Cassazione Penale, Sez. 4, 04 agosto 2023, n. 34340 - Lavoratore investito in retromarcia durante i lavori autostradali. Rischi interferenziali



REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI SALVO Emanuele - Presidente -

Dott. RANALDI Alessandro - Consigliere -

Dott. RICCI Anna Luisa - Consigliere -

Dott. D’ANDREA Alessandro - Consigliere -

Dott. DAWAN Daniela - rel. Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
 


sul ricorso proposto da:

A.A., nato a (Omissis);

B.B., nato a (Omissis);

C.C., nato a (Omissis);

D.D., nato a (Omissis);

TECO STRADE Srl avverso la sentenza del 09/06/2022 della CORTE APPELLO di SALERNO;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. DANIELA DAWAN;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dr. CASELLA GIUSEPPINA, che ha concluso chiedendo il rigetto di tutti i ricorsi.

udito il difensore:

E' presente per l'avvocato STELLATO GIUSEPPE del foro di SANTA MARIA CAPUA VETERE, difensore di fiducia del ricorrente A.A., il sostituto processuale Avvocato Umberto PAPPADIA stesso foro, come da delega orale il quale dopo aver illustrato ampiamente i motivi di ricorso insiste nell'accoglimento chiedendo l'annullamento della sentenza impugnata.

Per l'avvocato CONTRADA LORENZO del foro di ROMA, difensore di fiducia del ricorrente B.B. è presente il sostituto processuale Avvocato Cristiano SAVATTERI stesso foro, come da delega orale il quale riassumendo i motivi di ricorso ne chiede l'integrale accoglimento.

E' presente l'avvocato Andrea RUGGIERO del foro di Roma in qualità di sostituto processuale sia dell'avvocato DE CARO AGOSTINO del foro di SALERNO, difensore del ricorrente D.D., come da delega ex art. 102 c.p.p. depositata in udienza che dell'avvocato MATRONE FRANCESCO del foro di NOCERA INFERIORE, difensore di C.C. e della Soc.tà TE.CO STRADE Srl , per delega orale. L'avvocato Ruggero per tutti i ricorrenti si riporta ai motivi di ricorso chiedendone l'accoglimento.

 

Fatto


1. Con la sentenza in epigrafe indicata, la Corte di appello di Salerno ha confermato la sentenza del Tribunale di Salerno che ha dichiarato A.A., B.B., C.C., D.D., colpevoli del reato di cui all'art. 589 c.p., comma 2, perchè, per colpa generica e per colpa specifica, concretatasi nella violazione delle norme sulla sicurezza del lavoro, specificamente indicate nei rispettivi capi di imputazione cui si rimanda, cagionavano la morte di E.E. ((Omissis)). Con la pronuncia di condanna degli imputati, veniva altresì ritenuta la responsabilità amministrativa delle società agli stessi riferibili chiamate a rispondere dell'illecito amministrativo di cui al D.Lgs. 8 giugno 2001, n. 231, art. 5, comma 1, lett. a) e art. 25-septies, comma 2.

1.2. Gli editti accusatori: A.A., quale datore di lavoro-amministratore unico della ditta "B.B. Costruzioni s.p.a.", esecutrice dei lavori dello svincolo autostradale (Omissis), ometteva di attuare quanto previsto nel relativo Piano di Sicurezza e Coordinamento e nel Piano Operativo di Sicurezza, con specifico riguardo alla necessità di predisporre delimitazioni e recinzioni alle aree di lavorazione e, in particolare, come previsto dal POS, la recinzione fissa in rete elettrosaldata con altezza minima di metri 2,00, sorretta da piantoni in metallo infissi nel terreno, a confine dell'area del lotto di pertinenza del cantiere di costruzione dello svincolo, con predisposizione di segnaletica di sicurezza; B.B., direttore di cantiere-procuratore speciale-datore di lavoro delegato della ditta "7Rufoli Soc. Cons. a.r.l.", esecutrice dei lavori di "Ammodernamento (Omissis), ometteva di attuare quanto previsto nel Piano di Sicurezza e Coordinamento e nel Piano Operativo di Sicurezza, relativi ai lavori di pertinenza della propria società, con specifico riguardo alla necessità di adottare le misure conformi alle prescrizioni di cui all'allegato XIII, punto 7, D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81 e, cioè, di mettere in evidenza il tracciato delle vie di circolazione, alla necessità di predisporre la recinzione del proprio cantiere e la segnaletica di sicurezza atte ad impedire l'accesso ad estranei, alla necessità di predisporre le misure necessarie ad impedire investimenti da parte dei mezzi circolanti nell'area di cantiere; C.C. - datore di lavoro e amministratore unico della ditta "TE.CO Strade Srl ", ditta subappaltatrice esecutrice dei lavori in conglomerato bituminoso, in forza di contratto di subappalto stipulato con la predetta "7Rufoli Soc. Cons. a.r.l." - ometteva di attuare quanto previsto nel Piano di Sicurezza e Coordinamento e nel Piano Operativo di Sicurezza relativi ai lavori di propria pertinenza, con particolare riguardo alla necessità di predisporre opere provvisionali necessarie per la viabilità e altre protezioni generali, nonchè la segnaletica orizzontale e verticale e, soprattutto, ometteva di predisporre personale con compiti di moviere in prossimità delle macchine operatrici e delle autocarri per il trasporto del conglomerato bituminoso; D.D., in qualità di coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione dei lavori di ammodernamento dell'anzidetto svincolo autostradale (del cantiere dove lavorava la vittima), ometteva di verificare la corretta applicazione delle procedure di lavoro e di rilevare le violazioni in atto da parte delle ditte esecutrici.

1.3. La vicenda storica: in data 15/05/2008, E.E., lavoratore della ditta "Italsud Srl ", prestava la sua mansione di "addetto alla pompa per travaso di calcestruzzo" dall'autobetoniera ad un pilastro in costruzione, ubicato nell'area del cantiere ANAS per i lavori di costruzione del nuovo svincolo autostradale di San Mango Piemonte, la cui ditta appaltatrice ed esecutrice era la "A.A. costruzioni s.p.a.", la quale aveva subappaltato "Italsud Srl " la fornitura del calcestruzzo. Per svolgere la sua mansione, il E.E. era dotato di apposita cassetta portatile con telecomandi, con la quale azionava le operazioni di travaso del calcestruzzo dall'autobetoniera al pilastro. Per avere una migliore visione, il E.E. si era allontanato dalla zona in cui vi era il pilastro e, salendo una scarpata in terreno vegetale, si era portato sulla carreggiata attigua all'altro cantiere, ove la ditta "7Rufoli Soc. Cons. a.r.l." stava effettuando lavori di completamento e ammodernamento del tratto autostradale e aveva subappaltato, come più sopra ricordato, alla ditta "TE.CO Strade Srl " da fornitura e posa in opera di manto di asfalto. Mentre il E.E. era fermo sulla carreggiata non asfaltata dell'attiguo cantiere, sopraggiungeva a retromarcia un automezzo trasportante bitume, condotto da F.F., dipendente della ditta "C.V.S. Trasporti" (con cui "TE.CO Strade" aveva in corso un contratto di appalto di fornitura di materiale bituminoso), che doveva avvicinarsi alla macchina finitrice per effettuare lo scarico. L'autista del veicolo, non accortosi della presenza del E.E., lo investiva, cagionandone la morte a causa delle lesioni subite.

2. I Giudici di merito hanno ritenuto che: in capo agli imputati A.A., D.D., B.B. e C.C., vi fosse l'obbligo di garantire la sicurezza del luogo di lavoro dei dipendenti e di approntare tutte le cautele necessarie per prevenire eventuali incidenti; nel caso specifico, non erano state predisposte dai predetti le misure di sicurezza idonee ad evitare lo specifico rischio di investimento dei lavoratori, impedendo loro di accedere ad aree di lavorazioni pericolose, segnalando il transito di mezzi pesanti e movimentando tali transiti in sicurezza; alcuna direttiva o prescrizione era stata impartita ai lavoratori che operavano nei due cantieri, in relazione alle possibili interferenze tra le lavorazioni; mancava qualsiasi forma di controllo e vigilanza, da parte dei datori di lavoro o dei loro preposti, sulla zona teatro dell'incidente, al fine di verificare le modalità di espletamento delle attività, evitare che si creassero situazioni pericolose, operare prontamente per eliminarne i fattori di insorgenza e scongiurare, così, ogni pericolo. Hanno, pertanto, ritenuto sussistente il nesso di causalità tra le condotte ascritte agli imputati e l'evento verificatosi.

3. Avverso la sentenza di appello ricorrono gli imputati, a mezzo dei propri difensori, e le società da essi rappresentate.

4. Gli avv.ti Massimo Garofalo e Giuseppe Stellato, nell'interesse di A.A., articolano i seguenti motivi:

4.1. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all'art. 530 c.p.p.. La motivazione del giudice di appello non è sufficiente ad adempiere all'obbligo motivazionale. Nei motivi di appello, si segnalava come la prima sentenza non avesse fornito alcun concreto elemento probatorio volto a dimostrare il nesso di causalità tra la condotta omissiva contestata all'imputato e la verificazione dell'evento. Va ribadito che il E.E. non era dipendente del A.A.: di detta circostanza non vi è traccia nelle sentenze di merito. La formazione e la vigilanza sul sito non potevano essere richieste al A.A. che non si trovava sul luogo nè avrebbe dovuto esserci, visto il contratto di subappalto intervenuto tra la società da lui rappresentata e la "Italsud Srl ". L'imputato non riveste una posizione di garanzia e comunque, sul punto, la Corte di merito nulla dice. In sentenza, non si rinviene quale sia la condotta omissiva rimproverata all'imputato, atteso il reiterato comportamento imprudente della vittima. Nè si comprende perchè la realizzazione di una rete divisoria tra i due cantieri dovesse incombere sulla società rappresentata dal A.A.. L'obbligo di realizzare l'anzidetta rete divisoria spettava al più, alla "7Rufoli Soc. Cons. a.r.l.", nella cui pertinenza accadde l'evento, tenuto altresì conto dell'esistenza di una separazione naturale, rappresentata dalla scarpata ivi presente che rendeva del tutto inutile l'appostazione di una rete divisoria.

4.2. Violazione di legge e difetto di motivazione in relazione all'art. 521 c.p.p. Il profilo di colpa specifica relativo alla "omessa informazione al lavoratore delle modalità di svolgimento delle sue mansioni e dei pericoli connessi al luogo di lavoro adiacente il cantiere", non era menzionato nel relativo capo di imputazione, pur andando a costituire uno degli elementi fondanti la pronuncia di condanna. Ne consegue la lesione del diritto di difesa e la mancata correlazione tra ipotesi di accusa e contenuto della sentenza. Nè si può condividere il richiamo, operato dai giudici di merito, al D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 109 al fine di censurare le argomentazioni difensive.

4.3. Violazione di legge e difetto di motivazione in relazione all'art. 157 c.p.p., posto che il reato risultava già estinto per prescrizione all'epoca della pronuncia della sentenza di secondo grado, conformemente a quanto sostenuto anche dal Procuratore generale nella propria nota scritta (allegata al ricorso). L'evento di cui si tratta è, infatti, occorso il 15/05/2008 e, cioè, pochi giorni prima della riforma introdotta dalla L. n. 125 del 2008 che disponeva l'aumento del massimo edittale in relazione all'art. 589 c.p..

5. Gli avv.ti Francesco Matrone e Costantino Catapano, nell'interesse di C.C. e "TE.CO Strade Srl " sollevano i seguenti motivi:

5.1. Illogicità e contraddittorietà della motivazione in ordine alla dichiarata responsabilità dell'imputata, in assenza di obblighi di predisposizione della segnaletica verticale e/o orizzontale e di delimitazione della propria area di cantiere. Già con l'atto di appello, la difesa aveva evidenziato che l'osservanza della normativa di sicurezza e antinfortunistica nell'area di cantiere, compresa l'area di intervento impegnata dalla "TE.CO Strade", spettava unicamente alla ditta G.G.. Nello specifico, la delimitazione delle aree di cantiere, nonchè l'installazione di apposita segnaletica di sicurezza rientravano nella competenza della "G.G." e della "A.A.", in quanto entrambe dovevano garantire l'esecuzione dei lavori in piena sicurezza. La "TE.CO" non doveva neppure verificare se tali strumenti fossero stati predisposti dalla "G.G.", spettando tali verifiche esclusivamente all'impresa committente A.N.A.S..

5.2. Erroneità della motivazione in ordine alla circostanza secondo cui la "TE.CO Strade" non abbia garantito, nella propria area di intervento, la presenza di personale con funzioni anche di moviere; carenza di motivazione in ordine alla insussistenza di un legame causale tra l'evento verificatosi e l'assenza del predetto moviere, in considerazione dell'esistenza di un avvisatore acustico del mezzo che circolava in retromarcia, che poteva essere udito,- vittima. Nei motivi di appello si evidenziava che, nel POS redatto dalla "TE.CO", era prevista la predisposizione di personale con compiti di moviere per regolamentare il traffico, in prossimità delle macchine operatrici, degli autocarri impegnati per il trasporto del conglomerato bituminoso e per le operazioni di scarico nella finitrice. La difesa evidenziava altresì che compito del moviere era unicamente guidare l'autocarro, posizionato a pochi metri dalla finitrice, nella fase di introduzione del bitume trasportato all'interno della macchina utilizzata per la stesa. Il dato contenuto nel POS ed evidenziato dalla difesa trovava conferma nelle dichiarazioni dei testimoni che vengono richiamate nel ricorso. La Corte territoriale confonde il senso delle osservazioni contenute nei motivi d'appello e nei motivi nuovi laddove attribuisce alla difesa l'affermazione che la funzione di moviere del traffico in cantiere dovesse ritenersi attribuita allo stesso guidatore del camion. L'incidente si verificava, peraltro, nella più vasta area di cantiere della "G.G." e, comunque, la società "TE.CO" non doveva garantire la presenza del moviere anche lungo la carreggiata di transito, posto che detta presenza doveva essere garantita solo nella circoscritta area in cui la "TE.CO" strade eseguiva le operazioni di asfaltatura e non in prossimità delle piste di cantiere non ancora asfaltate le quali, invece, rientravano nella generale area di intervento della "G.G.". Occorre, inoltre, sottolineare che il teste H.H., ispettore della ASL (Omissis), aveva dichiarato, nel, corso dell'istruttoria dibattimentale, che nei confronti della "TE.CO Strade" non e elevata alcuna sanzione amministrativa per l'assenza del moviere.

Dall'escussione del teste H.H. si evince che la presenza di personale, con la specifica qualifica di moviere, non era affatto obbligatoria; per converso, posto che la sicurezza doveva essere garantita in via principale della "G.G.", la presenza di un soggetto da parte della "TE.CO Strade" era meramente facoltativa. Ciò nonostante, i dipendenti di quest'ultima svolgevano anche tale mansione nel pieno rispetto di quanto indicato nel POS. Deve altresì evidenziarsi che, in ogni caso, l'autocarro trasportante il bitume era dotato di avvisatore acustico di retromarcia perfettamente funzionante, il quale era stato avvertito da tutti i dipendenti presentì, ad eccezione della persona offesa.

5.3. Carenza assoluta di motivazione in ordine all'ulteriore doglianza difensiva concernente la sicurezza in cantiere e la nomina, da parte dell'imputata, di un rappresentante responsabile dei lavori della sicurezza, nella persona del geometra I.I.. In sede di appello, la difesa dell'imputata rappresentava che la sicurezza in cantiere veniva garantita attraverso un sistema gerarchico, fondato sull'esercizio di compiti e poteri di sorveglianza da parte dell'A.N.A.S. (impresa committente) e, in subordine, della "G.G." (impresa appaltatrice). In questa prospettiva si rimandava alla lettura di diversi "verbali di coordinamento e visita sopralluogo", redatti dal dirigente responsabile del procedimento dell'A.N.A.S., dai quali si desumeva l'assenza di irregolarità nella fase di esecuzione dei lavori e, dunque, il pieno rispetto della normativa di sicurezza ed antinfortunistica. La nomina, da parte della "TE.CO Strade", del I.I., quale proprio rappresentante, responsabile dei lavori da eseguire, fondava la posizione di garanzia dello stesso, esonerando il datore di lavoro dalle relative responsabilità. Sul punto, entrambi i Giudici di merito non fornivano alcuna motivazione.

5.4. Illogicità e contraddittorietà della motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza del nesso di causalità, nonostante il comportamento gravemente colposo posto in essere dalla vittima. Quanto sostenuto dalla Corte distrettuale si scontra con le risultanze dell'istruttoria dibattimentale. Se il E.E. avesse avvertito la necessità di posizionarsi altrove al fine di svolgere meglio la sua funzione avrebbe dovuto segnalarlo al proprio datore di lavoro, posto altresì che, come dichiarato dal teste H.H., la mansione allo stesso affidata poteva essere espletata nel proprio cantiere. Non tutti i testi, peraltro, confermavano che il E.E. aveva, in più occasioni, invaso l'area del cantiere adiacente. In ogni caso, il comportamento della persona offesa era imprudente ed imprevedibile, oltre che eccentrico.

5.5. Illogicità e contraddittorietà della motivazione in ordine alla conferma delle sanzioni irrogate alla ditta "TE.CO Strade", perchè l'imputata non agiva nell'interesse ovvero a vantaggio della propria ditta.

6. L'avv. Lorenzo Contrada, nell'interesse di B.B., impugna la sentenza di appello e l'ordinanza emessa il 15/11/2021, con cui era rigettata l'istanza difensiva del 09/09/2021, con cui si richiedeva il riconoscimento del legittimo impedimento dell'imputato a comparire al processo. Solleva i seguenti motivi:

6.1. Violazione di legge quanto alla ritenuta integrazione degli elementi costitutivi del reato di cui all'art. 589 c.p. e alla aggravante di cui al comma 2 del medesimo articolo, in relazione al D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 96, comma 1, lett. A e B, art. 100, comma 3, artt. 109 e 163, nonchè carenza e contraddittorietà della motivazione in ordine alla sussistenza del reato contestato e dell'aggravante - di cui si chiede l'esclusione - in riferimento alla valutazione degli elementi probatori di cui all'art. 192 c.p. e all'art. 546 c.p.p., lett. e), art. 125 c.p.p., comma 3 e art. 505 c.p.p.; travisamento della prova. La sentenza impugnata "liquida" in meno di dieci righe le motivazioni a sostegno della conferma della pronuncia di condanna a carico del B.B., così venendo meno all'obbligo di motivazione. Viene qui in rilievo l'ipotesi in cui l'appaltatore possa dirsi non responsabile per l'infortunio intervenuto in un'area autonomamente gestita dalla ditta subappaltatrice. Nel caso di specie, la totale autonomia gestionale ed organizzativa della ditta "TE.CO", in merito alla porzione di cantiere su cui si è verificato il sinistro, risulta dalle deposizioni testimoniali e da dati documentali. Nelle sentenze di merito, non vi è alcun accenno ad una eventuale, continua, ingerenza della "G.G." nei lavori espletati dalla "TE.CO". La recinzione artificiale della scarpata non avrebbe potuto precludere al E.E. di recarsi sul cantiere della "TE.CO", costituendo essa soltanto una delimitazione visiva di confine e non certo un ostacolo efficace al passaggio delle persone. Due sono le concause autonome che hanno prodotto l'evento: la condotta abnorme della persona offesa e l'imprudente condotta di chi conduceva il mezzo in retromarcia. Vi è poi stato un palese travisamento con riguardo alla pendenza della scarpata (che il Giudice di secondo grado ritiene non accentuata e, quindi, facilmente percorribile mentre l'ispettore dell'ASL riporta una pendenza del 40%, affermando che la stessa non era affatto percorribile e non vi, eranodei camminamenti). Anche per quanto argomentato, la difesa chiede di escludere l'aggravante contestata con il dell'art. 589 c.p., comma 2 evidenziando al riguardo l'assoluta carenza di motivazione: in primo luogo, perchè non individua in modo dettagliato a quale disposizione normativa dovrebbe essere legata la condotta omissiva contestata a B.B.; in secondo luogo, perchè le circostanze aggravanti sono contestabili solo se effettivamente previste e volute dall'agente.

6.2. Vizio di motivazione e violazione dell'art. 125 c.p.p., comma 3, 546 e art. 605 c.p.p. Con riferimento al giudizio di bilanciamento ex art. 69 c.p. e alla quantificazione della pena; violazione degli artt. 62-bis, 69, 132 e 133 c.p. La doglianza investe il mancato riconoscimento della prevalenza delle circostanze attenuanti generiche sulla aggravante contestata e l'assenza di sostanziale argomentazione a sostegno del percorso valutativo della sanzione detentiva comminata. Sul punto, la motivazione è apparente. Non vi è alcun riscontro individualizzante e circostanziato. Quanto al passaggio motivazionale sulla quantificazione della pena e sulle ragioni alla stessa sottese, la sentenza impugnata è contraddittoria laddove, pur richiamando il principio per cui il giudice può ricorrere ad espressioni di stile qualora la pena non si discosti molto dai minimi edittali, non tiene conto che la pena inflitta al B.B. è superiore al doppio del minimo edittale stabilito dall'art. 589 c.p., comma 1 (applicabile a seguito del giudizio di equivalenza delle circostanze). In seconda battuta, la Corte territoriale convalida la pena in rapporto "alla natura della sostanza e al complessivo disvalore della vicenda", così disvelando l'utilizzo di altro stralcio di motivazione afferente ad altro processo penale, peraltro, in tema di stupefacenti.

6.3. Violazione dell'art. 125 c.p.p., comma 3, art. 178 c.p.p., lett. c) e art. 420-ter c.p.p. e art. 111 Cost., comma 6, con riferimento all'ordinanza del 15/11/2021, con cui la Corte di appello ha rigettato la reiterata istanza di legittimo impedimento dell'imputato a comparire in udienza, essendo egli residente negli Stati Uniti per motivi lavorativi e trovandosi costretto, dalla normativa americana in tema di emergenza epidemiologia da Covid-19, a non potersi spostare da quel paese, pena l'impossibilità di farvi rientro. La sentenza impugnata nulla dice in ordine alle ragioni del rigetto dell'istanza di cui si tratta.

7. Il prof. avv. Agostino De Caro, difensore di D.D., formula i seguenti motivi di ricorso:

7.1. Inosservanza o erronea applicazione della legge penale in relazione alla configurabilità del reato di omicidio colposo, per mancanza di tutti gli elementi costitutivi dello stesso; travisamento della prova in relazione ai ruoli e alle responsabilità, in relazione all'accesso del cantiere dove è occorso l'evento mortale e in relazione alta sussistenza del nesso di causalità tra condotta omissiva ed evento, rispetto al quale è mancata la valutazione delle prove. Mancanza contraddittorietà, e manifesta illogicità della motivazione sugli stessi punti. L'aspetto centrale della vicenda concerne il luogo dove si è verificato l'incidente e la effettiva corretta applicazione delle regole sulla posizione di garanzia ricoperta e sui doveri spettanti al coordinatore della sicurezza in corso di esecuzione. L'infortunio mortale si è verificato sul cantiere relativo ai lavori di ammodernamento dell'autostrada SA-RC assolutamente diverso dal cantiere di competenza dell'imputato, relativo ai lavori di costruzione dello svincolo di (Omissis) affidato alla ditta "A.A. Costruzioni Spa Ne deriva che spettava ai datori di lavoro, dirigenti e preposti delle imprese esecutrici, impegnate nel cantiere della società consortile "G.G." (ove si è verificato il sinistro mortale) il compito esclusivo di fare osservare le specifiche norme di sicurezza relative alle singole lavorazioni effettuate sul proprio cantiere e di vigilare sull'eventuale presenza di estranei alle lavorazioni in corso. I preposti alla sicurezza di quest'ultimo cantiere dovevano cioè vigilare e non consentire l'accesso di estranei sui luoghi di lavoro. Il E.E. non aveva alcun rapporto con il cantiere gestito dalla società consortile "G.G.". La rete di delimitazione dei cantieri non era metallica ma plastificata e la pendenza della scarpata del 48%, cioè molto significativa, esplicava la funzione di naturale separazione tra i due cantieri, essendo nota e chiaramente visibile agli operai. La Corte erra quando parla di interferenza tra le due lavorazioni: i due cantieri erano, infatti, diversi e non interferivano tra di loro. Va, comunque, evidenziato come la normativa vigente non formuli alcuna indicazione circa l'altezza della recinzione; la prescrizione sull'altezza della recinzione riportata nell'aggiornamento del POS del 02/10/2007 dall'impresa "A.A.", è stata inserita proprio su richiesta dell'ing. D.D. per garantire un'adeguata delimitazione del cantiere al confine con le proprietà private, onde evitare l'accesso agli estranei, come richiesto dal D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 109; al confine con il cantiere autostradale, invece, la presenza di una delimitazione naturale, rappresentata dalla scarpata, era stata ritenuta un'idonea delimitazione del cantiere. Deve, altresì, sottolinearsi che l'ispettore della ASL, in occasione di un'ispezione sul cantiere a fine marzo 2008, non aveva ritenuto di muovere alcuna contestazione al D.D. circa le modalità di recinzione e la scelta di utilizzare la scarpata naturale come barriera visibile e riconoscibile come tale. Il E.E. era ben a conoscenza dell'esistenza di un altro cantiere e della delimitazione netta tra le due aree. Non può essere rimproverato all'imputato il fatto che il lavoratore deceduto, invece di stare sul proprio cantiere, si spostasse autonomamente sull'altro. Va, altresì, ricordato che il coordinatore della sicurezza in fase di esecuzione dei lavori svolge una vigilanza "alta", mentre l'impresa, attraverso il datore di lavoro, i dirigenti e i preposti, svolge una vigilanza operativa momento per momento. Come insegna la giurisprudenza, la titolarità di una posizione di garanzia non comporta, in presenza del verificarsi dell'evento un automatico addebito di responsabilità colposa a carico del garante, imponendo il principio di colpevolezza la verifica in concreto sia della sussistenza della violazione, da parte del garante, di una regola cautelare, sia della prevedibilità ed evitabilità dell'evento dannoso, sia della sussistenza del nesso causale tra la condotta ascrivibile al garante e l'evento dannoso. La Corte di appello avrebbe dovuto anche accertare la causalità della colpa, ossia verificare che la condotta doverosa, qualora posta in essere, avrebbe evitato l'evento illecito. La Corte territoriale si è invece limitata ad affermare che l'infortunio era dipeso dalla mancata predisposizione di limitazioni all'accesso del cantiere di pertinenza dell'impresa "G.G.", senza interrogarsi sulle effettive mansioni del CSE e il luogo dove il sinistro si è verificato. L'imputato aveva organizzato varie riunioni di coordinamento per individuare accessi separati alle aree di cantiere e di competenza, in modo da evitare il rischio di interferenze tra le attività delle due imprese. Sul punto, si richiamano le norme del PSC e del POS. Il E.E. aveva ben chiara la lavorazione che si stava eseguendo sul cantiere dell'impresa "G.G.", rispetto al quale aveva avuto evidenza del passaggio degli autocarri e, quindi, del rischio di investimento. Nel caso di specie, l'incidente si è verificato dopo il passaggio di diversi autocarri, dopo il quale il E.E. si spostava per poi ritornare indisturbato nella posizione assunta al centro della corsia in lavorazione. Dalle dichiarazioni dell'ispettore della ASL H.H. si deduce che il E.E., oltrepassando il confine tra i due cantieri, non si sarebbe infortunato automaticamente per la mancanza di recinzione, ma per aver deciso di posizionarsi al centro della corsia in lavorazione sul cantiere dell'impresa "G.G.", invece che restare sul ciglio in sommità della scarpata. La normativa sulla sicurezza non prevede che la recinzione debba avere la funzione di rendere impossibile l'uscita dal cantiere. Se un lavoratore, pertanto, esce dal cantiere e si posiziona inopportunamente in un luogo pericoloso, nessuna responsabilità può essere ascritta al CSE per detto comportamento anomalo.

7.2. Inosservanza o erronea applicazione della legge penale in relazione alla configurabilità del reato di omicidio colposo per mancanza di colpa specifica e alla interruzione del nesso causale tra condotta ed evento. Mancanza, contraddittorietà e illogicità della motivazione in ordine allo stesso punto. La Corte di appello ha del tutto arbitrariamente ritenuto la condotta del lavoratore non censurabile avendo il E.E. attivato un rischio eccentrico ed esorbitante dalla sfera di rischio governata dal titolare della posizione di garanzia. Nella vicenda in esame, il lavoratore infortunato è uscito dal cantiere dell'impresa "A.A. Costruzioni", presso il quale stava operando, ed è entrato volontariamente ed autonomamente nell'attiguo cantiere della ditta "G.G.". La sua condotta non è stata suggerita dal datore di lavoro nè dal preposto e non era autorizzata. Essa è frutto di una scelta del tutto autonoma.

7.3. Inosservanza o erronea applicazione della legge penale in relazione al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche jregime di prevalenza sulla contestata aggravante. Mancanza, contraddittorietà e illogicità della motivazione in ordine allo stesso punto. La Corte di appello si è limitata ad affermare la correttezza del giudizio di bilanciamento effettuato dal Tribunale, senza però rispondere alle specifiche doglianze difensive al riguardo e ricorrendo a mere clausole di stile. Il comportamento processuale tenuto dall'imputato avrebbe dovuto indurre i Giudici di merito ad effettuare un giudizio di comparazione più favorevole, con conseguente riduzione della pena inflitta.

 

Diritto


1. I ricorsi proposti sono infondati e vanno, pertanto, rigettati.

2. Deve preliminarmente osservarsi che il reato contestato non è prescritto, considerato che per il delitto, all'epoca dei fatti punito con pena massima di anni cinque (essendo anteriore alla novella legislativa di cui alla L. n. 125 del 2008 che ha aumentato ad anni sette di reclusione il limite massimo della pena edittale prevista dall'art. 589 c.p., comma 2), il termine di prescrizione ordinaria è pari ad anni dodici e il termine massimo è pari ad anni quindici, in ragione del rinvio all'art. 157 c.p., comma 6, che prevede il raddoppio del termine indicato dal comma 1, non decorso all'epoca di emissione della sentenza di secondo grado. L'eccezione sul punto, riproposta in questa sede con il terzo motivo del ricorso nell'interesse dell'imputato A.A., è, peraltro, genericamente formulata perchè priva delle ragioni che la sostengono.

3. Tutte le doglianze, già agitate nei rispettivi atti di appello, sono state disattese dalla Corte territoriale con corretto ragionamento, che dimostra il buon governo delle norme in materia, come più volte interpretate da questa Corte Suprema.

Queste le circostanze di fatto richiamate dal Giudice di primo grado, in quanto pacificamente emerse dalla istruttoria dibattimentale svolta: E.E., per meglio svolgere la mansione a lui affidata, dopo essersi volontariamente posizionato sulla carreggiata del cantiere attiguo, salendo una scarpata, veniva investito da un camion che percorreva in retromarcia la medesima strada senza l'assistenza di un moviere; l'incidente, occorso ad un lavoratore impegnato nel cantiere della ditta "A.A.", era avvenuto sul cantiere affidato in appalto per il completamento, l'ammodernamento e l'adeguamento del tratto autostradale in oggetto, all'impresa "G.G.", la quale aveva affidato in subappalto alla società "TE.CO strade" i lavori di fornitura e posa in opera del manto di asfalto; in più occasioni prima dell'incidente, il E.E. si era posto sulla predetta carreggiata per avere una migliore visuale del pilone; a dividere i due cantieri (della "A.A." e della "G.G.") non era stata collocata la recinzione, pure prevista dai rispettivi POS, essendovi una delimitazione naturale costituita da una scarpata; non vi era segnaletica indicante il transito di veicoli; al momento dell'incidente, non era presente alcun preposto delle ditte coinvolte che potesse impedire al lavoratore di assumere un comportamento pericoloso.

Le sentenze di merito sono pervenute alla conclusione che l'evento determinante il decesso del lavoratore E.E. sia stato dovuto a violazione di norme antinfortunistiche in quanto: non era stata predisposta, così come peraltro previsto dai rispettivi Piani Operativi di Sicurezza, una delimitazione delle aree dei due cantieri, previa installazione di apposita recinzione, che sicuramente avrebbe precluso l'accesso sull'area in cui transitava il camion; non era stata installata una segnaletica di sicurezza, anch'essa previsa nei POS delle ditte esecutrici, indicante divieti di accesso e mezzi movimento, che avrebbero avvertito il lavoratore del pericolo di accesso su altra area di cantiere; non era stato posto in essere quanto previsto nel POS redatto dalla "TE.CO strade", ditta esecutrice dei lavori di bitumazione, non essendosi riscontrata la presenza del "moviere", figura che, qualora fosse stata presente sulla carreggiata ove viaggiava il mezzo investitore, avrebbe avvertito del pericolo di stazionamento in quel tratto di strada e, quindi, del pericolo di investimento.

4. Il precipuo profilo di colpa specifica, ravvisato nei confronti degli imputati A.A. e B.B., nelle rispettive qualità, è consistito nell'aver omesso di attuare quanto previsto nei relativi Piani Operativi di Sicurezza, con specifico riguardo alla necessità di predisporre delimitazioni e recinzioni alle aree di lavorazione e, in particolare, la recinzione fissa in rete elettrosaldata con altezza minima di metri 2,00, sorretta da piantoni in metallo infissi nel terreno, a confine dell'area del lotto di pertinenza del cantiere di costruzione dello svincolo, con predisposizione di segnaletica di sicurezza, onde impedire investimenti da parte dei mezzi circolanti nell'area di cantiere. Profilo riguardo al quale la sentenza di appello va esente da profili di illegittimità censurabili in questa sede. Già la sentenza di primo grado, condivisa e richiamata da quella di appello, aveva osservato che la funzione della recinzione in oggetto non era soltanto quella di definire le aree di lavorazione e di impedire l'accesso ad estranei, ma anche quella di delimitare le zone dove si effettuavano lavorazioni pericolose, per impedire che gli stessi lavoratori del cantiere accedessero a tali aree, dove soltanto ad alcuni di essi, edotti degli specifici pericoli presenti, era consentito entrare: funzione, peraltro, ben specificata dall'Istituto Nazionale Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro, nonchè dallo stesso Ministero del lavoro che, nel fornire chiarimenti in merito all'applicazione del D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 109, ha precisato che la recinzione di cantiere, oltre ad avere la funzione di cui all'art. 109, cioè di impedimento all'accesso di estranei, riveste anche quella di misura di sicurezza per i lavoratori che operano all'interno del cantiere. E ciò al fine di impedire le interferenze tra lavorazioni pericolose e delimitare le zone di accesso soltanto a determinati operai, edotti dei pericoli connessi alle specifiche lavorazioni: rischi specifici delle interferenze tra le lavorazioni che, nel caso di specie, proprio in quanto tali, erano stati contemplati ed individuati nei rispettivi POS, così come le misure di sicurezza idonee ad eliminarli. Tali misure, tuttavia, non sono state attuate, essendo stata erroneamente reputata sufficiente ed adeguata la scarpata naturale intercorrente tra i cantieri della "A.A." e della "G.G.". Sul punto, tuttavia, le sentenze di merito evidenziano, con motivazione congrua e non manifestamente illogica, che detta scarpata non poteva svolgere efficacemente l'anzidetta funzione impeditiva, in quanto facilmente percorribile dai lavoratori, così come era avvenuto per il E.E., e per fa sua conformazione non impeditiva dell'accesso all'aerea di lavorazione adiacente; la recinzione prevista dai POS avrebbe inoltre comportato una chiara comprensione, da parte dei lavoratori, del divieto di accedere all'area limitrofa, avendo certamente una portata dissuasiva maggiore rispetto alla scarpata naturale, priva di qualsiasi ostacolo visibile. L'apposizione della recinzione era a maggior ragione, necessaria dal momento che l'attività dei due cantieri si Sta svolgendo in zone strettamente adiacenti. La Corte di appello ha fatto, dunque, corretta applicazione dei principi di matrice giurisprudenziale relativi al rischio interferenziale, derivante dalla contestuale presenza di maestranze alle dipendenze di altra organizzazione lavorativa.

Merita, innanzitutto, d'essere precisato il concetto di "interferenza" rilevante ai fini che occupano, perchè da tale specifica situazione deriva l'applicabilità al caso di specie delle norme che si assumono violate e la riconoscibilità di una posizione di garanzia in capo a tutti gli imputati. Questa Corte ha già precisato che il termine non riceve una declinazione normativa, ma che una definizione può rinvenirsi nella Determinazione n. 3/2008 dell'Autorità per la Vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, che la intende come "circostanza in cui si verifica un contatto rischioso tra il personale del committente e quello dell'appaltatore o tra il personale tra imprese diverse che operano nella stessa sede aziendale con contratti differenti (cfr., in motivazione, Sez. 4 n. 30557 del 07/06/2016, PC e altro in proc. Cadi e altri). Da tali possibili interferenze tra le diverse attività che si svolgono, in successione o contestualmente, all'interno di una stessa area, grava, specularmente, su tutti i datori di lavoro ai quali siano stati appaltati segmenti dell'opera complessa, l'obbligo di collaborare all'attuazione del sistema prevenzionistico globalmente inteso, sia mediante la programmazione della prevenzione concernente i rischi specifici della singola attività, rispetto ai quali la posizione di garanzia permane a carico di ciascun datore di lavoro, sia mediante la cooperazione nella prevenzione dei rischi generici derivanti dall'interferenza tra le diverse attività, rispetto ai quali la posizione di garanzia si estende a tutti i datori di lavoro ai quali siano riferibili le plurime attività coinvolte nel processo causale da cui ha tratto origine l'infortunio (Sez.4, n. 5420 del 15/12/2011, Intrevado, n. m.; Sez.4, n. 36605 del 5/05/2011, Giordano, n. m.; Sez.4, n. 32119 del 25/03/2011, D'Acquisto, n. m.). Tale principio è stato già altre volte affermato da questa Sezione. Si è, infatti, opportunamente precisato che, non solo il contatto rischioso tra lavoratori di imprese diverse che operano nel medesimo luogo di lavoro, ma anche la coesistenza in un medesimo contesto di più organizzazioni genera la posizione di garanzia dei datori di lavoro ai quali fanno capo le distinte organizzazioni. L'interferenza rilevante, dunque, va intesa in senso funzionale, come interferenza non solo di lavoratori, ma derivante dalla coesistenza in un medesimo contesto di più organizzazioni, ciascuna delle quali facente capo a soggetti diversi (cfr., in motivazione, Sez. 4, n. 44792 del 17/06/2015, Mancini e altro, Rv. 264957 - 01). Correttamente, pertanto, la sentenza impugnata ha evidenziato come, proprio dall'interferenza territoriale dei due diversi cantieri, facenti capo alla A.A. Costruzione Spa e alla G.G. Soc. Cons. Arl , derivasse un conseguente obbligo, per entrambi gli imputati, di predisporre incisive misure di protezione dei lavoratori e come la circostanza per cui gli operai delle due ditte avessero accesso ai loro cantieri attraverso due distinti varchi, autonomi e distanti l'uno dall'altro, non possa considerarsi dato di fatto tale da escludere le predette cautele, considerato altresì che, in materia di prevenzione degli infortuni nei luoghi di lavoro, qualora vi siano più titolari della posizione di garanzia, ciascuno è per intero destinatario dell'obbligo di tutela impostogli dalla legge, per cui l'omessa applicazione di una cautela antinfortunistica è addebitabile ad ognuno dei titolari di tale posizione (Sez. 4, n. 928 del 28/09/2022, dep. 2023, Bocchio Piercarlo, Rv. 284086 - 01; Sez. 4, n. 6507 del 11/01/2018, Caputo, Rv. 272464 - 01).

5. Quanto alla invocata (da tutti i ricorrenti) abnormità della condotta della vittima, tale da aver attivato un rischio eccentrico ed esorbitante dalla sfera di rischio governata dal titolare della posizione di garanzia e da interrompere il nesso causale, la Corte di appello, nell'escluderla, ha ricordato che il E.E., più di una volta, nel corso della stessa giornata e prima dell'incidente, si era spostato sulla carreggiata adiacente per potere, come asserito da tutti i testi, avere una visuale esatta della portata del getto di calcestruzzo, e quindi ottenere un miglior risultato della sua prestazione lavorativa. Si tratta di un dato fattuale che, come correttamente sostiene la sentenza impugnata, sgombra il campo da eventuali suggestioni derivanti dalla sottesa valutazione della condotta della vittima come eccentrica rispetto alle mansioni svolte, frutto di una sua censurabile iniziativa. Giova sul punto ricordare che la giurisprudenza di legittimità considera interruttiva del nesso di condizionamento la condotta del lavoratore non solo quando essa si collochi in qualche modo al di fuori dell'area di rischio definita dalla lavorazione in corso ma anche quando, pur collocandosi nell'area di rischio, sia esorbitante dalle precise direttive ricevute ed, in sostanza, consapevolmente idonea a neutralizzare i presidi antinfortunistici posti in essere dal datore di lavoro; cionondimeno, quest'ultimo, dal canto suo, deve aver previsto il rischio ed aver adottato le misure prevenzionistiche esigibili in relazione alle particolarità del lavoro. La giurisprudenza di legittimità è, infatti, ferma nel sostenere che non possa discutersi di responsabilità (o anche solo di corresponsabilità) del lavoratore per l'infortunio quando il sistema della sicurezza approntato dal datore di lavoro presenti delle evidenti criticità (Sez. 4, n. 22044 del 2/05/2012, Goracci, n. m.; Sez. 4, n. 21511 del 15/04/2010, De Vita, n. m.). Le disposizioni antinfortunistiche perseguono, infatti, il fine di tutelare il lavoratore anche dagli infortuni derivanti da sua colpa, onde l'area di rischio da gestire include il rispetto della normativa prevenzionale che si impone ai lavoratori, dovendo il datore di lavoro dominare ed evitare l'instaurarsi, da parte degli stessi destinatari delle direttive di sicurezza, di prassi di lavoro non corrette e per tale ragione foriere di pericoli (Sez. 4, n. 4114 del 13/01/2011, n. 4114, Galante, n. m.).

6. Nell'affermare che tutti gli odierni ricorrenti rivestivano una posizione di garanzia, i Giudici di merito hanno fatto corretta applicazione dei principi stabiliti da questa Suprema Corte, a mente dei quali, in materia di prevenzione degli infortuni nei luoghi di lavoro, appartiene al gestore del rischio connesso all'esistenza di un cantiere anche la prevenzione degli infortuni di soggetti a questo estranei, ancorchè gli stessi tengano condotte imprudenti, purchè non esorbitanti il tipo di rischio definito dalla norma cautelare violata (Sez. 4, n. 38200 del 12/05/2016, Marano, Rv. 267606 - 01: fattispecie in cui la Corte ha ritenuto esente da censure la sentenza che aveva affermato la responsabilità dell'imputata, proprietaria di un appartamento nel quale erano in corso lavori di ristrutturazione, per le lesioni riportate da un vicino che, recatosi nell'immobile per eseguire un sopralluogo, era caduto in una botola priva di protezioni, precipitando nell'appartamento sottostante, nonostante anche egli avesse tenuto un comportamento imprudente percorrendo un tracciato diverso da quello indicatogli dall'imputata; nello stesso senso, Sez. 4, n. 10842 del 07/02/2008, Caturano e altro, Rv. 239402 - 01, secondo cui, in tema di omicidio colposo ricorre l'aggravante della violazione di norme antinfortunistiche anche quando la vittima è persona estranea all'impresa, in quanto l'imprenditore assume una posizione di garanzia in ordine alla sicurezza degli impianti non solo nei confronti dei lavoratori subordinati o dei soggetti a questi equiparati, ma altresì nei riguardi di tutti coloro che possono comunque venire a contatto o trovarsi ad operare nell'area della loro operatività).

Le argomentazioni sin qui espresse hanno valore assorbente rispetto al secondo motivo di ricorso del A.A. (violazione dell'art. 521 c.p.p. in relazione al profilo di colpa specifica relativo alla omessa informazione al lavoratore), privo pertanto di efficacia disarticolante dell'impianto motivazionale della sentenza di appello.

7. Con riguardo all'imputato B.B., in aggiunta ed a precisazione di quanto sinora detto, la sentenza impugnata ha affermato, con motivazione del tutto immune da censure attesi i principi sinora richiamati, che nessuna esclusione dagli obblighi antinfortunistici può desumersi dal fatto che i lavori di asfaltatura (in occasione dei quali si verificava la morte del E.E.) fossero stati affidati in subappalto ad altra ditta ("TE.CO strade"), posto che il cantiere era stato predisposto materialmente dalla ditta dell'imputato, con conseguente obbligo di realizzare, tra l'altro, anche la recinzione dello stesso, al fine di impedire il transito di estranei, e i presidi di sicurezza indicati nel Piano di sicurezza e coordinamento e nel POS, che avrebbero evitato la morte del lavoratore. La doglianza sul trattamento sanzionatorio, espressa nell'interesse del B.B. con il secondo motivo di ricorso è infondata, avendo la Corte territoriale offerto adeguata motivazione sul punto: essa ha infatti ritenuto corretto il giudizio di bilanciamento, operato dal primo Giudice, tra le attenuanti generiche e le aggravanti contestate, in ragione del disvalore dei fatti, delle personalità degli imputati e dell'assenza di elementi idonei a dimostrare il concorso colposo della vittima. Medesime considerazioni valgono con riguardo al terzo motivo di ricorso dell'imputato D.D., con cui si lamenta il mancato riconoscimento dell'invocata prevalenza delle attenuanti generiche. Giova, ancora, una volta, ricordare che il giudizio di bilanciamento delle circostanze è un tipico giudizio di merito, insindacabile in sede di legittimità se sorretto da motivazione, come nel caso in disamina, esente da errori logico-giuridici.

Quanto all'ordinanza del 15/11/2021, con cui la Corte di appello ha rigettato l'istanza di legittimo impedimento dell'imputato a comparire all'udienza del giudizio di appello, il Collegio osserva che, a fronte della decisione della Corte territoriale, che ha valutato nel merito la documentazione offerta a sostegno dell'anzidetta richiesta, il ricorrente deduce genericamente un'impossibilità a far rientro negli Stati Uniti, non un impedimento a comparire. Il motivo va, dunque, rigettato.

8. Con riguardo a C.C. cui, anche in ragione di quanto sin qui detto, spettavano il controllo e la vigilanza sulla zona teatro dell'incidente, al fine di verificare le modalità di espletamento delle attività e di impedire l'insorgenza di situazioni pericolose, la sentenza impugnata ha evidenziato un profilo di colpa specifica assorbente, costituito dal non avere adottato le misure necessarie atte ad impedire investimenti da parte di mezzi circolanti, predisponendo, in particolare, personale con compiti di "moviere" in prossimità delle macchine operatrici degli autocarri per il trasporto del conglomerato bituminoso. Dalla ricostruzione dell'incidente, compiuta nel giudizio di primo grado, i Giudici di merito hanno, infatti, motivatamente tratto la conclusione che, se vi fosse stato un operaio con compiti di "moviere" ad indicare all'autista del camion le manovre da effettuare in retromarcia, questi si sarebbe di 1, certo accorto della presenza del E.E. e avrebbe potuto fermare il camion o far allontanare la vittima, prima che avvenisse l'impatto fatale. Il richiamo, effettuato nel ricorso, ad un'avvisatore acustico appare del tutto inconferente, attesa l'evidente insostituibilità del moviere con detto strumento, del tutto inadeguato allo scopo. E, invero, a dimostrazione dell'importanza della funzione del moviere nel contesto in cui si verificò l'incidente, nello stesso ricorso si afferma che nel POS della "TE. CO" era per l'appunto prevista la predisposizione di personale con compiti di moviere per regolamentare la circolazione dei mezzi in cantiere: prescrizione che, tuttavia, non veniva adempiuta. Il terzo motivo, con cui la ricorrente esclude, propria responsabilità attesa la nomina di un responsabile per la sicurezza (nella persona del geometra I.I.) resta, pertanto, assorbito. Deve, tuttavia, osservarsi che, in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, la responsabilità penale del datore di lavoro non è esclusa per il solo fatto che sia stato designato il responsabile del servizio di prevenzione e protezione, trattandosi di soggetto che non è titolare di alcuna posizione di garanzia rispetto all'osservanza della normativa antinfortunistica e che agisce, piuttosto, come semplice ausiliario del datore di lavoro, il quale rimane direttamente obbligato ad assumere le necessarie iniziative idonee a neutralizzare le situazioni di rischio. (Sez. F, n. 32357 del 12/08/2010, Mazzei e altro, Rv. 247996 - 01). Deve essere parimenti respinto il quinto motivo di ricorso della C.C., afferente alla ritenuta responsabilità amministrativa della società "TE.CO", a lei facente capo, e formulato in termini del tutto generici a fronte di una motivazione (p. 25 sent. di primo grado, confermata anche su questo punto dalla Corte di appello) che ha evidenziato come la "TE.CO" abbia "conseguito un evidente risparmio di tempo e di spesa, non prevedendo la presenza di un soggetto che vigilasse e controllasse l'andamento dei lavori nel cantiere, non verificando l'attuazione delle norme previste nel POS e la sicurezza dei luoghi di lavoro, non prevedendo la presenza di un operaio addetto alla mansione di "moviere"".

9. Quanto al ricorso dell'imputato D.D., ad integrazione di quanto già detto, il Collegio osserva che, proprio in ragione della funzione di "alta vigilanza" a lui spettante, allo stesso incombeva - così come osservano i Giudici di merito - l'obbligo di verificare la corretta osservanza, da parte delle imprese, delle disposizioni contenute nel Piano di sicurezza e di coordinamento rilevando, nel caso di specie, l'omesso posizionamento della rete elettrosaldata, proprio in considerazione della contiguità delle lavorazioni delle ditte A.A. e TE.CO. Nella sua veste, il D.D. avrebbe dovuto valutare l'inadeguatezza della scarpata come presidio di sicurezza per i lavoratori impegnati in diverse lavorazioni interferenti e disporre, in conseguenza, l'attuazione di quanto previsto nel POS. Diversamente da quanto assume il ricorrente, la Corte territoriale ha accertato la causalità della colpa laddove ha ritenuto (p. 7 sent. impugnata) "con sicurezza che l'installazione metallica di contenimento avrebbe dissuaso la vittima dello spostarsi e l'avrebbe indetta ricercare altre soluzioni operative per superare le difficoltà incontrate, invece di continuamente spostarsi sul terreno" e che l'obbligo di predisporre una recinzione del cantiere era normativamente previsto anche per delimitare, sia in entrata che in uscita, l'accesso di estranei alle lavorazioni in atti e che, nel caso di specie, esso doveva ritenersi vieppiù rafforzato dal fatto che essa avrebbe dovuto insistere in una zona dove vi erano due cantieri confinanti. In altri termini, proprio la reale, contingente, situazione dei luoghi imponeva particolare attenzione nel predisporre tutti gli accorgimenti tesi ad evitare eventi dannosi. In tale ottica, sostiene congruamente la Corte di appello, l'inutile predisposizione, da parte del D.D., di varchi separati per l'entrata in cantiere degli operai, al fine di evitare interferenze nelle attività lavorative, consente di "ritenere che l'imputato avesse sin da allora preveduto l'accadimento di eventi dannosi ricollegabili a tale potenziale situazione, omettendo di adottare quella unica cautela che avrebbe consentito di evitare i pericoli".

10. Al rigetto dei ricorsi, segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

 

P.Q.M.


Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 11 aprile 2023.

Depositato in Cancelleria il 4 agosto 2023