Cassazione Penale, Sez. 4, 20 luglio 2023, n. 31542 - Infortunio con il nastro trasportatore non adeguatamente protetto. Responsabile il datore di lavoro



REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIAMPI Francesco M. - Presidente -

Dott. VIGNALE Lucia - Consigliere -

Dott. RANALDI Alessandro - Consigliere -

Dott. RICCI Anna L.A. - Consigliere -

Dott. MICCICHE’ Loredana - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
 


sul ricorso proposto da:

M.M., nato il (Omissis);

avverso la sentenza del 18/10/2022 della CORTE APPELLO di L'AQUILA;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere LUCIA VIGNALE;

lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore LIDIA GIORGIO, che ha concluso chiedendo dichiararsi l'inammissibilità di tutti i motivi di ricorso ad eccezione di quello relativo alla omessa statuizione sulla richiesta di benefici.

 

Fatto


1. Con sentenza del 18 ottobre 2022, la Corte di appello dell'Aquila, in parziale riforma della sentenza emessa, all'esito di giudizio abbreviato, dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Teramo il 3 aprile 2019 ha condannato M.M. alla pena, condizionalmente sospesa, di mesi tre e giorni dieci di reclusione (a fronte della pena di mesi quattro di reclusione inflitta in primo grado). La Corte territoriale, ritenuta la penale responsabilità dell'imputato per il reato di cui agli artt. 113 e 590, comma 3, c.p., ha eliminato l'aumento di pena operato dal giudice di primo grado ai sensi dell'art. 81, comma 1, c.p. in relazione agli illeciti contravvenzionali di cui agli artt. 17, comma 1, lett, a), 34, comma 2, e 37, comma 1, D.Lgs. n. 9 aprile 2008, n. 81.

Il G.u.p. aveva ritenuto il concorso formale tra il delitto di lesioni colpose aggravate e le contravvenzioni, ma la Corte di appello ha rilevato, che, "in base al tenore letterale del capo di imputazione", non v'era stata autonoma contestazione degli illeciti contravvenzionali, che erano stati indicati nel capo d'accusa ai soli fini della contestazione della colpa specifica, sicchè A.A. era imputato del solo reato di cui agli artt. 113 e 590, comma 3, c.p..

2. Il procedimento riguarda un infortunio sul lavoro verificatosi il 24 dicembre 2016 presso lo stabilimento della "(Omissis) Srl " all'interno della quale la Srl "(Omissis)" svolgeva servizio di facchinaggio. Secondo la ricostruzione fornita dai giudici di merito, il giorni dei fatti, B.B., dipendente della Srl "(Omissis)", stava procedendo allo scarico di un container che doveva essere collocato su un nastro trasportatore e portato all'interno dello stabilimento. Mentre compiva queste operazioni, B.B. appoggiò la mano sinistra sull'estremità del nastro e il guanto di sicurezza che indossava fu afferrato da un cilindro in rotazione. La mano del lavoratore fu dunque trascinata a contatto col cilindro ed egli riportò la sub-amputazione del terzo dito della mano sinistra. La malattia conseguente ebbe durata complessiva di 131 giorni.

M.M. è stato chiamato a rispondere dell'infortunio nella qualità di legale rappresentante della Srl "(Omissis)" in cooperazione colposa con C.C., legale rappresentante della "(Omissis) Srl " (nei cui confronti si è proceduto separatamente). Secondo i giudici di merito, A.A. avrebbe cagionato l'infortunio con un comportamento colposo consistito: nel non aver provveduto alla valutazione dei rischi derivanti dall'utilizzo del nastro trasportatore, non rispondente ai requisiti di sicurezza (art. 17, comma 1 lett. a) e art. 26, comma 2, lett. b) D.Lgs. n. 81/08); nell'avere assunto il ruolo di responsabile del servizio di prevenzione e protezione senza aver frequentato i previsti corsi di formazione (art. 34, comma 2, D.Lgs. n. 81/08); nel non aver assicurato al lavoratore infortunato una formazione sufficiente (art. 37, comma 1, D.Lgs., n. 81./08). I giudici di merito hanno ritenuto sussistente una cooperazione colposa tra A.A. e C.C.. Hanno ritenuto, dunque, che l'evento fosse stato causato, oltre che dalla condotta colposa del datore di lavoro dell'infortunato, anche da quella del legale rappresentante della "(Omissis) Srl " che aveva messo a disposizione della ditta di facchinaggio un nastro trasportatore telescopico non rispondete ai requisiti di sicurezza in quanto sprovvisto di protezione delle aperture nella zona del cilindro (art. 72, comma 1, D.Lgs. n. 81/08); non aveva fornito al titolare della impresa di facchinaggio informazioni dettagliate sui rischi specifici presenti nell'ambiente di lavoro e non aveva redatto il Documento Unico di Valutazione dei Rischi Interferenziali (DUVRI) (art. 26, comma 3, D.Lgs. n. 81/08).

Secondo l'impostazione accusatoria (che i giudici di merito hanno ritenuto fondata) le condotte dei due imputati (tra loro cooperanti) furono, dal punto di vista causale, presupposto unitario dell'evento, cui ciascuno contribuì con pari corresponsabilità perchè le lesioni derivarono dalla combinazione delle condotte colpose ascritte a ciascuno di loro.

3. Contro la sentenza della Corte di appello, M.M. ha proposto tempestivo ricorso per mezzo del proprio difensore. Il ricorso si articola in più motivi che di seguito si riportano nei limiti strettamente necessari alla decisione come previsto dall'art. 173, comma 1, dlgs. 98 luglio 1989 n. 271.

3.1. Col primo motivo, la difesa deduce violazione di legge e vizi di motivazione quanto all'affermazione della penale responsabilità dell'imputato. Sostiene che l'evento fu reso possibile dalla distrazione del lavoratore che appoggiò a mano all'estremità de nastro trasportatore. Sottolinea che tale abnorme comportamento non era prevedibile da parte del datore di lavoro e non poteva dunque essere evitato. La difesa rileva che B.B. ha dichiarato di aver partecipato a corsi di formazione in materia di sicurezza ed era munito dei dispositivi di protezione individuale. Osserva che, come emerso nel giudizio di primo grado, A.A. aveva predisposto il documento di valutazione dei rischi. Sostiene che il datore di lavoro non può certo affiancare quotidianamente il lavoratore per impedirgli di distrarsi e tenere condotte imprudenti.

Con specifico riferimento alla posizione di garanzia del datore di lavoro, il ricorrente sottolinea che il nastro trasportatore era stato fornito dalla (Omissis) Srl e A.A. non aveva motivo di dubitare della conformità del macchinario alle norme di prevenzione atteso che, come risulta dal libretto di manutenzione acquisito agli atti, il nastro trasportatore era sottoposto, a interventi manutentivi regolari, l'ultimo dei quali era stato eseguito in data 8 settembre 2016.

3.7. Col secondo motivo, il ricorrente lamenta violazione di legge e vizi di motivazione quanto al trattamento sanzionatorio, si duole che non siano state applicate le attenuanti generiche e che, nella alternativa prevista dalla legge, sia stata applicata la pena detentiva in misura superiore al minimo edittale, senza fornire sul punto adeguata motivazione. La difesa si duole, inoltre, che non sia stato applicato l'istituto della prescrizione in relazione agli illeciti contravvenzionali, già estinti quando la sentenza d'appello è stata pronunciata. Sembra infine dolersi della carenza di motivazione "in ordine al giudizio prognostico".

3. Il Procuratore generale ha depositato conclusioni scritte chiedendo dichiararsi l'inammissibilità di tutti i motivi di ricorso ad eccezione di quello "relativo all'omessa statuizione sulla richiesta di benefici: che, in mancanza di percorso argomentativo in ipotesi desumibile con chiarezza dalla sentenza sia pure nell'affrontare temi differenti, non consentirebbe alla Corte di fare ricorso ai poteri conferiti dall'art. 620, lett. I), c.p.p. ".

4. Con memoria del 1 giugno 7023 la difesa ha insistito per l'accoglimento dei motivi di ricorso.

 

Diritto


1. Nessuno dei motivi di ricorso supera il vaglio di ammissibilità, 2. Nel sostenere l'abnormità del comportamento del lavoratore, la difesa reitera un argomento già proposto nell'atto di appello senza confrontarsi con le argomentazioni della sentenza impugnata, secondo a quale D.D., quale datore di lavoro dell'infortunato, aveva l'obbligo di accertarsi che il nastro trasportatore utilizzato dai suoi dipendenti fosse conforme ai requisiti di sicurezza e invece non lo era, atteso che, in vicinanza del cilindro, vi erano aperture non protette e, di conseguenza, le mani degli operatori potevano venire a contatto con parti del macchinario in movimento, come in concreto avvenne (pag. 5 della sentenza impugnata). L'argomentazione è congrua, non presenta profili di contraddittorietà o manifesta illogicità ed è conforme ai principi che regolano la materia. Basta in proposito ricordare: che, ai sensi dell'allegato V, punto A.1. del D.Lgs. n. 81/08, " Se gli elementi mobili di un'attrezzatura di lavoro presentano rischi di contatto meccanico che possono causare incidenti, essi devono essere dotati di protezioni o di sistemi protettivi che impediscano l'accesso alle zone pericolose o che arrestino i movimenti pericolosi prima che sia possibile accedere alle zone in questione"; che, ai sensi del punto 3.4.5 del medesimo allegato, le aperture per il carico e lo scarico dei trasportatori in genere (e, dunque anche - come espressamente indicato al punto 3.4 - dei "trasportatori a nastro") devono essere protette "contro il contatto con organi pericolosi in moto"; che, ai sensi degli artt. 70 e 71 D.Lgs. n. 81/08, le attrezzature messe a disposizione dei lavoratori devono essere conformi ai requisiti generali di sicurezza di cui all'allegato V. Non rileva in contrario che il nastro trasportatore fosse di proprietà della "(Omissis) Srl ", atteso che - come la sentenza impugnata opportunamente ricorda - tale macchinario era utilizzato dai dipendenti della impresa di facchinaggio della quale A.A. era legale rappresentante ed egli aveva dunque l'obbligo di accertarsi che la macchina fosse conforme alle norme in materia di prevenzione e di valutare compiutamente i rischi connessi al suo utilizzo. La sentenza impugnata sottolinea, inoltre, che - come attestato dagli operatori della sicurezza intervenuti a seguito dell'infortunio - l'imputato aveva omesso di fornire al lavoratore una adeguata formazione.

A ciò deve aggiungersi: che A.A. è stato ritenuto responsabile del reato ascrittogli a titolo di cooperazione colposa col legale rappresentante della società che aveva appaltato alla "(Omissis) Srl " i lavori di facchinaggio e fornito il nastro trasportatore e che, secondo un condivisibile orientamento giurisprudenziale, " in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro, grava su ogni gestore del rischio, nell'alveo del sun compito fondamentale di vigilare sull'attuazione delle misure di sicurezza, l'obbligo di verificare la conformità dei macchinari alle prescrizioni di legge e di impedire l'utilizzazione di quelli che, per qualsiasi causa - inidoneità originaria o sopravvenuta -, siano pericolosi per la incolumità del lavoratore che li manovra" (Sez. 4, n. 3917 del 17/12/2020, dep. 2021, Da Maso, Rv. 280382; Sez. 3, Sentenza n. 1142 del 10/12/1998, dep. 1999, Celino, Rv. 212822).

3. Tanto premesso, si deve ricordare: che il rischio di imprudente esecuzione dei compiti assegnati ai lavoratori non si configura come "eccentrico" quando non siano state adottate le doverose cautele volte a governarlo (Sez, 4, n. 27871 del 20/03/2019, Simeone, Rv. 276242; Sez. 4, n. 7364 del 14/01/2014, Scarselli, Rv. 259321); che, per giurisprudenza costante, un comportamento, anche avventato, del lavoratore se realizzato mentre egli è dedito al lavoro affidatogli, può essere invocato come imprevedibile o abnorme sole se il datore di lavoro ha adempiuto tutti gli obblighi che gli sono imposti in materia di sicurezza (Sez. 4, n. 12115 del 03/06/1999, Grande A., Rv. 214999; Sez. 4, n. 1588 del 10/10/2001, Russello, Rv. 220651); che nel caso di specie - come la sentenza impugnata argomenta - il datore di lavoro non aveva adempiuto compiutamente ai propri obblighi perchè il nastro trasportatore che B.B. stava utilizzando non era conforme alle norme di prevenzione infortuni, consentiva "il contatto con organi pericolosi in moto" e il rischio connesso all'utilizzo di quel macchinario non era stato valutato.

4. I motivi di ricorso inerenti al trattamento sanzionatorio sono manifestamente infondati.

Si deve subito rilevare che - come la sentenza impugnata ha chiarito - a A.A. non sono stati ascritti illeciti contravvenzionali, la pena inflitta in primo grado per questi illeciti è stata eliminata, sicchè non v'è ragione di dolersi che gli stessi non siano stati dichiarati estinti per prescrizione.

Analoghi rilievi devono essere formulati riguardo alla doglianza secondo la quale la sentenza impugnata avrebbe omesso ogni motivazione sul "giudizio prognostico" rilevante "ai fini della concessione o del diniego dei benefici di legge". Basta in proposito osservare che la sentenza di primo grado ha formulato un giudizio prognostico favorevole e la pena inflitta è stata condizionalmente sospesa, sicchè la Corte di appello non doveva motivare sul punto.

Per quanto riguarda la mancata applicazione delle circostanze attenuanti generiche, si osserva che, al fine di ritenere o escludere tali circostanze, il giudice può limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall'art. 133 roda pen., quello che ritiene prevalente e atto a determinare o meno il riconoscimento del beneficio, sicchè anche un solo elemento attinente alla personalità del colpevole o all'entità del reato e alle modalità di esecuzione di esso può risultare sufficiente allo crnpn (Sez. 2, n. 73903 del 5/07/7070, Marigliano, Rv. 779549; Sez. 2, n. 3896 del 20/01/2016, De Cotiis, Rv. 265826; Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014; Lule, Rv. 259899). Nel caso di specie, la sentenza impugnata non si è limitata a sottolineare che nell'atto di appello non erano stati prospettati elementi positivi valutabili ai fini della applicazione delle attenuanti generiche; ha anche osservato che A.A. è gravato da tre precedenti penali, due dei quali per violazioni accertate dall'ispettorato del lavoro (pag. 6 della motivazione).

La scelta della pena detentiva è stata motivata facendo riferimento alla gravità del fatto e ai precedenti ed è stata perciò confermata la pena inflitta dal giudice di primo grado, approssimata al minimo previsto per la reclusione (pena base mesi cinque, ridotta a mesi tre e giorni dieci per la scelta del rito). E' sufficiente ricordare, allora, che, secondo un indirizzo giurisprudenziale ormai consolidato, la graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti e alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti e attenuanti, rientra nella discrezionalità del giudice di merito, il quale assolve al relativo obbligo di motivazione se dà conto dell'impiego dei criteri di cui all'art. 133 c.p. o richiama alla gravità del reato o alla capacità a delinquere, essendo, invece, necessaria una specifica e dettagliata spiegazione del ragionamento seguito soltanto quando la pena sia di gran lunga superiore alla media di quella edittale (Sez. 2, n. 36104 dal 97/04/2017, Mastro, Rv. 271243; Sez. 4, n. 21294 del 20/03/2013, Serratore, Rv. 256197).

5. All'inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. Tenuto conto della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000 e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che il ricorrente non versasse in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, deve essere disposto a suo carico, a norma dell'art. 616 c.p.p., l'onere di versare la somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende, somma così determinata in considerazione delle ragioni di inammissibilità.
 


P.Q.M.
 

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagampnto nelle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma, il 22 giugno 2023.

Depositato in Cancelleria il 20 luglio 2023