Cassazione Penale, Sez. 4, 29 settembre 2023, n. 39547 - Caduta dal carrello elevatore a pantografo durante l'installazione di reti anticaduta 



REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PICCIALLI Patrizia - Presidente -

Dott. CAPPELLO Gabriella - Consigliere -

Dott. PEZZELLA Vincenzo - Consigliere -

Dott. BRUNO M.Rosaria - rel. Consigliere -

Dott. SESSA Gennaro - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA



sul ricorso proposto da:

A.A., nato a (Omissis);

B.B., nato il (Omissis);

avverso la sentenza del 08/11/2022 della CORTE APPELLO di TORINO;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere MARIAROSARIA BRUNO;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore FELICETTA MARINELLI;

che ha concluso chiedendo;

Il Proc. Gen. conclude per il rigetto dei ricorsi.

udito il difensore;

Per la parte civile D.D., è ‘ presente l'avvocato BOTASSO PAOLO, del foro di CUNEO il quale, associandosi alle conclusioni del Procuratore Generale, chiede che di confermare la sentenza impugnata come da conclusioni e nota spese depositate in udienza.

E' presente per l'avvocato ZANCAN VALENTINA del foro di TORINO, difensore del ricorrente A.A., il sostituto processuale Paolo Davico Bonino stesso foro, come da delega ex art. 102 c.p.p. depositata in udienza il quale, dopo aver illustrato i punti principali dei motivi di ricorso, insiste nell'accoglimento chiedendo l'annullamento con o senza rinvio della sentenza impugnata.

 

Fatto


1. Con sentenza del 5 ottobre 2021, all'esito di giudizio ordinario, il Tribunale di Ivrea ha ritenuto A.A., in qualità di titolare della impresa individuale "Carmagnola servizi" e B.B., amministratore unico della "Edilsavigliano Srl ", impresa subappaltatrice dei lavori, responsabili a titolo di cooperazione colposa delle lesioni personali gravi occorse al lavoratore D.D., dipendente della "Edilsavigliano Srl ", La Corte di appello di Torino, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, ha revocato la sospensione condizionale della pena concessa agli imputati ed ha ridotto l'importo della somma riconosciuta a titolo di provvisionale alla parte civile. Ha confermato la pronuncia di responsabilità a carico di entrambi gli imputati per il fatto di cui alla imputazione.

Era contestato agli imputati di avere, per colpa generica e specifica, consistita quest'ultima nella violazione del D.Lgs. n. 81 del 9 aprile 2008, art. 72, comma 1, art. 71, comma 1, art. 37 e art. 73, comma 1, cagionato lesioni personali a D.D., dipendente della "Edilsavigliano Srl ".

Secondo la ricostruzione offerta dai giudici di merito nelle sentenze conformi, la ditta di C. aveva concesso in subappalto alla "Edilsavigliano Srl " i lavori di rimozione di materiale contenente amianto dal tetto di copertura di un capannone e di rifacimento del tetto. Durante la fase di installazione di reti anticaduta presso il capannone, la persona offesa si avvaleva di un carrello elevatore a pantografo presente nell'area di cantiere. Salito sul cestello, mentre manovrava l'elevatore per il posizionamento delle reti, il cestello si ribaltava, determinandone la caduta dell'operaio.

I giudici ritenevano responsabili gli imputati sulla base di quanto dichiarato dall'infortunato, dal collega operaio C.C., ed in ragione delle risultanze degli accertamenti svolti dai funzionari dello (Omissis), oltrechè degli esiti della consulenza effettuata dal C.T. nominato dal pubblico ministero.

2. Avverso la sentenza di condanna hanno proposto ricorso per cassazione gli imputati, articolando i seguenti motivi di doglianza.

Per B.B., Primo motivo: erronea applicazione dell'art. 590 c.p. in relazione al D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 2. Contraddittorietà della motivazione quanto alla rilevanza del ruolo societario rivestito da D.D..

La difesa sostiene, come già prospettato nei gradi di merito, come l'infortunato fosse in realtà socio della "Edilsavigliano Srl " intestata al figlio.

La Corte torinese, lamenta, ha ritenuto erroneamente che l'infortunato fosse alle dipendenze della società intestata al figlio, assumendo l'irrilevanza della circostanza che l'imputato convivesse con la persona offesa; lamenta inoltre come la Corte di appello avesse frainteso il contenuto della deposizione della persona offesa con riferimento ai profili riguardanti le modalità di gestione dei lavori da parte dell'imputato e l'oggetto dell'incarico ricevuto dalla ditta "Carmagnola", attribuendo a fattori quali la scarsa conoscenza della lingua italiana, il rapporto parentale con il titolare della società e le difficoltà mnemoniche, le "vaghe" dichiarazioni rese con riferimento a tali profili.

Le argomentazioni espresse in sentenza sono affette da numerosi vizi logici: la ricostruzione della dinamica dell'infortunio validata dalla Corte di appello si fonda anche sul contributo fornito a dibattimento dalla persona offesa, benchè su taluni aspetti della vicenda i giudici abbiano ritenuto "vaghe" le dichiarazioni della persona offesa.

Il tribunale di Ivrea aveva confutato le ragioni difensive non già adducendo una svalutazione di quanto narrato dall'infortunato, ma sulla base della posizione sovraordinata assunta dal figlio rispetto al padre nella gestione del lavoro. La sentenza impugnata ha invece sostenuto come la stessa persona offesa abbia ammesso, infine, di aver ricevuto indicazioni sul lavoro da effettuarsi e sull'utilizzo della scala oltre che da A.A., anche dal figlio.

La motivazione della decisione di secondo cure appare comunque viziata dalla dedotta contraddittorietà nella parte in cui nega pregnanza al contributo offerto dalla persona offesa, il quale, contrariamente a quanto ritenuto in sentenza, ha chiaramente escluso il ruolo dirigenziale del figlio nelle scelte delle modalità operative del compimento dei lavori.

Secondo motivo: erronea applicazione dell'art. 590 c.p. in relazione al D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 2, e del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 29.

La Corte di appello ha erroneamente escluso che tra la ditta del C. e la "Edilsavigliano" sia intercorso un mero appalto di manodopera, figura negoziale limitata ai casi in cui l'appaltatore metta a disposizione del committente una prestazione lavorativa, rimanendo in capo all'appaltatore, datore di lavoro, unicamente compiti di gestione amministrativa del rapporto di lavoro con i dipendenti.

Tutte le prove raccolte depongono per un contratto di subappalto intercorso tra le due ditte riguardante la mera prestazione di manodopera, essendo pacifica l‘indisponibilità di propri mezzi di lavoro da parte della "Edilsavigliano Srl ".

A fronte delle argomentazioni difensive a sostegno di tale prospettazione, i giudici di merito non avrebbero dovuto limitarsi ad evocare il ruolo dirigenziale attribuito all'imputato, ma avrebbero dovuto farsi carico di valutare le peculiarità dei rapporti instauratisi tra la Edilsavigliano e il ricorrente, tali da far propendere per la esistenza di un appalto di manodopera. Ritenuta l'illiceità del subappalto, discenderebbe, con tutta evidenza, l'impossibilità di attribuire ad B.B., la qualifica di datore di lavoro rilevante ai fini del D.L. 81 del 2008, con conseguente esonero da responsabilità in ordine al reato che gli viene contestato.

Terzo motivo: erronea applicazione degli artt. 590, 40 e 41 c.p.; D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 71, comma 1, in relazione all'art. 70 del decreto citato, quanto al criterio d'imputazione soggettiva del reato sub specie di colpa generica o specifica, nonchè con riferimento alla sussistenza in concreto di profili di esigibilità della condotta e di prevedibilità dell'evento.

La condotta contestata all'odierno ricorrente ha ad oggetto la violazione della regola cautelare contenuta nel D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 71, comma 1, per avere l'imputato, in qualità di datore di lavoro, messo a disposizione dei dipendenti attrezzature non a norma, responsabilità asseritamente non esclusa dal fatto che queste ultime fossero di proprietà del coimputato C.. Si erano devolute alla considerazione della Corte di merito specifiche censure riguardanti il ragionamento seguito dal primo giudice, il quale, preoccupato di escludere l'abnormità del comportamento del lavoratore, aveva del tutto trascurato di verificare la sussistenza in concreto dei profili di esigibilità della condotta e di prevedibilità dell'evento da parte di B.B.. La Corte di appello ritiene che il fatto che il macchinario utilizzato nel processo lavorativo fosse di proprietà di terzi non determinasse il venir meno, in capo al datore di lavoro, del dovere di salvaguardare l'integrità psicofisica del dipendente, essendo egli sempre tenuto a fornire ai lavoratori attrezzature idonee, somministrando specifiche indicazioni sulle modalità di svolgimento dell'attività lavorativa e dei rischi connessi all'uso dei macchinari.

Il principio enunciato non si attaglia al caso in esame: il datore di lavoro non era al corrente che all'interno del capannone vi fosse un carrello elevatore; infatti, dall'istruttoria dibattimentale è emerso che il carrello generatore dell'infortunio mai era stato adoperato in precedenza da "Edilsavigliano" e che non era in alcun modo previsto il suo utilizzo nello svolgimento dei lavori. Nella prospettiva della verifica della violazione della regola cautelare di cui al D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 71, la Corte doveva domandarsi in quale momento era sorta la posizione di garanzia in capo ad Erjon. Il non preventivato utilizzo del cestello elevatore doveva essere valutato non già alla luce del criterio dell'abnormità della condotta del lavoratore, quanto nella diversa prospettiva, valevole per il solo imputato Omissis, della prevedibilità in concreto del suo possibile utilizzo, trattandosi di un mezzo di proprietà del C.. Tale mezzo era stato collocato nel capannone ad esclusiva iniziativa di C. e della sua esistenza il ricorrente era venuto a conoscenza soltanto il giorno dell'infortunio.

Per A.A.;

Primo motivo: mancanza contraddittorietà ed illogicità della motivazione in punto di sussistenza del nesso di causalità tra condotta ed evento; condotta esorbitante o abnorme del lavoratore, vizio di violazione di legge.

L'impugnata sentenza, pur avendo più volte riconosciuto che non può mettersi in discussione l'esistenza di un significativo concorso di causa della condotta del dipendente nella verificazione dell'evento, ha tuttavia illogicamente ritenuto la persistenza della responsabilità colposa a carico dell'odierno ricorrente.

Correttamente la Corte di appello ha ritenuto che fosse stato manomesso il sistema di sicurezza del macchinario. Si è infatti accertata: A) l'apposizione di una fascetta di plastica a vincolare la leva del microinterruttore situato sulla base semovente; B) l'apposizione di un filo di ferro che vincolava la leva del microinterruttore della parte sfilabile della piattaforma. In entrambi i casi sono rimasti ignoti gli autori della manomissione. E' risultata accertata alla data del (Omissis), l'avvenuta rimozione del solo improprio vincolo indicato sub B), rilevato in sede di primo sopralluogo (rimozione che è stato oggetto della contestata condotta ex art. 374 c.p.). Così ricostruiti i dati fattuali, le conseguenze e, soprattutto, la rilevanza causale delle due distinte manomissioni sono state del tutto travisate nella sentenza impugnata. La manomissione indicata sub A) andava a risolvere una vera e propria anomalia, rendendo di fatto possibile la fisiologica movimentazione della base del macchinario, ma soltanto a piattaforma completamente abbassata; la seconda anomalia invece agiva chiudendo il circuito elettrico e consentendo la traslazione del cesto anche con pantografo completamente in elevazione. La prima manomissione era del tutto irrilevante rispetto al sinistro, la seconda manomissione, che agiva in elusione di una misura di sicurezza, era causalmente ricollegabile alla caduta.

La Corte di appello ha ritenuto che la fascetta in plastica riguardante la prima manomissione sia stata attuata in precedenza, così da consentire la traslazione del mezzo, non essendo altrimenti possibile spostare il macchinario nel luogo in cui è stato rinvenuto. Il riferimento appare all'evidenza generico, tutt'altro che significativo per chiarire le responsabilità addebitate all'imputato nel presente ambito.

La piattaforma era stata acquistata nel 2016 dalla ditta De Michelis, circa un mese prima del sinistro. L'acquisto del macchinario era avvenuto nello stato in cui si trovava, idoneo all'uso benchè fosse da revisionare. Il suddetto dato testuale avrebbe dovuto portare ad escludere che l'acquisto potesse essere avvenuto a macchina ferma non traslabile.

Il ricorrente non era a conoscenza dell'avvenuta riparazione della pregressa anomalia mediante apposizione della fascetta: questo è dimostrato proprio dal fatto che la stessa non è stata rimossa.

Si è affermato che sarebbe indimostrata l'elusione da parte dei due operai del sistema di sicurezza mediante apposizione del filo di ferro allo scopo di consentire il movimento della base semovente anche a pantografo in completa elevazione. Si è osservato che gli operai non avrebbero avuto nemmeno il tempo di comprendere come intervenire sul macchinario, essendosi il sinistro verificato subito dopo l'allontanamento dei due imputati. Tale conclusione è contraddetta dalle parole stesse del lavoratore infortunato, il quale aveva piena consapevolezza, in base a pregresse esperienze con piattaforme del medesimo tipo, che non si dovesse spostare il mezzo a cestello elevato, essendo tale comportamento era pericoloso e vietato. Le manomissioni dovevano essere ricondotte in qualche modo ad esigenze di abbreviazione del lavoro, tipiche di chi si accingeva ad adoperare il mezzo. Si trattava di un'operazione che portava via pochi secondi.

L'infortunato ha realizzato una condotta del tutto abnorme, essendo previsto che il lavoro dovesse svolgersi con l'impiego della sola scala.

La motivazione del provvedimento impugnato è del tutto carente ed illogica rispetto all'unica violazione di colpa specifica contestata al ricorrente, riconducibile al D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 72, comma 1, per avere concesso in uso una piattaforma non conforme ai requisiti di sicurezza.

Numerosi elementi depongono in senso contrario alla ricostruzione offerta dalla Corte di appello in ordine al fatto che il ricorrente avesse concesso in uso il suddetto macchinario.

Gli operai, con assoluta imprudenza, hanno senza indugio, in una pausa pranzo, scientemente contravvenuto alle istruzioni ricevute che non prevedevano l'impiego e la movimentazione del macchinario.

Secondo la Corte di merito se l'utilizzo del macchinario da parte dell'operaio fosse avvenuto nonostante l'espresso divieto formulato, la condotta dell'operaio avrebbe potuto rivestire il carattere dell'eccezionalità e abnormità, tale da interrompere il nesso di causa. E' del tutto omessa nella sentenza impugnata ogni valutazione sul peso riguardante la rilevanza causale degli errori attribuiti al D.D., definiti nella stessa sentenza negligenti ed imprudenti.

E' contraddittoria la motivazione espressa dalla Corte di appello in ordine alla valutazione del comportamento serbato dall'infortunato, il quale, in violazione degli ordini ricevuti, ha posto in essere una condotta abnorme, che si è posta al di fuori dell'ambito e delle disposizioni impartite nel contesto lavorativo in cui operava.

Secondo motivo: carenza e manifesta illogicità della motivazione in punto di mancata applicazione della causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto.

Secondo la Corte di merito non sarebbe consentita nel caso in esame l'applicazione della causa di non punibilità ex art. 131-bis c.p., apparendo significativa la superficialità e trascuratezza dell'operato degli imputati. I giudici di merito non tengono conto di tutte le complessive circostanze del caso: le modalità istantanee e imprevedibili della violazione; l'insussistenza di un'espressa concessione in uso del macchinario. La causa di non punibilità è applicabile anche in materia di infortuni sul lavoro.

 

Diritto


1. I ricorsi devono essere rigettati.

Secondo quanto dichiarato dalla stessa persona offesa, rammenta la Corte di appello nel ricostruire la dinamica dell'infortunio, D.D. si era recato con il figlio B.B., con A.A. ed un altro operaio presso un capannone dove avrebbe dovuto predisporre reti anticaduta per rimuovere le lastre di copertura dal tetto; avuta indicazione dei lavori da effettuare da parte dei due imputati, dopo che questi erano andati via, aveva iniziato a legare le reti utilizzando una scala; dopo la pausa pranzo, la parte offesa aveva notato la presenza sull'area di cantiere di una piattaforma con cestello e, compreso il suo funzionamento, era salito sopra per proseguire il lavoro. Nel manovrare il carrello per spostarsi era caduto dal cestello che si era ribaltato.

Il consulente tecnico nominato dal P.M. aveva ricostruito la dinamica del sinistro osservando come esso fosse stato causato dalla manovra di spostamento del pantografo, spostamento realizzato con il braccio in elevazione e con l'operaio a bordo. Aveva spiegato il consulente che il macchinario doveva essere dotato di interruttori che si attivano quando la piattaforma è chiusa ed il cestello completamente abbassato, consentendo solo in tal caso la chiusura del circuito elettrico e, quindi, la traslazione della piattaforma. I microinterruttori del pantografo in questione erano stati manomessi: con l'apposizione di fascette ben visibili nelle fotografie scattate dallo (Omissis), in cui era possibile riconoscere la manomissione dei circuiti del macchinario. In tal modo era stato reso inoperante il sistema di sicurezza volto ad evitare la traslazione del mezzo quando il braccio del macchinario era innalzato ed esteso.

La Corte di appello ha ritenuto dimostrato che fosse intervenuto un contratto di subappalto tra la ditta intestata a A.A. e la ditta "Edilsavigliano".

La "Carmagnola Servizi", di cui era titolare , aveva messo a disposizione dei dipendenti della "Edilsavigliano Srl " il macchinario pericoloso, privo dei necessari presidi di sicurezza, che aveva determinato la caduta del lavoratore; il titolare della "Edilsavigliano" ne aveva consentito l'utilizzo da parte dell'infortunato, dipendente della società.

Le argomentazioni poste a fondamento della ritenuta responsabilità degli imputati non soffrono dei vizi lamentati dai rispettivi difensori. Con argomentare logico e coerente la Corte di appello ha individuato in capo ai ricorrenti profili di colpa generici e specifici, riconducibili alla violazione delle norme di cui al D.Lgs. n. 81 del 2008, artt. 70, 71, 72 e 73, inserite nel Titolo III, capo I del citato decreto legislativo, volto a disciplinare l'uso delle attrezzature e dei macchinari nei processi di lavorazione.

1. Con riferimento alla posizione di B.B., si osserva quanto segue.

La difesa sostanzialmente reitera censure sottoposte all'attenzione della Corte di merito, già vagliate e disattese con argomentazioni non meritevoli di essere censurate in sede di legittimità, perchè sostenute da un logico apparato giustificativo e corrette in diritto.

La prospettazione riguardante la mancanza in capo all'imputato della qualifica di datore di lavoro dell'infortunato è priva di pregio. I giudici di merito, nelle due sentenze conformi, hanno ritenuto che il rapporto parentale esistente tra il titolare della "Edilsavigliano Srl " e D.D., non fosse suscettibile di influire sull'inquadramento della posizione di quest'ultimo, consentendo di escludere che egli avesse le mansioni di operaio alle dipendenze della società diretta dal figlio.

Si è invero accertato, si legge in motivazione, come il ricorrente avesse impartito al padre e all'altro dipendente precise direttive sulle modalità di svolgimento del lavoro. Tale circostanza, si precisa in sentenza, è risultata acclarata sulla base delle testimonianze provenienti dalla persona offesa e dall'altro operaio, E.E., ed anche sulla base delle stesse dichiarazioni rese dall'imputato, il quale ha riferito che il giorno dell'infortunio aveva dato indicazioni al padre e al dipendente di iniziare il lavoro utilizzando la scala e il trabattello (cfr. pag. 9 della sentenza impugnata).

Correttamente, dunque, i giudici di merito hanno individuato in capo all'imputato, nel rapporto con l'infortunato, i caratteri che connotano la posizione datoriale, la cui definizione è contenuta nel D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 2. Non è superfluo aggiungere come, nella giurisprudenza di legittimità, il fatto di impartire ordini e direttive sullo svolgimento dell'attività lavorativa sia ritenuto elemento dimostrativo della qualifica datoriale anche di fatto (cfr. ex multis Sez. 4, n. 22246 del 28/02/2014, Rv. 259224:"In materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro, in base al principio di effettività, assume la posizione di garante colui il quale di fatto si accolla e svolge i poteri del datore di lavoro, del dirigente o del preposto, il che non vale, tuttavia, a rendere efficace una delega priva dei requisiti di legge").

Le argomentazioni svolte dai giudici di merito sono avversate nel ricorso attraverso la proposizione di una diversa interpretazione delle emergenze probatorie, le quali, come è noto, non possono formare oggetto di delibazioni in questa sede.

E' d'uopo rammentare che, in tema di sindacato del vizio di motivazione, il compito del giudice di legittimità non è quello di sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito in ordine all'affidabilità delle fonti di prova, bensì quello di stabilire se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano fornito una corretta interpretazione di essi, dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti e se abbiano esattamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre (Sez. U. n. 930 del 13 dicembre 1995, Clarke, Rv. 203428).

3. Quanto al secondo motivo di ricorso, si osserva quanto segue.

Il fatto che la prestazione lavorativa dei due dipendenti della "Edilsavigliano Srl " possa essere inquadrata nell'ambito dell'appalto di manodopera - da cui discenderebbe, secondo la prospettazione difensiva, un esonero di responsabilità dell'imputato - è circostanza puntualmente esaminata e correttamente esclusa dalla Corte di appello (cfr. pag. 17 della sentenza impugnata). Le due ditte, ha evidenziato la Corte di merito, avevano stipulato un contratto di appalto ed il titolare della "Edilsavigliano Srl ", presente sul posto all'avvio dei lavori, aveva impartito direttive sul da farsi. I lavori, inoltre, non richiedevano l'impiego di particolari attrezzature, essendo previsto che il montaggio delle reti avvenisse con l'utilizzo di scale e trabattelli.

La difesa insiste nel riproporre una versione alternativa dei fatti senza confrontarsi realmente con le argomentazioni illustrate nella sentenza impugnata.

Deve peraltro rimarcarsi come, in tema di distacco di manodopera avvenuto al di fuori dei casi previsti del D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276, art. 30, comma 1, gli obblighi di prevenzione e protezione dei lavoratori, di cui al D.Lgs. n. 9 aprile 2008, n. 81, gravano, ai sensi dell'art. 299 dello stesso decreto, sia sul distaccante fittizio, il quale mantiene la qualifica di datore di lavoro in senso formale a norma del D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 2, sia su colui presso il quale i lavoratori sono distaccati, il quale assume la qualifica di datore di lavoro di fatto (cfr. in argomento Sez. 4, n. 49593 del 14/06/2018, Rv. 274042 - 02).

Quanto all'elemento soggettivo del reato, sulla base delle modalità dell'infortunio e dello svolgimento dei fatti, acclarata la titolarità della posizione di garanzia in capo a A.A., i giudici di merito hanno evidenziato come il ricorrente avesse omesso di attendere ai compiti che tale posizione gli imponeva, tra i quali devono annoverarsi quelli di verificare la idoneità dei mezzi a disposizione per la realizzazione dei lavori, di assicurare al lavoratore un'adeguata formazione ed una compiuta informazione e di verificare il puntuale rispetto, da parte del lavoratore, delle norme sulla prevenzione degli infortuni.

Si tratta di motivazione non censurabile in questa sede, poichè sorretta da logica e conferente interpretazione dei dati fattuali rappresentati in sentenza.

4. Parimenti infondate sono le doglianze formulate nell'interesse di A.A..

La questione riguardante la condotta abnorme del lavoratore, sostenuta con forza dalla difesa, è da ritenersi destituita di fondamento alla luce delle considerazioni svolte dai giudici in sentenza, conformi agli orientamenti consolidati espressi in materia da questa Corte.

Pur avendo i giudici riconosciuto un concorso di colpa del lavoratore, le criticità riscontrate nella organizzazione del lavoro, con la messa a disposizione degli operai di un macchinario insicuro e pericoloso, sono suscettibili di determinare comunque la responsabilità dell'imputato (Sez. 4, n. 10121 del 23/01/2007, Rv. 236109 - 01: "In tema di infortuni sul lavoro, l'eventuale colpa concorrente dei lavoratori non può spiegare alcun effetto esimente per i soggetti aventi l'obbligo di garantire la sicurezza e che si siano resi responsabili di violazioni di prescrizioni in materia antinfortunistica. (Nella fattispecie, la Corte ha ritenuto provata la responsabilità del datore di lavoro che non aveva sufficientemente istruito il lavoratore sull'uso della macchina)").

Il macchinario, privo dei sistemi di sicurezza per essere stato disattivato il meccanismo che bloccava il movimento quando il braccio era innalzato ed esteso, come puntualmente osservato in sentenza, risultava essere nella piena disponibilità dei dipendenti della ditta "Edilsavigliano Srl ": esso, infatti, si trovava nell'area di cantiere ed era collegato alla rete elettrica, elementi che hanno indotto i giudici a ritenere logicamente che fosse disponibile e pronto all'uso.

Si è rimarcato in motivazione come, alla stregua delle risultanze acquisite, nessun tipo di avvertimento fosse stato dato agli operai sull'area del cantiere allestito dal C. con riferimento al macchinario in questione.

La prospettata manomissione ad opera dei due dipendenti, ha precisato la Corte di merito, deve essere esclusa, essendo rimasta del tutto sprovvista di dimostrazione. Nella motivazione viene offerta una precisa spiegazione logica delle ragioni poste a fondamento del convincimento maturato in ordine alla risalenza delle manomissioni ad epoca precedente all'inizio dei lavori (cfr. pag. 12 della sentenza "con le leve dei due microinterruttori vincolate per chiudere il circuito elettrico era invece possibile traslare la macchina anche con pantografo in elevazione e piattaforma completamente allungata") Infondata è anche la doglianza con cui la difesa lamenta carenza di motivazione in ordine alla individuazione dei comportamenti suscettibili di integrare i profili di colpa specifica addebitati all'imputato.

A carico del ricorrente, come adeguatamente evidenziato in motivazione, si configura la violazione del D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 72, avendo l'imputato concesso l'uso del macchinario pericoloso alla subappaltatrice "Edilsavigliano Srl ".

5. In ordine al diniego dell'applicazione dell'art. 131-bis c.p. viene offerta una motivazione non suscettibile di essere censurata in questa sede, attingendo profili di merito che sfuggono al sindacato di questa Corte (pag. 18 della motivazione: "Premesso che significativa appare la superficialità e trascuratezza che contraddistingueva l'operato di entrambi gli imputati che confidando nella esperienza degli operai - ed in specie di D.D. - si limitavano ad indicare il lavoro da eseguire, stabilendo in specie il figlio della parte offesa che potevano essere utilizzate a tal fine la scala o il trabattello, senza preoccuparsi minimamente di segnalare (‘indisponibilità del carrello elevatore (A.A. e B.B.) o senza verificare la sua idoneità all'uso (Llupo), è soprattutto l'entità del danno arrecato che esclude che il fatto illecito possa definirsi come caratterizzato da particolare tenuità ex art. 131 bis c.p.").

6. Al rigetto dei ricorsi consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali; A.A. è altresì condannato alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile in questo giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro tremilacinquecento, oltre accessori come per legge.

 

P.Q.M.


Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali, condanna altresì A.A., alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile D.D. in questo giudizio di legittimità, che liquida in complessivi Euro tremilacinquecento, oltre accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 11 luglio 2023.

Depositato in Cancelleria il 29 settembre 2023