Con sentenza 18 settembre 2008, la Cassazione ha annullato la decisione 23 aprile 2004 della Corte di Appello di Roma (con la quale Ma. An. e Bl. Ro. erano stati ritenuti responsabili del reato di omicidio colposo del lavoratore Di. Sa. Na. per omissione delle cautele antinfortunistiche) limitatamente al punto del concorso di colpa della vittima.

Decidendo in sede di rinvio, la Corte di Appello di Roma, con sentenza 15 aprile 2009, ha escluso un comportamento concausale della parte lesa nella determinazione del sinistro.

Ricorso in Cassazione - Rigetto.

I giudici del rinvio dovevano analizzare la sussistenza o meno del contributo causale della vittima alla produzione dell'evento fermo restando il giudizio di colpevolezza degli imputati (che non può essere più messo in discussione in esito alla sentenza della Cassazione).
"I ricorrenti articolano le loro deduzioni partendo dal presupposto che fosse riscontrabile un comportamento incauto da parte del lavoratore per avere errato nello usare l'attrezzo sul quale operava.
Tale prospettazione difensiva potrebbe avere una sua plausibilità se fosse accertata la colpa della vittima nel collocare la scala ed il rapporto causale tra la stessa e la caduta nel vuoto.
Ora l'errata sistemazione della scala, contrariamente a quanto sostenuto dai ricorrenti, costituisce un elemento fattuale che nè la Cassazione nè i Giudici di merito hanno ritenuto accertato; sul punto, la sentenza in esame, ha puntualizzato come si conosca solo la posizione dell'attrezzo dopo la caduta del lavoratore.
Inoltre (bene o male utilizzata), la scala è stata ritenuta dalla Corte territoriale uno strumento del tutto inadeguato a proteggere il lavoratore perchè non garantiva l'appoggio stabile di cui la vittima aveva bisogno in relazione alla attività che stava espletando; su questo centrale tema, i ricorrenti non propongono censure.
Di conseguenza, la colpa dei datori di lavoro è stata - e correttamente - evidenziata dalla Corte territoriale per la omessa predisposizione della unica misura di sicurezza (un ponteggio fisso) che, nel caso concreto, era in grado di evitare la caduta."


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ONORATO Pierluigi - Presidente
Dott. SQUASSONI Claudia - rel. Consigliere
Dott. GENTILE Mario - Consigliere
Dott. AMORESANO Silvio - Consigliere
Dott. MARINI Luigi - Consigliere  
   ha pronunciato la seguente:
SENTENZA

sul ricorso proposto da:
1) MA. AN. , N. IL (OMESSO);
2) BL. RO. , N. IL (OMESSO);
1) RESPONSABILE CIVILE;
avverso la sentenza n. 10467/2008 CORTE APPELLO di ROMA, del 15/04/2009;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 04/03/2010 la relazione fatta dal Consigliere Dott. CLAUDIA SQUASSONI;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. MONTAGNA Alfredo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Uditi i difensori avv.ti Carmana Angelo e Cassiero Marcello.

 
Diritto
 

Con sentenza 18 settembre 2008, la Cassazione ha annullato la decisione 23 aprile 2004 della Corte di Appello di Roma (con la quale Ma. An. e Bl. Ro. erano stati ritenuti responsabili del reato di omicidio colposo del lavoratore Di. Sa. Na. per omissione delle cautele antinfortunistiche) limitatamente al punto del concorso di colpa della vittima.


Decidendo in sede di rinvio, la Corte di Appello di Roma, con sentenza 15 aprile 2009, ha escluso un comportamento concausale della parte lesa nella determinazione del sinistro.

A sostegno di tale conclusione, i Giudici hanno rilevato come il Di. Sa. lavorasse con attrezzatura non idonea perchè la scala di cui disponeva non garantiva la necessaria stabilità (per l'insufficiente larghezza degli scalini e l'inesistenza di appoggi); hanno escluso che un eventuale errato posizionamento della scala (che, peraltro, non era provato) potesse avere contribuito alla caduta del lavoratore dal momento che lo strumento era, comunque, inidoneo e l'unica protezione per la caduta nel vuoto era l'uso di un impalco fisso.

La Corte ha, pure, rilevato che la vittima non era stata inosservante di precise disposizioni antinfortunistiche nè aveva tenuto una condotta incompatibile con il sistema di lavorazione.

Per l'annullamento della sentenza, gli imputati hanno proposto ricorso per Cassazione deducendo difetto di motivazione e rilevando:
- che l'errato posizionamento della scala ad opera del lavoratore esplicava i suoi effetti sotto il profilo della sussistenza del rapporto causale, della rimproverabilità della condotta del datore di lavoro e della quantificazione del danno risarcibile;
- che l'accertamento sul mal posizionamento della scala effettuato dalla Corte di Cassazione e non poteva essere riesaminato dai Giudici di merito.


I motivi di ricorso non sono meritevoli di accoglimento.

La difesa fa una dotta disquisizione sulle variegate incidenze del comportamento colposo del lavoratore in relazione al verificarsi del sinistro e sulla differenza tra l'apporto di distinte condotte  incaute nella determinazione dell'evento e la graduazione comparativa delle colpe rilevante ai fini del trattamento sanzionatorio e della entità del risarcimento del danno.
Tali argomenti investono solo marginalmente il fulcro della limitata questione che i Giudici del rinvio avevano al loro esame e, cioè, la sussistenza o meno del contributo causale della vittima alla produzione dell'evento fermo restando il giudizio di colpevolezza degli imputati (che non può essere più messo in discussione in esito alla sentenza della Cassazione).
I ricorrenti articolano le loro deduzioni partendo dal presupposto che fosse riscontrabile un comportamento incauto da parte del lavoratore per avere errato nello usare l'attrezzo sul quale operava.
Tale prospettazione difensiva potrebbe avere una sua plausibilità se fosse accertata la colpa della vittima nel collocare la scala ed il rapporto causale tra la stessa e la caduta nel vuoto.
Ora l'errata sistemazione della scala, contrariamente a quanto sostenuto dai ricorrenti, costituisce un elemento fattuale che nè la Cassazione nè i Giudici di merito hanno ritenuto accertato; sul punto, la sentenza in esame, ha puntualizzato come si conosca solo la posizione dell'attrezzo dopo la caduta del lavoratore.
Inoltre (bene o male utilizzata), la scala è stata ritenuta dalla Corte territoriale uno strumento del tutto inadeguato a proteggere il lavoratore perchè non garantiva l'appoggio stabile di cui la vittima aveva bisogno in relazione alla attività che stava espletando; su questo centrale tema, i ricorrenti non propongono censure.
Di conseguenza, la colpa dei datori di lavoro è stata - e correttamente - evidenziata dalla Corte territoriale per la omessa predisposizione della unica misura di sicurezza (un ponteggio fisso) che, nel caso concreto, era in grado di evitare la caduta.

 
P.Q.M.
 
 
 
La Corte rigetta il ricorso e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali ed alla rifusione delle spese delle parti civili liquidate in complessivi euro 3.500,00 oltre accessori di legge.