Cassazione Penale, Sez. 4, 31 maggio 2023, n. 23718 - Occhio colpito da una scheggia. L'eventuale negligenza dei sanitari non è causa autonoma ed indipendente tale da interrompere il nesso causale



Nota a cura di Raffaele Guariniello, in ISL, 7/2023, pag. 405 "Colpa del datore di lavoro o dei sanitari?"

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SERRAO Eugenia - Presidente -

Dott. ESPOSITO Aldo - Consigliere -

Dott. RANALDI Alessandro - Consigliere -

Dott. CIRESE Marina - rel. Consigliere -

Dott. ANTEZZA Fabio - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
 


sul ricorso proposto da:

A.A., nato a (Omissis);

avverso la sentenza del 02/02/2022 della CORTE APPELLO di TRENTO;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa CIRESE MARINA;

lette le conclusioni del P.G..

 

Fatto


1. Con sentenza in data 2.2.2022 la Corte d'appello di Trento ha confermato la sentenza con cui il locale Tribunale, in composizione monocratica, con sentenza in data 8.3.2021 aveva ritenuto A.A. colpevole del reato di cui all'art. 590 c.p., commi 3 e 5 in relazione all'art. 583 c.p., comma 1, nn. 1 e 2 nonchè delle violazioni del D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 18, comma 1, lett. d), f); art. 77, comma 4, lett. h), art. 28, comma 2, lett. a), b) e d) (come descritte nel capo di imputazione) e lo aveva condannato alla pena di mesi sei di reclusione oltre al risarcimento del danno causato alla costituita parte civile B.B. da liquidarsi nella competente sede civile concedendo altresì una provvisionale immediatamente esecutiva di Euro 65.000,00.

2. Il fatto come ricostruito nelle sentenze di merito è il seguente:

in data (Omissis), B.B., dipendente con la qualifica di operaio specializzato "tuttofare" del settore edile della società F.lli C.C. Srl , durante la realizzazione di un muretto in calcestruzzo, mentre cercava di tagliare una radice sporgente colpendola con il bordo tagliente della pala, veniva colpito all'occhio sinistro, non protetto da occhiali di sicurezza o da altro schermo, da una scheggia metallica.

L'incidente comportava la rimozione chirurgica del cristallino e la sostituzione con uno artificiale ed un trapianto corneale non riuscito per rigetto con conseguente inabilità al lavoro per 553 giorni e menomazione dell'integrità psico-fisica riconosciuta dall'Inail in misura del 25%.

Il giudice di primo grado, alla luce delle risultanze istruttorie, ha ritenuto l'imputato responsabile di aver cagionato in qualità di Presidente del Consiglio di amministrazione e legale rappresentante della società F.lli C.C. Srl e quindi di datore di lavoro a B.B. le lesioni personali gravi (malattia ed incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per più di 40 giorni ed indebolimento permanente della vista), per colpa specifica consistente nelle plurime violazioni indicate nel capo di imputazione.

Dall'istruttoria espletata era emerso che lo B.B. utilizzava un badile per colpire di taglio le radici da cui probabilmente era partita una scheggia metallica. Il datore di lavoro avrebbe dovuto fornire dispositivi di sicurezza ed avvertire il lavoratore del rischio di essere colpito ma non risulta che alla persona offesa siano stati consegnati occhiali e dalla documentazione fornita dall'azienda è risultato che dal 2012 al 2014 erano stati consegnati ai dipendenti solo tre paia di occhiali.

Inoltre era emerso che l'operazione effettuata dalla persona offesa con il badile non era prevista dal DVR nè dal POS, mancando qualunque valutazione del rischio specifico della proiezione di schegge. Inoltre lo B.B., nonostante svolgesse mansioni ad alto rischio, aveva partecipato solo a due corsi di formazione della durata di quattro ore.

Con riguardo alla violazione del D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 18, comma 1, lett. d), era emerso che la persona offesa non indos Sas se gli occhiali al momento dell'incidente e che i lavoratori fossero liberi di decidere se dotarsi e quando utilizzare i dispositivi di sicurezza.

Quanto alla consegna degli occhiali allo B.B. da parte della società, non risulta che la persona offesa li abbia mai ricevuti, salvo quanto attestato da una ricevuta in un momento in cui lo stesso non risultava ancora assunto dalla società.

Quanto alla violazione del D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 18, comma 1, lett. f), era emerso l'assenza di un preposto e di un caposquadra che vigilasse sul corretto uso dei dispositivi di protezione e di specifiche disposizioni da seguire e che nessun dipendente fosse mai stato sanzionato o richiamato per il mancato uso di occhiali.

La sentenza di primo grado veniva integralmente confermata dalla sentenza di appello.

2. Avverso detta pronuncia l'imputato, a mezzo del difensore di fiducia, ha proposto ricorso per cassazione articolato in quattro motivi.

Con il primo deduce ex art. 606 c.p.p., lett. c) e d) la violazione dell'art. 586 c.p.p. e art. 603 c.p.p., comma 1 per omessa ammissione di prove decisive ai fini dell'accoglimento di una eccezione di natura processuale.

Sostiene che la Corte d'appello ha erroneamente rigettato la richiesta di acquisizione ritenuta decisiva ex art. 603 c.p.p. dei documenti prodotti con l'atto d'appello (referto medico ai sensi dell'art. 365 c.p.p. datato 20.2.2015 della Direzione provinciale di Trento dell'INAIL; sommarie informazioni testimoniali datate 27 maggio 2015 assunte dai Carabinieri di Segonzano; nota di trasmissione di dette S.I.T. all'Unità Operativa Prevenzione e Sicurezza Ambienti di Lavoro" dell'Azienda provinciale per i servizi sanitari; modello di comunicazione per denunce di infortuni sul lavoro da archiviare datato 24.6.2015; proposta di archiviazione della notizia di reato del 15.7.2015 redatta dalla Sezione di Polizia giudiziaria alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Trento) e funzionali alla dimostrazione della fondatezza dell'eccezione di improcedibilità o litispendenza, dopo aver ritenuto infondata detta eccezione.

Con il secondo motivo deduce ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c) l'improcedibilità dell'azione penale per preclusione da precedente provvedimento di archiviazione o per litispendenza.

Argomenta che l'eccezione è stata proposta in appello ed illegittimamente rigettata, atteso che per il reato per cui si procede erano già state avviate indagini e che in data 15 luglio 2015 il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Trento aveva emesso provvedimento de plano di archiviazione. Nella specie, pertanto, il procedimento è tuttora pendente non avendo il provvedimento di archiviazione esplicato alcun effetto.

Con il terzo motivo di ricorso ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), deduce l'erronea applicazione della legge penale in relazione all'inosservanza del criterio di imputazione soggettiva delle circostanze aggravanti anche rispetto all'omessa valutazione di decorsi causali autonomi incidenti/sorpassanti (art. 606 c.p.p., lett. b)).

Assume che non è stata valutata l'incidenza del ritardo diagnostico intervenuto in occasione dell'accesso al Pronto Soccorso da parte della persona offesa ed il fatto che la menomazione dell'organo della vista dipende proprio dalla non immediata estrazione del corpo estraneo dall'occhio, omissione da ricondurre alla condotta dei sanitari, che la sera del sinistro si sono limitati a comunicare l'assenza dello specialista ed a rimandare a casa il paziente.

Pertanto, la concretizzazione del rischio di gravità tale da comportare la sussunzione del contegno omissivo nell'ipotesi di cui all'art. 590 c.p., comma 3 è stata imputata in maniera oggettiva all'odierno imputato non ravvisandosi gli estremi della prevedibilità.

Con il quarto motivo deduce ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) la mancanza o la grave insufficienza della motivazione su una richiesta espressamente avanzata dalla difesa rispetto alla istanza di revoca della provvisionale concessa al cui pagamento veniva subordinata la sospensione condizionale della pena, con rimando di ogni questione al giudice civile.

Si censura la sentenza impugnata laddove ha confermato sia la concessione della provvisionale che la scelta di subordinare la sospensione condizionale della pena al suo pagamento, tenendo conto altresì del diritto dell'imputato di proclamarsi innocente e di non attivarsi per il risarcimento del danno nonchè del fatto che l'unico legittimato a tal fine, a seguito della dichiarazione di fallimento della C.C. Srl , è il curatore.

Assume che la parte civile aveva già percepito Euro 204.000 dall'Inail ed Euro 78.000,00 dal fallimento della società F.lli C.C. Srl in sede di primo riparto.

4. Il Procuratore generale presso la Corte di Cassazione ha concluso per l'inammissibilità del ricorso.

 

Diritto


1. I motivi di ricorso ripropongono analoghe doglianze già proposta in appello, cui la Corte territoriale ha risposto con motivazione logica e diffusa.

Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte deve ritenersi inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che si risolvono nella pedissequa reiterazione di quelli già dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla corte di merito, dovendosi gli stessi considerare non specifici ma soltanto apparenti, in quanto omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso (Sez. 2, n. 42046 del 17/07/2019, Rv. 277710).

A prescindere da tale rilievo preliminare, esaminando il primo motivo, lo stesso è manifestamente infondato.

Va premesso che l'acquisizione di una prova documentale nel giudizio di appello, pur non implicando la necessità di una formale ordinanza di rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale, postula che la prova richiesta sia rilevante e decisiva rispetto al quadro probatorio in atti.

Nella specie l'acquisizione dei documenti prodotti con l'atto d'appello era funzionale a supportare l'eccezione processuale di improcedibilità dell'azione penale, già sollevata dalla difesa in primo grado.

Ebbene, la Corte territoriale, una volta disattesa l'eccezione di improcedibilità dell'azione penale per preclusione da precedente provvedimento di archiviazione, atteso che il provvedimento di archiviazione de plano adottato dal Pubblico ministero non ha rilievo ai fini della preclusione ex art. 414 c.p.p., ha correttamente rigettato la richiesta ex art. 603 c.p.p. dato che la documentazione difensiva nulla dimostra in ordine all'asserita iscrizione della notizia di reato della quale peraltro vi è prova contraria in atti.

2. Manifestamente infondato è anche il secondo motivo.

Va premesso che ricorre la litispendenza in caso di contestuale pendenza presso lo stesso ufficio (o presso uffici diversi della stessa sede giudiziaria) di più procedimenti penali per uno stesso fatto e nei confronti della stessa persona; una volta esercitata l'azione penale nell'ambito di uno di tali procedimenti, deve considerarsi indebita la reiterazione dell'esercizio del potere di promuovere l'azione, assumendo, in assenza di un'espressa disposizione normativa, diretto rilievo il principio di "consumazione" del potere medesimo, correlato a quello di "preclusione", del quale costituisce espressione il divieto di "bis in idem" dopo la formazione del giudicato; ne consegue che, nell'ambito del secondo procedimento, va chiesta e disposta l'archiviazione (ovvero, nel caso in cui l'azione penale sia già stata esercitata, ne va dichiarata l'improcedibilità con sentenza)(Sez. 4, n. 25640 del 21/05/2008, Rv. 240783).

Correttamente, pertanto, la Corte territoriale ha escluso che nel caso di specie ricorra detta ipotesi non venendo in rilievo due procedimenti pendenti dinanzi ad un giudice, ma una mera archiviazione de plano da parte del Pubblico ministero di notizia non costituente notizia di reato seguita poi dall'instaurazione di un procedimento penale.

3. Il terzo motivo di ricorso è inammissibile in quanto generico.

Ed invero, come correttamente rilevato dalla Corte d'appello, la tesi difensiva che sembra ipotizzare una condotta colposa della vittima o di terzi soggetti successivamente all'infortunio con conseguente efficienza causale rispetto all'indebolimento permanente dell'organo, non trova alcun appiglio nell'istruttoria espletata.

Ritiene, poi, il Collegio di aderire al principio secondo cui l'eventuale negligenza o imperizia dei sanitari nella prestazione delle cure alla vittima di un infortunio sul lavoro, ancorchè di elevata gravità, non può ritenersi causa autonoma ed indipendente, tale da interrompere il nesso causale tra il comportamento di colui che ha causato l'infortunio e la successiva morte della vittima (o l'aggravamento delle lesioni) posto che i potenziali errori di cura costituiscono, rispetto al soggetto leso, un fatto tipico e prevedibile, mentre, ai fini della esclusione del nesso di causalità, occorre un errore del tutto eccezionale, abnorme, da solo determinante l'evento letale (cfr. Sez. 4, n. 25560 del 02/05/2017 Ud. - dep. 23/05/2017 - Rv. 269976). In altri termini, la morte della vittima è addebitabile al comportamento dell'agente, perchè questi, provocando le originarie lesioni, ha reso necessario l'intervento dei sanitari, la cui imperizia o negligenza non costituisce un fatto imprevedibile ed atipico, ma un'ipotesi che si inserisce nello sviluppo della serie causale (v. Sez. 4, n. 20270 del 06/03/2019, Rv. 276238; Sez. 4, n. 41943 del 04/10/2006, Rv. 235537).

4. Il quarto motivo di ricorso è del pari inammissibile.

Ed invero la censura, ripropone sotto l'egida del vizio motivatorio, analogo motivo di appello e si concreta essenzialmente nella contestazione del quantum della provvisionale concessa, dolendosi del fatto che il giudice non avrebbe tenuto conto delle somme già corrisposte allo B.B. sia dall'Inail che dal fallimento della società F.lli C.C..

Contrariamente all'assunto difensivo, già il giudice di primo grado e successivamente la Corte d'appello, dandone espressa contezza nella motivazione, nel disporre il pagamento della provvisionale hanno tenuto conto delle somme corrisposte da terzi, ritenendo altresì di subordinare la sospensione condizionale al pagamento della provvisionale, considerato che l'imputato non risulta aver versato alcun risarcimento alla persona offesa nè aver posto in essere alcuna condotta riparatoria, pur a distanza di anni dalla verificazione del fatto per cui è processo.

Alla luce del chiaro tenore della sentenza impugnata sul punto, la censura si risolve quindi nella mera contestazione del quantum riconosciuto a titolo di provvisionale, di talchè va fatta applicazione del principio secondo cui non è impugnabile con ricorso per cassazione la statuizione pronunciata in sede penale e relativa alla concessione e quantificazione di una provvisionale, trattandosi di decisione di natura discrezionale, meramente delibativa e non necessariamente motivata, per sua natura insuscettibile di passare in giudicato e destinata ad essere travolta dall'effettiva liquidazione dell'integrale risarcimento (da ultimo Sez. 2, n. 44859 del 17/10/2019 Ud. (dep. 05/11/2019) Rv. 277773).

5. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle Ammende, che si stima equo determinare in Euro 3.000,00 ((cfr. sul punto Corte Cost. n. 186 del 2000).

 

P.Q.M.


Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma, il 19 gennaio 2023.

Depositato in Cancelleria il 31 maggio 2023