Cassazione Penale, Sez. 4, 27 novembre 2023, n. 47433 - Inondazione colposa: trentadue visitatori travolti dalla piena fluviale conseguente alle precipitazioni. Art. 590 c.p.



REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PICCIALLI Patrizia - Presidente -

Dott. CAPPELLO Gabriella - Consigliere -

Dott. PEZZELLA Vincenzo - Consigliere -

Dott. MICCICHE’ Loredana - Consigliere -

Dott. MARI Attilio - rel. Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
 


sul ricorso proposto da:

PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D'APPELLO DI CATANZARO;

nel procedimento a carico di:

A.A., nato a (Omissis) nel procedimento a carico di quest'ultimo;

B.B., nato a (Omissis), + Altri Omessi;

inoltre:

COMUNE DI SAN LORENZO BELLIZZI;

COMUNE DI CIVITA;

C.C., + Altri Omessi;

avverso la sentenza del 28/10/2022 della CORTE APPELLO di CATANZARO;

udita la relazione svolta dal Consigliere ATTILIO MARI;

letta la requisitoria scritta del Procuratore Generale, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

 

1. Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte d'appello di Catanzaro ha confermato la sentenza emessa il 12/04/2021 dal GUP presso il Tribunale di Castrovillari e con la quale era stato dichiarato il non luogo a procedere: nei confronti di B.B., + Altri Omessi in relazione al reato previsto dall'art. 40 c.p., comma 2, artt. 110 e 348 c.p. e della L. 2 gennaio 1989, n. 6, art. 18 perchè il fatto non sussiste; contestualmente, il giudice procedente aveva emesso il decreto di citazione a giudizio nei confronti di B.B., E.E. e F.F. in ordine ai reati ascritti ai punti 2) e 4) del capo di imputazione e nei confronti di B.B., A.A. e D.D. in ordine ai reati ascritti ai capi 6), 7) e 8).

1.1 Il Giudice procedente, in ordine al reato contestato al capo 1) della rubrica - ascritto al B.B., al A.A. e al D.D. nelle loro rispettive qualità di sindaci dei Comuni di Civita, Cerchiara di Calabria e San Lorenzo Bellizzi per avere commesso in forma omissiva il reato di inondazione colposa non impedendo l'accesso all'interno della c.d. (Omissis) di trentadue visitatori poi travolti dalla piena fluviale conseguente alle precipitazioni verificatesi quel giorno nell'alto bacino del torrente Raganello - ha ritenuto non configurabile il reato in presenza del mancato nesso causale tra le omissioni contestate e la verificazione dell'evento, essendo state ascritte agli imputati unicamente condotte attinenti alla gestione dell'emergenza nella fase successiva all'inondazione.

In relazione alle imputazioni di omicidio colposo e lesioni colpose ascritte al D.D. e al A.A., il GUP ha rilevato l'insussistenza di una posizione di garanzia in capo ai prevenuti, atteso che l'accesso alle grotte era avvenuto nel diverso Comune di Civita e l'assenza di configurabilità di un previo obbligo di concertazione tra i Sindaci dei Comuni compresi nel bacino torrentizio; il Giudice ha comunque rilevato, in ordine all'imputazione di lesioni colpose, l'omessa presentazione della querela da parte delle persone offese, ragione di diritto posta alla base della pronuncia di non luogo a procedere per lo stesso reato nei confronti del H.H. e del I.I..

In ordine al reato contestato al capo 10) della rubrica, ascritto agli amministratori e ai soci della Raganello Tour Srl e della Sibari Natura Srl accusati di avere indebitamente esercitato un'attività di esclusiva competenza delle Guide alpine iscritte nell'albo professionale - il GUP ha rilevato che l'attività svolta dagli imputati, ovvero quella di mero accompagnamento dei visitatori, non potevano farsi rientrare in quelle di esclusiva competenza delle Guide medesime.

1.2 La Corte territoriale - all'esito dell'appello proposto dal Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte d'appello di Catanzaro - in ordine al motivo di impugnazione afferente al proscioglimento emesso per il reato contestato ai sensi degli artt. 449 e 426 c.p., ha rilevato che questo non si era fondato su un'anticipata valutazione di merito sull'imputazione contestata, bensì su una pregiudiziale considerazione in punto di diritto, in base alla quale le condotte omissive ascritte non potevano rientrare nell'ambito di applicazione della fattispecie contestata; nel merito, ha quindi rilevato che le considerazioni spiegate nel gravame si risolvevano nella reiterata elencazione delle omissioni ascritte agli imputati senza la doverosa esposizione delle ragioni per le quali le stesse avrebbero dovuto essere considerate la causa esclusiva o concorrente dell'evento e come non potesse evincersi la dimostrazione del perchè il corretto assolvimento dei predetti compiti avrebbe impedito l'evento naturale (prevedibile) rappresentato dall'ondata di piena; ha rilevato che i Comuni di Cerchiara di Calabria e di San Lorenzo Bellizzi non erano stati interessati dalle precipitazioni atmosferiche che avevano determinato l'evento, ragione che escludeva a monte qualsiasi ragionevole prognosi di penale responsabilità in capo al A.A. e al D.D., giungendo comunque ad analoga conclusione nei confronti del B.B., in ragione dell'omessa dimostrazione di un nesso causale tra le condotte doverose omesse e l'evento atmosferico medesimo; configurandosi la condotta omissiva consistente nel non avere impedito l'accesso degli escursionisti alla Gole sin dal momento della diramazione dell'allerta meteo come fondamento per la diversa imputazione di omicidio colposo, per il quale il predetto era stato rinviato a giudizio.

In ordine alle imputazioni di omicidio colposo e lesioni colpose ascritte al A.A. e al D.D., la Corte territoriale ha rilevato l'inammissibilità del gravame, non essendo lo stesso stato corredato dall'enunciazione dei relativi motivi di appello e dall'effettiva contestazione delle argomentazioni spiegate dal GUP, in base alle quali i suddetti non avevano alcun potere di impedire l'accesso alle (Omissis) ai visitatori, entrati da luogo collocato nel Comune di Civita; la Corte ha altresì ritenuto inammissibile o comunque infondato il motivo di appello relativo all'imputazione di lesioni colpose ascritte al H.H. e al I.I., non essendovi state effettive contestazioni in ordine alla carenza della condizione di procedibilità, atteso che le argomentazioni della Procura Generale facevano riferimento a una fattispecie (ovvero quella prevista dall'art. 590 c.p., comma 3) non contestata nè in punto di diritto e nè in punto di fatto.

La Corte, infine, ha ritenuto infondato il motivo di impugnazione relativo all'imputazione di cui al capo 10), atteso che doveva essere condivisa la valutazione del GUP secondo la quale gli elementi emergenti inducevano a ritenere come dubbio che le attività esercitate dagli imputati rientrassero nell'ambito di quelle di quelle comportanti l'uso di tecniche e attrezzature alpinistiche ai sensi della L. n. 6 del 1989; aggiungendo che il reato era stato ascritto a tutti gli imputati senza l'indicazione dell'effettivo ruolo che gli stessi avevano avuto nell'organizzazione delle attività assunte come espletate in modo abusivo.

2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte d'appello di Catanzaro, articolando quattro motivi di impugnazione.

Con il primo motivo ha dedotto la violazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), in relazione agli artt. 423 e 521 c.p.p., con specifico riferimento al reato di lesioni colpose ascritto al H.H. e al I.I. al capo 5) dell'imputazione e ritenuto non procedibile per difetto di querela; ha dedotto che, sulla base del tenore letterale del capo di imputazione, il reato ascritto doveva essere fatto rientrare nella fattispecie prevista dall'art. 590 c.p., comma 3, trattandosi di lesioni colpose commesse in violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro ed essendo tali disposizioni invocabili anche nei confronti dei terzi non impiegati nell'esercizio delle relative attività.

Con il secondo motivo di impugnazione ha dedotto la violazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), in relazione agli artt. 47 e 348 c.p., alla L. n. 6 del 1989, art. 2 e all'art. 425 c.p.p., con riferimento al reato ascritto al capo 10) dell'imputazione, nei confronti di E.E., + Altri Omessi, concludendo per l'accoglimento del ricorso.

concludendo per l'accoglimento del ricorso.

Ha depositato memoria l'imputato D.D., concludendo per il rigetto del ricorso.

 

Diritto


1. Il ricorso è infondato.

2. Va pregiudizialmente rilevato che il ricorso per cassazione è stato proposto dal Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte d'appello di Catanzaro ai sensi dell'art. 428 c.p.p., comma 3-bis, entrato in vigore a seguito della L. 23 giugno 2017, n. 103, art. 1, comma 40, con effetto a decorrere dal 3 agosto 2017 e che abilita il solo Ufficio della Procura Generale alla proposizione dell'impugnazione di legittimità.

Deve quindi rilevarsi che, in riferimento al disposto dell'art. 425 c.p.p., comma 3, il giudice dell'udienza preliminare emette sentenza di non luogo a procedere - non solo in presenza di una delle cause di proscioglimento indicate nel comma 1 - ma anche "quando gli elementi acquisiti risultano insufficienti, contraddittori o comunque non idonei a sostenere l'accusa in giudizio".

Ne consegue, sulla base della lettura della suddetta disposizione operata dalla giurisprudenza di legittimità, che - ai fini della pronuncia della sentenza di non luogo a procedere - il GUP deve valutare, sotto il solo profilo processuale, se gli elementi probatori acquisiti risultino insufficienti, contraddittori o comunque inidonei a sostenere l'accusa in giudizio, esprimendo un giudizio prognostico circa l'inutilità del dibattimento, senza poter effettuare una complessa ed approfondita disamina del merito (Sez. 2, n. 46145 del 05/11/2015, Caputo, Rv. 265246; Sez. 5, n. 565 del 26/10/2016, dep. 2017, Dieng, Rv. 269014) essendogli inibito il proscioglimento in tutti i casi in cui gli elementi di prova acquisiti si prestino a valutazioni alternative, aperte o, comunque, tali da poter essere diversamente considerati in dibattimento anche alla luce delle future acquisizioni probatorie (Sez. 2, n. 15942 del 07/04/2016, I., Rv. 266443).

A propria volta, il ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte d'appello che abbia confermato il non luogo a procedere è limitato alle ipotesi di violazione di legge, in relazione all'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), secondo un assetto in linea con quanto previsto nella relazione al D.D.L. approvato con la L. n. 103 del 2017, in base al quale la verifica della sussistenza delle condizioni per il rinvio a giudizio attiene essenzialmente alla ricostruzione del fatto e al merito dell'accusa, per cui la stessa appare estranea al sindacato di legittimità.

3. Va ulteriormente premesso che, vertendo il giudizio di cassazione in punto di impugnativa di sentenza di non luogo a procedere in un'ipotesi strutturale di "doppia conforme", si applica il principio in base al quale le due decisioni di merito vanno lette congiuntamente, integrandosi le stesse a vicenda, secondo il tradizionale insegnamento della Suprema Corte; tanto in base al principio per cui "Il giudice di legittimità, ai fini della valutazione della congruità della motivazione del provvedimento impugnato, deve fare riferimento alle sentenze di primo e secondo grado, le quali si integrano a vicenda confluendo in un risultato organico ed inscindibile" (Sez. 2, n. 11220 del 13/11/1997, Ambrosino, Rv. 209145; in conformità, tra le numerose altre, Sez. 6, n. 11878 del 20/01/2003, Vigevano, Rv. 224079; Sez. 6, n. 23248 del 07/02/2003, Zanotti, Rv. 225671; Sez. 5, n. 14022 del 12/01/2016, Genitore, Rv. 266617).

4. Con il primo motivo di impugnazione, l'Ufficio ricorrente ha dedotto la violazione di legge consistente nell'aver dichiarato procedibile a querela la fattispecie contestata al capo 5) dell'imputazione, assumendo che il fatto ascritto avrebbe dovuto essere qualificato sotto la specie di quello previsto dall'art. 590 c.p., comma 3, e quindi procedibile d'ufficio ai sensi dell'u.c., stesso art., trattandosi di fatto commesso con violazione delle norme di prevenzione degli infortuni sul lavoro e conseguentemente applicabile anche ai terzi che si trovino nel relativo ambiente pur in assenza di un rapporto di dipendenza con il titolare dell'impresa.

Il motivo è infondato.

4.1 La tematica introdotta dal predetto motivo di impugnazione si interseca con quella inerente ai poteri da riconoscere al GUP, adito all'esito della presentazione della richiesta di rinvio a giudizio, in ordine alla corretta qualificazione giuridica del fatto ascritto, tanto soprattutto alla luce della lettura dell'art. 521 c.p.p. quale disposizione espressiva di un principio di portata generale.

Sul punto, la giurisprudenza ha quindi ritenuto che il potere del GUP di operare la corretta qualificazione giuridica del fatto - in assenza dell'esercizio da parte del P.m. dei poteri di modifica dell'imputazione in sede di udienza preliminare conferiti dall'art. 423 c.p.p. - non trova alcuna limitazione e ciò in quanto l'esatta attribuzione del nomen iuris è principio connaturale all'esercizio della giurisdizione (Sez. U, n. 16 19/06/1996, Di Francesco, Rv. 205617), dovendosi quindi logicamente escludere qualsiasi profilo di abnormità nell'esercizio del relativo potere/dovere da parte del giudice procedente (Sez. 3, n. 51424 del 18/09/2014, Longhi, Rv. 261398; Sez. 6, n. 28262 del 10/05/2017, Tosi, Rv. 270521).

Nella ipotesi in cui sussista una divergenza tra P.m. e GUP in ordine alla qualificazione giuridica del fatto, la giurisprudenza di legittimità ha altresì ritenuto che al GUP debba ritenersi attribuita una funzione di controllo in ordine alla rispondenza dell'imputazione alle risultanze del fatto, che può essere esercitata sia sollecitando il P.m. all'esercizio dei poteri conferiti dall'art. 423 c.p.p. sia - come dedotto nel caso di specie nel motivo di impugnazione - mediante la restituzione degli atti al P.m. secondo la disciplina, analogicamente applicata, contenuta nell'art. 521 c.p.p. (tanto sulla base dei principi enunciati da Sez. U, n. 5307 del 20/12/2007, Battistella, Rv. 238239, in senso conforme Sez. 3, n. 8078 del 10/10/2018, dep. 2019, Cammi, Rv. 275839 - 02).

Ulteriormente, in coerenza con tali principi, questa Corte ha affermato che va annullata senza rinvio la sentenza di non luogo a procedere pronunciata dal giudice dell'udienza preliminare all'esito dell'udienza preliminare con riferimento all'imputazione elevata dal pubblico ministero, qualora i medesimi fatti siano diversamente qualificabili in altra ipotesi di reato per la quale sussistono i presupposti per il rinvio a giudizio, dal momento che il giudice, nell'assumere i provvedimenti conclusivi di cui all'art. 424 c.p.p., può conferire al fatto contestato una diversa qualificazione giuridica (Sez. 6, n. 35806 del 5/5/2008, G., Rv. 241255; Sez. 6, n. 36676 del 07/05/2015, Serino, Rv. 264579).

4.2 Di contro, la giurisprudenza di questa Corte ha altresì precisato che i predetti poteri di riqualificazione non possono essere esercitati nel caso in cui nel corso dell'udienza preliminare risulti un fatto nuovo non contestato nell'atto di esercizio dell'azione penale, situazione in presenza della quale - in assenza dell'esercizio dei poteri previsti dall'art. 423 c.p.p. - deve considerarsi non consentito, e quindi abnorme, il provvedimento con cui venga disposta la restituzione degli atti al P.m. (Sez. 6, n. 573 del 02/05/1992, Pellegrino, Rv. 190032; Sez. 1, n. 19331 del 09/04/2008, Rolla, Rv. 240189).

In particolare, tale principio deve essere specificato nel senso che l'intervento correttivo del GUP può essere operato alla condizione che non sussista una sostanziale immutazione o alterazione del fatto rispetto a quello descritto nel capo di imputazione, in ordine ai correlativi elementi costitutivi e caratterizzanti; solo a tali condizioni essendo consentito al GUP, che dissenta dalla qualificazione giuridica del fatto operata dal P.m., di individuare gli articoli di legge effettivamente violati e di farne menzione nel decreto che dispone il giudizio in luogo di quelli originariamente contestati (si vedano i principi esposti in parte motiva da Sez. 1, n. 21732 del 13/12/2017, dep. 2018, Cessanti, Rv. 273341); ciò in diretta correlazione con la conclusione in base alla quale, in caso di emersione di un fatto nuovo - ovvero di un fatto comunque radicalmente diverso nei relativi elementi costitutivi rispetto a quello contestato - il GUP non ha alcun potere di delibare sulla fondatezza di un nuovo e diverso addebito all'imputato, nè sull'opportunità dell'ingresso di tale addebito nel procedimento in corso, spettando esclusivamente al Pubblico ministero, nella sua qualità di titolare dell'azione penale, la scelta tra il procedere separatamente o avvalersi dei poteri di cui all'art. 423 c.p. (Sez. 6, n. 573 del 26/02/1992, Pellegrino, Rv. 190032).

4.3 Ulteriormente - proprio in quanto l'individuazione dei poteri spettanti al GUP in ordine alla riqualificazione giuridica del fatto si riconnette all'individuazione dell'art. 521 c.p.p. quale espressione di un principio di portata generale - occorre evidentemente fare riferimento alla giurisprudenza sviluppatasi sui limiti dell'esercizio di tale potere in riferimento alla conformità fenomenica del fatto ritenuto in sentenza rispetto a quello contestato; giurisprudenza in base alla quale è stato ritenuto che la violazione del principio di correlazione è ravvisabile nel caso in cui il fatto ritenuto nella decisione si trovi, rispetto a quello contestato, in rapporto di eterogeneità, ovvero quando il capo d'imputazione non contenga l'indicazione degli elementi costitutivi del reato ritenuto in sentenza, nè consenta di ricavarli in via induttiva, tenendo conto di tutte le risultanze probatorie portate a conoscenza dell'imputato e che hanno formato oggetto di sostanziale contestazione (Sez. 6, n. 54457 del 17/11/2016, Marchiafava, Rv. 268957; Sez. 2, n. 21089 del 29/03/2023, Saracino, Rv. 284713 - 02, tra le altre); conseguendone, in specifico riferimento al riconoscimento di una circostanza non contestata nè in diritto e nè in fatto, che la pronuncia correlativa è nulla nella parte relativa a tale statuizione, ai sensi dell'art. 522 c.p.p., comma 2, poichè il giudice ha il potere di intervenire sulla diversa qualificazione giuridica o sulla diversità del fatto, ma non di applicare circostanze mai contestate (Sez. 5, n. 11412 del 19/01/2021, Papandrea, Rv. 280748).

4.4 In applicazione di tali principi, nel caso in esame deve escludersi che il GUP potesse - in assenza dell'esercizio, da parte del P.m., dei poteri previsti dall'art. 423 c.p.p. - operare una riqualificazione del fatto sotto la specie dedotta nel motivo di impugnazione.

Il punto 5) del capo di imputazione conteneva infatti un espresso riferimento in diritto all'art. 590 c.p., comma 1 e 4, e quindi all'ipotesi base di lesioni colpose, con contestazione di profili di colpa specifica consistenti nella violazione della L. 2 gennaio 1989, n. 6, artt. 2, 4, 5 e 7 (contenente l'ordinamento della professione di guida alpina) e di colpa generica consistente nella sottovalutazione delle condizioni meteorologiche; senza alcun riferimento nè in fatto e nè in diritto - agli elementi costitutivi propri della ipotesi aggravata prevista dall'art. 590 c.p., comma 3, e perfezionata in presenza della violazione delle disposizioni in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro, essendo del tutto assente il riferimento tanto alla correlativa veste di datori di lavoro in capo agli imputati quanto all'individuazione dei conseguenti profili di colpa specifica o generica derivanti dalla medesima; elementi, questi, introdotti solo in sede di appello proposto dal Procuratore Generale avverso la sentenza di non luogo a procedere.

Ne consegue che, in presenza del tenore del capo d'imputazione e in mancanza dell'esercizio - da parte del Pubblico ministero - dei poteri previsti dall'art. 423 c.p.p., il GUP non aveva alcun potere/dovere di modificare la qualificazione del fatto nel senso prospettato, non essendo quindi ravvisabile la denunciata violazione di legge.

5. Con il secondo motivo di impugnazione, l'Ufficio ricorrente ha dedotto la violazione di legge derivante dalla pronuncia della sentenza di non luogo a procedere in relazione al reato previsto dall'art. 348 c.p., contestato nei confronti del H.H., + Altri Omessi e derivante - sulla base del capo di imputazione - dall'avere esercitato abusivamente la professione di Guida alpina, organizzando attività di torrentismo e canyoning in assenza - in capo al personale operante - dell'iscrizione all'albo professionale previsto dalla L. 2 gennaio 1989, n. 6, art. 4.

Il motivo è inammissibile, in quanto involgente una valutazione di fatto non consentita in questa sede alla luce della limitazione dei profili di censura deducibili ai sensi dell'art. 428 c.p.p., comma 3-bis.

A tale proposito, va quindi premesso che della L. n. 6 del 1989, il citato art. 2 definisce come "guida alpina" - pertanto necessitante dell'iscrizione nell'albo professionale previsto dal successivo art. 4 - come colui "che svolge professionalmente, anche in modo non esclusivo e non continuativo, le seguenti attività: a) accompagnamento di persone in ascensioni sia su roccia che su ghiaccio o in escursioni in montagna; b) accompagnamento di persone in ascensioni sci-alpinistiche o in escursioni sciistiche; c) insegnamento delle tecniche alpinistiche e sci-alpinistiche con esclusione delle tecniche sciistiche su piste di discesa e di fondo. Lo svolgimento a titolo professionale delle attività di cui al comma 1, su qualsiasi terreno e senza limiti di difficoltà e, per le escursioni sciistiche, fuori delle stazioni sciistiche attrezzate o delle piste di discesa o di fondo, e comunque laddove possa essere necessario l'uso di tecniche e di attrezzature alpinistiche, è riservato alle guide alpine abilitate all'esercizio professionale e iscritte nell'albo professionale delle guide alpine".

Va quindi rilevato che i giudici di merito - con valutazione compiuta in punto di fatto e pertanto del tutto intangibile in questa sede - hanno ritenuto, anche alla luce degli elementi probatori specificamente elencati, che l'attività organizzata indicata nel capo di imputazione ed esercitata di fatto dagli imputati nella fattispecie in esame fosse ascrivibile a una sola generica attività di accompagnamento in aree montane e, come tale, sottratta alla necessaria abilitazione professionale; anche attraverso il richiamo a quanto statuito nella parte motiva di Corte Cost., 14/12/2005, n. 459, in base alla quale, in riferimento alla figura della guida alpina, "ciò che distingue effettivamente tale figura professionale è, sulla base di quanto previsto dalla L. n. 6 del 1989, non già una generica attività di accompagnamento in aree montane (la cui esatta definizione, per di più, aprirebbe complessi problemi a seguito della intervenuta soppressione del criterio altimetrico in conseguenza della abrogazione della L. 3 dicembre 1971, n. 1102, art. 3 recante "Nuove norme per lo sviluppo della montagna", nonchè della L. 27 luglio 1952, n. 991, art. 1 recante "Provvedimenti in favore dei territori montani"), bensì l'accompagnamento su qualsiasi terreno che comporti "l'uso di tecniche e di attrezzature alpinistiche" (come si esprime testualmente la L. n. 6 del 1989, art. 2, comma 2) o l'attraversamento di aree particolarmente pericolose e cioè "delle zone rocciose, dei ghiacciai, dei terreni innevati e di quelli che richiedono comunque, per la progressione, l'uso di corda, piccozza e ramponi" (come si esprime l'art. 21, comma 2, della medesima legge".

A ciò aggiungendosi, come rilevato nella sentenza emessa ai sensi dell'art. 425 c.p.p., che la predetta L. n. 6 del 1989 prevede anche la figura dell'"accompagnatore di media montagna", definito come colui che svolge in una zona o regione determinata le attività di accompagnamento di cui all'art. 2, comma 1 con esclusione delle zone rocciose, dei ghiacciai, dei terreni innevati e di quelli che richiedono comunque, per la progressione, l'uso di corda, piccozza e ramponi, e illustra alle persone accompagnate le caratteristiche dell'ambiente montano percorso" e per la quale, in difetto di previsione normativa, non è applicabile l'obbligo di iscrizione all'albo, con conseguente irrilevanza penale dell'attività svolta in assenza di abilitazione ai sensi dell'art. 348 c.p..

I giudici di merito hanno quindi ritenuto, con valutazione strettamente di fatto, che unica attività organizzata dalla Raganello Tour Srl e dalla Sibari Natura Srl fosse quella di generico accompagnamento in zone montane, neanche comportante il necessario uso di tecniche alpinistiche o l'attraversamento di aree particolarmente pericolose necessitanti di corda, piccozza e ramponi e che nemmeno fosse dimostrata l'organizzazione di attività di torrentismo e canyoning. D'altra parte, come rilevato dalla Corte territoriale, non assume rilevanza - ed è comunque escluso che la relativa circostanza possa essere addotta a fondamento di una censura per violazione di legge - la circostanza che il Consiglio Comunale di Civita, prima dei fatti, avesse approvato un regolamento (peraltro mai entrato in vigore) nel quale si prevedeva di consentire l'accesso alle (Omissis) solo ai visitatori accompagnati da guide alpine; profilo che comunque non escluderebbe l'irrilevanza penale delle condotte svolte in assenza di abilitazione su terreni non rientranti nell'area di applicazione definita dalla L. n. 6 del 1989, art. 2.

6. Con il terzo motivo di impugnazione, l'Ufficio ricorrente ha dedotto il vizio di violazione di legge derivante dalla pronuncia del non luogo a procedere in relazione all'imputazione elevata ai sensi dell'art. 449 c.p. nei confronti del B.B., del A.A. e del D.D..

Sulla base della prospettazione della Procura Generale, difatti, l'omessa adozione degli strumenti di programmazione e pianificazione elencati nel capo di imputazione dovrebbe intendersi causalmente connessa al rischio per la pubblica incolumità e l'adozione delle cautele richieste avrebbe quindi limitato la messa in pericolo dell'incolumità medesima.

Il motivo è infondato, non ravvisandosi nelle motivazioni dei giudici di merito la denunciata violazione di legge.

6.1 Nell'atto di esercizio dell'azione penale è stato contestato ai tre predetti imputati (nelle rispettive qualità di Sindaci dei Comuni di Civita, Cerchiara di Calabria e San Lorenzo Bellizzi), di avere omesso l'adozione ovvero l'aggiornamento del Piano Comunale di Emergenza di Protezione Civile e di attuare il protocollo relativo all'allertamento e all'attivazione delle fasi operative per le piogge previste e in corso, imposte dalla direttiva per il sistema di allertamento regionale per il rischio meteo-idrogeologico ed idraulico in Calabria; nonchè di avere omesso di attivare il conseguente flusso di informazioni e - nei confronti del B.B. e del D.D. - di avere omesso la necessaria pubblicizzazione delle deliberazioni del Consiglio Comunale recanti il regolamento per la fruizione della (Omissis) e che - come sopra osservato - prevedeva l'autorizzazione all'accesso dei visitatori solo in presenza di guide alpine iscritte all'albo professionale; in tale modo - sempre secondo l'ipotesi accusatoria - non impedendo l'accesso di trentadue visitatori e cagionando la messa in pericolo degli stessi derivante dalla piena fluviale conseguente alle precipitazioni verificatesi il 28/08/2018.

6.2 Va quindi osservato che agli odierni imputati risulta ascritto il reato previsto dall'art. 449 c.p., il quale punisce chiunque "cagiona per colpa" un incendio ovvero "un altro disastro preveduto dal capo primo di questo titolo", in riferimento espresso al disposto dell'art. 426 c.p., che punisce chiunque cagiona un'inondazione, una frana o una valanga.

Si verte, pertanto, nella fattispecie del c.d. disastro innominato colposo, contestato in riferimento allo specifico evento dell'inondazione; va quindi ricordato che, sotto tale aspetto, il disastro è integrato da un avvenimento, sotto il profilo naturalistico, grave e complesso - ma non necessariamente eclatante, immane ed eccezionale per dimensioni - e, sotto il profilo dell'offensività, idoneo a mettere in concreto pericolo, secondo una valutazione ex ante, la vita o l'integrità fisica di un numero indeterminato di persone, anche qualora tale pericolo possa essere escluso secondo una valutazione ex post in ragione degli interventi di urgenza e di ripristino eseguiti nell'immediatezza del fatto (Sez. 4, n. 35840 del 15/6/2021, Canella, Rv. 281884; Sez. 4, n. 10394 del 07/02/2023, De Franceschi, Rv. 284240 - 02).

6.3 Ciò premesso, le valutazioni operate dai giudici di merito in ordine alla non inquadrabilità delle condotte contestate agli imputati come idonee - sulla base di una valutazione operata sul mero tenore testuale del capo di imputazione, non oggetto di alcuna modifica da parte del Pubblico ministero ai sensi dell'art. 423 c.p.p. - a integrare la contestata fattispecie del disastro innominato colposo, in relazione allo specifico evento dell'inondazione, a propria volta concretizzato da un elemento liquido di vaste dimensioni per entità ed estensione, con carattere di prorompente diffusione e diffusibilità e coinvolgente un numero indeterminato di persone (Sez. 1, Sentenza n. 6560 del 16/03/1984, Lanfri, Rv. 165304), sono da ritenersi immuni dal denunciato vizio di violazione di legge.

Difatti, come osservato dai giudici di merito con affermazioni da ritenere congrue e coerenti con il quadro normativo di riferimento, le condotte omissive contestate ai ricorrenti - e consistenti nell'omessa adozione degli strumenti di pianificazione previsti dal D.Lgs. 2 gennaio 2018, n. 1, contenente il Codice della Protezione civile e nella conseguente attivazione del necessario flusso di informazioni - non contengono l'esposizione del necessario nesso causale tra le omissioni medesime e la verificazione dell'evento naturale consistente nella ondata di piena del letto del torrente Raganello, a propria volta da ascrivere a precipitazioni atmosferiche.

Risulta quindi del tutto condivisibile l'argomentazione adottata dal GUP in base alla quale l'omissione delle necessarie misure preventive, finalizzate a elidere o comunque attenuare il pericolo derivante dai fenomeni naturali, non può ritenersi idonea - in base a una valutazione condotta sul piano dell'oggettività giuridica del delitto di disastro innominato colposo - a configurare la fattispecie contestata, presupponente una condotta colposa posta in nesso causale con il verificarsi dell'inondazione.

In sostanza, quindi, agli odierni imputati è stata ascritta una condotta consistente nell'omessa adozione delle necessarie cautele atte a impedire un pericolo per la pubblica incolumità (o comunque per un numero indeterminato di persone) in presenza di un evento naturale, ma tali condotte - sulla base di una valutazione operata sulla scorta del tenore dell'editto accusatorio - non si collocano in nesso causale con la verificazione, a monte, dell'evento naturalistico.

Dovendosi ritenere, pertanto, che le relative condotte omissive possano essere unicamente poste a fondamento della distinta imputazione di omicidio colposo plurimo contestata al capo 2) dell'atto di esercizio dell'azione penale e per la quale è stato disposto il rinvio a giudizio del B.B..

In tal senso, le argomentazioni contenute nell'esposizione del motivo di ricorso appaiono del tutto inidonee a intaccare la correttezza del ragionamento seguito dai giudici di merito; contenendo le argomentazioni medesime solo un richiamo alla sussistenza di una posizione di garanzia dei Sindaci in ordine ai pericoli derivanti alla pubblica incolumità e alla prevedibilità ed evitabilità dell'evento costituito dalla morte o dalle lesioni personali per i fruitori delle Grotte, ma nessuna argomentazione astrattamente idonea a porre in rapporto causale le omissioni medesime con la verificazione dell'evento naturale posto alla base della contestazione del reato di disastro colposo.

Le predette considerazioni, a propria volta, devono ritenersi assorbenti di quelle - pure sviluppate dalla Corte territoriale - relative al fatto che l'evento naturale predetto ha, di fatto, interessato il solo Comune di Civita, di modo che non si rinviene nell'atto di esercizio dell'azione penale alcuna indicazione del nesso causale tra il mancato assolvimento degli oneri di adozione degli atti di programmazione con il verificarsi dell'ondata di piena generatasi all'interno del territorio di altro Comune.

7. Con il quarto motivo di impugnazione, l'Ufficio ricorrente ha contestato la motivazione della Corte territoriale nella parte in cui ha ritenuto inammissibile l'appello proposto avverso la dichiarazione di non luogo a procedere - nei confronti del A.A. e del D.D. - in riferimento ai punti 2) e 3) del capo di imputazione, dichiarazione, a propria volta, basata sul dato della omessa enunciazione, in sede di gravame, dei motivi posti a fondamento.

Il motivo è manifestamente infondato.

Va ricordato, sul punto, che l'appello deve considerarsi inammissibile per difetto di specificità dei motivi quando non risultano esplicitamente enunciati e argomentati i rilievi critici rispetto alle ragioni di fatto o di diritto poste a fondamento della decisione impugnata, fermo restando che tale onere di specificità, a carico dell'impugnante, è direttamente proporzionale alla specificità con cui le predette ragioni sono state esposte nel provvedimento impugnato (Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, Galtelli, Rv. 268822; in senso conforme, Sez. 2, n. 51531 del 19/11/2019, Greco, Rv. 277811); mentre - inoltre - il requisito della specificità dei motivi implica, a carico della parte impugnante, non soltanto l'onere di dedurre le censure che intenda muovere in relazione ad uno o più punti determinati della decisione, ma anche quello di indicare, in modo chiaro e preciso, gli elementi fondanti le censure medesime, al fine di consentire al giudice di individuare i rilievi mossi ed esercitare il proprio sindacato (Sez. 6, n. 17372 del 08/04/2021, Cipolletta, Rv. 281112).

Deve quindi ritenersi che la Corte territoriale si sia adeguatamente confrontata con i predetti principi.

In particolare, le argomentazioni contenute alla pag.3 dell'atto di appello e richiamate in sede di ricorso per cassazione - non contenevano alcuna specifica censura al percorso argomentativo seguito dal giudice di primo grado; e, in particolare, nel punto in cui questi aveva analiticamente argomentato che - in riferimento all'imputazione per omicidio colposo formulata nei confronti del A.A. e del D.D., nella loro funzione di Sindaci dei Comuni di Cerchiara di Calabria e San Lorenzo Bellizzi - non poteva essere individuata alcuna effettiva posizione di garanzia, nè in punto di diritto e nemmeno in punto di fatto, in considerazione della circostanza che l'accesso degli escursionisti era avvenuto all'interno del Comune di Civita e che non poteva ravvisarsi, in relazione al richiamo operato dal capo di imputazione al disposto dell'art. 113 c.p. e sulla base del quadro normativo vigente, alcun previo onere di coordinamento intercomunale in ordine all'adozione degli strumenti amministrativi, sotto lo specifico profilo della gestione dei fenomeni naturali verificabili sul corso d'acqua, atti a prevenire pericoli per l'incolumità degli escursionisti.

Con tali puntuali e diffuse argomentazioni, l'atto di appello, contenente un mero e tautologico richiamo alla mancata adozione da parte dei predetti imputati di "tutte le misure atte a prevenire ed eliminare gravi pericoli per l'incolumità pubblica e la sicurezza urbana", ha del tutto omesso di confrontarsi.

Conseguendone che la Corte territoriale ha quindi fatto corretta applicazione del disposto dell'art. 581 c.p.p., comma 1, lett. c).

8. Alle predette considerazioni segue quindi il rigetto del ricorso.

 

P.Q.M.
 

Rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 26 ottobre 2023.

Depositato in Cancelleria il 27 novembre 2023