Responsabilità di un addetto alla sicurezza di un cantiere e del capo-cantiere che, in occasione di un intervento di riparazione da effettuare sulla copertura di un serbatoio, avevano omesso di adottare misure per il controllo della situazione di rischio, che si era presentata a seguito dell'intervento di manutenzione straordinaria sul serbatoio, e di fare allontanare i lavoratori dalla zona di pericolo, così cagionando l'infortunio mortale di un lavoratore: quest'ultimo, incaricato di effettuare insieme ad altri colleghi il fissaggio provvisorio delle lamiere di copertura del serbatoio mediante una fune da ancorare alle parti fisse della struttura, rimandando poi il ripristino completo ad un momento successivo in assenza di vento, si era posizionato sulla sommità del serbatoio al di sopra di una lamiera per compiere la predetta operazione di ancoraggio, allorquando una forte raffica di vento aveva sollevato la lamiera sulla quale l'operaio si trovava determinandone la caduta al suolo da un'altezza di diversi metri con conseguente immediato decesso.

 

Condannati entrambi in primo grado, soltanto B., addetto alla sicurezza, fu assolto in secondo grado sul rilievo del dubbio in ordine alla sussistenza del nesso causale tra la posizione di garanzia del medesimo ed il tragico evento.

 

Ricorre in Cassazione il capo-cantiere -  Rigetto.

 

Secondo il ricorrente, il giudice di secondo grado avrebbe escluso la riconducibilità dell'evento ad una causa assolutamente imprevista ed imprevedibile, quale la raffica di vento di notevole violenza.

 

Premesso che "le dedotte censure, pur diffuse ed argomentate, risultano peraltro basate su considerazioni già compiutamente vagliate in sede di merito, e, anche se prospettate sotto gli asseriti profili di violazione di legge e vizio motivazionale, tendono per lo più ad una rivalutazione delle risultanze processuali non consentita in sede di legittimità", la Corte afferma che "con specifico riferimento alle deduzioni del ricorrente, concernenti l'asserita imprevedibilità dell'evento, è sufficiente evidenziare un dato oggettivo di assorbente rilievo probatorio: la lamiera era stata precedentemente sradicata proprio dal vento."


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MORGIGNI Antonio - Presidente
Dott. BRUSCO Carlo Giusep - rel. Consigliere
Dott. ROMIS Vincenzo - Consigliere
Dott. IZZO Gioacchino - Consigliere
 Dott. MARINELLI Felicetta - Consigliere  
   
 ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
1) VE. AN. N. IL (OMESSO);
avverso la sentenza n. 825/2007 CORTE APPELLO di FIRENZE, del 19/03/2009;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 26/02/2010 la relazione fatta dal Consigliere Dott. VINCENZO ROMIS;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. GALATI Giovanni che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso;
udito il difensore avv. Rasa, in sostituzione dell'avv. Neri che ha concluso per l'accoglimento del ricorso.
 
 
Fatto
 
 
Ve. An. e Bi. Gi. venivano tratti a giudizio dinanzi al Tribunale di Livorno per rispondere del reato di omicidio colposo in danno di B. M., commesso per negligenza nonchè per violazione della normativa antinfortunistica perchè - il Bi. nella veste di addetto alla sicurezza di cantiere ed il Ve. nella veste di capo-cantiere - in occasione di un intervento di riparazione da effettuare sulla copertura di un serbatoio all'interno dello stabilimento Ag. Pe. di (OMESSO), avevano omesso di adottare misure per il controllo della situazione di rischio, che si era presentata a seguito dell'intervento di manutenzione straordinaria sul serbatoio, e di fare allontanare i lavoratori dalla zona di pericolo, così cagionando l'infortunio mortale del B. verificatosi secondo la seguente dinamica: il B. , dipendente della Te. , incaricato di effettuare insieme ad altri colleghi il fissaggio provvisorio delle lamiere di copertura del serbatoio, parzialmente diverte dal vento, mediante una fune da ancorare alle parti fisse della struttura, rimandando poi il ripristino completo ad un momento successivo in assenza di vento, si era posizionato sulla sommità del serbatoio al di sopra di una lamiera per compiere la predetta operazione di ancoraggio, allorquando una forte raffica di vento aveva sollevato la lamiera sulla quale l'operaio si trovava determinandone la caduta al suolo da un'altezza di diversi metri con conseguente immediato decesso.

Il Tribunale affermava la penale responsabilità dei due imputati condannandoli alla pena ritenuta di giustizia.

A seguito di gravame ritualmente proposto, la Corte d'Appello di Firenze assolveva il Ba. ai sensi dell'articolo 530 c.p.p., comma 2, - sul rilievo del dubbio in ordine alla sussistenza del nesso causale tra la posizione di garanzia del medesimo ed il tragico evento - mentre confermava l'affermazione di colpevolezza del Ve. motivando il proprio convincimento al riguardo con argomentazioni che possono così riassumersi:
 
a) alla violenta raffica di vento che aveva sollevato la lamiera sulla quale si trovava il B. , producendo il cd. "effetto vela", non potevano riconoscersi connotazioni di assoluta imprevedibilità, posto che:
1) le condizioni meteorologiche in atto, prima e durante l'infortunio - e cioè lo spirare di un forte vento di libeccio proveniente dal mare - erano tali da rendere prevedibile che al vento potessero accompagnarsi anche raffiche, pur incostanti, di forte intensità e violenza, anche perchè il vento spirava dal mare, l'area di lavoro era a ridosso della costa e la sommità del serbatoio, dove si trovava il B. , era ancor più esposta alle raffiche;
2) era stato proprio il vento di libeccio a sradicare la lamiera di protezione al tetto del serbatoio;
3) l'operaio Ca. En. aveva dichiarato che una volta giunto sulla sommità del serbatoio si era accasciato a terra aggrappandosi ad una fune perchè c'era molto vento ed aveva paura, mentre un altro operaio, Go. , aveva dovuto desistere perchè non vedeva più nulla a causa della polvere sollevata dal vento ed entrata negli occhi;
 
b) stante la sua veste di capo-cantiere, il Ve. avrebbe dovuto vietare al suo subordinato B. - ancorchè questi gli  avesse preso la mano assumendo l'iniziativa di procedere al lavoro - di salire sulla sommità del serbatoio, in quelle condizioni, ed avrebbe dunque dovuto opporsi all'iniziativa del B. ; il manuale di gestione di sicurezza del cantiere, gli assegnava il compito di "mai dare corso ad un lavoro se non sono garantite le massime condizioni di sicurezza; fermare il corso dei lavori nel caso in cui ne rilevi la necessità per motivi di sicurezza".
 
Avverso detta sentenza ha presentato ricorso per Cassazione il Ve. deducendo vizio motivazionale in ordine alle valutazioni probatorie sul rilievo che, a suo avviso, il giudice di secondo grado avrebbe escluso la riconducibilità dell'evento ad una causa assolutamente imprevista ed imprevedibile, quale la raffica di vento di notevole violenza, uniformandosi acriticamente alla sentenza di primo grado, valorizzando esclusivamente talune deposizioni, ed ignorando quelle di segno contrario, senza neanche prendere in esame le indicazioni fornite dal consulente della difesa.
 
A tale riguardo il ricorrente afferma che il rilevamento più attendibile e più idoneo a rappresentare l'intensità del vento al momento dell'infortunio dovrebbe ritenersi quello espresso dalla postazione ubicata presso la calata "(OMESSO)" (postazione (OMESSO)) in zona portuale, tenuto conto della differente orografia del terreno delle varie postazioni oggetto delle rilevazioni concernenti la forza del vento; il consulente della difesa, muovendo dal dato accertato dell'intensità del vento presso la postazione ubicata a calata "(OMESSO)" pari a 23,4 Km/h, ed avendo calcolato in 89 km/h la forza del vento che a suo parere sarebbe stata necessaria per determinare l'evento, ha concluso che questo si sarebbe verificato in conseguenza di una raffica di vento superiore al 300% rispetto al dato fornito dalla postazione ubicata a calata "(OMESSO)": il ricorrente evidenzia che in proposito non vi è alcun accenno nella sentenza impugnata.
 
Diritto
 
 
Il ricorso deve essere rigettato per le ragioni di seguito indicate.

Le dedotte censure, pur diffuse ed argomentate, risultano peraltro basate su considerazioni già compiutamente vagliate in sede di merito, e, anche se prospettate sotto gli asseriti profili di violazione di legge e vizio motivazionale, tendono per lo più ad una rivalutazione delle risultanze processuali non consentita in sede di legittimità.
Nella concreta fattispecie la decisione impugnata si presenta formalmente e sostanzialmente legittima ed i suoi puntuali contenuti motivazionali - quali sopra riportati (nella parte relativa allo "svolgimento del processo") e da intendersi qui integralmente richiamati onde evitare superflue ripetizioni - forniscono, con argomentazioni basate su una corretta utilizzazione e valutazione delle risultanze probatorie, esauriente e persuasiva risposta ai quesiti concernenti l'infortunio oggetto del processo: la Corte distrettuale, dopo aver analizzato tutti gli aspetti della vicenda (dinamica dell'infortunio, condotta del dipendente, nesso causale) ha spiegato le ragioni per le quali ha ritenuto sussistente l'addebito mosso all'imputato.
Con le dedotte doglianze il ricorrente, per contrastare la solidità delle conclusioni cui è pervenuto il giudice del merito, non ha fatto altro che riproporre in questa sede - attraverso considerazioni e deduzioni svolte prevalentemente in chiave di merito - tutta la materia del giudizio, adeguatamente trattata, in relazione ad ogni singola tematica, dalla Corte territoriale.
Neppure possono assumere rilievo, nella concreta fattispecie, le modifiche apportate dalla Legge n. 46 del 2006 (cd. Legge Pecorella) all'articolo 606 c.p.p..
A fronte dei motivi di ricorso formulati dal ricorrente, compito di questa Corte non è quello di ripetere l'esperienza conoscitiva del Giudice di merito, bensì quello di verificare se il ricorrente sia riuscito a dimostrare, in questa sede di legittimità, l'incompiutezza strutturale della motivazione della Corte di merito; incompiutezza che derivi dal non aver tenuto presente, la Corte distrettuale, fatti decisivi, di rilievo dirompente dell'equilibrio della decisione impugnata.
In realtà, le deduzioni del ricorrente non risultano in sintonia con il senso dell'indirizzo interpretativo di questa Corte secondo cui (Sez. 6, Sentenza n. 38698 del 26/09/2006, Rv. 234989, imp. Moschetti ed altri) la Corte di Cassazione deve circoscrivere il suo sindacato di legittimità, sul discorso giustificativo della decisione impugnata, alla verifica dell'assenza, in quest'ultima, di argomenti viziati da evidenti errori di applicazione delle regole della logica, o fondati su dati contrastanti con il senso della realtà degli appartenenti alla collettività, o connotati da vistose e insormontabili incongruenze tra loro, oppure inconciliabili, infine, con "atti del processo", specificamente indicati dal ricorrente e che siano dotati autonomamente di forza esplicativa o dimostrativa tale che la loro rappresentazione disarticoli l'intero ragionamento svolto, determinando al suo interno radicali incompatibilità così da vanificare o da rendere manifestamente incongrua la motivazione.
Ciò posto, se la denuncia del ricorrente va letta alla stregua dei contenuti concettuali dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), come modificato dalla Legge n. 46 del 2006, occorre allora tener conto che:
1) la legge citata non ha normativamente riconosciuto il travisamento del fatto, anzi lo ha escluso: semmai, può parlarsi di "travisamento della prova", che, nel rinnovato indirizzo interpretativo di questa Corte, ha un duplice contenuto, con riguardo a motivazione del Giudice di merito o difettosa per commissione o difettosa per omissione, a seconda che il Giudice di merito, cioè, incorra in una utilizzazione di un'informazione inesistente, ovvero in una omissione decisiva della valutazione di una prova (Sez. 2, n. 13994 del 23/03/2006, Rv. 233460, P.M. in proc. Napoli).
In sostanza, la riforma della Legge n. 46 del 2006 ha introdotto un onere rafforzato di specificità per il ricorrente in punto di denuncia del vizio di motivazione.
Infatti, il nuovo testo dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e) - nel far riferimento ad atti del processo che devono essere dal ricorrente "specificamente indicati" - detta una previsione aggiuntiva ed ulteriore rispetto a quella contenuta nell'articolo 581 c.p.p., lettera c) (secondo cui i motivi di impugnazione devono contenere "l'indicazione specifica delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta").
Con la conseguenza che sussiste a carico del ricorrente - accanto all'onere di formulare motivi di impugnazione specifici e conformi alla previsione dell'articolo 581 c.p.p. - anche un peculiare onere di inequivoca "individuazione" e di specifica "rappresentazione" degli atti processuali ritenuti rilevanti in relazione alla doglianza dedotta, onere da assolvere nelle forme di volta in volta più adeguate alla natura degli atti stessi, e cioè integrale esposizione e riproduzione nel testo del ricorso, allegazione in copia, precisa identificazione della collocazione dell'atto nel fascicolo del giudice et similia (cfr. Sez. 1, n. 20370 del 20/04/2006, Rv. 233778, imp. Simonetti ed altri).
In forza di tale principio (cosiddetta autosufficienza del ricorso) si impone, inoltre, che in ricorso vengano puntualmente ed adeguatamente illustrate le risultanze processuali considerate rilevanti e che dalla stessa esposizione del ricorso emerga effettivamente una manifesta illogicità del provvedimento, pena altrimenti l'impossibilità, per la Corte di Cassazione, di procedere all'esame diretto degli atti (in tal senso, "ex plurimis", Sez. 1 n. 16223 del 02/05/2006, Rv. 233781 imp. Scognamiglio): manifesta illogicità motivazionale assolutamente insussistente nel caso in esame, se si tiene conto delle argomentate risposte fornite dalle integrative pronunce di primo e secondo grado alle questioni poste dalla difesa dell'imputato.
Ma v'è di più, posto che, sempre con riferimento alla portata delle innovazioni della Legge n.46 del 2006 relativamente allo specifico caso di ricorso per cassazione di cui all'articolo 606 c.p.p., lettera e), non è  sufficiente:
a) che gli atti del processo evocati con il ricorso siano semplicemente "contrastanti" con particolari accertamenti e/o valutazioni del giudicante, o con la sua ricostruzione complessiva (e finale) dei fatti e delle responsabilità;
b) nè che tali atti possano essere astrattamente idonei a fornire una ricostruzione più persuasiva di quella fatta propria dal giudicante.
Occorre invece che gli "atti del processo", presi in considerazione per sostenere l'esistenza di un vizio della motivazione, siano "decisivi", ossia autonomamente dotati di una forza esplicativa o dimostrativa tale che la loro rappresentazione disarticoli l'intero ragionamento svolto dal giudicante e determini al suo interno radicali incompatibilità così da vanificare o da rendere manifestamente incongrua o contraddittoria la motivazione.
In definitiva: la nuova formulazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), introdotta dalla Legge 20 febbraio 2006, n. 46, articolo 8, nella parte in cui consente la deduzione, in sede di legittimità, del vizio di motivazione sulla base, oltre che del "testo del provvedimento impugnato", anche di "altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame", non ha mutato la natura del giudizio di cassazione, che rimane pur sempre un giudizio di legittimità, per cui gli atti in questione non possono che essere quelli concernenti fatti decisivi che, se convenientemente valutati (non solo singolarmente, ma in relazione all'intero contesto probatorio), avrebbero potuto determinare una soluzione diversa da quella adottata, rimanendo comunque esclusa la possibilità che la verifica sulla correttezza e completezza della motivazione (cui deve limitarsi la corte di cassazione) possa essere confusa con una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito (Sez. 2, n. 19584 del 05/05/2006, Rv. 233775, imp. Capri ed altri).

Tenendo conto di tutti i principi testè ricordati, deve dunque concludersi che, nel caso di specie, le argomentazioni poste a base delle censure appena esaminate non valgono a scalfire la congruenza logica del complesso motivazionale impugnato, alla quale il ricorrente ha inteso piuttosto sostituire una sua perplessa visione alternativa del fatto facendo riferimento all'articolo 606 c.p.p., lettera e): pur asserendo di volere contestare l'omessa o errata ricostruzione di risultanze della prova dimostrativa, il ricorrente, in realtà, ha piuttosto richiesto a questa Corte un intervento in sovrapposizione argomentativa rispetto alla decisione impugnata, e ciò ai fini di una lettura della prova alternativa rispetto a quella, congrua e logica, fornita dalla Corte di merito.
Le allegazioni difensive non valgono dunque a disarticolare l'apparato argomentativo delle integrative pronunce di primo e secondo grado (trattasi di doppia conforme): è principio pacifico in giurisprudenza quello secondo cui, nel caso di doppia conforme, le motivazioni della sentenza di primo grado e di appello, fondendosi, si integrano a vicenda, confluendo in un risultato organico ed inscindibile al quale occorre in ogni caso fare riferimento per giudicare della congruità della motivazione (in termini, "ex plurimis", Sez. 3, n. 4700 del 14/02/1994 Ud. - dep. 23/04/1994 - Rv. 197497; conf. Sez. 2, n. 11220 del 13/11/1997 Ud. - dep. 05/12/1997 - Rv. 209145).
 
Con specifico riferimento alle deduzioni del ricorrente, concernenti l'asserita imprevedibilità dell'evento, è sufficiente evidenziare un dato oggettivo di assorbente rilievo probatorio: la lamiera era stata precedentemente sradicata proprio dal vento.
 
Al rigetto del ricorso segue, per legge, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
 
 
P.Q.M.
 
 
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.