REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANATO Graziana
Dott. FOTI Giacomo
Dott. BIANCHI Luisa
Dott. MASSAFRA Umberto
Dott. MARINELLI Felicetta
- Presidente
- Consigliere
- Consigliere
- Consigliere
- rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA/ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
1) C.P. N. IL ***;
2) S.O. N. IL ***;
3) S. H. P. SPA;
avverso la sentenza n. 3553/2007 CORTE APPELLO di FIRENZE, del 10/10/2008;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 05/05/2010 la relazione fatta dal Consigliere Dott. FELICETTA MARINELLI;
udito il P.G. in persona del Dott. Stabile Carmine che ha concluso per il rigetto dei ricorsi;
udito, per la parte civile, l'avv. Fanfani Giuseppe del foro di Arezzo deposita conclusioni scritte alle quali si riporta. Per il responsabile civile è presente l'avv. Vanni Romolo del Foro di Arezzo che insiste per l'accoglimento del ricorso;
udito il difensore avv. Molino Francesco del foro di Arezzo per l'imputato C. e in sostituzione dell'avv. Visi per l'imputato S. che chiede l'accoglimento del ricorso.

PREMESSO IN FATTO

C.P., S.O. e S. H. P. S.p.A. responsabile civile, sono stati tratti a giudizio davanti al Tribunale di Arezzo per rispondere del reato di cui all'articolo 589 c.p., commi 1 e 2 per avere, il primo quale direttore dello stabilimento di ***, il secondo quale preposto alla sicurezza, in relazione alla S. H. P. S.p.a., per colpa, consistita in imprudenza, negligenza ed in violazione di legge, omettendo di valutare tutti i rischi per la sicurezza dei lavoratori esposti a rischi particolari, di redigere relazione e di individuare le misure di prevenzione e di protezione conseguente a detta valutazione, omettendo di evidenziare il tracciato delle vie di circolazione in luoghi soggetti a rischi di cadute di oggetti e di dotare gli stessi di dispositivi per impedire che i lavoratori potessero accedervi ed infine di informare adeguatamente i lavoratori sui rischi di cadute di presse di cellulosa dall'alto e di formarli adeguatamente ai fini della sicurezza dei luoghi di lavoro, cagionato la morte del dipendente S.S. che, transitando in prossimità della macchina "pulper", dove si realizza la macerazione della materia prima, veniva investito e schiacciato dalla caduta improvvisa di due presse di cellulosa, del peso di 250 Kg. ciascuna, avvenuta durante le operazioni di introduzione delle stesse dalla macchina "pulper" alla macchina continua di cartiera.

Gli stessi erano anche imputati del reato di cui al Decreto Legislativo n. 626 del 1994, articolo 4, comma 2 ed articolo 89 e Decreto del Presidente della Repubblica n. 547 del 1955, articolo 389, lettera c) in relazione agli specifici elementi di colpa di cui al reato di omicidio colposo.

Con sentenza del 7 novembre 2006 il tribunale di Arezzo aveva dichiarato C.P. e S.O. responsabili dei reati di cui sopra e, concesse le attenuanti generiche prevalenti rispetto all'aggravante contestata, ritenuta la continuazione con riferimento alla contravvenzione contestata, li aveva condannati alla pena di mesi 8 di reclusione per il reato di omicidio colposo e mesi 3 di arresto per la contravvenzione, oltre al pagamento delle spese di giudizio, pena interamente condonata. Aveva altresì condannato i due imputati, in solido con il responsabile civile - S. H. P. s.p.a., al risarcimento dei danni subiti dalle parti civili da liquidarsi in separata sede, nonché al pagamento di provvisionali il cui importo veniva specificato nel dispositivo per ognuna delle parti civili e al pagamento delle spese di costituzione sostenute dalle stesse.

Contro la decisione del Tribunale di Roma hanno proposto appello gli imputati e il responsabile civile.

La Corte di Appello di Firenze, con la sentenza oggetto del presente ricorso emessa in data 10.10.2008, in parziale riforma della sentenza emessa dal Tribunale di Arezzo, dichiarava non doversi procedere nei confronti degli imputati in ordine alla contestata contravvenzione per essere la stessa estinta per prescrizione e per l'effetto eliminava la corrispondente pena inflitta di mesi tre di arresto. Confermava nel resto la sentenza impugnata e condannava gli appellanti in solido tra loro alla rifusione delle spese sostenute dalle parti civili nella fase di appello. Avverso la sentenza della Corte d'appello di Firenze proponevano ricorso per Cassazione a mezzo del loro difensore sia gli imputati che il responsabile civile e concludevano chiedendo di annullare la sentenza impugnata con rinvio.

Il difensore di S.O. depositava tempestivamente motivi nuovi ex articolo 585 c.p.p., comma 4 e articolo 611 c.p.p..

RITENUTO IN DIRITTO

C.P. ha censurato la sentenza impugnata per i seguenti motivi:
1) illogicità della motivazione ex articolo 606 c.p.p., lettera e) risultante dal testo del provvedimento impugnato, laddove la corte territoriale argomenta in merito alla responsabilità dell'imputato Si. in netto contrasto con quanto dedotto in merito alla responsabilità del C.. Ad avviso del ricorrente infatti, dalla lettura del verbale del Consiglio di Amministrazione del 16.04.2003 della S. H. P. s.p.a. e dalla lettura della procura speciale rilasciata dalla stessa società a S.O., si evince che all'interno dei poteri a lui attribuiti non vi sono responsabilità specifiche in materia di sicurezza, responsabilità queste invece formalmente e specificatamente conferite al S.. Secondo il C., infine, il vizio di motivazione della sentenza impugnata sarebbe evidente laddove viene ravvisata la sua responsabilità solo perché egli era destinatario delle norme antinfortunistiche, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 547 del 1955, articolo 4 per cui, nonostante il breve tempo trascorso dalla nomina a direttore dello stabilimento di ***, egli avrebbe dovuto farsi garante del bene costituzionalmente protetto della integrità del lavoratore.
2) Articolo 606 c.p.p., lettera d) - mancata assunzione di una C.T.U., accertamento questo che sarebbe stato decisivo ai fini del decidere. Secondo il ricorrente i giudici della corte territoriale non avrebbero esaurientemente esposto i motivi per cui ritenevano condivisibile la tesi prospettata dall'ing. C., consulente della parte civile, mentre non ritenevano condivisibile quella prospettata dal consulente della difesa, ing. C., non valutando, tra l'altro, che il consulente della parte civile si era basato anche sulla deposizione del teste oculare, F.S., che, prima dell'infortunio mortale era alla guida del muletto e che, secondo il consulente della difesa, potrebbe averlo accidentalmente provocato.
3) Mancanza di motivazione ex articolo 606 c.p.p., lettera c) con riferimento alla quantificazione della pena irrogata alla luce delle concesse attenuanti generiche ritenute prevalenti rispetto all'aggravante contestata. Lamentava sul punto il ricorrente che egli nei motivi di appello si era lamentato dell'entità della pena inflitta ma i giudici di secondo grado nulla avevano detto sul punto.
S.O. ha censurato la sentenza impugnata per i seguenti motivi:
1) erronea applicazione del capoverso dell'articolo 40 c.p.. - Omessa motivazione sul comportamento omissivo (articolo 606 c.p.p., lettera e), non potendosi evincere il suo inadempimento a nessuno degli obblighi indicati nell'atto di delega, non essendoci alcuna prova, e comunque una totale assenza di motivazione, che egli non abbia adempiuto all'obbligo di impartire ai lavoratori "norme regolamentari e prudenziali".
2) errata interpretazione dell'articolo 43 c.p.. Omessa motivazione sull'avere, o meno, l'imputato, proposto le idonee misure di prevenzione. Anche su questo punto secondo il ricorrente non ci sarebbe nessuna prova, e comunque una totale assenza di motivazione, che egli abbia omesso di proporre al direttore le necessarie misure di prevenzione e che comunque non si poteva pretendere che egli avesse una capacità di suggerire il rimedio da adottare per impedire alle presse di cadere superiore a quella di qualsiasi operaio esperto dello stabilimento.
3) Violazione dell'articolo 40 c.p., comma 1. Omessa motivazione sull'esistenza del nesso di causalità, dal momento che, se anche egli avesse provveduto al "tracciamento dei percorsi sicuri", non vi è alcuna prova che l'evento non si sarebbe ugualmente verificato, dal momento che è presumibile ritenere che il S. sarebbe ugualmente corso in aiuto del compagno anche se la zona pericolosa fosse stata segnalata.
4) mancata assunzione di una prova decisiva ex articolo 606 c.p.p., lettera d) con riferimento al mancato accoglimento da parte dei giudici della corte territoriale della richiesta di perizia tecnica finalizzata ad accertare le modalità di svolgimento dell'incidente. Sul punto il difensore del S. propone nuovi motivi in cui evidenzia la necessità di una perizia, che se già appariva necessaria in considerazione del contrasto esistente tra le conclusioni cui era pervenuto il consulente della parte civile e quelle cui era pervenuto il consulente della difesa, sarebbe adesso indispensabile dal momento che anche il consulente nominato dal giudice del Lavoro di Arezzo chiamato a decidere, su ricorso dell'Inail, in ordine al diritto di rivalsa vantato dall'Istituto nei confronti della società S. H. s.p.a., è giunto a delle conclusioni analoghe a quelle del consulente della difesa.

Anche il responsabile civile S. H. P. s.p.a. ha censurato la sentenza impugnata per la mancata assunzione della C.T.U., ritenuta prova decisiva ai fini del decidere ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera d).
I ricorsi non sono fondati.
Il vizio motivazionale denunciato è insussistente. La sentenza impugnata è infatti motivata in maniera congrua, anche in virtù del richiamo alla decisione di primo grado, sia con riguardo alla ricostruzione del mortale infortunio, sia in relazione alla responsabilità degli imputati.

Quanto alla ricostruzione del sinistro i giudici della corte territoriale hanno evidenziato che l'incidente mortale si è verificato allorquando l'operaio F.S., dopo avere tagliato alcuni dei legacci che tenevano insieme il pacco di cellulosa che si trovava nei pressi del "pulper" composto dalle otto presse, si era accorto che le presse di una delle due pile avevano cominciato ad oscillare pericolosamente, con rischio di cadere e di schiacciarlo.

A quel punto il S., che svolgeva mansioni di supporto degli operai addetti alla produzione, correva a soccorrerlo da dietro, rimanendo però schiacciato dalle presse cadute, mentre il F. riusciva a scansarle. I Giudici evidenziavano quindi le condotte gravemente imprudenti e in violazione delle norme antinfortunistiche che avevano determinato il sinistro. In particolare lo stoccaggio delle balle di cellulosa avveniva all'aperto, a contatto diretto con il terreno, senza protezione dalle intemperie, così che le stesse assorbivano umidità e aumentavano di volume. Nonostante tali pericolose modalità di stoccaggio non erano stati valutati i rischi da caduta dall'alto delle presse durante la movimentazione, né erano stati tenuti in considerazione i rischi connessi alle modalità di trasporto di ben otto presse impilate insieme e fermate solo con dei legacci di filo di ferro. Non erano state date prescrizioni e fornite istruzioni agli operai addetti alla movimentazione delle presse relativamente alle cautele da adottare in tale attività, né erano state segnalate con righe per terra le zone di pericolo che delimitassero la posizione dei lavoratori durante lo scarico delle balle di cellulosa.

I giudici della corte di appello, fornendo peraltro sul punto ampia e congrua motivazione, hanno ritenuto di aderire alle conclusioni cui è pervenuto il consulente tecnico della parte civile, ing. C., secondo cui la causa immediata che ha determinato la caduta delle presse sarebbe stata intrinseca alle stesse, in quanto, al momento in cui il F. ha iniziato a tagliare i legacci, le presse si sono espanse a causa dell'umidità che avevano immagazzinato e quindi, per effetto dello sfasamento di uno degli angoli della balla, le presse sovrastanti hanno cominciato ad oscillare per poi cadere addosso al S.. Secondo il consulente tecnico della difesa ing. C. (e come si legge nei motivi aggiunti proposti dalla difesa del S. anche secondo il consulente ing. C.L. nominato dal giudice del Lavoro) invece le presse sarebbero cadute addosso al S. in quanto il F., nel manovrare il carrello avrebbe involontariamente urtato o il corpo del S., oppure la pila di presse già depositate accanto al "pulper" facendole cadere.

Tanto premesso si osserva che, come peraltro correttamente evidenziato dal giudici della corte territoriale, a prescindere dalla causa ultima che ha determinato la caduta delle presse, la stessa era assolutamente prevedibile in considerazione delle modalità dello stoccaggio che ha determinato il loro appesantimento e rigonfiamento e delle modalità di movimentazione delle stesse (le balle di cellulosa in questione, infatti, impilate in file parallele alte circa due metri, venivano legate con dei legacci di ferro e,quindi, allorquando l'operaio tagliava i legacci che le tenevano insieme,era evidente il rischio del loro crollo dall'alto in considerazione, fra l'altro, del rigonfiamento causato dall'umidità) ed evitabile se si fosse provveduto ad un diverso immagazzinamento delle balle di cellulosa in questione, a forme di trasporto meno pericolose, alla delimitazione delle zone pericolose. Assolutamente condivisibile appare pertanto la decisione dei giudici di appello che hanno ritenuto esaustiva l'istruttoria e non hanno quindi proceduto alla rinnovazione del dibattimento per effettuare una nuova perizia diretta a ricostruire la dinamica del sinistro, come richiesto dalla difesa degli imputati, in quanto l'hanno ritenuta superflua.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, infatti, (cfr. tra le altre, Cass., Sez. 3, Sent. n. 8382 del 22.01.2008, Rv. 239341) la rinnovazione dell'istruzione dibattimentale è subordinata alla condizione che il giudice ritenga, nell'ambito della propria discrezionalità, che i dati probatori già acquisiti siano incerti e che l'incombente processuale richiesto rivesta carattere di decisività.

Quanto poi alla responsabilità dell'imputato C. la sentenza impugnata ha correttamente evidenziato che egli, nella sua qualità di direttore dello stabilimento di ***, ove si è verificato l'infortunio mortale, è destinatario diretto delle norme antinfortunistiche ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 547 del 1955, articolo 4 e, quindi era suo dovere attivarsi per evitare il verificarsi di tale infortunio mortale, peraltro facilmente prevedibile. Né sono state a ragione condivise le doglianze del C. secondo cui egli non avrebbe potuto procedere all'attuazione concreta delle misure antinfortunistiche in considerazione del fatto che aveva assunto la carica di direttore dello stabilimento solo alcuni giorni prima dell'evento, dal momento che l'evidente imprudenza nello stoccaggio, nella movimentazione e nella lavorazione delle presse di cellulosa in questione avrebbe dovuto spingerlo ad interessarsi subito della salvaguardia della salute dei lavoratori, mentre invece nel periodo intercorrente tra la sua nomina e il sinistro si era completamente disinteressato del problema.

Relativamente poi alla responsabilità dell'imputato S. la corte territoriale ha correttamente evidenziato che la delega alla sicurezza conferitagli dagli organi deliberativi della società proprietaria dello stabilimento in questione, e cioè la S. H. P. S.p.A, prevedeva che il S. assumesse la posizione di dirigente preposto alla osservanza delle norme antinfortunistiche e della sicurezza del lavoro, in surroga del datore di lavoro, "con ampia autonomia decisionale e di spesa", "assumendosi ogni responsabilità penale in ordine ai fatti che potessero derivare dalla mancata applicazione delle suddette norme o da imperizia, negligenza e imprudenza nell'esplicazione di dette mansioni".

Il S. pertanto, trovandosi in materia di sicurezza in una situazione di effettiva surroga del datore di lavoro, aveva proprio lo specifico dovere di impedire incidenti come quello di cui è processo, avendo, tra l'altro, tra i suoi compiti, quello di predisporre il piano di sicurezza aziendale, che era del tutto carente in materia di previsione e valutazione dei rischi da precipitazione delle presse di cellulosa durante la loro movimentazione e trasporto.

Assolutamente infondati perché generici sono infine i motivi di ricorso relativi alla omessa motivazione sulla entità della pena inflitta al C. e alla insussistenza del nesso di causalità tra la condotta imputabile al S. e l'evento. Lamenta infatti l'imputato che l'evento si sarebbe ugualmente verificato anche se le zone pericolose fossero state segnalate, perché il S. si sarebbe ugualmente precipitato in soccorso del F.. E evidente che tale argomentazione è assolutamente priva di pregio, essendo evidente che l'incidente si è verificato a causa della grave omissione delle cautele sopra indicate e della conseguente violazione delle norme antinfortunistiche.

I ricorsi debbono essere pertanto rigettati e i ricorrenti condannati al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali, nonché i predetti in solido a rifondere le spese di questo giudizio alle parti civili C.B., S.E. e A.M. liquidate in complessivi euro 2865,00 oltre accessori e spese generali come da specifica nota spese.