Cassazione Penale, Sez. 4, 14 settembre 2023, n. 37487 - Neo assunto precipita sfondando il tetto del capannone


 


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FERRANTI Donatella - Presidente -

Dott. SERRAO Eugenia - Consigliere -

Dott. ESPOSITO Aldo - rel. Consigliere -

Dott. BELLINI Ugo - Consigliere -

Dott. CAPPELLO Gabriella - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
 


sul ricorso proposto da:

A.A., nato a (Omissis);

avverso la sentenza del 17/02/2020 della CORTE APPELLO di TRIESTE;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. ESPOSITO ALDO;

lette le conclusioni dell'AVV. GEN. Dott. FIMIANI PASQUALE, che ha chiesto dichiararsi l'inammissibilità del ricorso.
 

 

Fatto


1. Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Trieste, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Udine del 23 aprile 2018, ha rideterminato in anni uno e mesi due di reclusione la pena, già condizionalmente sospesa, inflitta nei confronti di A.A. in relazione al reato di cui all'art. 113 c.p. e art. 589 c.p., commi 1 e 2, per avere, nel cantiere edile sito a (Omissis), perchè, in concorso con gli originari coimputati, B.B., C.C. e D.D., in qualità di legale rappresentante (datore di lavoro) della ditta S.A.I. Ambiente Srl , per colpa generica e per violazione del D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 258, comma 3, per avere impiegato nei lavori comportanti esposizioni a fibre di amianto svolti nel citato cantiere, lavoratori e responsabili di cantiere (E.E. e B.B.) privi di adeguata formazione professionale non avendo gli stessi frequentato corsi di formazione di cui alla L. n. 257 del 1992, art. 10, comma 2, lett. h), D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 115, comma 1, provocato la morte di E.E., dipendente, da tre giorni, della ditta S.A.I. Ambiente (morte cerebrale a seguito di politrauma da precipitazione in infortunio sul lavoro con polo d'urto principale nella regione del capo e conseguenti lesioni traumatiche cranio encefaliche mortali).

In ordine alla ricostruzione della vicenda criminosa, i giudici di merito hanno esposto che la S.A.I. Ambiente era stata incaricata dalla ditta Edilfognature Spa di effettuare la raccolta dei pezzi di lastre di cemento/amianto, componenti la copertura di un fabbricato sito in (Omissis), danneggiate dalla Edilfognature durante i lavori di demolizione di uno stabile sito in via (Omissis) commissionati dal Comune di Bagnaria Arsa (contratto di appalto concernente la realizzazione di un'area di sosta e piazzola ecologica presso l'ex magazzino F.F. sito in via (Omissis)).

Nell'ambito dell'incarico, la S.A.I. Ambiente provvedeva anche ad effettuare, oltre la ripulitura dell'area, l'attività di ripristino della copertura del capannone danneggiato; per tale motivo noleggiava una piattaforma autosollevante ed acquistava alcune lastre di fibre/cemento da posizionare sul tetto dell'immobile danneggiato.

Per l'attività di ripristino della copertura del tetto dell'immobile i lavoratori della S.A.I. Ambiente, G.G. e E.E., si portavano, per mezzo della cesta auto-sollevante, sul tetto dell'edificio, tuttavia il E.E., privo, al pari del collega, di adeguati dispositivi di protezione per le cadute dall'alto, nonchè di adeguata formazione, precipitava a seguito dello sfondamento del tetto, da un'altezza di circa quattro metri, riportando gravi lesioni che ne provocavano la morte.

Al momento dell'infortunio, il E.E., assunto da appena tre giorni, stava eseguendo una lavorazione per conto della S.A.I. Ambiente sul tetto del capannone della (Omissis) che, durante la demolizione di un fabbricato contiguo, era stato danneggiato da parte della Edilfognature, società alla quale il Comune di Bagnaria Arsa aveva appaltato i lavori di demolizione e di realizzazione di un'area da adibire a parcheggio. Il E.E., al momento dell'infortunio, non indossava il vestiario previsto per le lavorazioni comportanti contatto con materiale contenente amianto, non indossava il casco, non era agganciato a una linea-vita, mai allestita, non aveva conseguito l'abilitazione per l'effettuazione di quel tipo di lavorazioni.

L'infortunio si era verificato a causa della caduta dal tetto del E.E. e il decesso era conseguito a morte cerebrale in politrauma da precipitazione con polo d'urto principale nella regione del capo.

2. Il A.A., a mezzo del proprio difensore, ricorre per Cassazione avverso la sentenza della Corte di appello, proponendo quattro motivi di impugnazione.

2.1. Violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento all'art. 597 c.p.p., art. 24 Cost., art. 111 Cost., comma 2, e art. 6, commi 1 e 3, CEDU. Si deduce che il P.M. non aveva impugnato la sentenza relativamente alla mancata adozione, da parte del Tribunale, della revoca della sospensione condizionale.

Su tale punto, pertanto, la sentenza di primo grado era divenuta definitiva e non potevano essere applicate altre misure.

Il Giudice di secondo grado non poteva affrontare una questione non oggetto di appello e ciò proprio per la disposizione di cui all'art. 597 c.p.p.. Tale problematica avrebbe dovuto formare oggetto di contraddittorio, in modo da consentire alla difesa di discutere e di presentare proprie difese.

In base al principio del divieto di reformatio in peius, a seguito di impugnativa proposta dal solo imputato, il giudice di appello, anche se irroga una sanzione della reclusione inferiore rispetto a quella già applicata dal Tribunale, non può fissare una pena complessiva avente un'afflittività superiore a quella determinata dal giudice di primo grado.

2.2. Violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento all'art. 533 c.p.p. e art. 530 c.p.p., comma 2.

Si rileva che la Corte di merito, nel procedimento motivazionale di accertamento della responsabilità del A.A., ha più volte utilizzato la categoria della "plausibilità" o "verosimiglianza" al fine di ritenere fondati ed accertati alcuni elementi probatori a suo carico. La "plausibilità" o la "verosimiglianza" non costituisce un metodo valutativo consentito e sufficiente, per affermare la responsabilità penale di un cittadino, quando emerge che i fatti si sono svolti in maniera difforme.

2.3. Violazione di legge, vizio di motivazione e travisamento della prova.

Si osserva che la Corte ha fondato il proprio convincimento su una prova inesistente e su un risultato di prova diverso da quello reale.

La Corte territoriale ha valutato esclusivamente le dichiarazioni parziali rese da alcuni testi e non quelle favorevoli agli imputati; non ha posto in relazione tra loro le varie testimonianze o le varie parti delle dichiarazioni rese dai testi, al fine di verificarne l'attendibilità e l'esistenza di eventuali riscontri.

In ordine alla questione del noleggio della piattaforma aerea, il teste G.G. evidenziava l'ampio potere decisionale del B.B. in tema di acquisti e di noleggi, tanto da aver assunto autonomamente iniziative analoghe anche in passato; egli precisava che il solo B.B. aveva assunto la decisione di noleggiare un'autoscala per sistemare la copertura del fabbricato. Il noleggiatore H.H., peraltro, esponeva che il B.B. aveva commissionato telefonicamente il noleggio della piattaforma aerea la mattina del giorno dell'infortunio, aggiungendo di non aver mai parlato con il A.A., del quale ignorava l'esistenza.

Il B.B., il Comune di Bagnaria Arsa, il coordinatore per la sicurezza I.I. o altri non avevano informato il A.A. che i lavoratori, e segnatamente la vittima E.E., avrebbero effettuato interventi in quota e/o, comunque, lavorazioni diverse dalla mera raccolta a terra dei frammenti di lastre, operazione, quest'ultima per la quale anche il de cuius risultava regolarmente abilitato (teste L.L., tecnico della ASS).

Non può essere addebitata una condotta omissiva al datore di lavoro che invii una squadra di dipendenti per effettuare una determinata operazione, assistita da idonea e puntuale documentazione amministrativa e per la quale essi risultino perfettamente formati ed informati nonchè adeguatamente attrezzati, allorquando un altro dipendente, fornito di competenze, funzioni e poteri che glielo consentono, con decisione autonoma, imprevista ed imprevedibile, assunta ipso facto, autonomamente disponga l'esecuzione di lavori del tutto differenti, caratterizzati da un grado enormemente più elevato di pericolosità, procurando ed allestendo attrezzature ed impianti assolutamente nuovi e diversi rispetto a quelli originariamente previsti.

2.4. Violazione dell'art. 40 c.p..

Si deduce, alla luce dei motivi di impugnazione sopra riportati, che era palese l'interruzione del nesso di causalità tra la condotta del A.A. e l'evento, verificatosi a causa di un fatto non rientrante nel potere di intervento del A.A..

2.5. Con memoria di replica del 25 maggio 2023 la difesa del A.A. insiste nella richiesta di accoglimento del ricorso.

Il ricorrente reitera i propri rilievi difensivi con particolare riferimento ai temi dell'insufficienza dei criteri valutativi di "plausibilità" o "verosimiglianza" adoperati dalla Corte triestina per giustificare il giudizio di colpevolezza nonchè dell'erroneità della statuizione di revoca della sospensione condizionale della pena per violazione del principio del ne bis in idem.

 

Diritto


1. Il ricorso è inammissibile.

2. In ordine al secondo, al terzo e al quarto motivo di ricorso, da trattare anticipatamente e congiuntamente per ragioni di connessione logica, in linea generale va premesso che il datore di lavoro che non adempie agli obblighi di informazione e formazione gravanti su di lui e sui suoi delegati risponde, a titolo di colpa specifica, dell'infortunio dipeso dalla negligenza del lavoratore che, nell'espletamento delle proprie mansioni, ponga in essere condotte imprudenti, trattandosi di conseguenza diretta e prevedibile della inadempienza degli obblighi formativi, nè l'adempimento di tali obblighi è surrogabile dal personale bagaglio di conoscenza del lavoratore (Sez. 4, n. 8163 del 13/02/2020, Lena, Rv. 278603, relativa a fattispecie in cui la Corte ha ritenuto immune da censure il riconoscimento della responsabilità del datore di lavoro per la morte di un lavoratore, ascrivibile al non corretto uso di un macchinario dovuto all'omessa adeguata formazione sui rischi del suo funzionamento; Sez. 4, n. 49593 del 14/06/2018, T., Rv. 274042, che ha precisato altresì che l'adempimento di tali obblighi non è escluso nè è surrogabile dal personale bagaglio di conoscenza del lavoratore, formatosi per effetto di una lunga esperienza operativa, o per il travaso di conoscenza che comunemente si realizza nella collaborazione tra lavoratori, anche posti in relazione gerarchica tra di loro).

Peraltro, il D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, art. 18, comma 1, lett. d), che impone di fornire ai lavoratori i necessari e idonei dispositivi di protezione individuale, costituisce un precetto al quale il datore di lavoro è tenuto a conformarsi (Sez. 3, n. 13096 del 17/01/2017, Molino, Rv. 269332; Sez. 3, n. 25739 del 15/03/2012, Trentini, Rv. 252977).

Nelle società di capitali, gli obblighi inerenti alla prevenzione degli infortuni posti dalla legge a carico del datore di lavoro gravano indistintamente su tutti i componenti del consiglio di amministrazione, salvo il caso di delega, validamente conferita, della posizione di garanzia (Sez. 4, n. 8118 del 01/02/2017, G., Rv. 269133, in fattispecie in cui la Corte ha ritenuto esente da censure la sentenza di condanna del Presidente del Consiglio di amministrazione di una società per l'infortunio occorso ad un dipendente a causa della mancata manutenzione dei macchinari cui lo stesso era assegnato).

In materia di infortuni sul lavoro, gli obblighi di prevenzione, assicurazione e sorveglianza gravanti sul datore di lavoro possono essere delegati, con conseguente subentro del delegato nella posizione di garanzia che fa capo al delegante, a condizione che il relativo atto di delega sia espresso, inequivoco e certo ed investa persona tecnicamente capace, dotata delle necessarie cognizioni tecniche e dei relativi poteri decisionali e di intervento, fermo restando, comunque, l'obbligo, per il datore di lavoro, di vigilare e di controllare che il delegato usi correttamente la delega, secondo quanto la legge prescrive (Sez. 4, n. 24908 del 29/01/2019, Ferrari, Rv. 276335; Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014, Espenhahn, Rv. 261109).

A ciò va aggiunto che, in materia di infortuni sul lavoro, l'onere della prova circa l'avvenuto conferimento della delega di funzioni - e del conseguente trasferimento ad altri soggetti degli obblighi di prevenzione, assicurazione e sorveglianza gravanti sul datore di lavoro - grava su chi l'allega, trattandosi di una causa di esclusione di responsabilità (Sez. 4, n. 44141 del 19/07/2019, Macaluso, Rv. 277360; Sez. 3, n. 14352 del 10/01/2018, Bulfaro, Rv. 272318).

2.1. Ciò posto sui principi giurisprudenziali operanti in materia, la Corte territoriale, con motivazione lineare e coerente, ha affermato la responsabilità del A.A., nelle qualità di legale rappresentante della S.A.I. Ambiente Srl e di datore di lavoro del dipendente E.E., in ragione dell'inadempienza agli obblighi di formazione e di messa a disposizione di idonei dispositivi di protezione.

La Corte distrettuale, facendo corretto uso dei suindicati principi, ha logicamente escluso l'esistenza di una valida delega di A.A. a B.B. degli obblighi di prevenzione, assicurazione e sorveglianza e, pertanto, il subentro di tale sottoposto nella sua posizione di garanzia.

La Corte triestina, peraltro, ha respinto la tesi difensiva, secondo cui al A.A. risultava che le lavorazioni concernessero la sola raccolta a terra e lo smaltimento di alcuni pezzi di eternit, mentre non sarebbe stato informato dal B.B., dal coordinatore per la sicurezza I.I. o da altri della tipologia di intervento in quota (riparazione di un tetto) da eseguire.

Le corrette valutazioni dei giudici di merito sono state basate sulle seguenti argomentazioni:

A) Per l'esecuzione dell'intervento in quota, la S.A.I. Ambiente aveva noleggiato una piattaforma aerea, noleggio comportante un costo rispetto al quale non era stato riconosciuto un potere di spesa al B.B., che aveva materialmente provveduto al noleggio e al ritiro del mezzo lo stesso giorno dell'infortunio, circostanza che lasciava ragionevolmente presumere la preventiva comunicazione del B.B. al A.A. di tale iniziativa e di tale spesa.

B) Non era ipotizzabile che, nella S.A.I. Ambiente, società di modeste dimensioni, il A.A., legale rappresentante e datore di lavoro, potesse aver ignorato un'intera lavorazione e che la stessa fosse stata intrapresa per un'iniziativa autonoma, imprevista ed imprevedibile di un dipendente esecutivo privo di mansioni dirigenziali.

C) L'intervento di riparazione del tetto era consistito nella rimozione di parti di lastre di eternit danneggiate, ulteriori rispetto a quelle già cadute al suolo; rimosse le lastre, o le parti di lastre rimaste sul tetto e portate a terra, esse erano aggiunte a quelle già cadute, per provvedere quindi al loro contestuale smaltimento (dichiarazioni del teste G.G.). Ne consegue che, ragioni di elementare economia deponevano nel senso di un intervento unico, presupponente anche la preventiva rimozione di tutte le lastre di amianto comunque danneggiate dalla Edilfognature, in vista del loro globale smaltimento; volendo immaginare una scelta diversa, si sarebbe dovuto programmare un primo intervento per raccogliere i frantumi di tre lastre già cadute al suolo e un secondo per raccogliere gli ulteriori frammenti rimasti sul tetto, quando fossero stato in seguito rimossi. Peraltro, era ipotizzabile che anche la rimozione di elementi di amianto fosse stata - di fatto - affidata alla S.A.I. Ambiente, che possedeva una specifica competenza in materia, come da oggetto sociale.

D) Gli elementi suindicati lasciavano logicamente supporre che anche i lavori in quota per la rimozione completa delle lastre di amianto fossero stati affidati ab origine, anche se non ufficialmente, alla S.A.I. Ambiente, almeno stando al contenuto del documento rappresentato dalla prescritta "notifica" di bonifica inviata all'A.S.S. dalla S.A.I. Ambiente, datata 23 settembre 2011, riguardante solo un'attività di raccolta a terra (incarico ricevuto da Edilfognature per la raccolta e lo smaltimento di tre lastre di eternit in spezzoni per circa sette mq.).

E) Come riferito dal teste L.L., del Dipartimento di Prevenzione, mentre per la semplice raccolta di materiale a terra è sufficiente la mera "notifica", la rimozione anche di una sola lastra di eternit non può essere gestita con l'istituto della "notifica" ma richiede la predisposizione di un piano di lavoro, da presentare almeno trenta giorni prima dell'inizio dei lavori (pag. 55 della trascrizione dell'esame; anche il teste M.M., che l'aveva redatta per la S.A.I. Ambiente precisava che si trattava di una "notifica" e non di un "piano di lavoro"). La S.A.I. Ambiente, presumibilmente, aveva scelto l'iter più rapido, tacendo all'A.S.S. i lavori di rimozione (e per giunta mandando sul cantiere lavoratori diversi da quelli indicati nella "notifica"), piuttosto che B.B. si fosse assunto in prima persona la responsabilità di agire in deroga alla "notifica" presentata, eseguendo lavori non comunicati all'A.S.S. e prima dei trenta giorni previsti.

F) Si è escluso che il B.B. potesse aver assunto da solo, lo stesso giorno dell'infortunio, anche le iniziative comportanti un esborso economico per la società della quale era dipendente, quali l'acquisto delle lastre in fibrocemento, che dovevano sostituire le lastre in eternit da rimuovere dal tetto (vedi le deposizioni del G.G. e del L.L. e le fotografie del tetto, che mostravano una nuova lastra già effettivamente posizionata al posto della vecchia).

G) Secondo la Corte distrettuale, il B.B., non a conoscenza dei rapporti e degli accordi tra la Edilfognature e la S.A.I. Ambiente, non poteva aver impegnato economicamente quest'ultima per lavori non previsti nella "notifica" e che potevano non essere riconosciuti dalla Edilfognature alla S.A.I. Ambiente e/o a lui stesso e che potevano persino rendere non più conveniente per la S.A.I. Ambiente il lavoro alla stessa commissionato.

2.2. Orbene, quanto alle plurime censure del ricorrente va richiamato l'insegnamento delle Sezioni Unite di questa Corte, secondo cui il vizio logico della motivazione deducibile in sede di legittimità deve risultare dal testo della decisione impugnata e deve essere riscontrato tra le varie proposizioni inserite nella motivazione, senza alcuna possibilità di ricorrere al controllo delle risultanze processuali; con la conseguenza che il sindacato di legittimità deve essere limitato soltanto a riscontrare l'esistenza di un logico apparato argomentativo, senza spingersi a verificare l'adeguatezza delle argomentazioni, utilizzate dal giudice del merito per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali (Sez. U, n. 47289 del 24/09/2003, Petrella, Rv. 226074).

Tale principio, è stato più volte ribadito da questa Corte, precisandosi che, in tema di giudizio di Cassazione, sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Musso, Rv. 265482).

Delineato in tali termini l'orizzonte del presente scrutinio di legittimità, si osserva che il ricorrente invoca, in realtà, una riconsiderazione alternativa del compendio probatorio, con riguardo all'affermazione di responsabilità penale.

Invero, il deducente, nell'affrontare le specifiche tematiche delle risultanze processuali, si duole della mancata valorizzazione di determinati elementi di fatto, omettendo di confrontarsi col percorso argomentativo sviluppato dalla Corte di appello.

Sono manifestamente infondate anche le doglianze, con cui il ricorrente si duole dell'utilizzo delle nozioni di "plausibilità" o di "verosimiglianza", al fine di qualificare elementi probatori a sostegno dell'impianto accusatorio.

Al riguardo, va ricordato che, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, il canone dell'"oltre ogni ragionevole dubbio", quale regola di giudizio che conforma la valutazione degli indizi e il metodo di accertamento del fatto, è da ritenersi rispettato anche nel caso in cui - come nella fattispecie in esame - i comportamenti umani e le conseguenze da essi derivanti sono giudicati sulla base di regole di esperienza, quando non sono espressivi di una relazione di mera verosimiglianza e plausibilità, ma hanno una base razionale, seppur presuntiva (Sez. 1, n. 34032 del 01/07/2022, Scapin, Rv. 283987). Appare altresì rispettato il principio secondo cui, In tema di valutazione della prova indiziaria, il ricorso al criterio di verosimiglianza e alle massime d'esperienza conferisce al dato preso in esame valore di prova solo se può escludersi plausibilmente ogni spiegazione alternativa che invalidi l'ipotesi all'apparenza più verosimile (Sez. 4, n. 22790 del 13/04/2018, Mazzeo, Rv. 272995).

Analogamente deve escludersi che la vicenda sia ricollegabile ad una condotta abnorme del B.B., in quanto, per le ragioni sopra riportate, deve escludersi che egli abbia agito autonomamente e senza specifiche indicazioni del A.A..

La Corte triestina ha sviluppato una ricostruzione logica della vicenda, privilegiando legittimamente la propria ricostruzione fattuale rispetto a quella prospettata dalla difesa sulla base di alcune testimonianze (vedi sopra l'esposizione in fatto).

La difesa, peraltro, non ha allegato al ricorso i verbali delle deposizioni testimoniali invocate nè li ha specificamente richiamati, in violazione del principio di autosufficienza.

3. Relativamente al tema oggetto del primo motivo di ricorso, deve tenersi conto del pacifico insegnamento della Suprema Corte (Sez. U, n. 7551 del 08/04/1998, Cerroni, Rv. 210798), secondo il quale il provvedimento di revoca della sospensione condizionale della pena nei casi previsti dall'art. 168 c.p., comma 1, ha natura dichiarativa e presuppone il rilievo di natura constatativa della verificazione delle cause risolutive del beneficio, stabilite per legge, il cui effetto si è già prodotto prima ancora della pronuncia giudiziale ed indipendente da essa.

Poichè in tale situazione al giudice è rimesso un intervento decisorio privo di contenuti valutativi e di opzioni discrezionali, non dissimile da quello del giudice dell'esecuzione che provveda dopo la formazione dei titoli esecutivi, la sua adozione è consentita anche nel grado di appello e pur a fronte di impugnazione proposta dal solo imputato, senza che ciò comporti la violazione del divieto di reformatio in peius (Sez. 2, n. 37009 del 30/6/2016, Seck, Rv. 267913; Sez. 2, n. 4381 del 13/01/2015, Marino, Rv. 262375).

In ossequio a tale principio, la Corte di merito ha disposto la revoca della sospensione condizionale della pena concessa con la sentenza impugnata e con la sentenza del G.U.P. del Tribunale di Gorizia del 31 maggio 2018, irrevocabile il 28 giugno 2018, trattandosi di un'ipotesi di revoca di diritto ex art. 168 c.p., comma 1, n. 2.

Ne consegue che non è stato violato il divieto di reformatio in peius, principio che sarebbe stato violato solo in caso di revoca discrezionale.

4. Per le ragioni che precedono, il ricorso va dichiarato inammissibile con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e - non sussistendo ragioni di esonero - al versamento della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

 

P.Q.M.


Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, il 30 maggio 2023.

Depositato in Cancelleria il 14 settembre 2023