RESPONSABILITÀ PENALE DELL’RLS: CONSIDERAZIONI SULLA SENTENZA DELLA CORTE DI CASSAZIONE n. 38914/23

 

di Avv. Francesca R. Garisto e Avv. Fabio Savoldelli Studio legale LEXA


In materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro, ha suscitato ampio dibattito la recente pronuncia della Corte di Cassazione n. 38914/2023, che ha confermato la sentenza della Corte d’appello di Bari di condanna di un Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza (RLS) ritenuto responsabile di aver cooperato, con la sua condotta omissiva, nel delitto di omicidio colposo ai danni di un lavoratore.
Il tragico evento si è verificato quale conseguenza dell’infortunio che ha coinvolto un lavoratore (impiegato tecnico impropriamente adibito al compito di magazziniere) cui era stato affidato l’uso di un carrello elevatore, sebbene questi non avesse frequentato lo specifico corso abilitante previsto dal d. Lgs. n. 81/2008 e dall’accordo Stato Regioni in materia.
In particolare, all’imputato era contestato “in qualità di rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, la colpa specifica correlata a violazioni di norme in materia di sicurezza sul lavoro, per aver concorso a cagionare l’infortunio mortale attraverso una serie di contegni omissivi, consistiti nell ’aver omesso di: i) promuovere l’elaborazione, l’individuazione e l’attuazione delle misure di prevenzione idonee a tutelare la salute e l’integrità fisica dei lavoratori; ii) sollecitare il datore di lavoro ad effettuare la formazione dei dipendenti (tra cui il lavoratore in questione) per l’uso dei mezzi di sollevamento; iii) informare i responsabili dell’azienda dei rischi connessi all’utilizzo, da parte del lavoratore, del carrello elevatore”.
L’imputazione indica l’art. 40 cpv c.p.
1 quale fonte normativa dell’obbligo in capo al RLS di adoperarsi per l’attuazione di tutte le sopra descritte misure.
Perché sia riscontrabile una responsabilità penale ai sensi dell’art. 40 cpv c.p., è necessario che l’agente ricopra una posizione di garanzia ovvero sia destinatario di un obbligo di attivarsi per la tutela di un determinato bene giuridico, la cui sussistenza, ad avviso della giurisprudenza, presuppone che: (a) un bene giuridico (in questo caso “la vita”) necessiti di protezione, poiché il titolare da solo non è in grado di proteggerlo; (b) una fonte giuridica - anche negoziale - abbia la finalità di tutelarlo; (c) tale obbligo gravi su una o più persone specificamente individuate; (d) queste ultime siano dotate di poteri atti ad impedire la lesione del bene garantito, ovvero che siano ad esse riservati mezzi idonei a sollecitare gli interventi necessari ad evitare che l’evento dannoso sia cagionato
2.
Nel dibattito che è seguito alla sentenza, sono stati pubblicati alcuni commenti che la considerano uno spartiacque nella valutazione della responsabilità penale dell’RLS in materia di sicurezza, mentre altri, la considerano “uno scivolone della Suprema Corte, che andrebbe archiviato in tutta fretta
3”.
Noi, analogamente a quanto affermato da questo secondo orientamento, rileviamo come la ricostruzione logica svolta nell’occasione dalla Suprema Corte si esponga a diversi profili di critica, tali da rendere auspicabile un rapido superamento della sentenza in commento prima che qualche Giudice di merito ritenga improvvidamente di aderirvi.
Un dato, tuttavia, è da tenere in considerazione.
Negli anni, la giurisprudenza in materia di sicurezza sul lavoro si è gradualmente spostata da un orientamento protettivo, interamente incentrato sulla figura del datore di lavoro quale soggetto garante investito di un obbligo di vigilanza assoluta sui lavoratori, ad un modello collaborativo, in cui gli obblighi sono ripartiti tra più soggetti, compresi i lavoratori (cfr. Cass. pen., Sez. IV, 10/2/2016, n. 8883).
Ciò suggerisce, in attesa di sapere se tale pronuncia si inserirà in questa tendenza o se resterà un unicum nel panorama giurisprudenziale, di approcciarsi con il dovuto zelo alle novità che la Corte di Cassazione, pur con una motivazione piuttosto scarna, sembra volere introdurre.
La vicenda processuale in esame ha visto la Cassazione rigettare il ricorso della difesa dell’RLS avverso la decisione della Corte d’Appello la quale, nel confermare la sentenza di condanna emessa dal Tribunale di Trani, aveva affermato la responsabilità penale dell’imputato “in quanto sussistente in capo allo stesso una posizione di garanzia
4 e dunque della ipotizzabilità a suo carico di una cooperazione colposa nella condotta omissiva posta in essere dal legale rappresentante dell’azienda, rivestendo egli non solo il ruolo di RLS ma anche di membro del Consiglio di Amministrazione della società.
Si trattava pertanto di un RLS “inaffidabile”, dal momento che cumulava su di sé due ruoli del tutto incompatibili: l’uno, quello di RLS, di rappresentanza dei lavoratori in materia di sicurezza, l’altro, quello di membro del CdA, espressivo degli interessi datoriali e per ciò titolare di una posizione di garanzia in materia prevenzionistica
5.
Difatti, è importante sottolineare che ad oggi non risultano essere mai state emesse pronunce di condanna penale a carico di taluno nella sua sola qualità di RLS (fra le altre, si segnala Cass. pen. Sez. 4, 16 marzo 2015, n. 11135, con cui è stato condannato per omicidio colposo un RLS titolare altresì della qualità di preposto, anch’esso destinatario, come il datore di lavoro, di obblighi in materia prevenzionistica ai sensi dell’art. 19 d.lgs. 81/08 “obblighi del preposto”).
In relazione al ruolo dell’RLS, in particolare, la Corte di Cassazione ha più volte precisato che le attribuzioni dell’RLS “sono analiticamente indicate nell’art. 50 comma 1 d.lgs. citato e rendono “assolutamente chiaro” come quel lavoratore sia chiamato a svolgere, essenzialmente, una funzione di consultazione e di controllo circa le iniziative assunte dall’azienda nel settore della sicurezza; non gli competono certamente quella di valutazione dei rischi e di adozione delle opportune misure per prevenirli e neppure quella di formazione dei lavoratori, funzioni che restano entrambe appannaggio esclusivo del datore di lavoro.”
Infatti, ha precisato la Cassazione, “non a caso, con riguardo al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza la fonte normativa parla di “attribuzioni ” mentre, in relazione alle condotte del datore di lavoro, si parla di “obblighi.
Né questi precisi obblighi, ha così concluso la suprema Corte,potrebbero essere, neppure in astratto, oggetto di delega al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza perché, altrimenti, si verificherebbe una commistione di funzioni tra di loro inconciliabili (essendo alla figura prevista dall'art. 50 affidate funzioni di controllo sull'adempimento degli obblighi datoriali) che negherebbe il sistema stesso delineato nella vigente normativa antinfortunistica” (Cassazione Penale, Sez. IV, 19 ottobre 2017 n.48286; cfr. Cassazione Civile, Sez. Lav., 27 settembre 2012 n. 16474).
Sul punto, ed è questo l’argomento che ha generato dibattito, la sentenza in commento mostra di aderire solo in parte.
Difatti, nella sentenza in esame, la Corte di Cassazione ha evidenziato che “viene in rilievo non se l’imputato/RLS, in tale sua veste, ricoprisse o meno una posizione di garanzia - intesa come titolarità di un dovere di protezione e di controllo finalizzati ad impedire un evento che si ha l’obbligo giuridico di impedire (art. 40 cpv. cod. pen.) - ma se egli abbia, con la sua condotta, contribuito causalmente alla verificazione dell’evento ai sensi dell’art. 113 cod. pen..
Richiamate le attribuzioni riconosciute dall’art. 50 d.lgs. 81/08 al Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza, la sentenza ha, infatti, osservato come “l’imputato non abbia in alcun modo ottemperato ai compiti che gli erano stati attribuiti per legge, consentendo che il lavoratore fosse adibito a mansioni diverse rispetto a quelle contrattuali, senza aver ricevuto alcuna adeguata formazione e non sollecitando in alcun modo l’adozione da parte del responsabile dell’azienda di modelli organizzativi in grado di preservare la sicurezza dei lavoratori”.
La sua responsabilità quindi, secondo la sentenza in commento, trova fondamento normativo nell’art. 113 c.p. e non già nell’art. 40 cpv c.p., che regola l’attività del soggetto destinatario dell’obbligo di impedire l’evento.
Si tratta di una norma, quella prevista dall’art. 113 c.p., che, secondo quanto già affermato da altra pronuncia della Cassazione, renderebbe penalmente responsabile colui il quale pur non rivestendo alcuna posizione di garanzia, contribuisca con la propria condotta cooperativa all’aggravamento del rischio, fornendo un contributo casuale giuridicamente apprezzabile alla realizzazione dell’evento, ancorchè la condotta del cooperante in sé considerata, appaia tale da non violare alcuna regola cautelare, essendo sufficiente l’adesione intenzionale all’altrui azione negligente, imprudente o inesperta ed assumendo così sulla sua azione il medesimo disvalore che, in origine, è caratteristico solo dell’altrui comportamento” (Cass. pen., Sez. IV, 18 ottobre 2013, n. 43083).
In tal modo, pur confermando, incidentalmente, che l’RLS non assume su di sé posizioni di garanzia in materia di sicurezza, la Corte di Cassazione ha rilevato come il mancato esercizio da parte dell’imputato delle prerogative stabilite per l’RLS dall’art. 50 d.lgs. 81/08 abbia comunque contribuito, ai sensi dell’art. 113 c.p.
6, a determinare la morte del lavoratore.
Tuttavia, la condotta agevolatrice del soggetto che non ricopre la posizione di garanzia, per essere penalmente rilevante, non può che essere una condotta attiva, un comportamento cioè che vede l’autore commettere un’azione che contribuisce manu propria all’aggravamento della situazione di rischio, fornendo un contributo causale alla condotta del garante giuridicamente apprezzabile per la realizzazione dell’evento lesivo
7.
Se difatti si imputa al soggetto, come nel caso in esame, di cooperare con il soggetto titolare della posizione di garanzia mediante una condotta omissiva, ciò implica che egli stesso fosse gravato di un obbligo di attivarsi ai sensi dell’art. 40 cpv c.p., e quindi di una posizione di garanzia.
La contraddizione motivazionale risiede quindi nella scelta della Corte di Cassazione di escludere, seppure implicitamente, che il RLS rivesta una posizione di garanzia, ma di condannarlo ugualmente, ai sensi dell’art. 113 c.p., per avere tenuto una condotta, comunque omissiva, consistente nel “non aver sollecitato” il datore di lavoro a eliminare la situazione di rischio.
In particolare si afferma che l’imputato, pur se privo di una posizione di garanzia che gli imponeva un obbligo di attivarsi per impedire l’evento abbia con la propria condotta omissiva agevolato il reato colposo del datore di lavoro; il che, tuttavia, equivale tautologicamente a dire che l’imputato/RLS aveva un obbligo giuridico di attivarsi.
Nè appare decisivo, a questo proposito, quanto altrimenti sostenuto
8 circa la possibilità di attribuire rilevanza penale, all’interno dei processi decisionali assunti in seno a organizzazioni aziendali complesse, all’inosservanza di qualsiasi tipo di obbligo, anche di mera segnalazione, informazione o allerta, purché, tuttavia, strumentale rispetto al fallimento del complessivo piano preventivo.
L’applicazione di una tale prospettiva alle organizzazioni aziendali complesse determinerebbe una pericolosa confusione nell’individuazione delle aree di rischio lavorativo delimitate dalla normativa antinfortunistica, con il pericolo di sottoporre a sanzione condotte che il legislatore ha espressamente voluto escludere dal perimetro di rilevanza penale.
Un tale esito costituirebbe violazione del principio di stretta legalità in materia penale, il quale impone al Giudice di attenersi a quanto previsto dalla norma incriminatrice, senza indulgere a interpretazione analogiche (art. 25 Cost.; art. 1 c.p.).
Difatti, l’area di rischio di cui si contesta al RLS il mancato intervento è già presidiata dagli obblighi posti dalla legge in capo al preposto, quale soggetto gravato da posizione di garanzia, nella parte in cui si stabilisce che lo stesso deve “sovrintendere e vigilare sull'osservanza da parte dei singoli lavoratori dei loro obblighi di legge, nonché delle disposizioni aziendali in materia di salute e sicurezza sul lavoro e di uso dei mezzi di protezione collettivi e dei dispositivi di protezione individuale messi a loro disposizione e, in caso di rilevazione di comportamenti non conformi alle disposizioni e istruzioni impartite dal datore di lavoro e dai dirigenti ai fini della protezione collettiva e individuale, intervenire per modificare il comportamento non conforme fornendo le necessarie indicazioni di sicurezza ”, nonché, “ in caso di mancata attuazione delle disposizioni impartite o di persistenza dell'inosservanza, interrompere l'attività del lavoratore e informare i superiori diretti”. Inoltre, il preposto deve “verificare affinché soltanto i lavoratori che hanno ricevuto adeguate istruzioni accedano alle zone che li espongono ad un rischio grave e specifico” (art. 19 lett. b d.lgs. 81/08). Quindi, l’interpretazione logico-sistematica degli artt. 19 e 50 d.lgs. 81/08, relativamente ai compiti del preposto e del RLS, rende ancora più evidente la volontà del legislatore di attribuire al RLS poteri unicamente consultivi, poiché laddove il legislatore stesso ha inteso individuare precisi obblighi di supervisione, vigilanza e raccordo, come nel caso del preposto, ha introdotto una norma specifica in merito.
Il ricorso all’art. 113 c.p. nella vicenda in esame appare pertanto diffìcilmente apprezzabile non solo per ragioni di ordine logico, attinenti alla descritta incompatibilità tra una condotta agevolatrice omissiva e la mancanza di posizioni di garanzia, bensì anche per la verosimile contrarietà ai principi generali dell’ordinamento penale, come poc’anzi rilevato.
Ulteriori elementi normativi confermano tale interpretazione.
In particolare, dalla lettura comparata delle norme che regolano le attività del preposto e del RLS, emerge che il primo (art. 19 lett. f) deve segnalare tempestivamente al datore di lavoro ogni condizione di pericolo, mentre il RLS (art. 50 lett. n) “avverte il responsabile dell’azienda dei rischi individuati nel corso della sua attività”.
Poiché, come ammoniva un famoso regista, le parole sono importanti, è necessario sottolineare che i concetti di “rischio” e “pericolo”, secondo quanto anche previsto dall’art. 2 d.lgs. 81/08, non sono affatto sovrapponibili, riferendosi, il primo “alla probabilità di raggiungimento del livello potenziale di danno nelle condizioni di impiego o di esposizione ad un determinato fattore o agente oppure alla loro combinazione”, il secondo “alla proprietà o qualità intrinseca di un determinato fattore avente il potenziale di causare danni”.
Si tratterebbe di una distinzione di tipo quantitativo, in cui “la definizione di “pericolo” indica già l’esistenza di una potenzialità di danno, mentre la definizione di "rischio" indicherebbe la probabilità del raggiungimento di una situazione di potenzialità di danno
9.
In particolare, come noto, il concetto di rischio, citato anche dall’art. 50 in relazione all’attività del RLS, è il risultato di un calcolo in cui la probabilità (P) di verificazione dell’evento è moltiplicata per l’entità del danno (D) (R = P x D), dal quale potrebbe emergere anche l’esistenza di un cd. “rischio contenuto”, sul quale il datore di lavoro potrebbe peraltro ritenere di non intervenire (si pensi a un evento di rilevante gravità che tuttavia ha possibilità di verificarsi prossime allo zero).
La sede eletta per questo tipo di considerazioni scientifiche è evidentemente la valutazione “del rischio” (non “del pericolo”) prevista dall’art. 28 d.lgs. 81/08, nell’ambito della quale, non a caso, è prevista ai sensi del successivo art. 29 la consultazione del RLS, mentre non è prevista quella del preposto.
È pertanto in tale ambito che solo può realizzarsi, secondo quanto emerge dal combinato disposto di cui agli artt. 2 e 50 d.lgs. 81/08, la funzione del RLS, il quale è per ciò espressamente esonerato da un obbligo di segnalazione di situazioni di pericolo già in atto.
Convergente in tal senso sembra inoltre l’assenza dell’avverbio “tempestivamente” nell’art. 50 per l’attività del RLS, in quanto, secondo le considerazioni appena svolte, lo stesso è chiamato unicamente ad avvertire il datore di lavoro circa l’esistenza di circostanze “non attualmente pericolose” (o meglio di pericoli non “in atto”) per la salute dei lavoratori, come coerentemente previsto, al contrario, per il preposto.
Neppure dirimente appare, cambiando ambito di analisi, quanto sostenuto da un autorevole commentatore
10, secondo il quale “nemmeno in rapporto al RSPP (Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione) il d.lgs. 81/08 parla di obblighi, bensì di "compiti” eppure la Cassazione ha già affermato che “Il RSPP, pur svolgendo all’interno della struttura aziendale un ruolo non gestionale ma di consulenza, ha l’obbligo giuridico di adempiere diligentemente l’incarico affidatogli e di collaborare con il datore di lavoro, individuando i rischi connessi all’attività lavorativa e fornendo le opportune indicazioni tecniche per risolverli, all 'occorrenza disincentivando eventuali soluzioni economicamente più convenienti ma rischiose per la sicurezza dei lavoratori, con la conseguenza che, in relazione a tale suo compito, può essere chiamato a rispondere, quale garante, degli eventi che si verifichino per effetto della violazione dei suoi doveri” (Cass. pen., sez. IV, 5 giugno 2023, n. 23986).
Difatti, secondo quanto stabilito dall’art. 32 d.lgs. 81/08, la nomina del RSPP è subordinata al possesso di capacità e requisiti professionali “adeguati alla natura dei rischi presenti sul luogo di lavoro e relativi alle attività lavorative”.
La necessità di competenze specifiche e di requisiti professionali fissata dal d.lgs. 81/08 per i responsabili e gli addetti al servizio in questione “è il miglior riscontro della centralità della prevenzione e della informazione nel sistema di tutela della integrità fisica dei lavoratori (...)”. In particolare, “l'omissione di condotte doverose in relazione alla funzione di responsabile o di addetto al servizio di prevenzione e protezione realizza la violazione dell'intero sistema antinfortunistico, senza che abbia alcuna rilevanza il mancato apprestamento di una specifica sanzione penale per la violazione di sistema” (Cass. pen., sez. IV, 18 marzo 2010, n. 16134).
La rilevanza di tale incarico nell’ambito del sistema di sicurezza è peraltro evidenziata dalla previsione che la nomina del RSPP costituisce obbligo non delegabile del datore di lavoro (art. 17 d.lgs. 81/08), il quale, infatti, è non di rado privo delle conoscenze necessarie ai fini del governo del rischio.
Non vi è dubbio, pertanto, che con l’assunzione dell’incarico conferitogli dal datore di lavoro, pur in assenza di un’espressa previsione di legge, l’RSPP assuma l’obbligo giuridico di svolgere diligentemente le funzioni che gli sono proprie
11.
Viceversa, il RLS si caratterizza per essere un ruolo tra i cui requisiti non vi è il possesso di una particolare competenza specialistica, ma che, anzi, beneficia di una formazione, seppur qualificata, “interna” (art. 37 co. 10 d.lgs. 81/08).
Tale differenza eleva il Servizio di prevenzione e protezione a fattore necessario e indispensabile per il perseguimento della massima sicurezza possibile, che coerentemente ha indotto la Corte di Cassazione, nel caso poc’anzi citato, ad attribuirgli una posizione di garanzia.
Ma non solo, in quanto il ruolo del RLS, a differenza di quello del RSPP, non deriva da un contratto sottoscritto con il principale garante della sicurezza aziendale, il datore di lavoro, bensì da un incarico di rappresentanza conferitogli dai lavoratori.
Dato il ruolo rappresentativo del RLS, come è stato acutamente osservato
12, la sua eventuale inefficienza può pertanto essere “sanzionata” esclusivamente sul piano della sua legittimazione, mediante la revoca della fiducia da parte dei soggetti rappresentati.

***

In conclusione, si tratta di una ricostruzione logica, quella contenuta nella sentenza in commento, generante diverse perplessità, ma suscettibile comunque di trovare utilizzo in sede processuale, da parte datoriale, con la pretesa di porre in capo dell’RLS un obbligo di raccordo tra lavoratori e dirigenza, a vantaggio del titolare di azienda che volesse sostenere di non essere stato correttamente informato di eventuali carenze del sistema di sicurezza.
In ogni caso, le perplessità sollevate dalla pronuncia in commento possono suggerire un’opportuna rivalutazione del ruolo degli RLS, ai quali dovranno essere consegnati strumenti teorici e pratici che consentano loro, insieme alle competenze tecniche di cui già dispongono, di interpretare nel modo migliore le varie criticità che possono presentarsi in azienda in tema di sicurezza.
Ciò, non solo per evitare che (sempre possibili) rivolgimenti giurisprudenziali possano mettere in discussione l’estraneità degli RLS ai meccanismi d’imputazione dei reati di evento in ambito prevenzionistico, con una conseguente “fuga dal ruolo”, ma soprattutto per dare corpo a una modalità di lavoro che permetta loro, anche mediante il raccordo con le organizzazioni sindacali e i loro legali di riferimento, di poter documentare in ogni momento il corretto esercizio delle prerogative previste dall’art. 50 d.lgs. 81/08.

 

Avv. Francesca R. Garisto                                                                                                                                                                           Avv. Fabio Savoldelli

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1 “Nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come reato, se l'evento dannoso o pericoloso, da cui dipende la esistenza del reato, non è conseguenza della sua azione od omissione. Non impedire un evento, che si ha l'obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo.
2 Cass. pen., sez. II, 1.10.2020, n. 4633
3 B. DEIDDA, Una china pericolosa: rovesciare sui lavoratori la responsabilità dell’organizzazione delle misure di sicurezza sul lavoro, in Diritto della Sicurezza sul Lavoro, 2023, n. 2, II.
4 Art. 40 cpv c.p.: “Non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo”.
5 Cassazione Civile, Sez. Lavoro, 15 settembre 2006 n.19965, che ha affermato l’illegittimità del licenziamento di un lavoratore che si era rifiutato di svolgere le funzioni di RSPP (Responsabile del Servizio i Prevenzione e Protezione), affidategli dal datore di lavoro, adducendo che tali mansioni erano incompatibili con quelle di RLS, ruolo di cui questi era stato investito da parte dei lavoratori.
Con questa sentenza, la Corte ha chiarito che l’RLS “svolge tutta una serie di funzioni [...] che possono, in sintesi, definirsi di costante controllo dell’attività svolta, in materia di sicurezza, dal datore di lavoro e dal servizio di prevenzione da questi istituito”, sicché, “concentrare nella stessa persona le funzioni di due figure cui il legislatore ha attribuito funzioni diverse, ancorché finalizzate al comune obiettivo della sicurezza del lavoro significa eliminare ogni controllo da parte dei lavoratori, atteso che il controllato ed il controllante coinciderebbero (...)”
6 Art. 113 c.p.: “Nel delitto colposo, quando l'evento è stato cagionato dalla cooperazione di più persone, ciascuna di queste soggiace alle pene stabilite per il delitto stesso (...)”
7 Cfr. B. Rossi, Le condizioni per l’esclusione della responsabilità del secondo operatore dell’équipe chirurgica, in Cass. Pen., n. 7-8/2016, p. 2882 ss; G. Marinucci - E. Dolcini, Codice Penale Commentato, Parte Generale.
8 Nota a cura di Francesco Contri, in Diritto della Sicurezza sul Lavoro, 2-2023, p. 43, “Nota a margine di un’inedita (e discussa) condanna del RLS per omicidio colposo”.
9 C. Brusco, Rischio e pericolo, rischio consentito e principio di precauzione, in discrimen.it
10 Nota a cura di Guariniello Raffaele, in Diritto e pratica del lavoro, 41/2023, pp. 2430-2437 "Il dramma del Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza".
11 R. Blaiotta, Diritto penale e sicurezza del lavoro, Giappichelli, 2020.
12 Nota a cura di Paolo Pascucci, in Diritto della Sicurezza sul Lavoro, 2-2023, p. 4, “Per un dibattito sulla responsabilità penale del RLS”.


fonte: wikilabour.it