetto al passato, è perché il nuovo art. 18 impone che la valutazione dei rischi serva a definire la sorveglianza sanitaria: e questo è, per il sistema del Decreto 81, un grandissimo passo in avanti e un radicale mutamento di prospettiva.
 

Una riforma “di sistema”
La modifica dell’art. 18 lettera a), così come le altre modifiche del Decreto 81, è stata introdotta senza una particolare enfasi, all’interno di un “Decreto Lavoro” che ha ricevuto molta più attenzione, da parte dei commentatori, per altre materie in esso contenute.
Al basso profilo, per così dire, della riforma si aggiunge il fatto che essa ha una estensione limitata, nel senso che è stato modificato soltanto l’art. 18, che non è neppure la norma direttamente preposta alla materia della sorveglianza sanitaria, senza coinvolgere le altre norme ad essa collegate, prima tra tutte l’art. 41 comma 1.
Si è visto inoltre che è una riforma incompleta, perché prevede la valutazione dei rischi finalizzata alla sorveglianza sanitaria, ma non dà al datore di lavoro gli strumenti più adeguati per farlo, non prevedendo la nomina del MC se non dopo la valutazione anziché prima di essa.
A fronte di questi aspetti i commentatori si sono divisi tra chi, dando alla riforma un giudizio negativo, la ha considerata una impropria fuga in avanti (soprattutto facendo leva sull’art. 5 dello Statuto dei Lavoratori) e chi invece ne ha condiviso la direzione, reputandola però una occasione mancata per portare finalmente a compimento il sistema con l’inclusione a tutti gli effetti del MC nel sistema aziendale.
A nostro avviso, ciò che va evidenziato della legge n. 85/2023 è che, pur con innegabili limiti, essa contiene comunque le caratteristiche di una riforma “di sistema”, che tocca gli assi portanti del sistema di sicurezza e salute delle organizzazioni disegnato dal Decreto 81, e che appare capace di determinare una ulteriore evoluzione nella tutela rispetto al tema degli accertamenti sanitari sui lavoratori.
Non è di ostacolo a questo giudizio il mancato intervento sull’art. 41; secondo alcuni commentatori, essendo rimasto invariato, esso confermerebbe la continuità dell’assetto precedente o comunque sarebbe in grado di neutralizzare l’effetto del nuovo art. 18, anche solo perché ne renderebbe dubbia la portata. Così però non è: l’art. 41 prevede che la sorveglianza sanitaria si effettua “nei casi previsti dalla normativa vigente”, e la normativa vigente prevede che essa si effettua, oltre che nei casi espressamente previsti, anche quando ciò è richiesto dalla valutazione dei rischi; è quindi cambiata la normativa vigente, e con essa il perimetro della sorveglianza sanitaria; non è necessario abrogare l’art. 41 lettera a) né inserire anche in esso il richiamo alla valutazione dei rischi.
Come abbiamo già scritto in un precedente commento, proprio il nuovo art. 18 lettera a) si pone come norma che raccorda esplicitamente l’art. 41 lettera a) con l’art. 28 che impone la valutazione di tutti i rischi; la nuova norma diventa la chiave di lettura che unisce assieme l’art. 2 lettera m) il quale associa la sorveglianza sanitaria ai rischi professionali nell’ambiente di lavoro, l’art. 20 che prevede l’obbligo dei lavoratori di sottoporsi ai controlli sanitari previsti dal Decreto 81 o comunque disposti dal MC, l’art. 25 e l’art. 29 che prevedono la collaborazione del MC alla valutazione dei rischi, e ancora l’art. 18 lettera c) che impone di affidare i compiti ai lavoratori tenendo conto delle condizioni degli stessi “in rapporto alla loro salute e sicurezza”. Questo raccordo si esplicita in un criterio, un metodo, una regola: la sorveglianza sanitaria deve essere effettuata tutte le volte che la valutazione dei rischi lo richiede.
La riforma, insomma, presenta a nostro avviso un innegabile rilievo sistematico: sia perché riguarda la chiave di volta dell’intero Decreto e cioè la valutazione dei rischi; sia perché certifica definitivamente la connessione della sorveglianza sanitaria con la valutazione dei rischi; sia perché così facendo sancisce in maniera inequivocabile che la sorveglianza sanitaria è uno strumento fondamentale e imprescindibile di tutela del lavoratore.
Quanto al primo aspetto, il nuovo art. 18 lettera a) costituisce senza possibilità di smentita un fondamentale passo avanti del legislatore per quanto riguarda l’oggetto e le finalità della valutazione dei rischi; la consueta affermazione secondo cui tutto, nel Decreto 81, ruota intorno alla valutazione dei rischi, trova ora ragione di essere anche rispetto ai profili sanitari della valutazione; si rende effettiva quella valutazione dei rischi in prospettiva sanitaria che fino ad oggi è rimasta quasi nell’ombra. Come si è visto, proprio il valore profondamente innovativo di questa scelta ne evidenzia paradossalmente l’incompletezza, per essersi il legislatore fermato in mezzo al guado quanto alla necessaria presenza del MC fin da principio ai fini della collaborazione alla valutazione dei rischi. Tuttavia, il principio è sancito; e se è vero che, nel concreto, il datore di lavoro dovrà trovare il modo di farsi supportare in questa “nuova” valutazione dei rischi, nondimeno è innegabile che la valutazione dei rischi non sarà più quella di prima.
Questo ci conduce al secondo aspetto di rilievo sistematico, e cioè che la sorveglianza sanitaria a sua volta non sarà più la meccanica applicazione di un Protocollo Sanitario a rischi per così dire calati dall’alto tramite la previsione normativa; la sorveglianza sanitaria sarà al tempo stesso il presupposto, l’obiettivo ed il completamento della valutazione dei rischi. Avere reso norma di legge il collegamento tra valutazione e sorveglianza dei rischi costringe tutte le parti a considerare le due attività come un tutt’uno; viene meno l’equivoco normativo che ha consentito il proliferare di fenomeni patologici in cui la effettuazione degli “atti medici” (la visita) è attività separata ed autonoma dalla effettuazione della “collaborazione alla valutazione”.
Il terzo aspetto di questa riforma “di sistema” è che da essa scaturisce la consacrazione della sorveglianza sanitaria come momento fondamentale di tutela del lavoratore, ed in pari tempo la certificazione che il sistema di sicurezza e salute aziendale - inteso come l'insieme dei soggetti (datore di lavoro, MC, RSPP, ecc.) e delle azioni (valutazione dei rischi, sorveglianza sanitaria, ecc.) - è lo strumento cui la legge attribuisce l’esercizio di quella tutela.
Se un’organizzazione valuta un rischio come esistente, e se ritiene che tale rischio richieda sorveglianza sanitaria, non occorre più il “permesso” del legislatore per effettuare la sorveglianza; la sorveglianza sanitaria sulla persona del lavoratore non solo è lecita, ma è doverosa; la sua omissione non è osservanza di un divieto (di visitare il lavoratore quando la legge non lo prevede), bensì al contrario violazione di un obbligo.
Che questo significhi un innalzamento del livello di tutela dei lavoratori riesce difficile da contestare; la salute dei lavoratori viene sorvegliata rispetto a tutti i rischi che l’organizzazione rileva, e non solo rispetto a quelli che il legislatore prescrive.¹³
Il paradosso della posizione restrittiva, che vietava la sorveglianza sanitaria dei “rischi non normati” (e così pure della tesi di chi ha criticato la riforma proprio per il superamento della lista bloccata dei “rischi normati”), è che di fatto privava i lavoratori della tutela che, per i rischi non normati, il sistema aziendale poteva e voleva garantire.¹⁴
In termini di sistema, la situazione ora si capovolge; la tutela dei lavoratori diventa massima perché la sorveglianza sanitaria non può né deve avere buchi di sorta: tutti i rischi che lo richiedono devono essere sorvegliati.
Ciò impone di interrogarsi, ed è l’ultimo profilo di sistema che va necessariamente affrontato, sul significato attuale del divieto contenuto nell’art. 5 dello Statuto dei Lavoratori.


La sorveglianza sanitaria e l'art. 5 Statuto dei Lavoratori: salute vs dignità? Una nuova chiave di lettura
L’art. 5 dello Statuto dei Lavoratori (legge n. 300/1970), sancisce il divieto di accertamenti sanitari sui lavoratori da parte del datore di lavoro, il quale deve rivolgersi al medico pubblico.¹⁵
Questa norma ha da sempre rappresentato, assieme all’art. 41 che ne veniva considerata la deroga, il fondamento della tesi contraria all’estensione della sorveglianza sanitaria al di fuori dei soli casi espressamente elencati dal legislatore. Secondo la tesi restrittiva, andava cercata in questa norma anche la soluzione al problema della sorveglianza sui rischi non normati: il datore di lavoro avrebbe dovuto richiedere la visita al medico pubblico, in quanto è l’unico autorizzato dall’art. 5 a visitare il lavoratore. I soli casi di visita fuori dell’art. 5 erano i casi sanciti dall’art. 41 del Decreto 81, da intendersi come una deroga del tutto eccezionale al divieto di visita di cui all’art. 5 Statuto Lavoratori.¹⁶
Come noto, il divieto sancito nell’art. 5 fu introdotto a tutela del lavoratore in un contesto storico e normativo in cui non esisteva l’impianto di sorveglianza sanitaria disegnato dal legislatore soltanto più tardi, a partire dal D.Lgs. n. 277/1991 e poi con il D.Lgs. n. 626/94 e il D.Lgs. n. 81/08. La ratio del divieto era di tutelare ‘‘la libertà e la dignità del lavoratore, in modo da impedire che gli imprenditori possano ricorrere ad accertamenti sanitari diretti, per mezzo di medici di loro fiducia, per soddisfare interessi estranei alla verifica dell'idoneità fisica dei lavoratori, con conseguente offesa appunto alla dignità e libertà di costoro (Cass. Pen. Sez. III, 30/5/80).”¹⁷
Rispetto a tale scenario, la introduzione di un sistema aziendale “istituzionalizzato” e contraddistinto dalla presenza di un MC specificamente regolamentato, ha rappresentato senza possibilità di smentita una profonda svolta, che la stessa giurisprudenza penale ha sottolineato;¹⁸ anzi, la figura del MC è soltanto uno degli elementi di rottura del precedente sistema, inserita in un contesto organizzativo, procedimentale, contenutistico che è completamente diverso da quello esistente negli anni ’70.
La scelta del legislatore italiano, in linea con quello europeo, è stata quella di affidare la tutela del lavoratore, dal punto di vista sanitario, all’organizzazione cui il lavoratore appartiene; lo ha fatto attraverso una pluralità di regole, di requisiti, di procedure, di forme di controllo interno ed esterno che, nel loro insieme, assicurano l’effettivo esercizio della sorveglianza sanitaria ma al tempo stesso garantiscono che essa avvenga nel rispetto della persona del lavoratore, in tutti i suoi profili.
In questo nuovo contesto, nessuno dubita del fatto che rimane tuttora vietato porre in essere iniziative di controllo sanitario del lavoratore compiute fuori delle regole e per finalità estranee a quelle perseguite dall’ordinamento.
Ma potevano, anche prima di questa riforma, considerarsi fuori delle regole e aventi finalità estranee alla tutela del lavoratore, e quindi vietate, le visite eseguite (con le modalità, le procedure e le forme rigorosamente previste dal Decreto 81) per assicurare tutela al lavoratore contro rischi non inclusi in un elenco scritto dal legislatore?
La tesi restrittiva era in questo senso, come si è visto; essa considerava l’art. 41 (e cioè la visita fatta dal MC) come la eccezione rispetto alla regola dell’art. 5 (la visita del medico pubblico). In pratica, la regola era il divieto di visita, a tutela della dignità del lavoratore; l’eccezione era la visita del MC, giustificata dalla tutela della salute del lavoratore; ma trattandosi di eccezione, solo il legislatore la poteva prevedere.
Ma quando, con l’evoluzione delle conoscenze e la sistematizzazione scientifica dei rischi non normati, è divenuta evidente la necessità, per la tutela della salute del lavoratore, di visite anche fuori dei casi dell’art. 41, il problema si è posto in tutta la sua portata: si poteva ancora considerarle vietate in ragione della tutela della dignità di quello stesso lavoratore? L’effetto non voluto della impostazione restrittiva era quella di ingenerare una contrapposizione tra salute e dignità del lavoratore, dove per tutelare la seconda (vietando le visite da parte del MC) si pregiudica la prima (privando il lavoratore della tutela garantita da una sorveglianza sanitaria effettuata su tutti i rischi che la richiedono).
A nostro avviso, già prima della riforma esistevano le condizioni per considerare la sorveglianza sanitaria come una integrazione, anzi addirittura come una attuazione dell’art. 5 dello Statuto, e non più come una “deroga”.
Lo esigeva innanzitutto la finalità ultima del sistema, che è quella di tutelare la salute dei lavoratori; lo consentiva sul piano letterale l’interpretazione che rinveniva nello stesso Decreto 81 il fondamento normativo alla sorveglianza; lo giustificava anche la considerazione che la sorveglianza sanitaria non è solo “visita”, e comunque non è mai visita effettuata in maniera impropria, incompleta, sommaria; la visita è l’approdo ultimo (ma in realtà periodico nel tempo) di un sistema complesso, e di un complesso di regole e di tutele con il quale lo stesso legislatore ha via via sancito la liceità degli accertamenti sanitari compiuti dal datore di lavoro e non esclusivamente dal medico pubblico.
Il passo compiuto dal legislatore con la modifica dell’art. 18 lettera a), a nostro avviso, rappresenta l’ulteriore e definitiva conferma di questa interpretazione, ed è la chiave definitiva per una nuova lettura dell’art. 5 dello Statuto: ora è definitivamente sancito che la sorveglianza sanitaria secondo il Decreto 81 è la regola, e non l’eccezione; essa si applica a tutti i rischi valutati, non solo a casi singoli elencati dal legislatore.
Con la riforma, al datore di lavoro (e quindi all’organizzazione di cui quello è l’espressione apicale, e che comprende anche il RSPP, il MC e tutto il sistema delle regole) viene assegnata la funzione di assicurare che la salute del lavoratore sia sorvegliata per tutti i rischi che la possono esporre a pregiudizio: non è più il legislatore l’unica entità che decide ciò che è necessario per la tutela della salute del lavoratore.
Questo significa avere sancito definitivamente, anche per i profili, la centralità fondamentale del sistema di sicurezza e salute istituito da ogni organizzazione aziendale.
Alla fine, si tratta né più né meno di una ulteriore espressione e attuazione del principio di fondo, quello della valutazione dei rischi; è un ulteriore tassello nel completamento di un sistema che il Decreto 81 aveva lasciato a metà.
Tra l’altro, è un tassello quanto mai attuale, necessario per affrontare al meglio la sfida della individuazione, valutazione e gestione dei “nuovi rischi”, spesso contraddistinti proprio da rilevanti implicazioni di natura sanitaria che coinvolgono nel senso più stretto la persona dei lavoratori. È uno dei profili più interessanti della riforma, dove essa dovrebbe poter produrre i suoi effetti di maggiore crescita della tutela dei lavoratori, garantendone una sorveglianza in continuo divenire, con una tempestività ed un aggiornamento ben superiori a quelli di una lista normativa bloccata e da integrare di volta in volta con specifiche norme di legge.
Certo è una riforma incompleta, perché non ha voluto indicare in maniera esplicita qual è lo strumento operativo di cui il datore di lavoro si avvale (il MC, collaboratore qualificato necessario, per logica e per necessità dovrebbe essere nominato prima della valutazione, e non dopo); ma è una incompletezza destinata verosimilmente ad essere superata, forse dal legislatore stesso o forse prima ancora dalle soluzioni che la prassi saprà trovare.
La riforma, in conclusione, non compromette né indebolisce il ruolo dell’art. 5 dello Statuto dei Lavoratori a presidio della libertà e dignità dei lavoratori; semmai ed al contrario, ne diventa garanzia di effettiva attuazione attraverso la valorizzazione definitiva della sorveglianza sanitaria come necessario completamento della valutazione dei rischi e come strumento di ogni singola organizzazione per la tutela, anche “sanitaria”, dei propri lavoratori.

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¹ "D.L. 48/2023 - Modifiche al D.Lgs. n. 81/08 - Prime note sulle principali novità per il MC e per la sorveglianza sanitaria", in MC Journal, n. 2-2023, p. 17; v. anche https://www.casellascudier.it/modifiche-al-decreto-81-08-prime-note-sulle-nuove-norme/
² “Indicazioni operative sulle sanzioni da applicare in caso di omessa sorveglianza sanitaria dei lavoratori.”
³ “Se l’obbligo di sorveglianza sanitaria: 1) sia da collegarsi rigidamente all’interno delle previsioni di cui all’articolo 41...2) ovvero se, ai sensi dell’art. 18, comma 1 lettera c), il datore di lavoro debba, in generale, tenere conto delle condizioni dei lavoratori in rapporto alla loro salute e sicurezza e della loro capacità di svolgere compiti specifici, garantendo conseguentemente una sorveglianza sanitaria programmata dal medico competente in funzione dei rischi globalmente valutati per la mansione specifica e non limitata alle previsioni di cui all’articolo 41”.
⁴ “Se il combinato disposto degli articoli 25, comma 1, lettera a) - 18, comma 1, lettera a) - 29, comma 1, del decreto legislativo n. 81 del 9 aprile 2008 determini l’obbligo per il datore di lavoro di procedere, in tutte le aziende ed in particolare nelle istituzioni Scolastiche, alla nomina preventiva del medico competente al fine del suo coinvolgimento nella valutazione dei rischi, anche nelle situazioni in cui la valutazione dei rischi non abbia evidenziato l’obbligo di sorveglianza sanitaria”.
⁵ Secondo R. GUARINIELLO, La visita medica preventiva in Cassazione, Nota a sentenza Cass. Pen., sez. III, 3 maggio 2021 n. 16664, in ISL,n. 7/2021, pag. 379, l’art. 18, comma 1, lettera c) è “norma di per sé inidonea a rendere obbligatoria la sorveglianza sanitaria da parte del medico competente al di fuori dei casi espressamente e tassativamente previsti dall’art. 41, comma 1, D.Lgs. n. 81/2008. Il fatto è che l’art. 5 Statuto dei Lavoratori vieta gli accertamenti sanitari sui lavoratori da parte del datore di lavoro, e che a questo divieto deroga l’art. 41, comma 1, D.Lgs. n. 81/2008, norma dunque applicabile ai soli casi espressamente e tassativamente previsti.”

⁶ Cass. Pen., Sez. IV, 29 settembre 2009, n. 38157: “La raccolta delle angurie nella situazione ambientale accertata era di certo attività lavorativa faticosa. Ad essa, quindi, era connesso un rischio per la salute che era da considerare prevedibile dal datore di lavoro. Questi era in colpa perché...non aveva valutato il rischio in cui era esposto il -omissis-, tenuto anche conto della sua corporatura che influiva sull’eliminazione del calore in eccesso... Peraltro, aveva il dovere di sottoporre il -omissis- a visita medica per controllare che fosse idoneo a svolgere un lavoro faticoso al sole in estate."
⁷ Cass. Pen., Sez. IV, 1404/2023: “Il ricorrente, nella sua posizione di garante dell’incolumità del lavoratore avrebbe dovuto verificare la sicurezza dell’area di cantiere.Peraltro il dipendente, a causa delle sue condizioni fisiche, essendo affetto da diabete, non poteva essere adibito a lavorazioni in quota (“la dott.ssa -omissis- aveva espressamente prescritto all’operaio -omissis- il divieto di lavori in altezza perché affetto da diabete, con una valutazione glicemica di 130 milligrammi per litro, e di conseguenza a rischio di un calo glicemico di una iperglicemia che può essere causa di perdita di equilibrio e caduta a terra."

⁸ Cass. Pen., Sez. III, 2 luglio 2008, n. 26539; più recentemente nello stesso senso Cass. Pen., Sez. III, 14 febbraio 2017 n. 6885.
⁹ Cass. Pen., sez. III, 27 aprile 2018 n. 38402; conforme Cass. Pen., sez. III, 15.1.2013 n. 1856. Entrambe le sentenze indicano come conseguenza la necessità di “una effettiva integrazione nel contesto aziendale”.
¹º Cass. Pen., Sez. III, 15 gennaio 2013, n. 1856, cit.
¹¹ Ancora Cass. Pen., sez. III, 27 aprile 2018 n. 38402 e Cass. Pen., Sez. III, 15 gennaio 2013, n. 1856, cit.
¹² Per una panoramica della giurisprudenza sull’argomento v. G. SCUDIER, La collaborazione del Medico Competente alla valutazione dei rischi: analisi della giurisprudenza, in MC Journal, n. 4-2021, p. 6 e in https://www.casellascudier.it/medico-competente-e-valutazione-del-rischio/

¹³ Come si è visto, la giurisprudenza penale in punto di responsabilità era già orientata in questo senso.
¹⁴ Per ovviare a questa grave criticità della tesi restrittiva, così R. GUARINIELLO, Nota a sentenza cit: : ”Al di fuori di tali casi - cioè i casi di sorveglianza previsti espressamente dalla legge, NdA - l'unica strada percorribile è quella del controllo sanitario sull’idoneità affidato, non già al medico competente nominato dal datore di lavoro, bensì al medico pubblico in linea con il comma 3 dell’art. 5 Statuto dei Lavoratori. Ed è semmai in questo alveo che potrebbe avviarsi il discorso sulla violazione dell’art. 18, comma 1, lett. c), D.Lgs. n. 81/2008, nell’ipotesi in cui il datore di lavoro e il dirigente non si preoccupino di richiedere al medico pubblico il giudizio sull’idoneità sanitaria del lavoratore alla mansione specifica al di fuori dei casi contemplati dall’art. 41, comma 1”.

¹⁵ Art. 5: ‘1.Sono vietati accertamenti da parte del datore di lavoro sulla idoneità e sulla infermità per malattia o infortunio del lavoratore dipendente.
2.Il controllo delle assenze per infermità può essere effettuato soltanto attraverso i servizi ispettivi degli istituti previdenziali competenti, i quali sono tenuti a compierlo quando il datore di lavoro lo richieda.
3.Il datore di lavoro ha la facoltà di far controllare l'idoneità fisica del lavoratore da parte di enti pubblici ed istituti specializzati di diritto pubblico.”
¹⁶ Cfr. nota 13. Sul piano pratico, ne deriverebbe la impossibilità di impiego del lavoratore fino all’esito della visita a fronte di una verosimile indisponibilità del sistema pubblico a soddisfare la richiesta; sul piano teorico ne deriverebbe un giudizio espresso senza la conoscenza del sistema aziendale e delle sue peculiarità. Di fatto, la vicenda storica dei rischi non normati mostra che la soluzione adottata è stata un’altra; la stessa, si ribadisce, presa dalla giurisprudenza penale a presupposto delle proprie decisioni.
¹⁷ Cass. Pen., sez. III, 27 gennaio 1999, n. 1133 in una fattispecie di effettuazione sistematica di test di gravidanza e di esami di ricerca di oppiacei nelle urine, praticati all’insaputa degli interessati.

¹⁸ Cass. Pen., Sez. III, 2 luglio 2008, n. 26539, cit.: “tra le innovazioni più significative del D.Lgs. n. 626 del 1994 vi è senz’altro quella di definire, nel solco già tracciato dal D.Lgs. n. 277 del 1991, ruolo, requisiti, responsabilità, compiti e funzioni del medico competente”.


fonte: anma.it