Cassazione Penale, Sez. 4, 19 ottobre 2023, n. 42842 - Esondazione e allagamento a causa della rottura dell'argine del fiume



 


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DOVERE Salvatore - Presidente -

Dott. CAPPELLO Gabriella - rel. Consigliere -

Dott. CENCI Daniele - Consigliere -

Dott. MICCICHE’ Loredana - Consigliere -

Dott. SESSA Gennaro - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
 


sul ricorso proposto da:

A.A., nato a (Omissis);

B.B., nato a (Omissis);

C.C., nato a (Omissis);

avverso la sentenza del 30/09/2022 della CORTE APPELLO di MILANO;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

svolta la relazione dal Consigliere Dott.ssa CAPPELLO GABRIELLA;

udito il Procuratore generale, in persona del Sostituto Dott. ORSI Luigi, il quale ha concluso chiedendo il rigetto dei ricorsi;

uditi l'avv. BASSI Luca del foro di Milano, in difesa di A.A., il quale ha illustrato i motivi di ricorso chiedendone l'accoglimento; l'avv. LUCIA Lucio del foro di MILANO, in difesa di B.B., il quale ha illustrato i motivi di ricorso chiedendone l'accoglimento; l'avv. AMBROSINI Carlo del foro di Brescia in difesa di C.C., il qual ha illustrato i motivi insistendo per l'accoglimento.
 

Fatto


1. La Corte d'Appello di Milano, in parziale riforma della sentenza del Tribunale cittadino, con la quale era stata affermata la penale responsabilità, tra gli altri, degli imputati B.B., A.A. e C.C., nelle rispettive qualità di responsabile dell'AIPO (Agenzia interregionale per il fiume Po), di progettista della centrale idroelettrica "(Omissis)" costruita in prossimità del fiume (Omissis), nonchè legale rappresentante di MEI Srl , committente dell'opera e l'ultima di legale rappresentante di NOVASTRADA Srl , appaltatrice della stessa, ha rideterminato la pena, riconoscendo agli imputati le circostanze attenuanti generiche e confermando nel resto.

2. La vicenda all'esame riguarda gli eventi occorsi il (Omissis), allorquando, in occasione di piogge abbondanti, si verificò la rottura dell'argine della sponda destra del fiume (Omissis), immediatamente a valle della centrale "(Omissis)" e la corrente fluviale superò la sommità arginale in prossimità del muro di raccordo del canale di restituzione delle acque prelevate dalla centrale, in corrispondenza di un tratto di quell'argine, fatto oggetto di modifiche durante i lavori di realizzazione della centrale, con esondazione e allagamento dell'area colpita, sulla quale insistevano civili abitazioni e imprese, come meglio descritto in imputazione.

Secondo i giudici del merito gli eventi sono stati conseguenza di una sinergia di concause, tra le quali le condotte ascritte a diverso titolo a più soggetti, compresi gli odierni ricorrenti. L'accusa poggia sulla ritenuta dimostrazione di una premessa: l'esecuzione - in occasione dei lavori di realizzazione della centrale "(Omissis)", ultimata circa un mese prima dei fatti per cui è processo - di interventi non autorizzati sull'argine interessato dalla rottura e la scorretta ricostruzione di quel tratto. Più specificamente, secondo l'accusa recepita dai giudici territoriali, anche alla luce dell'accertamento tecnico preventivo acquisito al processo e delle testimonianze, l'argine era stato interessato dai lavori per la realizzazione della centrale e poi ricostruito con materiale di risulta derivante dagli scavi nella zona, non ben ricompattato e senza previsione progettuale. Il terreno, previamente disboscato, era stato rimaneggiato e differiva dal resto dell'argine alberato, mancando anche i massi ciclopici di protezione. Dall'area in questione, in precedenza del tutto simile al tratto non interessato dai lavori di realizzazione della centrale, erano stati estirpati gli arbusti presenti e in essa erano stati realizzati scavi con demolizione di un muretto per consentire la discesa degli escavatori nell'alveo dopo la realizzazione del muro in cemento armato della centrale che impediva ai mezzi di operare direttamente dalla sponda. Il passaggio continuo degli escavatori aveva determinato un progressivo deterioramento di quel tratto di terreno e il materiale di risulta, con il quale era stato poi riscostruito l'argine, era stato collocato e pressato con l'escavatore, senza alcun consolidamento che si sarebbe realizzato solo nel tempo. Il materiale presente, inoltre, non aveva le caratteristiche dei massi ciclopici, trattandosi solo di pietrame, posizionato senza criterio e costipato senza osservare sistemi di tipo statico e dinamico, al contempo essendo stati estirpati e non ripiantati gli alberi, le cui radici conferivano maggiore resistenza all'argine stesso. Il tratto "azzerato" dalla piena del fiume era stato solo quello interessato dalla asportazione degli alberi, dagli scavi, dall'abbassamento ottenuto per realizzare la pista di accesso all'alveo da parte degli escavatori, dai ripetuti passaggi dei mezzi impiegati nei lavori di realizzazione dell'opera, esso essendo stato poi ricostruito in maniera ritenuta difforme così da indebolire l'argine rispetto al preesistente, contrariamente a quanto indicato nelle relazioni allegate al progetto dell'opera. In tal modo, si era innescato il rischio di inondazione, verificatosi in coincidenza della piena del fiume. Le modalità dell'allagamento dell'area abitata, anche mediante il raffronto con le esondazioni nelle aree vicine, erano state ritenute incompatibili con una graduale tracimazione delle acque, cosicchè per i giudici territoriali, senza la rottura di quel tratto di argine, dovuta alla sua demolizione e scorretta ricostruzione, l'evento non si sarebbe verificato con quei volumi di acqua e quella durata (l'acqua avendo ripreso a defluire solo quando era stato ripristinato l'argine) e neppure con quella violenza e repentinità che avevano messo in pericolo la pubblica incolumità. Fondamentale, ai fini della ritenuta correttezza dell'accusa, è stata ritenuta la ricostruzione in due distinte fasi dell'affluenza delle acque nella zona interessata dagli eventi per cui è processo: a partire dalle ore 17:00 e sino alle ore 19/19:30, sulla sponda orografica destra del (Omissis), nel tratto tra il ponte di via (Omissis) e quello di viale (Omissis), in corrispondenza dell'abitato del (Omissis), le acque fluviali avevano iniziato a tracimare determinando i primi, modesti allagamenti nelle zone più adiacenti all'argine; ciò aveva spinto gli abitanti ad approntare taluni rimedi per arginare l'acqua e impedirne l'accesso alle abitazioni; la fine delle precipitazioni aveva fatto sperare che ormai il pericolo di allagamento del centro abitato fosse scongiurato. Questa è stata descritta come la prima fase degli eventi. Tuttavia, verso le ore 20:00, si verificò quella che è stata considerata la seconda fase: gli abitanti venivano sorpresi da una massa d'acqua che in poco tempo aveva raggiunto tiranti idrici ingestibili, con una corrente che aveva reso particolarmente difficoltosa la messa in sicurezza delle persone anche da parte dei vigili del Fuoco intervenuti, non appartenenti alla squadra dei sommozzatori. L'argine di cui sopra era rimasto integro sino alle 19:42, come emerso dalle immagini registrate da una telecamera posta sul muro esterno della centrale, registrazione ripresa solo alle 23:20, allorquando il tratto era già crollato e, al suo posto, si osservavano le creste dell'acqua fluviale che inondava completamente il campo adiacente, tanto da aver formato un fiume "parallelo" al (Omissis) che arrivava sino all'abitato del (Omissis).

3. La Corte del gravame, esaminati gli appelli, ha preliminarmente rigettato l'eccezione con la quale la difesa A.A. aveva invocato la estromissione delle parti civili Condominio (Omissis) e D.D. & Figli, formulata sull'assunto che tali soggetti avevano instaurato un procedimento davanti al giudice civile avente stessi causa petendi e petitum, rilevando la estraneità dell'imputato a quel procedimento, nel quale era stata convenuta in giudizio la società committente MEI Srl , soggetto distinto dal legale rappresentante A.A..

3.1. Nel merito, ha considerato dimostrati i fatti di cui al capo 1) dell'imputazione: per i giudici del gravame, era intanto incontestato il cedimento del tratto di argine, sulla scorta delle immagini delle telecamere e, anche a voler ritenere che il sopralzo fosse crollato solo in parte nelle prime ore, la sua rottura aveva, comunque, determinato il pericolo per la incolumità pubblica. A tal fine, sono state ritenute conducenti e fondate le spiegazioni dei consulenti nominati nella procedura ai sensi dell'art. 696 c.p.c., anche con riferimento alle modalità di rifacimento dell'argine, avvalorate dall'apporto dichiarativo degli abitanti della zona interessata dagli eventi, di alcuni lavoratori impegnati nella realizzazione della centrale e dello stesso co-imputato B.B.. I giudici dell'appello hanno ritenuto che funzione dell'argine fosse proprio quella di delimitare il corso del fiume, contenendolo nei suoi confini, ciò anche a voler ritenere che il sopralzo sia esondabile, poichè la sua corretta realizzazione garantisce una diversa resistenza anche ove sormontato dall'acqua. Di qui la conclusione, ritenuta in termini di certezza, che la rottura del sopralzo era stata concausa del disastro colposo. Nè, in contrario, valgono per la Corte d'appello le critiche difensive fondate sull'assunto della eccezionalità del fenomeno atmosferico di quei giorni, delle capacità idrauliche estremamente critiche del fiume e dell'effetto "rigurgito" delle acque a monte del ponte (Omissis): per i giudici territoriali si era trattato di eventi non eccezionali e neppure anormali. Infatti, sulla scorta delle rilevazioni del sensore pluviometrico dell'ARPA del 15 novembre 2014, era risultato che le piogge erano state sì intense, ma non eccezionali; il modello matematico sviluppato dai consulenti a difesa non era attendibile, siccome basato su una rappresentazione ipotetica di ciò che poteva accadere, smentita dalle testimonianze assunte e fondata sulle affermazioni del teste E.E. rilasciate nella immediatezza che, tuttavia, non avevano smentito l'incidenza causale della rottura del sopralzo, avendo la difesa fornito di esse una lettura errata, poichè anche questo dichiarante aveva distinto una fase in cui la situazione sembrava sotto controllo e un'altra, successiva alla rottura dell'argine, in cui il fenomeno era divenuto incontrollabile; anche l'effetto "rigurgito" presso il ponte (Omissis) e il contributo alla esondazione della diga del Pusiano e del canale della (Omissis) erano irrilevanti, ciò non avendo impedito all'acqua di fuoriuscire dal sopralzo arginale con una maggiore intensità, tenuto conto del fatto che proprio l'assenza di una resistenza in quel punto aveva fatto sì che si formasse addirittura un corso d'acqua parallelo al (Omissis) che raggiungeva i luoghi colpiti dall'alluvione. Il che consentiva di concludere, con alta probabilità logica, nel senso che la rottura dell'argine aveva causato il verificarsi dell'evento di cui alla imputazione, poichè l'assenza del crollo avrebbe determinato un diverso decorso causale. La Corte territoriale ha, poi, sottolineato l'importanza della ricostruzione degli eventi di quel giorno, alla stregua della individuazione delle distinte fasi sopra sommariamente descritte, grazie all'apporto dichiarativo dei protagonisti di quelle vicende, riportato per ampi stralci nella sentenza impugnata a dimostrazione della repentinità, violenza e incontenibilità delle acque dalle ore 20:00 in avanti, in una fascia oraria che i giudici del merito hanno ritenuto prossima al cedimento del tratto di argine (come avvalorato dalle immagini estrapolate dalla telecamera esterna della centrale idroelettrica), valorizzando, a tal fine, la coincidenza temporale tra il crollo e il momento in cui il fenomeno era divenuto ingestibile, esclusa l'ipotesi della lenta e graduale tracimazione del fiume.

In ordine a tali aspetti della ricostruzione degli eventi, la Corte d'appello ha condiviso le conclusioni del primo giudice che aveva disatteso l'argomento difensivo sostenuto dal parere tecnico dell'ing. F.F., consulente della difesa A.A., a mente del quale la spiegazione dei consulenti nominati nella procedura di ATP, corretta in linea astratta, non lo sarebbe stata nel caso concreto, stante la esistenza di una "disconnessione idraulica" del tipo di quella che si registra nelle cascate, dovuta al dislivello di circa sei metri e ottanta centimetri tra l'idrometro di via (Omissis) e l'area centrale del (Omissis): i giudici territoriali hanno, però, osservato che tale dislivello di articolava su una distanza di Km. 2,6 in un'area sostanzialmente pianeggiante, non paragonabile dunque al "salto" di una cascata, considerato il venir meno, nell'invaso esaminato, di un lato del contenimento che aveva determinato l'abbassamento della portata delle acque anche a monte, essendo le stesse defluite inevitabilmente all'esterno. A conferma, hanno richiamato le dichiarazioni del teste G.G., il quale, alcuni giorni dopo i fatti, aveva condotto, insieme al direttore dei lavori di costruzione del canale, alcune verifiche per comprendere le origini dell'alluvione, ricostruendo il percorso dell'acqua, grazie ai segni del suo passaggio, risalendo sino al tratto di argine crollato. Di qui la conclusione della incompatibilità della dinamica dell'inondazione come esondazione lenta e graduale, definizione idonea a descrivere al più il comportamento dell'acqua dalle ore 17.00 alle ore 20:00, ma non il fenomeno repentino, improvviso e violento abbattutosi sull'abitato dalle ore 20:00 in avanti, ritenendo i giudici dell'appello non applicabile al caso di specie il principio della "invarianza idraulica", posto che l'acqua era fuoriuscita in maggior quantità proprio dal lato dell'argine ove si era verificata la rottura del sopralzo.

Quanto, poi, agli elementi distintivi del reato contestato, la Corte territoriale ha ritenuto sussistente il grave pericolo per l'incolumità pubblica: l'inondazione aveva investito un'area estesa e coinvolto un numero indeterminato di persone transitanti o residenti in quell'area; solo i sommozzatori erano riusciti a trarre in salvo gli abitanti; l'acqua, fredda e connotata da una corrente molto forte, aveva raggiunto circa due metri di altezza dal suolo.

3.2. In ordine alle singole responsabilità, avuto riguardo alle diverse condotte ascritte ai tre imputati, la Corte territoriale ha ritenuto provata quella del A.A., sia quale legale rappresentante della committente, che quale soggetto direttamente e personalmente coinvolto nella esecuzione dei lavori, quale progettista dell'opera, in condizione di rendersi conto che la ricostruzione del sopralzo crollato non era stata eseguita a regola d'arte. In particolare, disattesa la conclusione del primo giudice sulla ritenuta rilevanza, nel caso all'esame, dei principi elaborati in materia antinfortunistica, ha affermato che il committente era tenuto alla vigilanza sulla esecuzione di quei lavori, tanto più che l'imputato era stato presente, assiduamente e attivamente, sul cantiere, sul punto richiamando le convergenti testimonianze H.H., I.I. e L.L., coinvolti a vario titolo nei lavori di realizzazione della centrale. Peraltro, il A.A. aveva assunto contrattualmente l'obbligo di svolgere la vigilanza sui lavori che avrebbero dovuto eseguirsi in modo da non pregiudicare le opere di difesa esistenti, anche rispetto ad esse avendo la Corte ravvisato un preciso obbligo di controllo in capo all'imputato. Inoltre, contrariamente a quanto asserito a difesa, la mancata previsione delle opere di ripristino nel progetto approvato per la realizzazione della centrale, lungi dall'escludere la responsabilità del progettista, la confermava, egli avendo potuto rendersi conto della irregolarità di quell'intervento rispetto al progetto redatto, intervenendo di conseguenza.

Infine, ha disatteso anche il motivo, con il quale la difesa aveva contestato l'esercizio dei poteri di integrazione istruttoria, azionati dal primo giudice ai sensi dell'art. 507 c.p.p. dopo la chiusura dell'istruzione, superando il rilievo opposto a difesa circa la contraddittorietà di tale decisione rispetto al rigetto delle richieste presentate dalle parti civili e dal pubblico ministero proprio a norma dell'art. 507 cit., posto che la decisione, in quel momento, era intervenuta a istruttoria non ancora chiusa.

Quanto alla posizione della C.C., invece, la Corte del merito, richiamate le argomentazioni svolte a proposito del ravvisato nesso causale tra la mancata realizzazione ad opera d'arte della ricostruzione del sopralzo arginale e gli eventi verificatisi il 15 novembre 2014, ha ritenuto la responsabilità dell'imputata nella qualità di legale rappresentante dell'impresa appaltatrice, capo commessa nel cantiere e, quindi, punto di riferimento per tutte quelle ivi operanti. Sebbene l'ente fosse tenuto ad eseguire le opere in base al progetto approvato, gli interventi modificativi del sopralzo spondale destro a valle del muro di restituzione delle acque della centrale erano avvenuti senza alcuna prescrizione progettuale di dettaglio e, comunque, non a regola d'arte, in maniera anzi superficiale e improvvisata senza apporre idonei massi ciclopici, riutilizzando il pietrame di risulta e compattando il terreno con macchinari inadatti.

Ha, poi, disatteso il motivo con il quale questa appellante aveva invocato la riqualificazione del fatto quale ipotesi di cui all'art. 676 c.p., osservando che la norma invocata punisce la rovina di edifici dalla quale non derivi un disastro colposo ai sensi dell'art. 434, cioè un evento di intensità tale da recare pericolo a un numero indeterminato di persone, come invece avvenuto nella specie a causa della rottura dell'argine; ma anche quello articolato in ordine alle ordinanze istruttorie rese dal Tribunale, richiamando le argomentazioni svolte con riferimento all'analoga censura formulata nell'interesse dell'imputato A.A. e rilevando, ad ogni buon conto, la inammissibilità del motivo, siccome generico e apodittico.

Infine, passando alla posizione dell'imputato B.B., va intanto premesso che già nella sentenza appellata era stata richiamata la normativa che riguarda la polizia idraulica e le relative linee guida, precisandosi che la stessa consiste nella attività tecnico-amministrativa di controllo degli interventi di gestione e trasformazione del corso d'acqua e delle sue pertinenze. In forza di tali previsioni, il primo giudice aveva ritenuto che tale attività ricomprendesse la sorveglianza di fiumi e torrenti del demanio idrico e del suolo in fregio ai corpi idrici, per la tutela e la preservazione del corso d'acqua e delle sue pertinenze; ma anche il presidio degli argini, i compiti di verifica del rispetto delle concessioni e autorizzazioni assentite e l'accertamento delle eventuali violazioni. L'imputato, in particolare, era stato nominato responsabile del procedimento nella fase dell'istruttoria in sede di conferenza dei servizi indetta dalla Provincia di Milano, a seguito della richiesta di autorizzazione a costruire la centrale idroelettrica "(Omissis)". la Corte territoriale, rigettate le doglianze inerenti alla ricostruzione dei fatti e al nesso causale tra la rottura dell'argine e l'evento, attraverso il richiamo alle argomentazioni svolte con riferimento agli altri atti di gravame, ha precisato che l'imputato era il funzionario dell'AIPO, l'agenzia che, secondo quanto ricostruito nella sentenza di primo grado, era deputata a svolgere compiti di polizia idraulica con riferimento al fiume (Omissis). Nel rispondere ai rilievi formulati con il gravame, ha affermato che l'agenzia rappresentata dal B.B., contrariamente a quanto asserito a difesa, pur non avendo compiti di polizia idraulica con riferimento a tutto il fiume Po, poteva svolgerli rispetto alle aree ad essa delegate, come corroborato dai documenti indicati alle pagg. 30-31 della sentenza impugnata. Inoltre, l'imputato aveva rilasciato il nulla-osta per la realizzazione dell'opera sulla base del progetto provvisorio a inizio della conferenza dei servizi, prescrivendo la produzione del progetto esecutivo e la comunicazione dell'inizio e della fine dei lavori e chiedendo che non fossero eseguiti lavori interruttivi del flusso delle acque. Tuttavia, l'agenzia aveva preso parte solo al primo dei quattro incontri della conferenza dei servizi, nonostante la regolare convocazione anche per le sedute successive e l'imputato, perfettamente consapevole della pendenza del procedimento, avrebbe potuto e dovuto attivarsi autonomamente al fine di vigilare sul tratto del fiume interessato dagli stessi, ricadente sotto la sua competenza, non avendolo fatto neppure allorquando la società appaltante non aveva comunicato quanto espressamente richiesto nel nulla-osta rilasciato dallo stesso nel giugno 2013, sulla base del solo progetto provvisorio.

In ogni caso e risolutivamente, i giudici d'appello hanno ritenuto che l'agenzia avesse avuto contezza dell'inizio dei lavori, comunicata via pec da MEI Srl , ritenendo irrilevante la mancata produzione di prova di tale comunicazione dal momento che, dopo l'inizio dei lavori, erano stati registrati contatti tra la predetta società e l'AIPO che avevano permesso al personale di quest'ultima di essere adeguatamente informato sull'avvio e l'andamento degli stessi. Nonostante ciò, erano mancate direttive da parte di quell'organo, quantomeno in ordine al corretto rifacimento dell'argine, iniziative in tal senso essendo state assunte solo dopo il verificarsi dell'esondazione. Inoltre, quell'ufficio, tramite propri rappresentanti, non aveva partecipato all'incontro conclusivo per la verifica dell'esito dei lavori in data 22 ottobre 2014, come confermato dalle testimonianze M.M. e N.N.. Era stato sempre il B.B., dopo l'esondazione, a scrivere alla MEI Srl , lamentando di non avere mai ricevuto, dopo il rilascio del nulla-osta, il progetto esecutivo e la comunicazione delle date di inizio e fine lavori ciò che, stando alle parole dello stesso imputato, avrebbe impedito l'attivazione delle relative procedure di controllo, così riconoscendo i propri compiti di vigilanza, peraltro prescritti dalla normativa in materia. Infine, era emerso che l'AIPO, in persona di altro funzionario, addetto all'ufficio del B.B., aveva avuto notizia dell'inizio dei lavori a gennaio 2014.

4. I difensori degli imputati A.A., C.C. e B.B. hanno proposto separati ricorsi.

4.1. La difesa del A.A. ha formulato cinque motivi.

Con il primo, ha dedotto inosservanza o erronea applicazione della legge penale in relazione all'art. 185 c.p. e art. 75 c.p.p., comma 3, e vizio della motivazione, con riferimento alla ritenuta legittimazione processuale delle parti civili (Omissis) e D.D. & Figli. I giudici del merito hanno rigettato l'eccezione difensiva, ritenendo che il giudizio civile fosse stato promosso nei confronti di soggetto diverso dal A.A., cioè la società della quale egli era legale rappresentante, senza tuttavia verificare la sovrapponibilità delle richieste articolate nel diverso giudizio, l'attenzione dei giudici dovendo focalizzarsi principalmente sulla causa petendi e sul petitum, elementi essenziali per valutare l'identità della domanda già proposta in sede di costituzione di parte civile nel processo penale e scongiurare il rischio di una locupletazione da parte del danneggiato con riferimento al medesimo illecito.

Con il secondo motivo, ha dedotto vizio della motivazione, con riferimento alla condotta verifica del nesso causale tra la condotta e l'evento, formulando censure rispetto a tre distinti punti, vale a dire la eccezionalità delle piogge del 15 novembre 2014, la idoneità dei lavori di ripristino dell'argine e l'incidenza causale di fattori diversi, quali il fenomeno del "rigurgito", nonchè con riferimento all'attendibilità della ricostruzione dei fatti offerta dai consulenti F.F. e O.O..

Più in generale, la difesa rileva che, a fronte di un articolato atto di gravame, i giudici territoriali avrebbero dedicato solo sette pagine alla verifica del nesso causale, senza neppure adeguatamente considerare le consulenze tecniche prodotte a difesa e in mancanza di un vero e proprio contraddittorio tecnico, non avendo il pubblico ministero nominato un proprio consulente, nè i giudici un perito. La risposta della Corte d'appello si baserebbe, dunque, su criteri non scientifici, come richiesto dalla giurisprudenza, non essendo stati neppure indicati gli elementi dai quali quei giudici hanno desunto che le piogge di quella giornata in quella zona non fossero state eccezionali, che i lavori di rifacimento dell'argine fossero inidonei e che non fosse corretta la ricostruzione alternativa proposta dal consulente di parte.

Con riferimento a tutti e tre i punti, la difesa opera un rinvio alle conclusioni del proprio consulente, in base alle quali considera dimostrato che il fenomeno atmosferico di quella giornata era stato eccezionale; rileva che le dichiarazioni del B.B., in forza delle quali i giudici territoriali hanno affermato che il ripristino dell'argine non era stato eseguito a regola d'arte, sarebbero inidonee a sostenere tale conclusione, non essendo stata verificata, previo campionamento e esame del terreno, la natura di esso e la sua compatibilità con opere di ripristino. I giudici del merito si sarebbero limitati, a parere della difesa, a rinviare alla anacronistica teoria dell'aumento del rischio, così confondendo i piani della causalità e dell'imputazione. Infine, si censura la motivazione anche con riferimento alla ritenuta infondatezza della spiegazione alternativa del fenomeno verificatosi, assumendosi l'apoditticità della affermazione per la quale il "rigurgito" delle acque, sostenuto da più pareri esperti, non avrebbe avuto alcuna incidenza sul decorso causale, la ricostruzione recepita in sentenza fondandosi sull'unico elemento rappresentato dal crollo dell'argine, la cui dinamica sarebbe rimasta incerta, fondandosi su ipotesi formulate da alcuni condomini.

Con il terzo motivo, ha dedotto inosservanza o erronea applicazione della legge penale e vizio della motivazione, questa volta con riferimento alla verifica dell'elemento psicologico del reato. Il convincimento dei giudici del merito si sarebbe fondato sostanzialmente sulle dichiarazioni del H.H., testimone inattendibile, le risultanze probatorie essendo di segno diametralmente opposto, siccome dimostrative di una sporadica presenza del A.A. nel cantiere, ricollegata peraltro ad aspetti strettamente imprenditoriali e non tecnici, egli essendo in ogni caso esonerato da responsabilità avendo, quale committente dell'opera, provveduto a nominare un direttore e un responsabile dei lavori, nella persona del geom. G.G.. Sotto altro profilo, la difesa rileva che la prevedibilità dell'evento non può riguardare la configurazione dello specifico fatto in tutte le sue più minute articolazioni, ma la classe di eventi nella quale si colloca quello oggetto del processo. Pertanto, non essendo stato il A.A. informato degli eventi accaduti nel luglio 2014, egli non era in grado di decidere sulle eventuali opere da approntare per il rinforzo dell'argine. Inoltre, il criterio di imputazione soggettiva doveva essere esaminato attraverso l'apprezzamento della concreta evitabilità dell'evento e dell'esigibilità del comportamento alternativo lecito, laddove, nella specie, il progetto per la realizzazione della centrale "(Omissis)" era stato assentito dagli organi competenti, le cui prescrizioni erano confluite nel progetto finale, senza che fosse più formulata alcuna osservazione.

Con il quarto motivo, la difesa ha dedotto inosservanza o erronea applicazione della legge penale, con riferimento alla violazione del contraddittorio in relazione alla produzione operata dal pubblico ministero all'udienza del 4 ottobre 2019, sulla quale le difese si erano riservate di interloquire. Tuttavia, il giudice aveva dichiarato chiusa l'istruzione e invitato le parti a concludere, sebbene l'istruttoria non fosse effettivamente ancora conclusa, e nonostante il PM avesse fatto riferimento al contenuto del DVD prodotto.

Infine, con il quinto motivo, si è detto analogo vizio, oltre a vizio della motivazione, in relazione alla invocata integrazione istruttoria a norma dell'art. 507 c.p.p.. Secondo questa difesa, in ipotesi di incompletezza della prova, il giudice del merito dovrebbe fare applicazione del principio in dubio pro reo e non risolvere l'impasse disponendo una integrazione probatoria che, peraltro e contraddittoriamente, era stata precedentemente esclusa a seguito di specifica richiesta delle parti civili e del PM. Si osserva che i dubbi ritenuti dal giudicante, inoltre, non sarebbero stati fugati dalle prove disposte con la riapertura dell'istruzione, procedendo alla confutazione della valutazione di quel riferito testimoniale.

4.2. La difesa della C.C. ha formulato sette motivi.

Con il primo, ha dedotto inosservanza o erronea applicazione della legge penale con riferimento alla ritenuta sussistenza del nesso causale tra la condotta contestata e l'evento. Anche questa difesa rileva una grave lacuna investigativa concretatasi nella mancata indagine tecnica sulle cause della esondazione, avendo i giudici del merito considerato sufficienti gli accertamenti relativi alla procedura ATP, entrati nel processo penale attraverso il contributo testimoniale di quei consulenti, valutandoli come prova tecnica, omettendo di nominare un perito al fine di dirimere le contraddittorietà emerse a seguito dell'istruttoria orale e documentale e rigettando le spiegazioni dei consulenti di parte, senza disporre di elementi tecnici sui quali formare il proprio, contrario convincimento, tenuto conto della natura di accertamento sommario dello strumento civilistico utilizzato.

Con il secondo motivo, ha dedotto vizio della motivazione con riferimento alla ritenuta esistenza del nesso causale tra la condotta e l'evento, non avendo i giudici del gravame colmato le lacune motivazionali della sentenza appellata, avuto riguardo ai profili probatori e alle questioni tecniche contestate in maniera argomentata da tutte le difese. Di fronte alla incompletezza istruttoria (non avendo il PM nominato un proprio consulente e neppure il giudice un perito), si rileva che la Corte d'appello avrebbe ritenuto provati i fatti come ricostruiti nella sentenza di primo grado, attribuendo il cedimento dell'argine alla esondazione e ritenendo tale rottura dimostrata con certezza. Da ciò, tuttavia, non può dirsi automaticamente dimostrata la responsabilità della C.C., sul punto difettando una motivazione rafforzata nella sentenza impugnata, avendo i giudici del gravame argomentato sulla scorta del parere acquisito in sede di ATP e di contrastanti riferiti testimoniali, a fronte di una tesi difensiva fondata su consulenze tecniche e su molte testimonianze attendibili, siccome rese da soggetti disinteressati, delle quali tuttavia i giudici territoriali non avrebbero tenuto conto. In particolare, la difesa ritiene non adeguatamente giustificato l'assunto della non eccezionalità delle piogge, nonostante il dato contrario rappresentato dalla rilevazione del sensore pluviometrico dell'ARPA; inidonee e inadeguate le affermazioni sulle opere di ripristino dell'argine, basate su una valutazione ex post operata dal coimputato B.B. e senza alcun approfondimento circa la natura del terreno e la sua compatibilità con opere di ripristino; si censura il giudizio di infondatezza della ricostruzione alternativa proposta a difesa, alla stregua di pareri tecnici in ordine alla incidenza di fattori alternativi che avrebbero interferito sul decorso causale (il riferimento è, anche per questa difesa, al fenomeno del "rigurgito" delle acque e al modello matematico proposto dall'ing. F.F.); e si contesta la ritenuta inidoneità delle opere di ripristino dell'argine, affermata in maniera del tutto ipotetica e congetturale. Anche questa difesa sminuisce la pregnanza assegnata all'esito dell'ATP, accertamento sommario disposto ad altri fini e avente altre finalità probatorie.

Con il terzo motivo, ha dedotto vizio della motivazione con riferimento alla condotta ascritta alla imputata, avendo i giudici del merito erroneamente escluso che la esondazione fosse riconducibile solo a cause naturali, non considerando che la C.C. aveva agito all'interno di precise coordinate contrattuali (appalto e capitolato), fattuali (confini materiali del cantiere) e amministrative (autorizzazioni pubbliche), poste da terzi e senza che l'appaltatrice potesse assumere decisioni autonome rispetto agli ordini di cantiere e alle indicazioni progettuali. Richiama alcune circostanze che ritiene idonee a escludere la responsabilità della ricorrente, facendo riferimento, in particolare, alla relazione tecnica F.F., alle dichiarazioni P.P. e Q.Q., quest'ultimo in servizio presso la Stazione Carabinieri Forestali di Milano, a quelle dei lavoratori impegnati in loco e a quelle rese dall'ing. N.N., dipendente MEI Srl . Contesta, poi, che NOVASTRADE Srl abbia eseguito opere non assentite, non rinvenendosi alcun cenno nel contratto d'appalto e nel relativo capitolato ad opere interessanti il tratto di argine ceduto, avendo i consulenti R.R e S.S smentito che la causa esclusiva dell'evento fosse riconducibile a una errata progettazione della centrale "(Omissis)". Ritiene meramente ipotetica la ricostruzione di cui all'elaborato dei consulenti nominati nella procedura ATP, avendo gli stessi ammesso l'assenza di evidenze documentali a supporto. Contesta, ancora, l'esistenza della prova che NOVASTRADE Srl avesse danneggiato, indebolendola, la porzione di argine a valle della centrale, affermando esservi prova documentale che le opere di modifica della sola spalla di raccordo del manufatto con la sponda del (Omissis) avevano addirittura migliorato la consistenza e tenuta, anche in altezza, dell'argine.

Con il quarto motivo, ha dedotto inosservanza o erronea applicazione della legge penale in ordine alla qualificazione giuridica della condotta, nonchè vizio della motivazione sul punto, in relazione alla richiesta di riqualificazione di essa a norma dell'art. 676 c.p.: l'opera eseguita da NOVASTRADE Srl era stata collaudata e aveva ottenuto le necessarie autorizzazioni e omologhe amministrative, laddove l'opera extra contratto che si vorrebbe attribuire alla appaltatrice costituirebbe solo un'irrisoria parte dell'argine, interamente sormontato dal naturale livello raggiunto dall'acqua fluviale a causa delle intense piogge, essendosi assegnata ai fatti una portata più grave di quella effettiva. Sotto altro profilo, si contesta l'esistenza di un macro-evento nella fattispecie, non avendo l'esondazione profilato alcun pericolo per la vita delle persone, nè riguardato un numero indeterminato di soggetti, avendo cagionato solo danni patrimoniali.

Con il quinto motivo, ha dedotto analoghi vizi con riferimento alla legittimazione processuale delle parti civili (Omissis) e D.D. & Figli, ritenendo che, nella specie, vi sia perfetta coincidenza tra la causa petendi e il petitum della domanda civile formulata in sede penale e quella del giudizio promosso in sede civile.

Con il sesto motivo, ha dedotto inosservanza o erronea applicazione della legge penale con riferimento all'ammissione della produzione documentale da parte del PM all'udienza del 4 ottobre 2019, rispetto alla quale le parti si erano riservate di controdedurre, avendo il giudice dichiarato chiusa l'istruttoria prima che ciò potesse avvenire, in palese violazione delle norme a presidio del diritto di difesa e del contraddittorio.

Infine, con il settimo motivo, ha dedotto analogo vizio oltre a vizio della motivazione con riferimento ai provvedimenti assunti in materia di integrazione della istruzione dibattimentale, disposta dal giudice dopo la Camera di consiglio al fine di supplire alla incompletezza probatoria che avrebbe imposto, invece, un verdetto assolutorio ai sensi dell'art. 530 c.p.p., comma 2.

4.3. La difesa dell'imputato B.B. ha formulato due motivi.

Con il primo, ha dedotto vizio della motivazione, sub specie mancanza, con riferimento al motivo 1.B del gravame: si era rilevato, in quella sede, che il primo giudice non aveva adeguatamente considerato l'apporto del consulente T.T. (riportato per stralcio in ricorso) in ordine alla non incidenza causale della rottura dell'argine rispetto all'evento, atteso che, secondo il parere di tale esperto, anche ove il sopralzo non avesse ceduto, esso sarebbe comunque accaduto, tesi non confutata dalla Corte territoriale che si sarebbe limitata a richiamare le considerazioni svolte rispetto al gravame dell'imputato A.A..

Con il secondo, ha dedotto inosservanza o erronea applicazione della legge penale e vizio della motivazione, anche per travisamento probatorio, con riferimento alla ritenuta responsabilità dell'imputato, derivata da conclusioni assunte riguardo all'ufficio di appartenenza, attribuite all'imputato siccome soggetto responsabile della istruttoria in ordine alla richiesta di autorizzazione a realizzare la centrale idroelettrica. Le condotte omissive (mancata partecipazione alle riunioni), così come la conoscenza dell'inizio lavori sono state riferite all'AIPO e non all'imputato personalmente, essendo i giudici territoriali passati dal piano dell'analisi della responsabilità personale derivante dalla condotta dell'imputato a quello, inammissibile in sede penale, della responsabilità per colpa di organizzazione dell'agenzia AIPO. L'imputato si era limitato a firmare il nulla osta idraulico condizionato alla presentazione del progetto esecutivo e alla comunicazione di inizio lavori ed è stato ritenuto responsabile di omessa vigilanza in quanto l'agenzia avrebbe saputo dell'inizio dei lavori essendo intercorsi contatti tra MEI Srl e personale dell'AIPO, ciò che non potrebbe però valere per affermare la conoscenza del dirigente B.B., il quale aveva dei collaboratori (U.U. e V.V.) che avevano partecipato al sopralluogo del gennaio 2015, seguito l'istruttoria e negato di aver saputo della presentazione del progetto esecutivo. Inoltre, la Corte d'appello avrebbe ignorato una prova introdotta a difesa intesa a dimostrare l'impossibilità oggettiva del preteso controllo, posto che, al tempo dei fatti, l'agenzia era sottodimensionata rispetto alle aree ricadenti sotto la sua competenza, cosicchè non poteva pretendersi che l'ente vigilasse tutti i corsi d'acqua di sua competenza.

5. La difesa dell'imputato B.B. ha depositato motivi nuovi con allegati, sviluppando le argomentazioni difensive e ribadendo che le considerazioni utilizzate dalla Corte d'appello per disattendere la consulenza F.F. opposta dalla difesa A.A. a sostegno delle proprie tesi non potevano essere utilizzate anche per disattendere quelli formulati a difesa dell'imputato B.B., fondati sulla consulenza T.T. di tenore del tutto diverso e basata su altro calcolo matematico e sul modello di rischio adottato dopo gli eventi per cui è processo, avendo quel tecnico ritenuto la non incidenza causale della rottura dell'argine rispetto agli eventi, muovendo dalla funzione propria di tale presidio che non è quella della difesa strategica delle aree retrostanti. Sul punto, la difesa ritiene insufficiente il richiamo generico operato dai giudici territoriali alle osservazioni di alcuni consulenti della difesa, senza alcuno specifico riferimento al consulente T.T.. Sotto altro profilo, ha richiamato le argomentazioni svolte con il secondo motivo di ricorso, in relazione ai compiti dei referenti U.U. e V.V., all'interno dell'ufficio diretto dall'imputato. Questi, quale responsabile del procedimento, si era avvalso di una struttura composta da altri funzionari e i giudici del merito non avevano dato conto dei presunti contatti tra l'appaltatrice e AIPO e neppure indicato chi fossero i soggetti tra i quali essi erano intercorsi, ritenendo a tal fine insufficiente la lettera cui ha fatto rinvio il Tribunale, in quanto essa non recava la firma dell'imputato, mancando in ogni caso la prova che egli avesse avuto notizia dell'inizio dei lavori o della presentazione del progetto esecutivo.

 

Diritto


1. I ricorsi sono tutti inammissibili.

2. Il primo motivo formulato dalla difesa A.A. e il quinto motivo formulato dalla difesa C.C. sono manifestamente infondati, quest'ultimo non essendo neppure deducibile, non avendo formato oggetto di apposito motivo di gravame (tra le altre, sez. 2, n. 26721 del 26/4/2023, Bevilacqua, Rv. 284768-01, in cui si è affermato, per l'appunto, che non possono essere sollevate davanti al giudice di legittimità questioni sulle quali il giudice di appello non si sia pronunciato, perchè non devolute alla sua cognizione; sez. 3, n. 2343 del 28/2018, dep. 2019, Di Fenza, Rv. 274346-01; sez. 2, n. 13826 del 17/2/2017, Bolognese, Rv. 269745-01; n. 6131 del 29/1/2016, Menna, Rv. 266202-01; sez. 5, n. 28514 del 23/4/2013, Grazioli, Rv. 255577-01).

I ricorrenti, intanto, non hanno messo questa Corte nelle condizioni di operare il controllo sulla rappresentata identità della domanda proposta in sede civile nei confronti di diverso soggetto, rispetto all'azione esercitata nei confronti degli imputati in sede penale, assumendo solamente l'identità della causa petendi e del petitum delle due domande. Pertanto, deve rilevarsi in via preliminare che le censure non sono in tal senso neppure auto sufficienti.

In ogni caso, va rilevato che, per stessa affermazione dei ricorrenti, la citazione davanti al giudice civile è stata proposta nei confronti di un soggetto rimasto estraneo al processo penale (gli enti dei quali i ricorrenti sono i rispettivi legali rappresentanti) e, sul punto, pare utile un richiamo a quanto di recente affermato da questa stessa sezione con riferimento all'azione risarcitoria proposta dal danneggiato in sede civile nei confronti dell'ente ospedaliero, ritenuta non preclusiva della legittimazione alla costituzione di parte civile nel processo penale a carico dei sanitari, principio affermato proprio in relazione alla non coincidenza delle due domande anche sotto il profilo soggettivo (sez. 4, n. 43465 del 27/10/2022, D'Addario, Rv. 283923-01; ma vedi anche sez. 4, n. 3454 del 19/12/2014, dep. 2015, Di Stefano, Rv. 261950-01).

Nell'arresto più recente, peraltro, la Corte ha affermato il principio muovendo proprio dal presupposto che i danni fatti valere in sede penale derivavano dalla medesima causa rispetto a quelli già accertati in sede civile, ma i soggetti nei cui confronti erano fatti valere erano diversi, non dando rilievo, peraltro, all'eventuale vincolo di solidarietà tra il condannato in sede civile, in quel caso una ASL, e gli imputati, dei medici, perchè, in concreto, non vi era stata condanna degli obbligati solidali (in motivazione, si è anche rinviato all'art. 1306 c.c., a mente del quale "la sentenza pronunziata tra il creditore e uno dei debitori in solido, o tra il debitore e uno dei creditori in solido, non ha effetto contro gli altri debitori o contro gli altri creditori. Gli altri debitori possono opporla al creditore, salvo che sia fondata sopra ragioni personali al condebitore; gli altri creditori possono farla valere contro il debitore, salve le eccezioni personali che questi può opporre a ciascuno di essi", cosicchè, la sentenza pronunciata nei confronti della azienda, anche ove vi fosse una obbligazione solidale tra la stessa e gli imputati, non avrebbe effetto nei confronti di questi ultimi che potrebbero solo opporla al creditore in un eventuale giudizio civile).

In conclusione, non può trovare applicazione, nel caso in esame, l'art. 75 c.p.p., ma neppure poteva accedersi a una richiesta formulata ai sensi dell'art. 80, stesso codice: del tutto correttamente i giudici territoriali hanno ritenuto di non dover estromettere le parti civili costituite in sede penale, escludendo una revoca tacita della costituzione alla luce della domanda proposta contro gli enti davanti al giudice civile, per difetto di compiuta coincidenza fra le due domande ed esclusa, pertanto, ogni duplicazione di giudizio (sul punto, anche sez. 4, n. 35604 del 28/5/2003, Crabbi, Rv. 226370-01, con riferimento alla ritenuta illegittimità di una dichiarazione di inammissibilità della costituzione di parte civile - motivata in virtù della preclusione sancita dall'art. 75 c.p.p. - in un caso in cui, per l'appunto, vi era tra l'azione civile e quella penale diversità di soggetti e di causa petendi (sez. 4, n. 35604 del 28/05/2003, Crabbi, Rv. 226370; Sez. U. civili, n. 6538 del 2010, in cui, in motivazione, il Supremo collegio ha precisato che per l'applicazione di entrambe le norme di cui all'art. 75 c.p.p., commi 1 e 2, - rispettivamente disciplinanti le ipotesi del trasferimento nel processo penale dell'azione civile già promossa in sede civile e della proposizione dell'azione civile dopo la costituzione di parte civile nel processo penale - è necessario che vi sia identità di oggetto (eadem res) oltre che di soggetti, identità da accertarsi non in base al risultato concreto che l'attore intendeva trarre, bensì esclusivamente alla stregua dei comuni canoni di identificazione delle azioni: persone, petitum, causa petendi).

3. Il secondo motivo formulato dalla difesa A.A., il primo e il secondo formulati dalla difesa C.C. e il primo formulato dalla difesa B.B. sono manifestamente infondati.

Le doglianze, introduttive del tema della verifica della sussistenza del nesso causale tra le condotte contestate e l'evento alluvione, sono sostanzialmente collegate alla valutazione di tre dati fattuali, vale a dire le caratteristiche della pioggia del 15 novembre 2014, la idoneità dei lavori di ripristino dell'argine e la ricostruzione alternativa degli eventi proposta dalle difese sulla scorta delle consulenze F.F. (per A.A.), T.T. (per B.B.) e S.S (per C.C.). Quanto a quest'ultimo punto, le difese contestano sostanzialmente la valutazione del sapere scientifico e la ritenuta esaustività della prova, in difetto di una consulenza del pubblico ministero e di una perizia.

Tuttavia, omettono di considerare che i giudici del merito hanno fatto riferimento a un sapere scientifico, regolarmente veicolato nel processo penale, rappresentato dal parere tecnico espresso dai consulenti nominati in sede di accertamento tecnico preventivo, la cui ricostruzione degli eventi hanno poi ritenuto corroborata dalle acquisite testimonianze (oltre che dalle riprese del sistema di videosorveglianza). Trattasi di una risposta del tutto adeguata, soprattutto alla luce della necessaria lettura integrata delle sentenze del doppio grado di merito, in quella appellata rinvenendosi apposito capitolo dedicato alla valutazione dei pareri dei vari esperti. La valorizzazione degli esiti dell'accertamento tecnico preventivo, disposto in sede civile, era consentita ai giudici del merito, i quali hanno considerato il parere ivi espresso e confermato in sede testimoniale coerente con le altre prove orali e documentali, le prime da parte di soggetti che avevano "vissuto" gli eventi nel loro divenire; le seconde riproduttive della realtà dei luoghi e rimaste incontestate (il riferimento è al crollo dell'argine in concomitanza dell'osservato fenomeno alluvionale incontrollabile).

Si tratta di prove certamente utilizzabili, sul punto osservandosi che l'accertamento tecnico eseguito nel procedimento di istruzione preventiva in sede civile può essere legittimamente acquisito e valutato come prova nel processo penale, attesa la sua natura di prova documentale ai sensi dell'art. 234 c.p.p., e stante il principio del libero convincimento e l'assenza di prove legali nel sistema processuale penale (sez. 4, n. 39740 del 17/9/2019, Altimani, Rv. 277479-01; sez. 3, n. 15431 del 7/11/2017, dep. 2018, B., Rv. 272551-01; n. 5863 del 23/11/2011, dep. 2012, G., Rv. 252127-01).

Nella specie, risulta adeguatamente giustificata la conclusione per la quale la rottura dell'argine (ricondotta ai lavori per la costruzione della centrale) ha contribuito quantomeno ad aumentare le proporzioni della esondazione, direttamente ricollegata all'alluvione. I giudici hanno ritenuto, sulla scorta delle prove anche fotografiche, che tale presidio si fosse rotto proprio perchè realizzato male, punto sul quale le difese hanno addirittura opposto un dubbio sulla praticabilità stessa di un corretto ripristino, in relazione alle caratteristiche del terreno (il che vale quanto riconoscere l'addebito mosso). Hanno poi ritenuto, sempre sulla scorta dell'ATP e delle testimonianze assai vivide sul punto, che il fenomeno da esondazione rilevante ai fini della integrazione del reato contestato avesse riguardato la fase due, quella cioè in cui si era prodotto un aumento di acqua tale da diventare ingestibile e ciò era avvenuto proprio nel momento in cui l'argine si era rotto. In maniera del tutto de-assiale qualche difesa ha evocato la teoria dell'aumento del rischio, senza però tener conto della stretta correlazione tra la rottura e la formazione del cosiddetto fiume parallelo proprio in corrispondenza del tratto crollato. Il tutto è stato spiegato ampiamente dal Tribunale e ripreso dalla Corte del merito a pag. 22 della sentenza impugnata, il che rende le doglianze quali mera riproposizione di temi ampiamenti trattati in sede di gravame, avendo le difese opposto conclusioni semplicemente divergenti, silenti rispetto agli elementi probatori incontestati sui quali si è fondata la decisione del merito.

In particolare, il primo giudice ha diffusamente trattato (da pag. 49 a pag. 67 della sentenza appellata) il tema della ricostruzione delle cause della esondazione, elencando tutti i saperi scientifici acquisiti al processo e dando conto della professionalità dei singoli consulenti; ha, poi, spiegato (da pag. 71 in avanti), sulla scorta dell'ATP e delle testimonianze, perchè la teoria della esondazione graduale non era applicabile nella specie, superando in maniera argomentata la tesi difensiva della "disconnessione idraulica", pedissequamente riproposta in ricorso dalla difesa A.A. sulla scorta del parere del consulente F.F.. Nè, sul punto, coglie nel segno l'osservazione della difesa B.B., ripresa nei motivi aggiunti, secondo cui la Corte territoriale avrebbe utilizzato argomenti validi solo nei confronti dell'imputato A.A., avendo il consulente della difesa B.B. rassegnato conclusioni diverse: in realtà, trattasi di argomento fallace perchè i giudici dell'appello hanno affrontato il tema della "esondabilità" dell'argine e della funzione del sopralzo, motivando in ordine ad entrambi i profili (vedi pag. 21 e ss. della sentenza impugnata).

Nè può ritenersi il vizio denunciato sol perchè il giudice ha omesso di attribuire le osservazioni tecniche nominativamente all'uno o all'altro consulente della difesa, ciò che rileva essendo che le teorie rappresentate siano state comunque valutate e superate attraverso argomenti debitamente esposti nella sentenza, nella specie avendo la Corte del merito spiegato (vedi pag. 22 della sentenza impugnata) perchè gli elementi opposti dai consulenti delle difese non erano idonei a far ritenere interrotto il nesso di causa, atteggiandosi semmai come concause irrilevanti.

4. Il terzo motivo formulato nell'interesse dell'imputato A.A. è manifestamente infondato.

Richiamati i principi sopra esposti sui limiti del sindacato di legittimità, deve rilevarsi come la violazione di legge sia solo enunciata e comunque non si rinviene nella sentenza censurata alcun passaggio motivazionale con il quale i giudici territoriali abbiano disapplicato o erroneamente applicato l'art. 43 c.p. richiamato dalla difesa, le critiche attaccando semmai la persuasività della motivazione censurata. Le censure, tuttavia, non sono sostenute da un effettivo, previo e necessario confronto con i passaggi argomentativi seguiti dai giudici del merito. Questi, infatti, hanno precisato che il A.A. era il progettista dell'opera, oltre che legale rappresentante della committente; egli era stato presente in maniera assidua sul cantiere dandone contezza mediante il richiamo al compendio probatorio dimostrativo dell'assunto. Quanto all'asserito interesse "imprenditoriale" dell'imputato, i giudici del merito hanno chiaramente stigmatizzato gli obblighi assunti dallo stesso in base al contratto in ordine alla vigilanza sui lavori che avrebbero dovuto eseguirsi in modo da non pregiudicare le opere di difesa esistenti.

Del tutto eccentrico, poi, è il riferimento alla nomina del direttore e del responsabile dei lavori, dato invocato nell'ottica (disattesa correttamente dalla CdA a fronte dell'affermazione del Tribunale) della applicazione della normativa antinfortunistica e in chiave di esonero da responsabilità: a parte la semplice considerazione che il tema è rimasto estraneo alla imputazione anche in fatto, il processo ha accertato che l'esondazione era stata concausata dalla rottura dell'argine (e dal suo scorretto ripristino) avvenuto "in occasione" della esecuzione dell'opera. Pertanto, del tutto correttamente la Corte del merito ha rettificato l'erroneo rinvio, per superare l'argomento difensivo che faceva leva sulla presenza di concorrenti figure di "garanti" della sicurezza sul lavoro", alla normativa antinfortunistica. Sul punto, pare sufficiente un rinvio ai principi affermati, anche di recente, da questa Sezione penale, per ribadire che, perchè trovi applicazione la disciplina di cui al D.Lgs. n. 81 del 2008 (nella specie, peraltro, a discapito della posizione del ricorrente, di talchè non si rinviene neppure l'interesse a proporre specifiche censure sulla motivazione resa dai giudici d'appello), deve soccorrere il necessario presupposto dello specifico rischio lavorativo, quello cioè di un nocumento del lavoratore in conseguenza dell'attività lavorativa espletata o del terzo che si trovi in analoga situazione di esposizione, non essendo sufficiente la sussistenza di un generico rischio connesso all'esercizio di attività pericolose, il primo avendo un più ampio spettro preventivo (sez. 4, n. 32899 del 8/1/2021, Castaldo, Rv. 281997-04, in cui, in applicazione di tale principio, la Corte - nel procedimento relativo agli omicidi colposi ascritti per le morti verificatesi nel disastro ferroviario di Viareggio a causa della non corretta esecuzione della revisione dell'assile del carro merci trasportante GPL, deragliato, ribaltatosi e poi esploso per il cedimento di tale assile dovuto al suo stato di corrosione - ha ritenuto non configurabile la circostanza aggravante del "fatto commesso con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro" a carico dell'amministratore delegato della società proprietaria dell'officina che aveva materialmente eseguito tale revisione, pur ritenendo l'attività di manutenzione dei carri pericolosa ai sensi dell'art. 2050 c.c.).

In tema di reati colposi, poi, è già stato da tempo chiarito che l'addebito soggettivo dell'evento consegue sia nel caso in cui il comportamento diligente avrebbe certamente evitato il suo verificarsi, sia nell'ipotesi in cui una condotta alternativa corretta avrebbe avuto significative probabilità di determinare un evento lesivo meno grave (sez. 4, n. 31980 del 6/6/2013, Nastro, Rv. 256745-01).

Si aggiunga che i giudici territoriali hanno ritenuto che l'argine avesse proprio la funzione di convogliare le acque fluviali. Pertanto, l'avvenuta demolizione e il suo inadeguato ripristino ha svolto un essenziale ruolo causale in occasione di un evento atmosferico serio, ma non anormale, che aveva finito per distruggerlo a causa della sua inidoneità e instabilità, tali da ostacolarne la funzione, cosicchè la rottura aveva determinato ipso facto il deragliamento delle acque che avevano formato un fiume "parallelo", giunto sino all'abitato del (Omissis), così trasformandosi in un macro fenomeno ingestibile. A fronte del compendio fattuale che i giudici del merito hanno ritenuto accertato nel processo, corretta è dunque la conclusione secondo la quale l'evento fosse perfettamente prevedibile da parte di chi aveva ideato l'opera, con utilizzazione di un tratto di argine, del tutto inefficace risultando l'argomento per il quale il A.A. non avrebbe potuto prevedere opere di rinforzo poichè non poteva prevedere gli eventi di novembre, siccome non era stato a conoscenza di quelli del luglio precedente: dimentica, tuttavia, la difesa che l'addebito riguarda il ripristino dell'argine demolito, le cui caratteristiche di estrema precarietà ne rendevano prevedibile la rottura a seguito di un evento atmosferico del tipo di quello verificatosi il 15 novembre 2014. Infine, il progetto assentito non prevedeva la rottura dell'argine e neppure le modalità del suo ripristino (vedi sentenza pag. 27 in cui si dà atto che nel progetto assentito non erano previste opere di escavazione modificative dell'argine), cosicchè del tutto fallace è l'ulteriore argomento, per il quale il progetto era stato assentito e nessuno aveva sollevato obiezioni.

5. Anche il terzo motivo formulato nell'interesse della C.C. è manifestamente infondato.

La difesa, in particolare, ha contestato l'addebito colposo mosso alla imputata quale rappresentante legale dell'impresa appaltatrice, omettendo di considerare intanto che lo stesso ha natura commissiva, al di là del lessico utilizzato nella imputazione, essendo stato addebitato di avere distrutto l'argine - nel corso dei lavori appaltati e al di fuori dell'appalto e di averlo ripristinato in maniera inadeguata, sì da non consentire più che lo stesso svolgesse la sua funzione, ciò che si riverbera anche in punto accertamento del nesso causale tra la condotta e l'evento (sulla distinzione tra condotta colposa omissiva e commissiva, tra le altre, sez. 4, n. 26020 del 29/4/2009, Cipiccia, in cui si è precisato che, in tema di reati colposi, quando l'agente non viola un comando, omettendo cioè di attivarsi quando il suo intervento era necessario, bensì trasgredisce ad un divieto, agendo quindi in maniera difforme dal comportamento impostogli dalla regola cautelare, la condotta assume natura commissiva e non omissiva e pertanto, ai fini dell'accertamento della sussistenza del rapporto di causalità tra la stessa e l'evento realizzatosi, il giudizio controfattuale non va compiuto dando per avvenuta la condotta impeditiva e chiedendosi se, posta in essere la stessa, l'evento si sarebbe ugualmente realizzato in termini di elevata credibilità razionale, bensì valutando se l'evento si sarebbe ugualmente verificato anche in assenza della condotta commissiva; sez. 4, n. 22022 del 22/2/2018, Tupini, nella quale si rinvia anche a sez. 4, n. 43786 del 17/9/2010, Cozzini, in motivazione; sez. 4, n. 15002 del 1/3/2011, Reif, Rv. 250268-01; sez. 3, n. 47979 del 28/9/2016, Urru, Rv. 268658-01). Pertanto, si risolve in una petizione di principio affermare che l'imputata si sarebbe attenuta al contratto, avrebbe agito nei limiti fisici del cantiere, in conformità alle autorizzazioni rilasciate dagli organi preposti: in realtà, la posizione di cui si discute è quella del responsabile materiale della rottura dell'argine e dell'errata ricostruzione di esso, con il ruolo di capo commessa nel cantiere e punto di riferimento nella fase esecutiva dei lavori anche per le altre ditte ivi impegnate. Le opere che hanno portato alla rottura del presidio sono state realizzate fuori progetto, come in più passaggi affermato nelle sentenze di merito, cosicchè nessun pregio può accreditarsi alla pretesa "copertura" contrattuale, fisica (con il termine la difesa sembra indicare la delimitazione del cantiere) e amministrativa che dovrebbe fare da scudo alla responsabilità dell'appaltatore, materiale esecutore delle opere, soprattutto considerata la irrilevanza, correttamente evidenziata dai giudici del merito, degli atti di assenso riguardanti un progetto che impegnava al rispetto degli argini e, di conseguenza, non poteva contenere indicazioni su opere di ripristino che non avrebbero dovuto essere necessarie. Del tutto apodittica, infine, siccome non preceduta da un effettivo confronto con i passaggi motivazionali censurati, è l'affermazione secondo la quale difetterebbe la prova che fu NOVASTRADE a rompere l'argine e a ripristinarlo, avendo i giudici fatto riferimento alle prove testimoniali sul punto e non avendo la parte affermato che gli escavatori appartenessero ad altra impresa o fossero stati utilizzati in maniera eccentrica rispetto alla esecuzione dei lavori, avendo i giudici del merito dato conto che fu proprio la necessità di consentire l'accesso verso il fiume agli escavatori, impedito dall'avanzamento dei lavori di costruzione della centrale, a imporre la rottura dell'argine.

6. Il quarto motivo formulato nell'interesse di A.A. e il sesto formulato nell'interesse della C.C. sono aspecifici e il primo non essendo neppure deducibile, siccome non proposto in appello (su quest'ultimo punto rinviandosi alla giurisprudenza richiamata al p.2). Le difese, invero, si sono limitate ad allegare una violazione del diritto di difesa e del contraddittorio, derivante dalla produzione di un DVD da parte del pubblico ministero, rispetto al quale i difensori si erano riservati di interloquire, avendo invece il giudice dichiarato chiusa l'istruzione (salvo poi riaprirla a seguito della Camera di consiglio), senza neppure illustrare il contenuto di quel supporto digitale, nè spiegare in che modo sia stato compromesso il contraddittorio e l'esercizio del diritto di difesa per il fatto che il pubblico ministero si fosse riportato al contenuto di quel supporto nella sua requisitoria, le stesse parti, peraltro, rilevando che l'istruttoria era stata, comunque, riaperta all'esito della Camera di consiglio.

7. Anche il quinto motivo formulato nell'interesse del A.A. e il settimo formulato nell'interesse della C.C. sono manifestamente infondati: le difese hanno rilevato una contraddittorietà nelle decisioni assunte dal Tribunale in ordine alla disposta integrazione probatoria, per avere dapprima rigettato una istanza in tal senso formulata dalle controparti e poi adottato un'ordinanza ai sensi dell'art. 507 c.p.p., all'esito della Camera di consiglio. La risposta della Corte territoriale alle corrispondenti censure formulate con gli atti di gravame è del tutto corretta, avendo quei giudici precisato che il primo provvedimento era intervenuto nel corso dell'istruttoria, il secondo in Camera di consiglio. Peraltro, nessuna delle difese ha adeguatamente sviluppato l'aspetto essenziale dell'errore di giudizio che ne sarebbe derivato. Del tutto infondata poi è l'argomentazione difensiva che poggia sul brocardo in dubio pro reo, posto che da una tale lettura del principio invocato deriverebbe la sostanziale vanificazione del disposto di cui all'art. 507 cit., ribadendosi, anche in questa sede, che il potere - dovere del giudice di disporre attività istruttoria integrativa ai sensi dell'art. 507 c.p.p. è esercitabile anche in funzione di supplenza dell'inerzia delle parti, allorchè le lacune e la contraddittorietà del quadro probatorio non consentano la decidibilità del giudizio (sez. 6, n. 25770 del 29/5/2019, Chiesa, Rv. 276217-01, in cui, in motivazione la Corte ha precisato che la completezza dei dati cognitivi è funzionale al migliore accertamento della verità, naturale corollario del principio di obbligatorietà dell'azione penale).

8. E' manifestamente infondato anche il quarto motivo formulato nell'interesse della C.C..

La risposta della Corte territoriale, quanto alla qualificazione giuridica dei fatti contestati, è del tutto corretta, avendo i giudici ampiamente descritto il fenomeno verificatosi, sulla scorta del riferito dei testi oculari e delle riprese video, in termini da restituire una vivida descrizione di esso, dalla quale emergono i tratti distintivi del disastro. Sul punto, pare sufficiente ricordare i principi (affermati in materia di crollo colposo) in base ai quali è necessario che l'evento abbia i connotati di un avvenimento di tale gravità e complessità da porre in concreto pericolo la vita e l'incolumità delle persone, indeterminatamente considerate, in conseguenza della diffusività degli effetti dannosi nello spazio circostante; mentre, per la sussistenza della contravvenzione di cui all'art. 676 c.p., non è necessaria una tale diffusività e non si richiede che dal crollo derivi un pericolo per un numero indeterminato di persone (sez. 4, n. 51734 del 8/11/2017, Piacentini, Rv. 271535-01, in fattispecie in cui la S.C. ha ritenuto immune da censure la sentenza che aveva riconosciuto la sussistenza del delitto di cui agli artt. 434 e 449 c.p., in un caso in cui, a causa di uno scavo, si era verificata la caduta di un muro portante a confine tra due edifici contigui, con conseguente crollo dei solai sovrastanti un garage e l'androne di un palazzo; n. 2390 del 13/12/2011, dep. 2012, Nonni, Rv. 251749).

Quanto al pericolo, poi, si è anche precisato che la relativa situazione va valutata ex ante, in base ad un giudizio di probabilità circa l'attitudine di un certo fatto a ledere o a mettere in pericolo un numero indeterminato di persone, cosicchè l'effettività della capacità diffusiva del nocumento (c.d. pericolo comune) deve essere accertata in concreto (oltre alle sentenze già citate, anche sez. 4, n. 19342 del 20/2/2007, Rubiero, Rv. 236410, in cui si è precisato che per la sussistenza del pericolo è richiesta solo la prova che dal fatto derivi un pericolo per l'incolumità pubblica, ma non necessariamente quella che ne derivi un danno; sez. 4, n. 14636 del 23/3/2021, Cammera, in motivazione).

Ciò posto, in maniera del tutto coerente con tali principi, il Tribunale aveva già precisato che la situazione contingente non poteva far venir meno l'attitudine espansiva del fenomeno a porre in pericolo un numero indeterminato di persone e lo stesso ragionamento è stato ripreso dal giudice del gravame.

9. Infine, è manifestamente infondato anche il secondo motivo formulato nell'interesse del B.B..

I giudici del merito hanno fatto riferimento alla sua qualità di soggetto responsabile del procedimento istruttorio e alla circostanza che egli aveva firmato il nulla osta provvisorio del giugno 2014, nel quale si richiamavano espressamente gli adempimenti, rimasti ineseguiti da parte della committenza e dell'appaltatrice (divieto di trasformazione del corso del (Omissis) e dell'argine). Il Tribunale ha dato ampio conto della normativa e dei compiti di polizia idraulica facenti capo all'AIPO proprio con riferimento al fiume (Omissis). Tali compiti sono contestati dalla difesa che oppone altresì una inesigibilità dei compiti di vigilanza per carenza di personale. La difesa, evocando una presunta violazione del principio di cui all'art. 27 Cost., dimostra di non aver considerato che i giudici del merito, lungi dal censurare l'organizzazione dell'ufficio di appartenenza, hanno ritenuto dimostrata la sua condotta omissiva, egli essendosi trovato nella posizione di poter esercitare la vigilanza su quel tratto fluviale che sapeva interessato da lavori edili che ne potevano compromettere il corso. Ciononostante, egli ha omesso ogni forma di verifica degli adempimenti che lo stesso aveva indicato nel nulla osta, non disponendo che l'ufficio fosse rappresentato presso la conferenza dei servizi (l'agenzia non avendo partecipato, tramite propri incaricati, agli incontri successivi al primo), così essendo rimasto accertato il disinteresse del responsabile circa l'andamento del progetto e il mancato esercizio di una effettiva vigilanza sull'area interessata.

A fronte di tale ricostruzione, conforme nei due gradi di giudizio, il motivo di ricorso si pone, nonostante l'enunciato e il richiamo all'art. 606 c.p.p., lett. b), quale inammissibile prospettazione di circostanze già esaminate e ampiamente chiarite nella decisione impugnata, come tale inammissibile in sede di legittimità (sez. 3 n. 13926 dell'1/12/2011, dep. 2012, Valerio, Rv. 252615), del tutto svincolata dai dati fattuali e dai precisi richiami normativi operati nella sentenza appellata, da leggersi necessariamente in maniera integrata con la conforme decisione impugnata (sul punto, sez. 3 n. 44418 del 16/07/2013, Argentieri, Rv, 257595; sez. 1 n. 1309 del 22/11/1993, 1994, Rv. 197250).

Inoltre, attraverso la considerazione parcellizzata di alcuni passaggi motivazionali, nei quali il giudice d'appello ha dato conto della dimostrata conoscenza, in capo all'agenzia, dell'inizio dei lavori, la difesa pretende di avallare la tesi per la quale l'addebito mosso all'imputato deriverebbe sostanzialmente dalla sua posizione all'interno di quell'ufficio, dimenticando però lo specifico ruolo assunto dal B.B. proprio in relazione alla realizzazione della centrale "(Omissis)", non confrontandosi, dunque, con il ragionamento complessivamente svolto dai giudici del merito e proponendo in definitiva una rivalutazione del risultato probatorio, correttamente vagliato dai giudici del doppio grado di merito, preclusa in questa sede (sez. 6 n. 47204 del 7/10/2015, Musso, Rv. 265482; n. 25255 del 14/2/2012, Minervini, Rv. 253099).

10. All'inammissibilità dei ricorsi segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila ciascuno in favore della Cassa delle ammende, non ravvisandosi assenza di colpa in ordine alla determinazione della causa di inammissibilità (C. Cost. n. 186/2000).

 

P.Q.M.


Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila ciascuno in favore della Cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, il 12 settembre 2023.

Depositato in Cancelleria il 19 ottobre 2023