Cassazione Civile, Sez. Lav., 04 agosto 2023, n. 23826 - Infortunio dell'operaio entrato in contatto con la coclea dell'impianto di macinazione e stoccaggio del caffè. Quando si può parlare di rischio elettivo?



  


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana - Presidente -

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni - Consigliere -

Dott. PONTERIO Carla - Consigliere -

Dott. CINQUE Guglielmo - Consigliere -

Dott. AMENDOLA Fabrizio - rel. Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA



sul ricorso 37259-2019 proposto da:

(Omissis) Srl (già (Omissis) S.p.A.), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PO 25B, presso lo studio dell'avvocato ROBERTO PESSI, che la rappresenta e difende;

- ricorrente -

contro

A.A.;

- intimato -

nonché da: RICORSO SUCCESSIVO SENZA N.R.G.:

A.A., domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMADI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli avvocati GIOVANNI CAIAZZO, GENNARO CAIAZZO;

- ricorrente successivo -

contro

(Omissis) Srl (già (Omissis) S.p.A.);

- controricorrente al ricorso successivo -

avverso la sentenza n. 3008/2019 della CORTE D'APPELLO di NAPOLI, depositata il 30/05/2019 R.G.N. 3081/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 05/07/2023 dal Consigliere Dott. FABRIZIO AMENDOLA.

 

Fatto


1. la Corte di Appello di Napoli, con sentenza del 30 maggio 2019, in riforma della pronuncia di primo grado, ha dichiarato la responsabilità della (Omissis) Srl riguardo all'infortunio sul lavoro occorso a A.A., in data (Omissis), "allorquando, nell'eseguire le proprie mansioni di operaio addetto al reparto granelle, la sua mano destra entrava in contatto con la coclea dell'impianto di macinazione e stoccaggio del caffè", provocando "un gravissimo traumatismo della mano stessa con amputazione traumatica e perdita della falange distale del I, II e III raggio"; la Corte ha, quindi, condannato la predetta società a corrispondere al A.A. la somma complessiva di Euro 398.563,00 a titolo di danno non patrimoniale, oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali dalla data della sentenza e fino al saldo, nonchè le spese del doppio grado;

2. la Corte territoriale, in sintesi e per quanto qui rileva, ha ritenuto che l'azienda non avesse consapevolezza che, introducendo la mano nella tramoggia, potesse effettuare un'operazione anomala e pericolosa; nè aveva avuto la possibilità di rendersi conto del pericolo nè che lo stesso fosse palese";

circa la liquidazione del danno, stimato, sulla base di una CTU, nella misura di una invalidità permanente pari al 48%, la Corte ha fatto riferimento "alle Tabelle in uso presso il Tribunale di Milano aggiornate al 2018", quantificando il danno per detta invalidità in Euro 389.498,00, "avuto riguardo alla giovane età del soggetto (23 anni) al momento dell'infortunio"; "poichè tale determinazione - ha aggiunto la Corte - ricomprende in sè anche il danno esistenziale e quello morale, non possono riconoscersi autonomamente tali voci di danno, in quanto si porrebbe in essere una ingiustificata duplicazione; i predetti importi sono attualizzati al momento della decisione per cui solo da tale data decorreranno accessori fino al soddisfo";

la Corte napoletana ha altresì condannato (Omissis) al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio liquidate, quanto al primo grado, in euro 4.500,00 e, quanto al secondo grado, in euro 9.500,00, oltre rimborso spese generali, iva e cpa come per legge, con attribuzione;

3. avverso tale sentenza hanno proposto ricorso per cassazione sia la società, affidato a tre motivi, sia il A.A., parimenti con tre motivi; a quest'ultimo ha resistito con controricorso la (Omissis);

all'esito della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell'ordinanza nel termine di sessanta giorni.

 

Diritto


1. i motivi del ricorso della società, da esaminarsi in via prioritaria in quanto contestano la responsabilità addebitata dalla Corte di merito, possono come di seguito sintetizzarsi:

col primo si denuncia il vizio di omesso esame su di un fatto decisivo, ex art. 360 c.p.c., n. 5, sostenendo che la Corte di Appello di Napoli avrebbe "omesso di esaminare compiutamente la circostanza che la condotta tenuta dal Signor A.A. non rientrava nelle mansioni allo stesso assegnate";

falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, degradano in realtà verso l'inammissibile richiesta a questa Corte di una rivalutazione dei fatti storici da cui è originata l'azione", così travalicando "dal modello legale di denuncia di un vizio riconducibile all'art. 360 c.p.c., perchè pone a suo presupposto una diversa ricostruzione del merito degli accadimenti" (cfr. Cass. SS.UU. n. 34476 del 2019; conf. Cass. SS.UU. n. 33373 del 2019; Cass. SS.UU. n. 25950 del 2020);

in realtà, la pronuncia impugnata è conforme ai principi di questa Corte in materia di rischio elettivo e di concorso del fatto colposo del lavoratore;

infatti, la responsabilità esclusiva del lavoratore per c.d. "rischio elettivo" sussiste soltanto ove questi abbia posto in essere un contegno abnorme, inopinabile ed esorbitante rispetto al procedimento lavorativo ed alle direttive ricevute, così da porsi come causa esclusiva dell'evento e creare condizioni di rischio estranee alle normali modalità del lavoro da svolgere (tra le altre: Cass. n. 798 del 2017; Cass. n. 12779 del 2012; Cass. n. 21694 del 2011); secondo Cass. n. 7313 del 2016 il c.d. "rischio elettivo" è solo "quello che, estraneo e non attinente all'attività lavorativa, sia dovuto ad una scelta arbitraria del dipendente, che crei ed affronti volutamente, in base a ragioni o ad impulsi personali, una situazione diversa da quella ad essa inerente";

si è perciò esclusa la configurabilità d'una colpa a carico di lavoratori che non si siano attenuti alle cautele imposte dalle norme antinfortunistiche od alle direttive dei datori di lavoro, perchè proprio il vigilare sul rispetto di tali norme da parte del lavoratore è l'obbligo cui il datore è tenuto, in quanto il datore di lavoro ha il dovere di proteggere l'incolumità del lavoratore nonostante la sua imprudenza o negligenza (cfr. Cass. n. 1994 del 2012; Cass. n. 5419 del 2019);

da ultimo si è ribadito che, in tema di infortuni sul lavoro, il datore di lavoro è responsabile anche dei danni ascrivibili a negligenza o imprudenza dei lavoratori o alla violazione, da parte degli stessi, di norme antinfortunistiche o di direttive, stante il dovere di proteggerne l'incolumità anche in tali evenienze prevedibili, potendo ravvisarsi un concorso colposo della vittima nel solo caso in cui la stessa abbia posto in essere un contegno abnorme, inopinabile ed esorbitante rispetto al procedimento lavorativo ed alle direttive ricevute, così da porsi come causa esclusiva dell'evento e creare condizioni di rischio estranee alle normali modalità del lavoro da svolgere (in termini: Cass. n. 4980 del 2023; v. pure Cass. n. 25597 del 2021, secondo la quale "L'eventuale imprudenza o negligenza del lavoratore non rileva neanche ai fini del concorso di colpa quando vi sia inadempimento datoriale rispetto all'adozione di cautele, tipiche o atipiche, concretamente individuabili, nonchè esigibili ex ante ed idonee ad impedire, nonostante l'imprudenza del lavoratore, il verificarsi dell'evento dannoso");

3. disattesi i motivi di ricorso della società, possono essere esaminati quelli contenuti nel ricorso del lavoratore;

3.1. con il primo si denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 2056 e 1223 c.c. per il mancato riconoscimento al A.A. del danno da mora; si argomenta che, qualora la liquidazione del danno avvenga a distanza di tempo dal sinistro, al danneggiato, oltre al capitale rivalutato, spetta anche un ulteriore risarcimento: "quello per l'ulteriore pregiudizio subito a causa del ritardato pagamento del credito"; si sostiene che la Corte territoriale avrebbe omesso di riconoscere un ulteriore importo per coprire il danno da mora dal (Omissis), "importo da liquidarsi in via equitativa con il ricorso al tasso di interesse tempo per tempo vigente sulla somma liquidata all'attualità, devalutata al momento in cui si è verificato l'evento dannoso e successivamente rivalutata anno per anno";

la censura risulta infondata alla stregua della stessa sentenza richiamata a suo sostegno (Cass. n. 15856 del 2019), la quale precisa, in tema di mora da obbligazioni di valore, che l'ulteriore riconoscimento di interessi dal fatto illecito può avvenire solo laddove la liquidazione "non avvenga direttamente con valori monetari riferibili all'epoca della liquidazione", così come invece accaduto nella specie, atteso che la Corte territoriale ha esplicitamente attualizzato gli importi "al momento della decisione, per cui solo da tale data decorreranno gli accessori fino al soddisfo";

in ogni caso, è onere del creditore provare, anche in base a criteri presuntivi, che la somma rivalutata (o liquidata in moneta attuale) sia inferiore a quella di cui avrebbe disposto, alla stessa data della sentenza, se il pagamento della somma originariamente dovuta fosse stato tempestivo; ne consegue, per un verso che gli interessi cosiddetti compensativi costituiscono una mera modalità liquidatoria del danno da ritardo nei debiti di valore; per altro verso che non sia configurabile alcun automatismo nel riconoscimento degli stessi (Cass. n. 18564 del 2018); sicchè questa Corte ha escluso che il giudice del merito sia tenuto a motivare il mancato riconoscimento degli interessi compensativi a meno che non sia stato espressamente sollecitato mediante l'allegazione della insufficienza della rivalutazione ai fini del ristoro del danno da ritardo (Cass. n. 1111 del 2020; Cass. n. 22347 del 2007);

nella specie il ricorrente non ha specificato nel motivo nè come nè quando abbia sottoposto ai giudici del merito la questione di detta insufficienza, nè, tanto meno, in che modo abbia provato che la somma liquidata in moneta attuale fosse inferiore a quella di cui avrebbe disposto, alla stessa data della sentenza, se il pagamento della somma originariamente dovuta fosse stato tempestivo;

3.2. col secondo motivo del ricorso del lavoratore si denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 2056, 1226 e 1223 c.c., lamentando l'omessa liquidazione del danno morale nonchè l'omessa personalizzazione della somma liquidata a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale, "pur in palese evidenza della peculiarità della situazione del ricorrente"; si deduce che dalla stessa consulenza tecnica d'ufficio ammessa dalla Corte d'Appello risultava "descritto senza ambiguità il pregiudizio patito dal ricorrente, il quale, in conseguenza dell'infortunio per cui è causa, all'età di poco più di (Omissis), ha riportato lo sfacelo della mano destra (dominante) con amputazione del I, II, e III dito, ed in data 31 gennaio 2001 è stato sottoposto ad intervento di trapianto di alluce sinistro pro pollice destro, allo scopo di tentare di recuperare, sia pure parzialmente, l'opponibilità del primo dito della mano destra"; si eccepisce che tali aspetti non possono essere ricompresi nell'ambito delle conseguenze dannose comuni ed avrebbero dovuto condurre la Corte d'appello a personalizzare in aumento il danno liquidato al ricorrente;

la censura non può trovare accoglimento;

nelle Tabelle milanesi del 2018 è innanzitutto incorporato, nel valore di ogni singolo punto di invalidità permanente in relazione all'età, anche il danno morale (v., di recente, Cass. n. 15733 del 2022);

quanto alla ulteriore personalizzazione, questa Corte ha più volte affermato che non è automatica ma postula condizioni particolari in relazione al caso concreto, che sono quelle sofferte solo da quella particolare vittima, in conseguenza delle sue pregresse condizioni o del tipo di attività da essa svolte, ma non comuni necessariamente a tutte le vittime che abbiano sofferto identiche lesioni guarite con identici postumi (cfr., per tutte, Cass. n. 5865 del 2021, la quale aggiunge che le "peculiarità del caso concreto", le quali, ove sussistenti, possono giustificare un aumento della misura standard del risarcimento "devono essere fatti, non vuote etichette (...) non sarebbe, infatti, sufficiente chiamare pregiudizi identici con nomi diversi, per pretenderne la contemporanea risarcibilità"); tale decisione precisa inoltre che, dal punto di vista processuale, chi lamenta in cassazione l'omessa valutazione di tali altri pregiudizi, deve indicare: a) quali fossero i pregiudizi concreti dei quali aveva chiesto il ristoro nell'atto introduttivo del primo grado di giudizio, ulteriori e diversi da quelli comunemente provocati da postumi permanenti del medesimo grado; b) come fossero stati provati (così già Cass. n. 8985 del 2020);

nella specie, chi ricorre nulla adeguatamente specifica su come tali pregiudizi ulteriori fossero stati indicati nell'atto introduttivo del primo grado, nè tanto meno come la questione fosse stata devoluta in appello, limitandosi ad invocare le generiche affermazioni contenute nella consulenza tecnica;

3.3. con l'ultimo motivo del ricorso incidentale si denuncia la violazione e falsa applicazione del D.M. n. 55 del 2014, artt. 1-11, dell'art. 91 c.p.c. e dell'art. 2233 c.c., deducendo la "liquidazione delle spese legali in misura non proporzionata all'attività professionale espletata ed al valore della controversia e, in ogni caso, inferiore ai livelli minimi previsti dai parametri";

il motivo va accolto nei sensi espressi dalla motivazione che segue;

invero, mentre non trova fondamento normativo un vincolo alla determinazione delle spese secondo i valori medi indicati dai decreti ministeriali in materia, dovendo il giudice solo quantificare il compenso tra il minimo ed il massimo delle tariffe (Cass. n. 2386 del 2017; Cass. n. 26608 del 2017; Cass. n. 29606 del 2017), tali limiti possono essere derogati solo in presenza di una apposita motivazione (ancora Cass. n. 2836/2017 cit.; v. anche Cass. n. 21205 del 2016) che è doverosa affinchè siano controllabili le ragioni che giustificano lo scostamento e la misura di questo (tra molte Cass. n. 89 del 2021; conf. Cass. n. 19989 del 2021, secondo cui solamente l'esercizio del potere discrezionale del giudice, contenuto tra il minimo e il massimo, non è soggetto a sindacato di legittimità);

orbene, premesso che, in caso di riforma della sentenza di primo grado, il giudice dell'impugnazione, investito ai sensi dell'art. 336 c.p.c. anche della liquidazione delle spese del grado precedente, deve applicare la disciplina vigente al momento in cui provvede alla liquidazione ovvero al momento della sentenza d'appello (Cass. n. 19181 del 2018; Cass. n. 31884 del 2018; Cass. n. 19989 del 2021), la Corte territoriale, in base a quanto previsto dal D.M. n. 55 del 2014, per una causa di valore pari a quanto riconosciuto con applicazione dello scaglione che va da 260 mila a 520 mila Euro, avrebbe potuto liquidare al minimo di tariffa complessivi Euro 12.670,00 per il primo grado e complessivi Euro 10.700,00 per il secondo grado;

invece, la Corte napoletana - come ricordato nello storico della lite - ha liquidato importi inferiori a detti minimi senza fornire alcuna motivazione, per cui la sentenza impugnata deve essere cassata sul punto;

4. in conclusione, una volta respinti sia il ricorso della società così come i primi due motivi del ricorso del lavoratore, deve essere accolto il terzo motivo di tale ricorso, con cassazione della sentenza impugnata limitatamente alla determinazione delle spese;

è consentito a questa Corte decidere la causa nel merito ex art. 384 c.p.c., liquidando le spese non solo del giudizio di legittimità, ma anche dei gradi di merito (cfr. Cass. n. 14199 del 2021), così come da dispositivo, in applicazione del regime della soccombenza e tenuto conto, circa la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità, che il valore è determinato dalla statuizione sulle spese dei gradi merito, non avendo il A.A. resistito con controricorso al ricorso avversario;

ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della sola società, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13 (cfr. Cass. SS.UU. n. 4315 del 2020);

va, disposta, da ultimo, per l'ipotesi di diffusione del presente provvedimento, l'omissione delle generalità e degli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.
 


P.Q.M.
 

La Corte rigetta il ricorso proposto da (Omissis) Srl e i primi due motivi del ricorso di A.A.; accoglie il terzo motivo di quest'ultimo ricorso, cassa la sentenza impugnata in relazione ad esso e, decidendo nel merito, così liquida le spese: Euro 12.678,00 per il primo grado ed Euro 10.700,00 per il secondo grado, oltre rimborso spese generali al 15% e accessori secondo legge, con attribuzione al procuratore del A.A. antistatario; condanna inoltre la società al pagamento delle spese del giudizio di legittimità liquidate in Euro 2.500,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, rimborso spese generali al 15% e accessori secondo legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della società, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.

Ai sensi del d. lgs. n. 196 del 2003, art. 52, in caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi di A.A..

Così deciso in Roma, il 5 luglio 2023.

Depositato in Cancelleria il 4 agosto 2023