REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE

 

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CAMPANATO Graziana    - Presidente
Dott. IACOPINO Silvana            - Consigliere
Dott. FOTI Giacomo                   - rel. Consigliere
Dott. MASSAFRA Umberto       - Consigliere
Dott. PICCIALLI Patrizia            - Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA/ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
1) D. C., N. IL ---;
2) M. L., N. IL ---;

avverso la sentenza n. 1673/2007 CORTE APPELLO di VENEZIA, del 18/11/2001;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 25/02/2010 la relazione fatta dal Consigliere Dott. GIACOMO FOTI;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. DE SANDRO Anna Maria, che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso;
udito, per la parte civile, l'avv. Maggetti, che ha chiesto il rigetto del ricorso; udito il difensore avv. Golia, che ha chiesto l'accoglimento del ricorso.

OSSERVA

1 - Con sentenza del Tribunale di Padova del 5 febbraio 2007, M.L. e D.C. sono stati ritenuti colpevoli del delitto di omicidio colposo commesso, con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, in pregiudizio di P.B., lavoratrice interinale con mansioni di operaia elettromeccanica alle dipendenze dalla " D. A. P. s.p.a." che effettua la trafilatura di filo di alluminio per la realizzazione di cavi elettrici. All'affermazione di responsabilità è seguita la condanna dei due imputati, riconosciute le circostanze attenuanti generiche con giudizio di equivalenza rispetto all'aggravante contestata, alla pena di un anno e tre mesi di reclusione ciascuno; pena sospesa e non menzione della condanna.

Secondo quanto accertato dai giudici del merito, l'operaia era addetta ad una macchina trafilatrice, denominata "SAMP 2", con il compito di posizionare i rocchetti sui quali il filo di rame doveva essere avvolto e di toglierli allorché gli stessi erano pieni. A tal fine, la donna, avviata al lavoro nell'---, era stata istruita, per circa venti giorni, sull'utilizzo della macchina e sulle attività da svolgere. Nella giornata del ---, in conseguenza della frantumazione di un organo rotante, specificamente di una puleggia in ghisa lamellare che ruotava a circa 5000 giri al minuto, la lavoratrice era stata colpita, al capo e ad una gamba, dai frammenti della puleggia che avevano perforato il carter metallico di protezione degli organi rotanti. L'esame autoptico ha accertato che il decesso è avvenuto per arresto cardiocircolatorio acuto irreversibile da sfacelo cranio encefalico.

Della morte dell'operaia sono stati ritenuti responsabili M.L. e D.C. nelle rispettive qualità, il primo, di consigliere delegato alla sicurezza dei luoghi di lavoro, il secondo, di preposto della società e responsabile del coordinamento impianti e manutenzione.

2 - Su impugnazione proposta dai due imputati, la Corte d'Appello di Venezia, con sentenza del 18 novembre 2008, ha confermato la decisione del primo giudice.

La Corte territoriale ha quindi ribadito che l'infortunio che è costato la vita alla P. deve ritenersi riconducibile alla condotta colpevole degli odierni ricorrenti che, nelle rispettive qualità, hanno violato specifiche norme prevenzionali, avendo omesso interventi che le cariche da essi ricoperte nella società rendevano doverosi e che, se correttamente eseguiti, avrebbero evitato l'infortunio.
In particolare, il giudice del gravame ha, anzitutto, ricordato la storia e le caratteristiche tecniche della macchina "SAMP 2" ed ha rilevato che la stessa era stata prodotta nel 1974 ed era dotata di una puleggia realizzata in ghisa lamellare, installata sull'albero bobinatore, che aveva una velocità di rotazione tale da raggiungere circa 5500 giri al minuto; la puleggia era collegata da una cinghia di trasmissione ad un'altra puleggia installata sull'albero del motore principale, che aveva una funzione di frenatura rapida in condizioni di arresto rapido della macchina.

Nell'--- la macchina era stata acquistata dalla " D. A. P. " che, dopo l'esecuzione di taluni interventi di sicurezza, l'aveva messa in produzione. Qualche tempo dopo, poiché non rendeva un prodotto di qualità, erano state eseguite delle modifiche tecniche che avevano reso necessarie la tornitura e la foratura su tre punti della puleggia. Tali modifiche, che avevano comportato l'indebolimento della stessa puleggia - già caratterizzata da scarsa resistenza, essendo stata realizzata in ghisa lamellare ed essendo stata oggetto, in passato, a causa di difetti di fusione, di interventi di saldatura in nichel -, hanno avuto, secondo i giudici del merito, che hanno richiamato i giudizi ed i pareri espressi dai consulenti del PM, un ruolo decisivo nella determinazione dell'evento, unitamente agli originari difetti dovuti anche alla vetustà della macchina.

Ha ancora rilevato il giudice del gravame che le predette modifiche erano state apportate da persone che non avevano specifica competenza circa le caratteristiche dei materiali degli organi rotanti e che, sostanzialmente, non si erano neanche resi conto che, a seguito delle modifiche apportate, la puleggia non aveva più alcuna funzione, per cui poteva essere rimossa. Ha anche osservato che tali modifiche imponevano una nuova valutazione del rischio, oltre che una verifica complessiva del macchinario e l'apposizione di una nuova marchiatura "CE", mai realizzata. Così come non erano state realizzate importanti innovazioni tecnologiche che avrebbero reso la macchina più sicura.

3 - Avverso tale sentenza ricorrono i due imputati che deducono:

1) D.C.:
A) Vizio di motivazione della sentenza impugnata, sotto i profili:
a) della mancanza, laddove la Corte territoriale ha ritenuto sostanzialmente inattendibili le conclusioni cui è pervenuta la consulenza tecnica della difesa ed ha respinto la richiesta di riconoscere la prevalenza delle concesse attenuanti generiche sull'aggravante contestata;
b) della contraddittorietà, sia interna che esterna, rispetto ai contenuti dei singoli atti del processo, tra cui i verbali e le relazioni dei consulenti tecnici;
c) della illogicità;
in particolare, il ricorrente richiama singole affermazioni contenute nella sentenza e ne deduce la illogicità rispetto ad altre argomentazioni, e contesta, altresì, l'esattezza di talune osservazioni tecniche poste dal giudice del gravame a sostengo della decisione adottata;

B) Violazione dell'articolo 40 c.p., laddove i giudici del gravame non hanno considerato che le cause dell'esplosione della puleggia, individuate nella consistenza della ghisa di cui la stessa era costituita e nelle saldature in nichel, operate sulla stessa, non erano note all'imputato, né avrebbero potuto esserlo, di guisa che nulla indicava la necessità di procedere alla rimozione della puleggia; non era quindi praticabile ed esigibile dall'imputato un comportamento diverso da quello tenuto;

C) Violazione degli articoli 42 e 43 c.p. quanto all'elemento soggettivo, stante l'assoluta fortuita ed imprevedibilità dell'incidente;

D) Violazione di legge e vizio di motivazione con riguardo al mancato riconoscimento dell'attenuante di cui all'articolo 62 c.p., n. 6.

2) M.L.:
A) Inosservanza ed erronea applicazione dell'articolo 40 c.p., commi 1 e 2, Decreto del Presidente della Repubblica n. 547 del 1955, articolo 374, comma 2, articolo 43 c.p., comma 2, e vizio di motivazione quanto alla sussistenza del nesso di causalità; violazione dell'articolo 533 c.p.p., comma 1, quanto alla locuzione: "al di là di ogni ragionevole dubbio".

Se è vero, sostiene il ricorrente, che la morte della lavoratrice è stata conseguenza dell'esplosione della puleggia installata sulla macchina trafilatrice, è anche vero che le cause di tale esplosione non sono riconducibili alla condotta dell'imputato. La Corte territoriale, nella valutazione dei fatti e delle supposte responsabilità, non avrebbe tenuto conto di tutti gli elementi tecnici acquisiti nel corso dell'istruttoria dibattimentale ed avrebbe ignorato le conclusioni cui sono pervenuti i consulenti tecnici della difesa, individuando in un fatto del tutto meta giuridico e meta tecnico, cioè nella mancata eliminazione della puleggia, la causa dell'infortunio, senza avvalersi delle leggi scientifiche richieste dalla giurisprudenza per giungere ad una corretta ricostruzione del nesso causale. Il costante riferimento, in sentenza, alla puleggia, alla sua presenza, ritenuta inutile, ed all'asserita fragilità della stessa, appare al ricorrente errato in quanto il giudice del gravame non avrebbe tenuto conto del complessivo quadro probatorio e delle argomentazioni sviluppate dai consulenti della difesa ed avrebbe fatto proprie gran parte delle considerazioni dei consulenti del PM, il cui iter argomentativo il ricorrente contesta.

Egli sostiene, in particolare, che non vi sarebbe stata alcuna carenza nell'attività di manutenzione e nessuna violazione, sotto questo profilo, del richiamato Decreto del Presidente della Repubblica n. 547 del 1955, articolo 374 c.p., donde la carenza degli elementi costitutivi del reato contestato. D'altra parte, sostiene ancora il ricorrente, né l'omessa valutazione del rischio, né la mancata marchiatura "CE" provano alcunché sotto il profilo nel nesso causale; né il giudice del merito si è posto il quesito se il provvedere a tali incombenti sarebbe stato sufficiente ad evitare l'evento.

B) Erronea applicazione della legge penale in riferimento all'articolo 27 Cost., comma 1, articolo 40 c.p., comma 2, Decreto del Presidente della Repubblica n. 547 del 1955, articolo 374.

Si sostiene nel ricorso che il M. è stato riconosciuto colpevole del delitto contestatogli per il solo fatto di avere ricoperto, all'epoca dei fatti, la posizione di consigliere di amministrazione della " D. A. P. ", in spregio al principio della responsabilità penale personale. Se, come sostiene la Corte territoriale, la causa dell'incidente è da addebitarsi alla fragilità della puleggia e se di tale anomalia si è venuti a conoscenza solo al momento dell'intervento sulla stessa, con l'apertura dei tre fori, il giudizio di prevedibilità dell'evento lesivo avrebbe potuto riguardare il D., cioè la persona che aveva dato l'ordine di intervenire sulla macchina, non il M., che a tale iniziativa era rimasto del tutto estraneo. Le norme vigenti, sostiene il ricorrente, attribuiscono il controllo dell'osservanza delle norme antinfortunistiche ai soggetti che ne sono direttamente garanti, di guisa che il controllo del datore di lavoro, diretto ad assicurare che la salute del lavoratore non venga compromessa, è diverso da quello demandato al responsabile del coordinamento impianti e manutenzione, cui è affidata la specifica supervisione sull'esercizio degli impianti e sugli interventi volti a garantirne l'efficienza, e che ha il compito di informare il datore di lavoro circa l'insorgere di eventuali problemi. Né degli interventi sulle macchine, né di una possibile fragilità della puleggia il M. era stato informato, e dunque egli non era nelle condizioni di attivarsi per scongiurare eventuali eventi lesivi in danno dei lavoratori. Non era quindi esigibile dall'imputato la condotta che, in tesi d'accusa, sarebbe stata omessa. Non sarebbe stato neanche accertato il periodo in cui le richiamate modifiche erano state eseguite, e dunque non vi era certezza che al tempo l'imputato ricoprisse la carica di consigliere delegato alla sicurezza.

C) Erronea applicazione dell'articolo 62 c.p., n. 6 e vizio di motivazione.

Premesso che la Corte territoriale ha negato la concessione di detta attenuante sul rilievo che non vi sarebbe in atti prova della resipiscenza dell'imputato e dell'integrale risarcimento dei danni, rileva il ricorrente che, secondo la più recente giurisprudenza, la resipiscenza, intesa come diretto intervento dell'imputato nel risarcimento del danno, non è più ritenuta necessaria, essendo sufficiente che al risarcimento abbia provveduto una società di assicurazioni; rileva, altresì, che il risarcimento è stato integrale.

6 - I ricorsi sono fondati nei limiti di seguito specificati.

A) Manifestamente infondati sono i vizi motivazionali denunciati da ambedue gli imputati.

In proposito, occorre premettere che questa Corte ha costantemente affermato che il vizio della mancanza o manifesta illogicità della motivazione, valutabile in sede di legittimità, sussiste allorché il provvedimento giurisdizionale manchi del tutto della parte motiva ovvero la medesima, pur esistendo graficamente, sia tale da non evidenziare l'iter argomentativo seguito dal giudice per pervenire alla decisione adottata. Il vizio è altresì presente nell'ipotesi in cui dal testo della motivazione emergano illogicità o contraddizioni di tale evidenza da rivelare una totale estraneità tra le argomentazioni adottate e la soluzione decisionale prescelta.

Orbene, nel caso di specie, le censure mosse dai ricorrenti si rivelano, in verità, quali astratte enunciazioni critiche nella denuncia di pretese carenze di motivazione della sentenza impugnata che, viceversa, si presenta compiutamente e congruamente motivata in termini di assoluta coerenza logica rispetto agli elementi probatori acquisiti. Riprendendo le linee argomentative tracciate dal primo giudice a sostegno della propria decisione, la Corte territoriale ha congruamente esaminato ogni questione sottoposta al suo giudizio e, dopo avere ricostruito i fatti, ha adeguatamente motivato le ragioni del proprio dissenso rispetto alle argomentazioni ed osservazioni difensive.

Hanno, dunque, confermato i giudici del gravame la responsabilità degli imputati, legittimamente rilevando che un preciso profilo di colpa nei confronti degli stessi doveva essere individuato, anzitutto, nell'avere mantenuto in produzione una macchina ormai obsoleta, prodotta nel lontano --- ed acquistata nell'aprile del 1997. Una macchina che non rispettava i più moderni standard di sicurezza, anche perché parti di essa, in particolare, per quanto oggi interessa, la puleggia inopinatamente frantumatasi, era realizzata in ghisa lamellare, cioè con materiale fragile che non ne garantiva la necessaria resistenza, anche in vista dell'elevata velocità di rotazione alla quale era sottoposta.

A tale originaria ed intrinseca deficienza, sotto il profilo della sicurezza, della macchina, peraltro aggravata da un difetto di fusione che aveva reso necessario il ricorso a saldature in nichel, si è aggiunta la foratura in tre punti e la tornitura della puleggia, eseguita dagli operai della " D. A. ", resasi necessaria per assicurare una migliore qualità del prodotto. Modifiche che del tutto legittimamente i giudici del gravame, alla stregua dei pareri espressi dal consulente del PM, hanno ritenuto significative sia perché avevano determinato l'ulteriore indebolimento della puleggia ed aggravato, quindi, il rischio di una sua frantumazione, sia perché, proprio in conseguenza di tale intervento, sarebbe stato facile rilevare la reale composizione della puleggia e il difetto di fusione, e dunque di comprendere la condizione di rischio a ciò connessa, anche per via dell'indebolimento provocato dai lavori di foratura e di tornitura.

Di guisa che, all'iniziale profilo di colpa, costituito dall'avere messo in produzione una macchina ormai obsoleta, senza valutare compiutamente i rischi per la sicurezza connessi a tale utilizzo, si è aggiunto altro profilo di colpa costituito dalla mancata valutazione delle conseguenze, ancora sotto il profilo della sicurezza, che sarebbero derivate dagli interventi eseguiti sulla puleggia e sull'affidamento degli stessi a personale scarsamente qualificato, che non si era reso conto dell'intrinseca fragilità del pezzo dovuta alla sua originaria costituzione ed agli interventi di saldatura né dell'aggravarsi di tale condizione a causa proprio delle modifiche dagli stessi eseguite, né si erano resi conto dell'inutilità della puleggia che avrebbe potuto tranquillamente essere rimossa senza danni per la produzione.

In sostanza, i giudici del merito hanno legittimamente ritenuto, in termini di assoluta coerenza logica, che i due imputati, garanti, in ragione delle rispettive qualità, della sicurezza del luogo di lavoro e degli impianti, il cui costante aggiornamento e la cui corretta manutenzione essi dovevano assicurare attraverso interventi mirati al fine di ridurre i rischi connessi alla normale attività produttiva, avevano, non solo messo in produzione una macchina di vecchia concezione, ormai obsoleta, e quindi poco rispondente alle esigenze di sicurezza, non solo non avevano eseguito le necessarie opere di manutenzione e di aggiornamento in funzione antinfortunistica, ma vi avevano fatto eseguire interventi che l'avevano resa ancor meno sicura, peraltro affidandosi all'opera di personale per nulla qualificato.

B) Giustamente, peraltro, non è stata accolta la tesi difensiva, secondo cui della intrinseca fragilità della puleggia i due imputati non potevano rendersi conto, essendo tale difetto occulto e non facilmente rilevabile. In realtà, hanno correttamente osservato i giudici del gravame, tale difetto, seppur originariamente occulto, si era tuttavia certamente disvelato al momento della esecuzione dei lavori di foratura e di tornitura, che avevano prodotto residui in ghisa e rivelato gli interventi di saldatura, e quindi la reale composizione della puleggia ed i difetti di fusione che la rendevano estremamente fragile ed ormai inidonea, anche a seguito dei più recenti interventi, all'uso. Interventi che, avendo riguardato un organo particolarmente delicato della macchina, comunque imponevano una completa revisione della stessa ed una nuova valutazione del rischio, viceversa omesse.

Gli imputati, d'altra parte, hanno consapevolmente scelto di utilizzare una macchina vecchia di anni e superata da nuove e più sicure tecnologie. La scelta, in sé legittima, avrebbe tuttavia dovuto indurli a considerare con la massima attenzione i temi della sicurezza, che non potevano essere limitati alla copertura degli organi rotanti, ma dovevano tendere ad un complessiva revisione della macchina, per renderla al passo con lo standard di sicurezza delle macchine più moderne. Nel caso di specie, invece, gli imputati non solo hanno omesso di approfondire tali tematiche ma hanno perfino messo a maggior rischio l'incolumità dei lavoratori attraverso interventi e modifiche sostanziali, peraltro affidati a personale non adeguatamente preparato.

C) Del tutto legittimamente, d'altra parte, nelle sue argomentazioni la Corte territoriale, così come il primo giudice, ha tenuto quale punto di riferimento i giudizi espressi dai consulenti del PM. Il difetto di motivazione dedotto dal D. in relazione alla ritenuta inattendibilità, da parte dei giudici del merito, delle risultanze della consulenza tecnica della difesa si presenta del tutto generico, posto che non vengono indicate in maniera circostanziata i passaggi argomentativi di detta consulenza ritenuti in contrasto con i giudizi espressi dai consulenti del PM, e che avrebbero dovuto essere posti in raffronto tra loro, e quale sarebbe stato il rilievo di tale raffronto ai fini della decisione.

Più in generale, i diffusi rilievi sul punto formulati da ambedue i ricorrenti circa le osservazioni tecniche e le conclusioni cui sono pervenuti i consulenti del PM, legittimamente fatti propri dal giudice del gravame, si presentano, oltre che del tutto infondati, non proponibili nella sede di legittimità, laddove essi, senza offrire un quadro d'insieme delle argomentazioni poste a base di quelle conclusioni, ne contestano il valore scientifico al fine di ottenere dalla Corte una rivisitazione di questioni di natura strettamente tecnica che già sono state oggetto di approfondimento da parte dei giudici del gravame, che ne hanno accertato la piena congruità e che le hanno ritenute convincenti ed esaustive.

D) In punto di prevedibilità, inoltre, i giudici del merito hanno correttamente osservato che, essendo generalmente noti i problemi di fragilità che caratterizzavano le pulegge di ghisa, materiale ritenuto non adatto alla realizzazione di organi rotanti, perché incapaci di resistere alle sollecitazioni imposte da una intensa rotazione, era perfettamente prevedibile che una puleggia, ulteriormente indebolita dalle forature e dalla molatura, finisse con il frantumarsi con un effetto, a detta dei consulenti, tipico di una bomba a mano.

E) Anche il tema del nesso causale è stato adeguatamente esaminato dai giudici del merito che:
a) avendo individuato la causa dell'infortunio nella frantumazione della puleggia,
b) avendo accertato che essa era stata conseguenza non solo della originaria fragilità di tale organo meccanico - della quale i ricorrenti non possono ritenere di essere estranei, essendo consapevoli di avere acquistato e messo in produzione una macchia ormai obsoleta, che aveva necessità di approfondite revisioni-, ma anche del maldestro ed inopportuno intervento di manutenzione che aveva profondamente modificato il macchinario ed aveva accentuato i problemi di scarsa resistenza della puleggia,
c) avendo rilevato il completo disinteresse dei due imputati verso i problemi della sicurezza, apparsi a chiunque evidenti proprio a seguito di quell'intervento, che avrebbero dovuto imporre una generale revisione della macchina per verificare se la stessa possedesse i necessari requisiti di resistenza e di idoneità per sostenere la velocità di rotazione alla quale la puleggia era sottoposta;
tanto avendo rilevato, dunque, gli stessi giudici hanno legittimamente ritenuto pienamente sussistente il nesso causale tra la condotta omissiva accertata e l'evento verificatosi.

In realtà, se i due imputati avessero adempiuto agli obblighi che ad essi incombevano in quanto responsabili dell'azienda e si fossero preoccupati, oltre che di migliorare la produzione, anche di porre in sicurezza la macchina trafilatrice attraverso interventi di revisione e manutenzione, ancor più necessari in vista della obsolescenza della stessa, l'evento non si sarebbe verificato; sarebbe addirittura bastato, secondo quanto accertato dai giudici del gravame, eliminare la puleggia, non più necessaria dopo le recenti modifiche.

Del mortale infortunio, quindi, giustamente sono stati ritenuti responsabili gli odierni ricorrenti in ragione delle rispettive qualifiche; responsabilità che il M. non può eludere, addossandola al solo D., atteso il ruolo dallo stesso ricoperto nell'azienda, anche di responsabile della sicurezza. Mentre inesistenti sono i dubbi, sollevati dallo stesso M., circa il tempo in cui sono state realizzate le richiamate modifiche, atteso che i giudici del merito hanno chiaramente accertato che esse erano state eseguite al tempo in cui l'imputato ricopriva le indicate cariche societarie.

F) In punto di trattamento sanzionatorio, se deve ritenersi inesistente il vizio di motivazione riferito alla richiesta di dichiarare la prevalenza delle attenuanti generiche sull'aggravante contestata, atteso che la Corte territoriale, sia pure in estrema sintesi, ha legittimamente rilevato come il grado della colpa impedisse di accogliere la richiesta e di ridurre la pena inflitta dal primo giudice, deve tuttavia ritenersi fondata la censura relativa al mancato riconoscimento dell'attenuante di cui all'articolo 62 c.p., n. 6.

Le ragioni di tale decisione, individuate dal giudice del gravame nella mancata prova della resipiscenza degli imputati e nel mancato integrale risarcimento del danno, non possono essere condivise. Deve, in realtà, osservarsi, da un lato, che la resipiscenza non costituisce presupposto necessario al riconoscimento dell'invocata attenuante, specie da quando è stato affermato che questa può essere concessa anche nel caso in cui il risarcimento venga effettuato da un'impresa assicuratrice (Corte Cost. sentenza n. 138/1998), dall'altra, che dall'atto di quietanza prodotto in atti risulta che i congiunti della vittima sono stati interamente risarciti dalla compagnia assicuratrice della "D. A.".

Sul punto, quindi, la sentenza impugnata deve essere annullata, con rinvio ad altra sezione della Corte d'Appello di Venezia per nuovo esame, con rigetto, nel resto, dei ricorsi.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla mancata applicazione dell'articolo 62 c.p., n. 6 e rinvia, per nuovo giudizio sul punto, ad altra sezione della Corte d'Appello di Venezia.