Cassazione Civile, Sez. Lav., 15 novembre 2023, n. 31790 - Diffida, contestazione disciplinare e licenziamento per condotte inappropriate e generatrici di turbamento e paura ai danni di colleghe



 

Nota a cura di Apollonio Donato, in Il quotidiano giuridico/altalex, 27.11.2023 "Legittimo il licenziamento per giusta causa del lavoratore che importuna le colleghe"


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ESPOSITO Lucia - Presidente -

Dott. GARRI Fabrizia - Consigliere -

Dott. RIVERSO Roberto - Consigliere -

Dott. PANARIELLO Francescopaolo - Consigliere -

Dott. MICHELINI Gualtiero - rel. Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
 


sul ricorso 12837/2020 proposto da:

A.A., domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR, presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall'avvocato FABIO BAJETTO;

- ricorrente -

contro

(Omissis) Spa in persona dei legali rappresentanti pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PO 25/B, presso lo studio degli avvocati ROBERTO PESSI, FRANCESCO GIAMMARIA, che la rappresentano e difendono;

- controricorrente -

avverso la sentenza n. 439/2020 della CORTE D'APPELLO di MILANO, depositata il 04/03/2020 R.G.N. 1271/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 20/09/2023 dal Consigliere Dott. GUALTIERO MICHELINI.

 

Fatto



1. la Corte d'Appello di Milano ha respinto il reclamo proposto da A.A. avverso la sentenza del Tribunale della stessa sede di rigetto (in sede di opposizione, a sua volta con conferma dell'ordinanza resa in esito alla fase sommaria ai sensi della L. n. 92 del 2012, art. 1, commi 48 e segg.) dell'impugnativa del licenziamento irrogatogli da (Omissis) l'(Omissis) a seguito di procedimento disciplinare;

2. per quanto qui rileva, la Corte distrettuale:

- ha osservato che il Tribunale aveva ricostruito compiutamente in fatto la vicenda e giudicato non fondate le questioni preliminari circa la violazione del principio del ne bis in idem, la tempestività ed immediatezza della contestazione, la genericità della contestazione, e, nel merito, aveva ritenuto la fondatezza e proporzionalità della misura espulsiva adottata, alla luce delle dichiarazioni testimoniali raccolte, concludendo nel senso che il comportamento inadempiente del dipendente era stato posto in essere in violazione delle disposizioni aziendali e denotava "mancanza di rispetto del ricorrente nei confronti delle lavoratrici vittime delle sue attenzioni ripetute e sgradite, nonchè un profondo disinteresse per il turbamento e disagio provocato a queste ultime dai continui inopportuni approcci e inviti";

- ha riportato per esteso il testo della diffida (Omissis), della contestazione (Omissis), della lettera di licenziamento;

- ha disatteso la questione di tardività della contestazione e della sanzione, valutando le condotte successive alla diffida come una continuata reiterazione di quelle oggetto della diffida stessa;

- ha analizzato le deposizioni testimoniali (riportandone le parti principali), ha valutato che dalle stesse risultavano chiaramente il disagio, il fastidio e la paura avvertiti da due lavoratrici in presenza di reiterate e sgradite condotte del reclamante, ha ritenuto che la diffida scritta era stata adottata dalla banca nell'adempimento degli obblighi di garanzia e protezione della salute e sicurezza delle proprie dipendenti;

- ha osservato che la valutazione della gravità delle condotte successive alla diffida non poteva trascurare quanto accaduto in precedenza;

- ha giudicato, nella valutazione complessiva di tutte le circostanze oggettive e soggettive della vicenda, la misura espulsiva proporzionata ai fatti, perchè, nonostante le iniziative precedenti adottate dal datore di lavoro per assicurare la tranquillità e sicurezza delle lavoratrici, il reclamante aveva "continuato intenzionalmente, disattendendo la diffida ricevuta, a porre in essere le condotte denunciate dalle due dipendenti", contegno che, anche alla luce della contestata recidiva (per fatti diversi, sanzionati con la sospensione dal servizio nel (Omissis)), aveva irrimediabilmente reso il rapporto fiduciario alla base del rapporto di lavoro;

3. per la cassazione della predetta sentenza ricorre A.A. con 6 motivi; resiste la società con controricorso; entrambe le parti hanno comunicato memoria; al termine della Camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell'ordinanza.

 

Diritto



1. con il primo motivo, parte ricorrente deduce (art. 360 c.p.c., n. 4) nullità della sentenza per motivazione apparente e violazione dell'art. 111 Cost., comma 6, e dell'art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4; sostiene che la Corte d'Appello ha genericamente qualificato le condotte di ottobre 2017, successive alla lettera di diffida del (Omissis), come gravi, senza specificare quali condotte ha preso in considerazione e il perchè dovessero essere qualificate come più gravi rispetto a quelle addebitate in precedenza dalla società e che avevano dato origine solo all'invio di una mera lettera di diffida comportamentale;

2. con il secondo motivo, la sentenza gravata viene censurata (art. 360 c.p.c., n. 3) per violazione e falsa applicazione degli artt. 2106, 2119, 2697 c.c., L. n. 300 del 1970, art. 7, assumendo l'inattendibilità delle testimoni escusse e la mancata prova di un sentimento di paura, disagio e fastidio delle colleghe nei confronti del ricorrente dopo la diffida del (Omissis);

3. con il terzo motivo, parte ricorrente denuncia (art. 360 c.p.c., n. 3) violazione e falsa applicazione degli artt. 2106 e 2119 c.c., L. n. 300 del 1970, artt. 7 e 18: lamenta omesso esame della gravità dei fatti addebitati con la lettera di contestazione del (Omissis) alla luce del principio di proporzionalità, perchè considerati e valutati alla luce delle plurime condotte oggetto della precedente diffida del (Omissis), che, invece, non avevano dato avvio ad alcun procedimento disciplinare;

4. con il quarto motivo, la sentenza impugnata viene censurata (art. 360 c.p.c., n. 3) per violazione e falsa applicazione dell'art. 2697 c.c., L. n. 300 del 1970, art. 7, artt. 1175, 1375 e 1324 c.c., assumendo violazione del principio di immediatezza della contestazione e conseguentemente del diritto di difesa;

5. con il quinto motivo, la sentenza impugnata viene censurata (art. 360 c.p.c., n. 3) per violazione e falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 7, artt. 1175, 1375 e 1324 c.c.; sempre in relazione alla dedotta tardività della contestazione e della sanzione irrogata, si argomenta che, avendo l'interessato già dichiarato la sua intenzione di violare la diffida, egli aveva fatto legittimo affidamento sulla futura mancata adozione da parte del datore di lavoro di contestazioni disciplinari;

6. con il sesto motivo, parte ricorrente deduce (art. 360 c.p.c., n. 3) violazione dell'art. 92 c.p.c., affermando, in caso di accoglimento del presente ricorso, l'illegittimità della sua condanna al pagamento delle spese di lite dei gradi di giudizio precedenti;

7. i primi tre motivi, tutti concernenti la questione della valutazione della diffida nella sequenza procedimentale disciplinare che ha determinato il recesso datoriale, risultano oggettivamente connessi e perciò da trattare congiuntamente; essi non sono fondati;

8. nella motivazione della sentenza gravata è stata dettagliata la sequenza procedimentale, conforme a legge, che ha portato alla contestazione disciplinare e all'adozione di sanzione espulsiva per condotte inappropriate e generatrici di turbamento e paura ai danni di colleghe, sequenza iniziata con un'articolata diffida, e successivamente sviluppatasi, alla luce di constatata assenza di adempimento alla diffida, in contestazione formale, nella quale sono stati richiamati gli addebiti oggetto di diffida, oltre quelli successivi che ne evidenziavano l'inadempimento, perdurando la situazione di indesiderato approccio nei confronti delle colleghe; nella contestazione disciplinare è stata legittimamente ricompresa anche la recidiva per precedente sanzione disciplinare per fatti di diversa natura;

9. non è quindi condivisibile la diversa ricostruzione del ricorrente in base alla quale il potere disciplinare si sarebbe consumato con la diffida ed ai fini della contestazione varrebbero solo i fatti successivi alla diffida, perchè ciò non corrisponde ai dati fattuali e documentali raccolti e valutati, in maniera congrua e logica, nel merito; nel caso di specie, la diffida si è manifestata quale esercizio del potere direttivo, ed è stato l'inadempimento alla stessa, espresso con i comportamenti successivi, ad attivare il procedimento disciplinare per tutti i fatti lesivi della dignità e sicurezza delle colleghe, nonchè relativi all'uso improprio dei mezzi di comunicazione aziendali e al decoro e correttezza nelle relazioni tra colleghi nell'ambiente lavorativo (cfr. Cass. n. 7029/2023, che specifica che la giusta causa di licenziamento ex art. 2119 c.c., integra una clausola generale che l'interprete deve concretizzare tramite fattori esterni relativi alla coscienza generale e principi tacitamente richiamati dalla norma e, quindi, mediante specificazioni di natura giuridica, la cui disapplicazione è deducibile in sede di legittimità come violazione di legge, mentre l'accertamento della concreta ricorrenza, nel fatto dedotto in giudizio, degli elementi integranti il parametro normativo costituisce un giudizio di fatto, demandato al giudice di merito ed incensurabile in cassazione se privo di errori logici o giuridici);

10. tanto premesso, neppure è ravvisabile, nella specie, ipotesi di motivazione omessa o apparente, che ricorre, invece, allorquando il giudice di merito ometta di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un'approfondita loro disamina logica e giuridica, rendendo impossibile ogni controllo sull'esattezza e sulla logicità del suo ragionamento (Cass. n. 9105/2017; conf. Cass., n. 20921/2019); in sede di legittimità il sindacato sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del "minimo costituzionale" richiesto dall'art. 111 Cost., comma 6 (Cass. S.U. n. 8053/2014, n. 23940/2017, n. 16595/2019);

11. le censure di cui ai motivi in esame si risolvono, dunque, in larga parte in una critica del governo delle prove, attività spettante ai giudici di merito, non essendo il giudizio di Cassazione strutturato quale terzo grado di merito, nel quale ridiscutere gli esiti istruttori espressi nella decisione impugnata, non condivisi, al fine di un loro riesame (v. Cass. n. 15568/2020, e giurisprudenza ivi richiamata; Cass. n. 20814/2018, n. 20553/2021);

12. il quarto motivo non è fondato, in quanto la sentenza gravata contiene (p. 9) congrua e logica motivazione circa la tempestività della contestazione, alla luce della complessità organizzativa della banca e della necessità di compiuta valutazione delle condotte del dipendente quale continuata reiterazione di quelle oggetto di diffida;

13. costituisce valutazione riservata al giudice del merito l'apprezzamento in concreto del rispetto del principio dell'immediatezza della contestazione, principio da intendersi in senso relativo, dovendosi dare conto delle ragioni che possono cagionare il ritardo, quali il tempo necessario per l'accertamento dei fatti o la complessità della struttura organizzativa dell'impresa (v. Cass. n. 281/2016, richiamata nella motivazione della sentenza impugnata nonchè Cass. n. 16841/2018, n. 29332/2022);

14. neppure è fondato il quinto motivo di ricorso;

15. nella sentenza gravata si osserva che la banca "non ha mai inteso voler soprassedere al procedimento disciplinare; sul punto già nella lettera di diffida aveva evidenziato che avrebbe attivato, al ripetersi delle condotte censurate, un procedimento disciplinare"; pertanto, in fatto, è stata motivatamente (e congruamente) esclusa la configurabilità in termini di legittimo affidamento sul futuro non esercizio del potere disciplinare della decisione del datore di lavoro di non sanzionare la mera intenzione di non adempiere alla diffida, ma, piuttosto, di procedere a contestazione disciplinare solo allorquando l'intenzione si fosse (come poi è stato accertato) concretizzata in comportamenti ulteriori, generatori di disagio e paura, nei confronti delle colleghe, quale condotta illecita a carattere continuativo;

16. rimane assorbito il sesto motivo, in quanto dipendente dall'accoglimento degli altri motivi;

17. il ricorso deve pertanto essere respinto nel suo complesso;

18. in ragione della soccombenza parte ricorrente deve essere condannata alla rifusione in favore di parte controricorrente delle spese del presente giudizio;

19. al rigetto del ricorso consegue la declaratoria della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per l'impugnazione.

 

P.Q.M.


La Corte rigetta il ricorso.

Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 4.500 per compensi, Euro 200 per esborsi, spese generali al 15%, accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri titoli identificativi di parte ricorrente a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 20 settembre 2023.

Depositato in Cancelleria il 15 novembre 2023