Cassazione Penale, Sez. 4, 30 ottobre 2023, n. 43708 - Rottura del cavo durante l'allestimento di una linea teleferica nella zona boschiva e morte del lavoratore. Responsabilità del datore di lavoro di fatto


 


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DOVERE Salvatore - Presidente -

Dott. SERRAO Eugenia - Consigliere -

Dott. PEZZELLA Vincenzo - Consigliere -

Dott. RANALDI Alessandro - rel. Consigliere -

Dott. MARI Attilio - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

A.A., nato a (Omissis);

avverso la sentenza del 16/09/2022 della CORTE APPELLO di TRENTO;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. RANALDI ALESSANDRO;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dr. GIORGIO LIDIA, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

E' presente l'avvocato MAYR MARCO del foro di BOLZANO in difesa della PARTE CIVILE B.B.. Il difensore deposita conclusioni scritte chiedendo la declaratoria di inammissibilità del ricorso, in subordine il rigetto.

E' altresì presente l'avvocato ZAMBON ANDREA del foro di TREVISO in difesa di A.A.. Il difensore illustra i motivi di ricorso insistendo per l'accoglimento.

 

Fatto


1. Con sentenza del 16.9.2022, la Corte di appello di Trento ha confermato la sentenza di primo grado con la quale A.A., quale datore di lavoro di fatto, è stato dichiarato responsabile del reato di omicidio colposo, aggravato dalla violazione della disciplina prevenzionistica, del lavoratore B.B..

L'addebito nei confronti dell'imputato è quello di aver colposamente cagionato la morte del B.B., nel corso dell'allestimento - in una zona boschiva - di una linea teleferica per l'esbosco: l'imputato, a bordo di un escavatore, stava tendendo la braca metallica di una teleferica, mentre il lavoratore si trovava in prossimità dell'ancoraggio della stessa, a monte della teleferica; durante le operazioni il cavo si spezzava, colpendo violentemente il B.B. e uccidendolo sul colpo.

La Corte territoriale, conformemente al primo giudice, ha riscontrato che il prevenuto non aveva dotato il cantiere di alcun presidio di prevenzione e sicurezza, non aveva predisposto il documento di valutazione dei rischi, non aveva fornito al lavoratore - privo di esperienza specifica nel settore - adeguate istruzioni e specifico addestramento nè lo aveva adeguatamente informato sui rischi connessi all'attività in esecuzione, collocando fra l'altro il B.B., intento a sorreggere con un bastone la fune affinchè i cavi non si sovrapponessero, in una posizione pericolosa (non a caso definita come "angolo della morte"). Inoltre, veniva appurato che la fune utilizzata era, per tipologia, non idonea a reggere le forze azionate e che le indicazioni fornite dal costruttore non prevedevano che l'escavatore condotto dall'imputato venisse utilizzato come strumento di traino.

2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell'imputato, lamentando (in sintesi, giusta il disposto di cui all'art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1), con un articolato motivo, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, secondo i seguenti profili.

I) Erronea interpretazione delle prove raccolte, visto che dalle testimonianze e dai documenti prodotti in dibattimento sono emersi elementi che avrebbero dovuto condurre ad una pronuncia assolutoria.

Si evidenzia, in particolare, che sia stato dato esclusivo peso agli elementi emersi dalla deposizione del teste L., per contro confusa e palesemente inattendibile. Inoltre, con riguardo alla condotta successiva tenuta dal prevenuto (il quale aveva fatto spostare il corpo della vittima, dichiarando ai carabinieri di non conoscerla), si sottolinea che la stessa era derivata dallo stato di disperazione conseguente al tragico incidente.

II) Assenza di responsabilità del prevenuto, il quale, diversamente da quanto ritenuto, aveva consentito al B.B. di svolgere solo attività prive di qualsiasi rischio e pericolo, chiedendo poi a tutti i presenti di allontanarsi per rimettere in tensione la corda di acciaio della teleferica. Durante tale operazione l'imputato non poteva vedere dove fossero posizionati gli altri. Il B.B., nonostante le specifiche indicazioni del ricorrente, aveva tenuto un comportamento imprevedibile, prendendo l'autonoma iniziativa di avvicinarsi all'area di massimo pericolo.

III) Eccessività della pena inflitta.

IV) Erroneità della provvisionale liquidata in sentenza.

 

Diritto


1. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, prospettando censure palesemente reiterative di analoghe doglianze proposte in sede di gravame di merito, rispetto alle quali la sentenza impugnata fornisce ampia e logica motivazione, priva di errori in diritto, come tale immune da vizi logico-giuridici rilevabili in sede di legittimità.

Le dedotte censure, inoltre, sono anche aspecifiche, in quanto formulate con argomentazioni che non si confrontano minimamente con la ratio decidendi della decisione della Corte territoriale.

2. Con la prima censura ci si duole che la Corte territoriale avrebbe basato la ricostruzione dei fatti, e quindi la condanna, esclusivamente sulla deposizione del teste L., ritenuta dal ricorrente confusa e inattendibile.

Ciò appare del tutto smentito dal percorso argomentativo seguito dai giudici trentini, i quali hanno chiaramente affermato che il giudizio di condanna non si è fondato sul solo contributo dichiarativo reso dal teste C.C., bensì su un compendio fattuale ben più ampio, rappresentato da quanto accertato dagli operanti sopraggiunti in loco, dagli ulteriori accertamenti svolti nella fase delle indagini dagli ispettori del lavoro e da quanto emerso dalla deposizione del teste D.D., con riferimento alla individuazione della plausibile causa della rottura di un elemento portante della struttura che ha determinato il cedimento dell'intero impianto che si stava allestendo, nonchè da quanto riportato dal teste E.E. e dalle produzioni documentali acquisite nel corso del dibattimento.

Tutti elementi dai quali i giudici del merito hanno logicamente desunto - con valutazione insindacabile in questa sede - che l'imputato aveva deciso di procedere alla lavorazione senza poter contare su persone di provata competenza ed esperienza nel settore dei lavori boschivi, ed aveva omesso di informare e controllare i lavoratori inesperti dei rischi intrinseci della lavorazione, utilizzando una fune ed un mezzo inadeguati.

3. Il secondo profilo di censura non si confronta con le risultanze fattuali dianzi accennate, con particolare riguardo alla circostanza che l'imputato quella mattina aveva deciso di dare corso all'attività di ripristino della teleferica avvalendosi di persone (tra cui il B.B.) palesemente prive di specifica competenza ed esperienza tecnico-professionale nello svolgimento di lavorazioni in ambito boschivo. I giudici hanno incensurabilmente accertato che il giorno dell'incidente si erano presentati in cantiere due soggetti diversi dal F.F. (persona esperta che avrebbe dovuto supportare il A.A. nel ripristino della teleferica), vale a dire B.B. e C.C., uno solo dei quali conosciuto dal prevenuto come congiunto e collaboratore del F.F., senza avere al seguito lo strumento - l'argano - la cui presenza aveva invece formato oggetto di specifica richiesta da parte del A.A.. E' stato anche appurato che nel cantiere boschivo dell'imputato vi fosse una situazione di grave carenza di sicurezza, consistente nella omessa predisposizione del documento di valutazione dei rischi e nella mancanza di presidi di sicurezza individuale, il tutto aggravato da una situazione di evidente deficit di informazione e formazione dei lavoratori utilizzati, tanto che, secondo quanto dichiarato dal teste B.B., l'unica indicazione fornita a tutti i presenti sarebbe stata quella di tenersi lontani dalla zona in cui si trovava il cavo da porre in tensione, perchè, qualora si fosse spaccato, ‘sarebbe stato un casino". Peraltro, al di là della evidente insufficienza di una simile indicazione a fini informativi/formativi, è stato pacificamente accertato che il B.B., nel momento in cui la fune si è spezzata, si trovava nella zona di maggior pericolo, situata in corrispondenza dell'angolo delle forze interessate, non a caso indicata come "angolo della morte". Tale circostanza ha logicamente rafforzato il convincimento della Corte territoriale in ordine al debito di sicurezza imputabile all'imputato quale parte datoriale del lavoratore deceduto a seguito dell'infortunio.

In questa prospettiva, inoltre, i giudici trentini hanno legittimamente riscontrato l'insussistenza di una condotta abnorme del lavoratore, nonchè ritenuto privo di rilievo un eventuale comportamento imprudente del medesimo, sulla scorta del costante insegnamento di questa Corte di legittimità, secondo cui il datore di lavoro che non adempie agli obblighi di informazione e formazione gravanti su di lui e sui suoi delegati risponde, a titolo di colpa specifica, dell'infortunio dipeso dalla negligenza del lavoratore che, nell'espletamento delle proprie mansioni, ponga in essere condotte imprudenti, trattandosi di conseguenza diretta e prevedibile della inadempienza degli obblighi formativi, nè l'adempimento di tali obblighi è surrogabile dal personale bagaglio di conoscenza del lavoratore (Sez. 4, n. 8163 del 13/02/2020, Rv. 278603 - 01; Sez. 4, n. 49593 del 14/06/2018, Rv. 274042 - 01; Sez. 4, n. 39765 del 19/05/2015, Rv. 265178 - 01).

4. Anche la censura sul trattamento sanzionatorio è inammissibile, trattandosi di un profilo di merito adeguatamente valutato dai giudici territoriali, i quali, per discostarsi dal minimo edittale, hanno motivatamente dato conto non solo delle ragioni di gravità del fatto, valorizzando la mancanza totale di qualsivoglia forma di formazione sul posto di lavoro, ma hanno anche sottolineato la negativa personalità dell'agente, in relazione al comportamento da questi tenuto dopo l'incidente (è emerso che l'imputato non aveva allertato immediatamente i soccorsi, ma aveva dato disposizioni affinchè il corpo del lavoratore venisse spostato in altro luogo, dichiarando in seguito ai primi operanti sopraggiunti di non conoscere la vittima, asserendo di essersi imbattuto per puro caso nel corpo).

5. Il quarto motivo, con cui si censura la provvisionale liquidata dal giudice, è manifestamente inammissibile, sulla scorta del costante e consolidato principio enunciato dalla Corte di legittimità (sin da Sez. 4, n. 10098 del 20/03/1991, Rv. 188254 - 01), secondo cui non è impugnabile con ricorso per cassazione la statuizione pronunciata in sede penale e relativa alla concessione e quantificazione di una provvisionale, trattandosi di decisione di natura discrezionale, meramente delibativa e non necessariamente motivata, per sua natura insuscettibile di passare in giudicato e destinata ad essere travolta dall'effettiva liquidazione dell'integrale risarcimento (cfr., da ultimo, Sez. 2, n. 44859 del 17/10/2019, Rv. 277773 - 02).

6. Stante l'inammissibilità del ricorso, e non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186/2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria, che si stima equo quantificare nella misura indicata in dispositivo.

Segue la condanna dell'imputato alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile costituita in questo giudizio di legittimità, quantificate in Euro 3.000,00, oltre accessori.

 

P.Q.M.


Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende nonchè alla rifusione alla parte civile B.B. delle spese sostenute per questo giudizio di legittimità, liquidate in Euro tremila, oltre accessori come per legge.
Così deciso in Roma, il 19 settembre 2023.

Depositato in Cancelleria il 30 ottobre 2023