Cassazione Penale, Sez. 4, 27 novembre 2023, n. 47400 - Sfruttamento e approfittamento dello stato di bisogno dei lavoratori



 


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DOVERE Salvatore - Presidente -

Dott. ESPOSITO Aldo - Consigliere -

Dott. RICCI A.L.A. - Consigliere -

Dott. CIRRSE Marina - rel. Consigliere -

Dott. ANTEZZA Fabio - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA



sul ricorso proposto da:

A.A., nato a (Omissis);

B.B., nato a (Omissis);

avverso la sentenza del 02/11/2022 della CORTE APPELLO di LECCE;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere MARINA CIRESE;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore MARILIA DI NARDO, che ha concluso chiedendo l'annullamento con rinvio;

E' presente l'avvocato DELEONARDIS COSIMO del foro di BRINDISI in difesa di A.A., E B.B.;

Il difensore presente chiede l'accoglimento del ricorso.

E' presente l'avvocato DELEONARDIS GIUSEPPE del foro di MILANO in difesa di A.A. E B.B.;

Il difensore presente chiede l'accoglimento del ricorso.

 

Fatto


1. Con sentenza in data 2.11.2022, la Corte d'appello di Lecce, in riforma della sentenza in data 8.6.2017 con cui il Gip del Tribunale di Brindisi, all'esito di rito abbreviato, aveva ritenuto A.A. e B.B. colpevoli del reato di cui all'art. 110, art. 603 bis, comma 1, comma 2 nn. 1, 2 e 4 e comma 3 n. 1 e 603 ter c.p. e, concesse le circostanze attenuanti generiche al B.B., esclusa per entrambi gli imputati la recidiva, ed applicata la diminuente per il rito, aveva condannato A.A. alla pena di anni quattro di reclusione ed Euro 8000,00 di multa e B.B. alla pena di anni due e mesi otto di reclusione ed Euro 6000,00 di multa oltre alle pene accessorie condannando altresì gli imputati al pagamento dei danni subiti dalla parte civile C.C. da liquidarsi in sede civile, ha ridotto la pena inflitta al B.B., ad anni uno, mesi otto di reclusione ed Euro 2000,00 di multa confermando nel resto l'impugnata sentenza e condannando la A.A. al pagamento delle spese del grado verso l'Erario ed entrambi gli imputati alla rifusione delle spese del grado in favore della parte civile.

2. Il presente procedimento trae origine dall'acquisizione da parte dei Carabinieri del NORM della Compagnia di (Omissis) della denuncia presentata il (Omissis) da C.C.. La stessa lamentava l'indebita appropriazione della somma di Euro 190,00 da parte di A.A., trattenuta quale corrispettivo per il trasporto della denunciante da (Omissis) a (Omissis), località in cui veniva espletata attività lavorativa nel settore agroalimentare (raccolta e confezionamento dell'uva) per conto della ditta T..

Nella denuncia la C.C., esponeva le modalità con cui avveniva il trasporto (ovvero a bordo di un furgone da nove posti dove venivano stipate 17/19 persone, posizionate anche nel bagagliaio, la durata di 18/20 ore delle giornate lavorative, le somme trattenute dalla A.A., per il trasporto (ovvero Euro 9 al giorno per ciascun lavoratore).

La C.C., veniva altresì sentita a sommarie informazioni riferendo di come era entrata in contatto con la A.A., delle modalità con cui i lavoratori venivano prelevati e distribuiti su due furgoni; di come si articolava la giornata lavorativa che durava dalle 6,00 alle 22 con previsione di sole due pause entro le 10 ed entro le 14. Precisava che nel corso della giornata non si poteva parlare con gli altri lavoratori e le postazioni di lavoro erano particolarmente anguste. Il viaggio di ritorno avveniva nelle medesime condizioni dell'andata, anzi tra urla e minacce la A.A. ordinava ai lavoratori di salire velocemente sui furgoni senza dare loro la possibilità di andare in bagno. Durante la giornata per usufruire del bagno era necessario chiedere la tessera magnetica alla A.A. o alla responsabile della catena.

Nonostante la durata dell'attività lavorativa, veniva corrisposta la retribuzione in busta paga per sei ore e trenta minuti al giorno, esclusa la domenica; il lavoro straordinario veniva pagato fuori busta senza però tenere conto delle ore effettivamente prestate.

Nel caso di richiesta di spiegazione sulle divergenze retributive, la A.A., precisava che quelle erano le condizioni, altrimenti avrebbe interrotto il rapporto di lavoro. Inoltre dalla somma di denaro fuori busta veniva detratta la somma di Euro 200,00 circa per le spese di trasporto.

La C.C., riferiva di aver interrotto il rapporto lavorativo non sopportando più le condizioni imposte, che aveva chiesto alla A.A. la retribuzione del mese di agosto 2014 ma la stessa diceva di essersi trattenuta l'assegno e la busta paga finchè non le avesse consegnato la somma di Euro 200,00.

Solo dopo insistenze, la A.A., aveva consegnato quanto dovuto anche se sosteneva dovesse esserle consegnata la somma di Euro 200,00 oltre ad altri Euro 50,00. La C.C. proponeva di discutere di tale questione dinanzi al consulente del Caf ma nè la A.A. nè il figlio si presentavano.

Le dichiarazioni della C.C. trovavano ampi riscontri nell'attività investigativa successivamente svolta con riguardo ai furgoni utilizzati per il trasporto dei lavoratori. Le intercettazioni telefoniche disposte sulle utenze in uso alla A.A. ed al B.B. le dichiarazioni rese dalle persone offese, escusse prima a sommarie informazioni, poi in sede dibattimentale nonchè l'installazione di dispositivi sui veicoli impiegati per il trasporto della manodopera ed un mirato servizio di pedinamento e controllo di tali mezzi, consentivano al giudice di primo grado di accertare la sussistenza degli indici di intermediazione illecita e di sfruttamento del lavoro. Ed infatti si accertava che gli odierni imputati svolgevano un'attività organizzata di intermediazione reclutando manodopera da inviare presso la O.P. Gruppo T. Società consortile a.r.l. organizzandone l'attività lavorativa caratterizzata da sfruttamento mediante violenza e minaccia approfittando dello stato di bisogno dei lavoratori.

L'impianto motivatorio della sentenza di primo grado trovava piena conferma nella sentenza d'appello.

3. Avverso detta sentenza gli imputati, a mezzo del difensore di fiducia, hanno proposto ricorso per cassazione con separati atti.

3.1. Ricorso per A.A., si articola in tre motivi di ricorso.

Con il primo deduce la mancanza illogicità contraddittorietà della motivazione rilevante ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), in relazione alla sussistenza dell'ipotesi di reato contestata ed alla responsabilità personale dell'imputata per i fatti oggetto di contestazione nonchè l'erronea applicazione di legge rilevante ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) c), in considerazione della sussistenza nel caso di specie del reato oggetto di contestazione.

In particolare si censurano le motivazioni della sentenza alle pgg. 4-8 allorchè si argomenta in ordine al rigetto del primo motivo di gravame in sede di appello.

Si assume che la sentenza d'appello non fornisce alcuna valida e logica argomentazione rispetto alle doglianze difensive in ordine alla insussistenza di continuità normativa tra la fattispecie di cui all'art. 603 bis c.p. pre e post 2016, alla indeterminatezza del capo di imputazione, circostanze che avrebbero dovuto condurre il giudice di primo grado al proscioglimento dell'imputata non potendo ritenersi provata l'ipotesi accusatoria.

Si sostiene che l'ipotesi di reato contestata non può ritenersi integrata neppure nella versione antecedente al 2016 e la sentenza impugnata ha reso sul punto una motivazione che, sia pure graficamente presente, risulta priva della benchè minima sostanza argomentativa.

La sentenza impugnata avrebbe confermato la sentenza di primo grado senza affrontare i rilievi mossi nell'atto di appello.

Si assume che la A.A., non aveva alcun potere autonomo di controllo rispetto all'organizzazione del lavoro o dei lavoratori e non aveva potere di assumerli sicchè la minaccia di licenziamento non era concreta e reale.

In altre parole la sentenza impugnata in una serie di passaggi non fornisce adeguata risposta alle allegazioni difensive in ordine alla insussistenza dell'ipotesi di reato contestata.

Con il secondo motivo deduce la mancanza illogicità contraddittorietà della motivazione rilevante ex art. 606 comma 1, lett. in relazione, al trattamento sanzionatorio riservato all'imputata. Si censurano in particolare le argomentazioni della Corte a pgg. 9-10 della sentenza in punto di pena.

Si assume che la sentenza impugnata non perviene ad una reale o comunque logica spiegazione della conferma della sentenza di prime cure in punto di pena, atteso che non viene spiegata la ragione per cui la A.A., non sia meritevole delle circostanze attenuanti generiche nonchè quella del discostamento dal minimo edittale.

Con il terzo motivo deduce la mancanza illogicità contraddittorietà della motivazione rilevante ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) in relazione alla confisca disposta.

Sul punto la sentenza impugnata si limita a motivare che la confisca può essere disposta in quanto i beni sottoposti dapprima a sequestro costituivano corpo del reato.

3.2. Ricorso per B.B., si articola in tre motivi di ricorso.

Con il primo deduce la mancanza illogicità contraddittorietà della motivazione rilevante ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) in relazione alla sussistenza della ipotesi di reato contestata ed alla responsabilità personale dell'imputato per i fatti oggetto di attenzione nonchè l'erronea applicazione di legge rilevante ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) c) in considerazione della sussistenza nel caso di specie del reato oggetto di contestazione.

In particolare si censurano le motivazioni della sentenza alle pgg. 4-9 allorchè argomenta in ordine al rigetto del primo motivo di gravame in sede di appello.

Si assume che la sentenza d'appello non fornisce alcuna valida e logica argomentazione rispetto alle censure difensive in ordine alla insussistenza di continuità normativa tra la fattispecie di cui all'art. 603 bis c.p. pre e post 2016, alla indeterminatezza del capo di imputazione, tanto più in relazione alla responsabilità penale dell'imputato, trattandosi di figura ancor meno definita di quella della A.A., circostanze che avrebbero dovuto condurre il giudice di primo grado al proscioglimento dell'imputata non potendo ritenersi provata l'ipotesi accusatoria.

Peraltro, l'ipotesi di reato contestata non può ritenersi integrata neppure nella versione antecedente al 2016 e la sentenza impugnata ha reso sul punto una motivazione che, sia pure graficamente presente, risulta priva della benchè minima sostanza argomentativa.

La sentenza impugnata avrebbe confermato la sentenza di primo grado senza affrontare i rilievi mossi nell'atto di appello.

Si assume che la condotta del B.B., non poteva integrare il reato contestato, atteso che lo stesso agiva in compagnia della A.A., entrambi si occupavano di condurre i lavoratori e loro stessi erano dipendenti della T.. Non avevano alcun potere autonomo rispetto all'organizzazione del lavoro nè il potere di assumere i lavoratori con la conseguenza che ogni comportamento minaccioso era privo di concretezza.

In altre parole la sentenza impugnata in una serie di passaggi non fornisce adeguata risposta alle allegazioni difensive in ordine alla insussistenza dell'ipotesi di reato contestata.

Con il secondo motivo deduce la mancanza illogicità contraddittorietà della motivazione rilevante ex art. 606 comma 1, lett. e) in relazione al trattamento sanzionatorio riservato all'imputato. Si censurano in particolare le argomentazioni della Corte a pgg. 9-10 della sentenza in punto di pena.

Si assume che la sentenza impugnata non perviene ad una reale o comunque logica spiegazione della conferma della sentenza di prime cure in punto di pena atteso che non viene spiegata la ragione del discostamento dal minimo edittale e del mancato giudizio di prevalenza delle generiche.

Con il terzo motivo deduce la mancanza illogicità contraddittorietà della motivazione rilevante ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) in relazione alla confisca disposta.

Sul punto la sentenza impugnata si limita a motivare che la confisca può essere disposta in quanto i beni sottoposti dapprima a sequestro costituivano corpo del reato.

 

Diritto


1. I due ricorsi, le cui censure sono sostanzialmente sovrapponibili (salvo alcune differenze inerenti alla diversa posizione degli imputati), sono nel complesso inammissibili.

Quanto alla prima censura, la stessa reitera analoga doglianza svolta nei motivi di appello cui la Corte territoriale ha risposto con motivazione logica e puntuale, sia in ordine alla continuità tra le due diverse previsioni del 603 bis c.p. ante e post 2016, sia in punto di ritenuta sussistenza dell'ipotesi contestata che in relazione alla dedotta genericità del capo di imputazione.

Sul primo punto, la Corte territoriale ha premesso che i fatti contestati si sono dipanati tra il luglio 2014 e l'aprile del 2016, così ricadendo sotto la previgente formulazione dell'art. 603 bis c.p. ed ha rilevato, quanto al rapporto tra detta formulazione e quella vigente, che, contrariamente all'assunto difensivo, non vi sarebbe una modificazione sostanziale della fattispecie (da cui peraltro non è chiaro quale conseguenza la difesa voglia trarre) configurandosi invece un rapporto di specialità tra le norme atteso che la nuova formulazione, essendo più ampia, consente di ricondurre all'area dell'illecito penale più condotte rispetto alla normativa antecedente.

Va invero, premesso che l'art. 603-bis c.p., nella sua originaria formulazione, puniva chiunque svolgesse "un'attività organizzata di intermediazione, reclutandone manodopera o organizzandone l'attività lavorativa caratterizzata da sfruttamento, mediante violenza, minaccia, o intimidazione, approfittando dello stato di bisogno o di necessità dei lavoratori".

La condotta tipica, dunque, era solo quella di intermediazione e, veniva sanzionata solo una fattispecie ristretta di sfruttamento, ovvero quello violento, e il datore di lavoro poteva solo concorrere nel reato con l'intermediario. Modalità più diffuse e subdole di sfruttamento, attuate senza ricorrere - necessariamente alla violenza, alla minaccia o all'intimidazione, venivano lasciate alle ipotesi contravvenzionali previste in tema di intermediazione illecita D.Lgs. n. 273 del 2003, ex art. 18.

La scarsa effettività dell'art. 603-bis c.p. e la sua totale inefficacia hanno indotto, così, il legislatore a riformulare la fattispecie, prevedendo un alleggerimento sostanziale della tipicità, così da ampliare la sua sfera di operatività e favorire una più agevole praticabilità processuale, grazie anche a un più limitato onere probatorio.

La L. 29 ottobre 2016, n. 199, ha modificato l'art. 603-bis c.p. distinguendo l'ipotesi di intermediazione illecita, il cd. "caporalato", configurandolo come delitto di pericolo a dolo specifico, da quella di sfruttamento del lavoro, condotta propria del datore di lavoro, equiparandole sul piano sanzionatorio.

Concorrono a realizzare le condotte tipiche di reclutamento e di utilizzo, rilevanti penalmente, solo lo sfruttamento e l'approfittamento dello stato di bisogno, indici già presenti nella disposizione previgente, mentre la violenza e la minaccia, che prima entravano nella tipicità del reato, oggi ne costituiscono circostanze aggravanti.

Quanto agli elementi integranti la fattispecie di reato, la norma come novellata nel 2016, come già quella del 2011, non definisce il concetto di sfruttamento ma lo "indicizza", individuando alcuni elementi di contesto da cui è possibile desumere la prova dello sfruttamento.

A ben vedere, ricondotte violenza, minaccia ed intimidazione al rango di aggravanti, è restata immutata con la novella del 2016 la struttura della disposizione penale, non solo perchè sempre basata sul concetto di sfruttamento e approfittamento dello stato di bisogno, ma anche perchè il legislatore ha adottato la medesima tecnica legislativa e di tipizzazione della condotta di sfruttamento, ovvero l'elencazione di indici quali sono la remunerazione, il tempo di lavoro, le condizioni di salute e di sicurezza sul lavoro, i metodi di sorveglianza e le situazioni alloggiative.

Nella specie, avendo come riferimento i più rigorosi presupposti normativi previsti nella precedente formulazione della norma, la sentenza impugnata ha puntualmente ricostruito, sulla base del complesso impianto probatorio, anche mediante il richiamo a passaggi della sentenza di primo grado, lo svolgimento da parte della A.A. di un'attività organizzata di intermediazione risultando che, a prescindere dal fatto che gli operai fossero formalmente assunti dalla T. Naturalmente Bio, la stessa si occupava del reclutamento della manodopera e di tutti gli aspetti connessi all'organizzazione del lavoro ivi compreso il loro raggruppamento non risultando rilevante al fine di escludere il ruolo dalla medesima svolto la circostanza che facesse sempre riferimento a tale D.D. come colei che in definitiva gestiva l'ingaggio.

Del pari viene posta in rilievo la condizione di sudditanza materiale e psicologica in cui si trovavano i lavoratori posti nelle condizioni di scegliere tra l'accettazione di condizioni di lavoro inique e degradanti e la prospettiva del licenziamento con la conseguente perdita della fonte di reddito.

Quanto al ruolo del B.B., la sentenza impugnata con motivazione logica e puntuale chiarisce come lo stesso, certamente in posizione subalterna rispetto alla madre, fosse comunque pienamente coinvolto nel reclutamento della manodopera avendo pienamente e consapevolmente concorso nell'attività della medesima.

Come ricostruito in particolare nella sentenza di primo grado, cui la sentenza d'appello ha rinviato, lo stesso conduceva quotidianamente uno dei furgoni utilizzati per il trasporto dei lavoratori sui campi e nei magazzini della T. e teneva la c.d. "contabilità parallela", ovvero quella che dava conto delle giornate e delle ore di lavoro effettivamente eseguite dai braccianti, che in parte non venivano remunerate ed in parte pagate "fuori busta".

2. Inammissibile è anche il secondo motivo di ricorso.

La doglianza reitera la censura già dedotta in appello in ordine al trattamento sanzionatorio.

Quanto alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche alla A.A., la Corte territoriale ha valorizzato la totale assenza di elementi suscettibili di valutazione favorevole a fronte di un giudizio negativo di personalità.

A riguardo giova rilevare che il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche può essere legittimamente motivato dal giudice con l'assenza di elementi o circostanze di segno positivo, a maggior ragione dopo la riforma disposta con il D.L. 23 maggio 2008, n. 92, art. 62-bis, convertito, con modificazioni, dalla L. 24 luglio 2008, n. 125, per effetto della quale, ai fini della concessione della diminuente, non è più sufficiente il solo stato di incensuratezza dell'imputato (Sez. 4, n. 32872 del 08/06/2022, Rv. 283489).

Con riguardo al mancato giudizio di prevalenza delle generiche per il B.B., la Corte territoriale con analogo ragionamento ha evidenziato come la difesa non abbia neanche indicato elementi su cui fondare il diverso giudizio, peraltro tipicamente rimesso alla valutazione del giudice di merito.

Con riferimento alla pena edittale, la Corte si è di poco discostata dal minimo di cinque anni di reclusione per la A.A. mentre per il B.B., la pena è già stata congruamente ridotta nel giudizio di appello.

3. Inammissibile è anche il terzo motivo.

Ed invero la censura non si confronta con la sentenza impugnata che, rispondendo ad analoga doglianza mossa con l'atto di appello, ha chiarito che la statuizione di confisca ha ad oggetto beni costituenti corpo del reato.

In conclusione i ricorsi vanno dichiarati inammissibili.

Segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3000,00 ciascuno in favore della Cassa delle Ammende.

 

P.Q.M.


dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3000,00 ciascuno in favore della cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, il 28 settembre 2023.

Depositato in Cancelleria il 27 novembre 2023