REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio - Presidente

Dott. VIDIRI Guido - rel. Consigliere

Dott. MONACI Stefano - Consigliere

Dott. PICONE Pasquale - Consigliere

Dott. COLETTI DE CESARE Gabriella - Consigliere

ha pronunciato la seguente:

sentenza

 

sul ricorso proposto da:

C.V., C.A., C.S., C.A., CI.AN., C.N., C. G., C.N. (matr. ...), CH.NI. (matr....), C.L., C.R.M., C. G., CA.GE., C.M., C. P., C.T., C.C., C.R., C.V., C.P., tutti elettivamente domiciliati in ROMA VIA PIETRO PAPA 185, presso lo studio dell'avvocato DONATI SIMONA, rappresentati e difesi dagli avvocati LAURO FRANCESCO, MOCELLA MARCO, giusta delega in atti;

- ricorrenti -

contro

A.N.M.;

- intimata -

e sul 2^ ricorso n 00103/06 proposto da:

A.N.M. - A.N.M. S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall'avvocato RIZZO GAETANO, giusta delega in atti;

- controricorrente e ricorrente incidentale -

e contro

C.G., CA.GE., C.A., C.V., C.S., C.A., CI.AN., C.N., CI.GA., C. N. (matr. ...), C.N. (matr. ...), C. L., C.R.M., C.M., C. P., C.T., C.C., C.R., C.V., C.P., tutti elettivamente domiciliati in ROMA VIA PIETRA PAPA 185, presso lo studio dell'avvocato DONATI SIMONA, rappresentati e difesi dagli avvocati LAURO FRANCESCO, M.M., giusta delega in atti;

- controricorrenti al ricorso incidentale -

avverso la sentenza n. 4816/05 della Corte d'Appello di NAPOLI, depositata il 09/08/05 R.G.N. 4221/04;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 18/03/08 dal Consigliere Dott. VIDIRI Guido;

udito l'Avvocato RIZZO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. LO VOI Francesco, che ha concluso per l'accoglimento del secondo motivo del ricorso principale e del ricorso incidentale condizionato, con assorbimento nel resto.

 

Fatto

Con ricorso depositato in data 19 novembre 2002 presso il Tribunale di Napoli, C.G. e gli altri litisconsorti in epigrafe, riferivano di essere tutti dipendenti dell'A.N.M. con mansioni di autista da oltre 5 anni e di essere obbligati dall'azienda ad utilizzare una specifica divisa ex R.D. 8 gennaio 1931, n. 148, allegato A, art. 2, ed Accordo Nazionale del 19 febbraio 1948, art. 11, come integrato dall'art. 50 del contratto collettivo nazionale del 23 luglio 1976.

L'Azienda non aveva però provveduto a mettere a loro disposizione uno spogliatoio dove potevano cambiarsi e riporre i loro abiti civili come impostole dal D.P.R. n. 303 del 1956, art. 40, novellato dal D.Lgs. n. 626 del 1994.

Tutto ciò premesso, i ricorrenti chiedevano la condanna dell'Azienda convenuta a predisporre un idoneo numero di spogliatoi nei locali presso cui prendevano servizio ed al risarcimento del danno procurato dalla violazione del suddetto art. 40.

Dopo la costituzione del contraddittorio, il Giudice adito rigettava la domanda, ed, a seguito di gravame, la Corte d'appello di Napoli, con sentenza del 9 agosto 2005, rigettava l'appello e confermava l'impugnata sentenza.
Nel pervenire a tale conclusione la Corte territoriale osservava che nel caso di specie non era possibile disporre una condanna in forma specifica in quanto l'inadempimento dell'obbligo da parte dell'A.N.M. s.p.a. di apprestare uno spogliatoio per i propri dipendenti era sanzionabile penalmente e sul versante civilistico consentiva alla parte danneggiata da tale condotta di chiedere il risarcimento dei danni subiti.
Ma nel caso in esame il danno non era stato provato dai lavoratori, non essendo ipotizzabile un danno alla salute né una lesione alla tutela della riservatezza, non potendosi ipotizzare come tale la violazione del diritto a non fare conoscere il proprio stato di dipendente dell'A.N.M..
Né infine era ravvisabile un danno morale o un disagio idoneo a costituire valido parametro per valutare l'entità del danno.

Avverso tale sentenza i lavoratori propongono ricorso per cassazione affidato a tre motivi.

Resiste con controricorso l'A.N.M. - A.N.M. s.p.a., che spiega anche ricorso incidentale condizionato, articolato in un unico motivo, illustrato anche con memoria.

I ricorrenti hanno a loro volta contestato il contenuto del ricorso incidentale spiegando "controricorso incidentale".

Il C.N. ha rinunziato al proposto ricorso e la rinunzia risulta accettata dall'A.N.M.

Diritto

 

1. Ai sensi dell'art. 335 c.p.c., va disposta la riunione del ricorso principale e di quello incidentale perché rivolti ambedue avverso la medesima sentenza.

2. Con il primo motivo del ricorso principale i lavoratori in epigrafe denunziano violazione di legge in relazione agli artt. 2043, 2058 e 2931 c.c. con riferimento all'art. 111 Cost., comma 6, nonché al D.P.R. n. 303 del 1956, art. 40.
In particolare lamentano che la Corte territoriale non ha tenuto presente che il risarcimento in forma specifica costituisce la regola generale dell'ordinamento rispetto al quale il risarcimento per equivalente costituisce una eccezione, e che l'art. 2931 c.c., disciplina l'esecuzione forzata di un obbligo di fare, sancendo che in caso di mancato spontaneo adempimento l'avente diritto può ottenere che la prestazione dovuta sia eseguita a spese dell'obbligato. Nel caso di specie una volta acclarato l'obbligo dell'Azienda di apprestare uno spogliatoio la stessa Azienda poteva essere condannata a tale adempimento.

Con il secondo motivo i ricorrenti denunziano violazione di legge in relazione all'art. 2 Cost., agli artt. 2059 e 2087 c.c., all'art. 185 c.p., ed all'art. 360 c.p.c., n. 5, nonché vizio di motivazione.

Sostengono al riguardo i lavoratori che era sfuggito alla Corte territoriale che nel caso di specie era stato violato il diritto alla riservatezza ed alla libertà di scegliere il proprio abito fuori dell'orario di lavoro in quanto, pure a prescindere da quanto disposto dal D.P.R. 303 del 1956, art. 40, l'A.N.M. avrebbe dovuto predisporre appositi locali destinati a spogliatoi e fornire armadietti chiusi al personale con obbligo di divisa.
La violazione di tali diritti giustificava il riconoscimento del diritto ad un minimo di risarcimento, cui i lavoratori tutti avevano comunque diritto a prescindere dalla presenza di ulteriori presupposti che potevano indurre ad una valutazione maggiormente favorevole.

Con il terzo motivo i ricorrenti denunziano violazione dell'art. 112 c.p.c., con riferimento al nominativo " C.N.", perché tale nome era quello proprio di due diversi dipendenti, identificati con due diversi numeri di matricola, mentre nella sentenza impugnata tale nominativo risultava una volta sola, sicché doveva reputarsi che il giudice d'appello era incorso in un errore materiale pervenendo ad una omissione di pronunzia cui doveva porsi riparo con la cassazione della impugnata sentenza.

3. Con il ricorso incidentale condizionato l'Azienda deduce violazione e falsa applicazione dell'art. 2087 c.c., del D.P.R. 19 marzo 1956, n. 303, art. 40, nonché difetto di motivazione.
Osserva al riguardo l'Azienda che il concetto di "indumenti di lavoro" va riferito al caso in cui gli abiti di lavoro assolvono ad una funzione di protezione da rischi per la salute e per la sicurezza, e che sono quindi indispensabili in ragione delle specifiche peculiarità dell'attività che si è chiamati a svolgere, e non al caso in cui detti abiti fungono invece soltanto da elementi distintivi di appartenenza aziendale(ad esempio: uniforme e divisa). Ipotesi quest' ultima, in relazione alla quale non appare applicabile la tutela fornita dalla normativa di cui al D.P.R. n. 303 del 1956, art. 40, con la conseguente responsabilità civile e penale scaturente dalla sua violazione.

4. Le esigenze di un ordinato iter argomentativo impongono di esaminare in primo luogo il terzo motivo del ricorso principale.

4.1 Va premesso che, come emerge dagli atti processuali, la controversia ha visto tra gli iniziali ricorrenti due lavoratori aventi stesso nome e cognome, e cioè Ch.Ni. matricola ..., e C.N. matricola ..., e che in ragione di tale omonimia, solo per un mero errore nella sentenza impugnata non si sono distinte le due diverse posizioni.

4.2. Orbene, Ch.Ni., matricola ..., come risulta dalla documentazione in atti, ha rinunziato al giudizio ed all'azione per cui va dichiarata l'estinzione del giudizio tra il suddetto lavoratore e l'A.N.M., con la compensazione tra le parti delle spese del giudizio.

5. Il ricorso principale va rigettato per l'infondatezza delle censure mosse con il primo e secondo motivo.

5.1. La lettura degli atti della presente controversia attesta che il thema decidendum è stato fissato dalla iniziale domanda dei lavoratori di richiedere nella fattispecie in esame l'adempimento da parte dell'A.N.M. di quanto prescritto dal D.P.R. n. 303 del 1956, art. 40, e di ottenere in ogni caso il risarcimento dei danni, che essi sostengono di avere patito dalla condotta inadempiente dell'Azienda.

5.2. Il D.P.R. 19 marzo 1956, n. 303 ("Norme generali per l'igiene del lavoro", modificato dai D.Lgs. 19 settembre 1994 n. 626, e D.Lgs. 19 marzo 1996, n. 242) dispone all'art. 40 (la cui rubrica è: "Spogliatoi e armadi per il vestiario") che: "Locali appositamente destinati a spogliatoi devono essere messi a disposizione dei lavoratori quando questi devono indossare indumenti di lavoro specifici e quando per ragioni di salute o di decenza non si può loro chiedere di cambiarsi in altri locali.

Gli spogliatoi devono essere distinti fra i due sessi e convenientemente arredati. Nelle aziende che occupano fino a cinque dipendenti lo spogliatoio può essere unico per entrambi i sessi; in tal caso i locali a ciò adibiti sono utilizzati dal personale dei due sessi, secondo opportuni turni prestabiliti e concordati nell'ambito dell'orario di lavoro.

I locali destinati a spogliatoio devono avere capacità sufficiente, essere possibilmente vicini ai locali di lavoro aerati, illuminati, ben difesi dalle intemperie, riscaldati durante la stagione fredda e muniti di sedili. Gli spogliatoi devono essere dotati di attrezzature che consentono a ciascun lavoratore di chiudere a chiave i propri indumenti durante il tempo di lavoro.
Qualora i lavoratori svolgano attività insudicianti, polverose, con sviluppo di fumi o vapori contenenti in sospensione sostanze untuose od incrostanti, nonché in quelle dove si usano sostanze venefiche, corrosive od infettanti o comunque pericolose, gli armadi per gli indumenti da lavoro devono essere separati da quelli per gli indumenti privati.

Qualora non si applichi il comma 1, ciascun lavoratore deve poter disporre delle attrezzature di cui al comma 4, per poter riporre i propri indumenti".

5.3. Oltre alla chiara lettera della disposizione indicata, al fine di individuarne la ratio, l'ambito applicativo e le finalità con essa perseguite, appare utile fare riferimento anche alla sua collocazione nel contesto del già menzionato D.P.R. n. 303 del 1956.

Più specificamente per comprendere la portata del citato art. 40, incluso tra le disposizioni (sub capo 4) del titolo 2 del D.P.R. n. 303, avente ad oggetto "Servizi igenico - assistenziali", assume particolare rilievo quanto disposto dal suddetto D.P.R. artt. 4 e 5.

Con la prima disposizione ("Obblighi dei datori di lavoro, dei dirigenti e dei preposti) si statuisce che: "I datori di lavoro, dirigenti e i preposti che esercitano, dirigono o sovrintendano alle attività indicate all'art. 1, devono, nell'ambito delle rispettive attribuzioni e competenze:

a) attuare le misure di igiene previste nel presente decreto;

b) rendere edotti i lavoratori dei rischi specifici cui sono esposti e portare a loro conoscenza i modi di prevenire i danni derivanti dai rischi predetti;

c) fornire ai lavoratori i necessari mezzi di protezione;

d) disporre ed esigere che i singoli lavoratori osservino le norme di igiene ed usino i mezzi di protezione messi a loro disposizione".

La seconda disposizione ("Obblighi dei lavoratori") stabilisce, a sua volta, che : "I lavoratori devono:

a) osservare, oltre le norme del presente decreto, le misure disposte dal datore di lavoro ai fini dell'igiene;

b) usare con cura i dispositivi tecnico - sanitari e gli altri mezzi di protezione predisposti o forniti dal datore di lavoro;

c) segnalare al datore di lavoro, al dirigente o ai preposti le deficienze dei dispositivi e dei mezzi di protezione suddetti;

d) non rimuovere o modificare detti dispositivi e mezzi di protezione senza averne ottenuta la autorizzazione".

5.4. Il plesso normativo, articolato nelle indicate prescrizioni, e il severo regime sanzionatorio previsto, in caso di inosservanza delle stesse, dal 58, commi 1 e 2, attestano, unitamente alla rilevanza sociale degli interessi tutelati, anche l'intento del legislatore di garantire attraverso le necessarie strutture l'igiene e la sicurezza nei posti di lavoro.

6. Corollario naturale di quanto sinora esposto è, dunque, il seguente principio di diritto :"Ai sensi del D.P.R. 29 marzo 1956, n. 303, art. 40, e sulla base di una sua interpretazione letterale e logico - sistematica che tenga conto delle finalità della intera normativa di cui al citato D.P.R. n. 303 del 1956, così come modificato dal D.Lgs. n. 626 del 1994, il datore di lavoro è tenuto ad apprestare appositi locali dell'azienda a spogliatoi ed a metterli a disposizione dei suoi dipendenti allorquando costoro devono indossare indumenti di lavoro destinati alla protezione ed alla tutela della loro salute, nonché a garantire l'igiene e la sicurezza nei luoghi di lavoro. L'espressione "indumenti di lavoro specifici", contenuta nel citato art. 40, nell'accezione voluta dal legislatore non può, pertanto, che fare riferimento a divise (o abiti) aventi la funzione di tutelare l'integrità fisica del lavoratore, nonché ad altri indumenti - da indossare quale componente essenziale dell'attività lavorativa in considerazione della specificità o peculiarità della sua natura - volti ad eliminare o quanto meno a ridurre i rischi ad essa connessi (ad esempio: tuta di lavoro dell'elettricista; tuta ignifuga del vigile del fuoco) o a migliorare le condizioni igieniche in cui viene a trovarsi il lavoratore nello svolgimento delle sue incombenze (ad esempio, divisa dell'operatore ecologico), si da doversi escludere, nella determinazione dall'ambito di operatività della suddetta norma, qualsiasi riferimento a divise od a forme di abbigliamento, funzionalizzate ad altre e diverse esigenze (ad esempio: divisa da indossare ai fini della sola identificazione del soggetto datoriale)".

7. Nella fattispecie in esame la prescrizione per il personale viaggiante dell'A.N.M. di indossare un vestiario uniforme - consistente in capi confezionati su misura per ogni singolo lavoratore, composti da una camicia, una cravatta o foulard, una giacca, un paio di pantaloni, un berretto ed un giaccone - era stata convenuta tra le parti sociali in un ottica di recupero della qualità del servizio e dell'immagine aziendale. Circostanze tutte queste che fanno emergere con chiarezza la infondatezza della domanda dei lavoratori, per avere costoro evocato a sostegno delle loro richieste una disposizione - quella appunto del D.P.R. n. 303 del 1956, art. 40, che non può, in ragione delle specifiche finalità perseguite, fungere da criterio valutativo della condotta dell'Azienda e per collegare alla stessa con nesso eziologico danni, di cui tra l'altro non si è provata - come hanno osservato i Giudici di merito - l'esistenza e che conseguentemente non si sarebbero potuto riconoscere neppure a fronte di altre e diverse causali pure esse evocate dai lavoratori in questo giudizio di legittimità.

8. Consegue da tutto quanto sinora esposto che il ricorso dei lavoratori - con il quale vengono chiesti l'adempimento in forma specifica da parte dell'Azienda dell'obbligo scaturente dal D.P.R. n. 303 del 1956, art. 40, ed il risarcimento dei danni che si assumono subiti dall'illegittima condotta datoriale - risulta privo di fondamento per la già spiegata inapplicabilità alla fattispecie in oggetto della suddetta norma.

Né sotto altro versante vale, per supportare la domanda risarcitoria, evocare la violazione del diritto alla riservatezza o denunziare una ingiustificata limitazione della libertà di autodeterminazione dei lavoratori perché - al di là della di per sé decisiva considerazione che il ricorso per cassazione non appare dotato del requisito dell'autosufficienza per non contenere elementi comprovanti che le ora evocate causali fossero già state indicate nel ricorso introduttivo della lite e che quindi non configurano fatti nuovi - non è stata fornita, come è stato già rimarcato, alcuna prova dell'esistenza dei danni denunziati.

9. Per concludere le argomentazioni svolte ed i principi enunciati portano al rigetto del ricorso principale e, per l'effetto, determinano l'assorbimento del ricorso incidentale condizionato.

10. I lavoratori, ricorrenti principali, per essere rimasti soccombenti vanno condannati in solido tra loro - ad esclusione di Ch.Ni. (numero di matricola ...), con riferimento al quale va dichiarata, come detto, l'estinzione del giudizio - al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione, liquidate unitamente agli onorari difensivi come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi, dichiara estinto il giudizio in relazione alla posizione di Ch.Ni. (numero di matricola ...) e compensa le spese, rigetta il ricorso principale e dichiara assorbito l'incidentale. Condanna i ricorrenti principali al pagamento in solido tra loro delle spese del presente giudizio di cassazione, liquidate in Euro 31,00, oltre Euro 3.000,00, (tremila/00) per onorari difensivi.

Così deciso in Roma, il 18 marzo 2008.

Depositato in Cancelleria il 6 maggio 2008