Cassazione Civile, Sez. Lav., 25 agosto 2023, n. 25281 - Riconoscimento della rendita per malattia professionale



REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERRINO Umberto - Presidente -

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni - Consigliere -

Dott. CALAFIORE Daniela - Consigliere -

Dott. CAVALLARO Luigi - rel. Consigliere -

Dott. CERULO Angelo - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA



sul ricorso 5463-2018 proposto da:

A.A., domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall'avvocato FRANCESCO D'ELIA;

- ricorrente -

contro

I.N.A.I.L. - ISTITUTO NAZIONALE PER L'ASSICURAZIONE CONTRO GLI INFORTUNI SUL LAVORO, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA IV NOVEMBRE 144, presso lo studio degli avvocati EMILIA FAVATA, LUCIANA ROMEO, che lo rappresentano e difendono;

- controricorrente -

avverso la sentenza n. 1309/2017 della CORTE D'APPELLO di CATANZARO, depositata il 07/08/2017 R.G.N. 420/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 24/05/2023 dal Consigliere Dott. LUIGI CAVALLARO;

il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. VISONA' STEFANO, visto il D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 8 bis, convertito con modificazioni nella L. 18 dicembre 2020, n. 176, ha depositato conclusioni scritte.
 

 

Fatto


Con sentenza depositata il 7.8.2017, la Corte d'appello di Catanzaro ha confermato la pronuncia di primo grado che aveva rigettato la domanda di A.A. volta al riconoscimento della rendita che assumeva essergli dovuta per aver contratto una malattia di asserita origine professionale.

La Corte, in particolare, ha dapprima affermato, sulla scorta della consolidata giurisprudenza di questa Corte di legittimità, che la tabella rilevante per fondare la presunzione di etiologia professionale dovesse essere quella vigente alla data di esposizione a rischio e non quella eventualmente differente subentrata al momento della decisione; indi, muovendo dal rilievo secondo cui l'appellante non aveva compiutamente allegato che nell'inceneritore presso il quale aveva prestato la propria attività lavorativa di capo turno fossero presenti le ammine aromatiche individuate nella relazione di consulenza di parte come possibile concausa dell'insorgere della malattia, ha confermato la decisione del primo giudice che aveva rigettato la richiesta di consulenza tecnica ambientale, giudicandola esplorativa anche in relazione all'avvenuta chiusura dello stabilimento e alla carenza di allegazioni circa la possibilità che un perito eventualmente nominato potesse, a distanza di tempo, accertare le circostanze decisive ai fini della controversia e valorizzando altresì all'uopo l'assenza in atti del Documento di valutazione dei rischi (di cui peraltro l'appellante aveva aprioristicamente assunto l'inattendibilità). Avverso tale pronuncia A.A. ha proposto ricorso per cassazione, deducendo cinque motivi di censura, successivamente illustrati con memoria. L'INAIL ha resistito con controricorso.

Con ordinanza del 23.2.2023, la causa è stata rimessa all'udienza pubblica in relazione alla particolare rilevanza delle questioni poste con i motivi di censura. Il Pubblico ministero ha depositato conclusioni scritte con le quali ha chiesto l'accoglimento del ricorso. In vista dell'udienza, l'INAIL ha depositato memoria.

Diritto


Con il primo motivo, il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 c.c. e artt. 414, 191 e 61 c.p.c. per avere la Corte di merito ritenuto che la richiesta di CTU ambientale fosse esplorativa e, per di più, nemmeno praticabile: a suo avviso, non solo nel ricorso introduttivo sarebbero stati ritualmente indicati gli agenti patogeni ai quali, in ipotesi, era da ascrivere l'insorgenza della malattia, ma per di più nemmeno si poteva pretendere che egli ne avesse compiuta conoscenza, di talchè, onerandolo di una allegazione specificamente in tal senso, i giudici territoriali avrebbero disatteso l'ormai consolidato orientamento di questa Corte secondo cui, nelle controversie concernenti la rendita da inabilità professionale, l'onere di allegazione e prova gravante sul lavoratore non può concernere la presenza di agenti patogeni nei materiali, nelle sostanze e, in generale, nell'ambiente di lavoro.

Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta nullità della sentenza ex art. 132 c.p.c., comma 1, n. 4, e art. 156 c.p.c., comma 2, per non avere la Corte territoriale motivato sull'incidenza della prova testimoniale già acquisita agli atti rispetto alla valutazione concernente l'ammissibilità della CTU: a suo avviso, infatti, le risultanze della prova testimoniale erano tali da non poter giustificare in alcun modo il giudizio circa il carattere meramente esplorativo della chiesta CTU. Con il terzo motivo, il ricorrente deduce nullità della sentenza per omessa motivazione per non avere la Corte di merito spiegato le ragioni per le quali, una volta cessata l'attività dell'inceneritore, la CTU ambientale non sarebbe stata più esperibile: a suo avviso, infatti, si sarebbe potuto ricorrere ad una modalità alternativa per il suo esperimento, che, dopo il necessario accesso allo stabilimento per la verifica del tipo di inceneritore usato e della sua ubicazione rispetto al luogo in cui egli prestava la sua attività lavorativa, procedesse ad una valutazione comparata con inceneritori ancora in funzione della medesima epoca, tipologia e tecnologia, avvalendosi all'uopo anche di indagini di igiene industriale, dei dati della letteratura scientifica, dei dati epidemiologici e delle informazioni tecniche ricavabili da analoghe situazioni di lavoro.

Con il quarto motivo, il ricorrente si duole di nullità della sentenza ex art. 132 c.p.c., comma 1, n. 4, e art. 156 c.p.c., comma 2, per non avere la Corte territoriale motivato le ragioni per le quali il documento di valutazione dei rischi dovesse considerarsi decisivo, nonostante i rilievi che, nei suoi confronti, erano stati mossi nel ricorso in appello circa il fatto che la sua redazione era diventata obbligatoria solo in epoca successiva all'inizio del periodo di esposizione a rischio e che, in ogni caso, il documento non era nella sua materiale disponibilità, nonostante ne avesse fatto richiesta sia al datore di lavoro che all'azienda sanitaria locale di competenza.

Con il quinto motivo, infine, il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione del T.U. n. 1124 del 1965, art. 3 nonchè del D.P.R. n. 336 del 1994 e del D.M. 9 aprile 2008, recante aggiornamento della tabella 4) allegata al T.U. n. 1125 del 1965, cit., per avere la Corte di merito ritenuto, sulla scorta della consolidata giurisprudenza di questa Corte di legittimità, l'applicabilità in specie della tabella vigente al momento dell'esposizione a rischio in luogo di quella vigente al momento della proposizione della domanda.

Ciò posto, i primi quattro motivi possono essere esaminati congiuntamente, tutti ruotando intorno alla decisione dei giudici territoriali di non ammettere la CTU ambientale, e sono inammissibili.

Giova premettere che, come già indicato nello storico di lite, la Corte di merito ha motivato il giudizio di inammissibilità della CTU ambientale sulla scorta della genericità delle allegazioni contenute nel ricorso introduttivo circa il presumibile fattore patogeno cui il ricorrente, in ipotesi, sarebbe stato esposto: si legge infatti nell'impugnata sentenza che "nel ricorso introduttivo del giudizio si era fatto generico riferimento al fatto che il ricorrente era stato quotidianamente a contatto con i rifiuti che fermentavano nelle vasche e con i fumi emessi dall'inceneritore oltre che con i cattivi odori provenienti dalla depurazione delle acque fognarie" e con "sostanze altamente nocive", mentre "solo nella consulenza tecnica di parte allegata al ricorso" si erano citate "quali sostanze cancerogene le ammine aromatiche usate come intermedi nella produzione di coloranti azoici" e si era affermato che "le ammine aromatiche possono essere usate nella produzione di antiossidanti utilizzati nell'industria della gomma", con la conseguenza che, in mancanza di alcuna allegazione espressa circa il fatto che "le ammine aromatiche fossero o potessero essere presenti nello stabilimento in cui il ricorrente aveva lavorato", corretta doveva reputarsi la decisione di prime cure che aveva rigettato la richiesta di CTU, siccome esplorativa.

A queste considerazioni, i giudici territoriali ne hanno aggiunto una ulteriore, concernente il fatto che la CTU ambientale, che avrebbe dovuto verificare la presenza nelle lavorazioni di ammine aromatiche e loro derivati, non sarebbe stata nel caso di specie possibile dal momento che "lo stesso appellante ha segnalato la definitiva chiusura dello stabilimento da lungo tempo, nè (...) ha preso posizione in ordine alla possibilità per un perito eventualmente nominato di poter verificare le circostanze decisive per l'odierna controversia mediante un accesso sul luogo di lavoro a distanza di tempo dalla relativa chiusura", tanto più che la mancanza in atti del Documento di valutazione dei rischi impediva anche la pur minima congettura al riguardo.

Tanto premesso, va ricordato che il giudizio sulla necessità ed utilità di far ricorso allo strumento della consulenza tecnica d'ufficio rientra nel potere discrezionale del giudice del merito, la cui decisione è censurabile per cassazione solo ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (Cass. n. 7472 del 2017), e dunque, se del caso, scontando le preclusioni derivanti dalla doppia conforme in fatto previste dapprima dall'art. 348-ter c.p.c., u.c. e, adesso, dall'art. 360 c.p.c., comma 4, per come introdotto dal D.Lgs. n. 149 del 2022, art. 3, comma 27, lett. a). E poichè la fattispecie di doppia conforme in punto di fatto ricorre non solo quando la decisione di secondo grado è interamente corrispondente a quella di primo grado, ma anche quando le due statuizioni siano fondate sul medesimo iter logico-argomentativo in relazione ai fatti principali oggetto della causa, non ostandovi che il giudice di appello abbia aggiunto argomenti ulteriori per rafforzare o precisare la statuizione già assunta dal primo giudice (così Cass. n. 7724 del 2022), è fin troppo evidente che ogni censura al riguardo risulta in questa sede irrimediabilmente preclusa.

Non giova, in contrario, la censura di violazione dell'art. 2697 c.c. e degli artt. 414, 191 e 61 c.p.c., argomentata da parte ricorrente sul presupposto che non costituirebbe suo onere l'indicazione dell'agente patogeno in ipotesi presente sul luogo di lavoro: è sufficiente, al riguardo, rilevare che i giudici territoriali, nel confermare sul punto la statuizione di prime cure, hanno aggiunto che, anche a voler seguire sul punto le difese di parte attrice, le complessive allegazioni di cui al ricorso introduttivo del giudizio erano insufficienti al fine di esporre compiutamente le circostanze dell'avvenuta esposizione a rischio.

Nè a diverse conclusioni può pervenirsi considerando le censure di vizio di motivazione, su cui particolarmente insistono il secondo, il terzo e il quarto motivo di ricorso: nel precisare la portata del vizio di motivazione denunciabile in sede di legittimità a seguito della modifica dell'art. 360 c.p.c., n. 5, le Sezioni Unite di questa Corte hanno infatti chiarito che il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica del rispetto della previsione dell'art. 111 Cost., comma 6, che viene violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero si fondi su un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili o, ancora, risulti perplessa ed obiettivamente incomprensibile, sempre ammesso che il vizio emerga dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali, e ferma restando l'irrilevanza del semplice difetto di sufficienza della motivazione (così Cass. S.U. n. 8053 del 2014, seguita da innumerevoli successive conformi); e tanto basta, a parere del Collegio, per rilevare nel caso di specie la palese inammissibilità delle censure: è infatti evidente che, dietro la denuncia della violazione dell'art. 132 c.p.c., comma 1, n. 4, parte ricorrente si propone di criticare non già l'esistenza in sè, bensì appunto la sufficienza della motivazione rassegnata dai giudici territoriali, mediante un insistito confronto con le risultanze processuali che, a suo avviso, avrebbero potuto e dovuto giustificare una conclusione differente.

Sotto questo profilo, non reputa il Collegio di poter condividere la latitudine con cui Cass. n. 37022 del 2022, in una fattispecie - come la presente - di doppia conforme di merito, ha ammesso la sindacabilità in questa sede di legittimità della decisione di ricorrere o meno ad una consulenza tecnica d'ufficio: è infatti evidente che i precedenti richiamati da Cass. n. 37022 del 2022 cit. a supporto della conclusione secondo cui il rigetto dell'istanza di CTU richiederebbe sempre una "adeguata motivazione" (e precisamente Cass. nn. 72 del 2011 e 17399 del 2015) riguardano fattispecie anteriori alla modifica apportata all'art. 360 c.p.c., n. 5 dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54 (conv. con L. n. 134 del 2012), che - come chiarito da Cass. S.U. n. 8053 del 2014, cit. - ha privato di qualsiasi rilevanza la mera insufficienza della motivazione; nè giova, in contrario, sostenere che costituirebbe "un'aporia logica" rifiutare l'ammissione di una consulenza richiesta dalla parte onerata dell'onere probatorio di fatti che possono essere provati solo con il concorso di determinate cognizioni tecniche (così Cass. n. 37022 del 2022, cit., in motivazione): una volta acclarato che il giudizio sulla rilevanza e conducenza di un qualunque mezzo istruttorio richiesto dalle parti è istituzionalmente devoluto al giudice di merito ed è sindacabile in questa sede di legittimità solo per tramite dell'art. 360 c.p.c., n. 5 (giurisprudenza consolidata fin da Cass. n. 3393 del 1956), bisogna ammettere che la censura in questione costituisce l'unico strumento mercè il quale questa Corte di legittimità può controllare la "logica" del giudice di merito, con conseguente inammissibilità di ogni deduzione sul punto qualora ricorra un caso di doppia conforme sul punto.

Il ricorso, assorbito logicamente il quinto motivo, va pertanto dichiarato inammissibile, compensandosi tuttavia le spese del giudizio di legittimità in relazione al contrasto giurisprudenziale che ha giustificato la rimessione della causa alla pubblica udienza.

Tenuto conto della declaratoria d'inammissibilità del ricorso, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso.

 

P.Q.M.
 


La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Compensa le spese. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 24 maggio 2023.

Depositato in Cancelleria il 25 agosto 2023