Cassazione Penale, Sez. 4, 04 dicembre 2023, n. 48046 - Sicurezza dei lavori in quota: le misure di protezione collettiva vanno adottate in via prioritaria rispetto a quelle di protezione individuale


 

Occorre, invero, rammentare che la gestione del rischio di caduta dall'alto è affidata dalla legge a due principali forme di presidio: collettivo e individuale. La prima disposizione prevede che debba essere data priorità alle misure di protezione collettiva rispetto alle misure di protezione individuale (comma 1, lett. a); la ratio di tale indicazione risiede nel fatto che i dispositivi di protezione collettiva sono atti a operare indipendentemente dal fatto, e a dispetto del fatto, che il lavoratore abbia imprudentemente omesso di utilizzare il dispositivo di protezione individuale. La seconda disposizione consente al datore di lavoro di scegliere il tipo più idoneo tra i sistemi di accesso ai posti di lavoro temporanei in quota (art. 111, comma 2); è, quindi, valorizzata la possibilità per il datore di lavoro di optare, in relazione allo stato di fatto, per un sistema piuttosto che per un altro. Un'ulteriore disposizione prevede che il datore di lavoro possa disporre l'impiego di sistemi di accesso e di posizionamento mediante funi solamente nelle circostanze in cui risulti che l'impiego di un'altra attrezzatura di lavoro considerata più sicura non sia giustificato per la breve durata di utilizzo ovvero per caratteristiche del luogo non modificabili (art. 111, comma 4); tale disposizione rafforza l'indicazione iniziale circa la preferenza del legislatore per i sistemi di protezione collettiva in relazione ai lavori in quota.


 


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIAMPI Francesco Maria - Presidente -

Dott. VIGNALE Lucia - Consigliere -

Dott. SERRAO Eugenia - Consigliere -

Dott. CENCI Daniele - Consigliere -

Dott. CIRESE Marina - rel. Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

A.A., nato a (Omissis);

B.B. nato a (Omissis);



avverso la sentenza del 14/12/2022 della CORTE APPELLO di BRESCIA;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere MARINA CIRESE;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore PASSAFIUME SABRINA.

 

Fatto


1. Con sentenza in data 14.12.2022 la Corte d'appello di Brescia, in parziale riforma della sentenza emessa dal locale Tribunale in data 22.3.2021 che aveva ritenuto A.A., C.C. e B.B. responsabili del reato di lesioni personali colpose gravi aggravate dalla violazione della normativa di prevenzione infortunistica e, concesse le circostanze attenuanti generiche in regime di equivalenza con le contestate aggravanti, li aveva condannati alla pena di mesi due di reclusione ciascuno, ha sostituito la pena detentiva inflitta a C.C. e B.B. con la corrispondente pena pecuniaria di Euro 12.000,00 di multa ciascuno revocando altresì nei confronti degli stessi il beneficio della sospensione condizionale della pena e confermando nel resto la sentenza.

2. Il fatto oggetto del presente procedimento, come ricostruito dalle sentenze di merito, è il seguente:

in data (Omissis) D.D., dipendente della società Copertech Srl temporaneamente distaccato presso la ditta R&G Group Srl presso il cantiere denominato "(Omissis)" sito in (Omissis) condotto in appalto dalla Costruzioni F.F. Srl .,- mentre si trovava sul tetto del fabbricato per effettuare un lavoro di rifacimento guaine, dopo aver sfondato un lucernario in plexiglass, precipitava al suolo da un'altezza di 4 metri, e stante l'assenza di reti di protezione sottostanti che impedissero le cadute o comunque ne attenuassero gli effetti, rovinava al suolo.

Trasportato al Pronto Soccorso, venivano diagnosticati una frattura intraspongiosa metafisiaria emipiatto tibiale esterno del ginocchio sinistro ed una frattura composta della VI costa destra ed un trauma cranico con FLC del cuoio capelluto occipitale con prognosi iniziale di 45 giorni e successiva protrazione della inabilità lavorativa Inail perdurata per complessivi 312 giorni.

Si accertava che l'infortunio si era verificato sul tetto del capannone dove i lavoratori erano impegnati nelle opere di impermeabilizzazione e posa della guaina e dove la copertura piana era attraversata da diversi lucernari privi di protezione mentre il perimetro esterno era protetto da parapetti. Il D.D. aveva dichiarato che dovendo spostarsi sulla copertura in seguito ad un inciampo era caduto su uno dei lucernari in plexiglass che aveva ceduto sfondandosi e provocando la sua precipitazione sul piano sottostante precisando che, come anche nei giorni precedenti, nè lui nè gli altri dipendenti indossavano la cintura di sicurezza da collegare alla linea vita installata sulla copertura.

Il giudice di primo grado ha ritenuto fondati gli addebiti colposi elevati nei confronti degli odierni imputati ed in particolare al A.A., nella sua qualità di responsabile della R&G Group Srl , presso cui era distaccato il D.D., per non avere scelto le attrezzature più idonee a garantire condizioni di lavoro sicure nei lavori in quota, segnatamente per non aver adottato misure di prevenzione collettive, per non avere inoltre predisposto adeguate opere provvisionali atte ad eliminare i pericoli di caduta dall'alto ed infine per non aver vigilato sull'osservanza delle norme vigenti e delle disposizioni aziendali in tema di sicurezza; al C.C., quale responsabile della Costruzioni F.F., subappaltatrice dei lavori a R&G Group Srl per non aver verificato le condizioni di sicurezza dei lavori affidati e l'applicazione delle previsioni del PSC; al B.B., nella sua qualità di coordinatore per la progettazione ed esecuzione dei lavori per non aver verificato l'applicazione delle disposizioni del PSC ed in particolare per non aver imposto l'installazione di soluzioni atte a ridurre al minimo il rischio di caduta e per non aver rilevato l'inidoneità delle soluzioni previste dalle imprese esecutrici.

In particolare il Tribunale ha ritenuto antidoverosa la priorità accordata all'attuazione di mezzi di sicurezza individuali anzichè, come prescritto, di misure di protezione collettiva; nella specie sarebbe stato possibile elidere il rischio di caduta mediante la predisposizione di reti di sicurezza sottostanti ai lucernari, l'applicazione di parapetti provvisori e l'eventuale utilizzo di ponteggi.

Ha rilevato, in particolare, che, a parte il parapetto perimetrale, di fatto l'unico sistema di protezione dal pericolo di caduta dai lucernari era costituito dal sistema di linea vita installato sulla copertura dalla R&G Group Srl non reputando sufficiente la mera attuazione di un presidio di carattere individuale a fronte della possibilità di installare un presidio collettivo.

A fronte della radicale inidoneità dell'apparato prevenzionale predisposto, ha ritenuto secondario il tema relativo alla idoneità del sistema vita allestito sul piano di lavoro così come quello della condotta imprudente dei lavoratori che erano soliti non agganciarsi alla linea vita esistente.

Il giudice d'appello ha confermato la necessaria priorità di adozione di dispositivi di protezione collettiva rispetto a dispositivi di protezione individuale ritenendo quindi irrilevanti gli ulteriori temi.

3. Avverso la sentenza d'appello hanno proposto ricorso per cassazione con separati atti A.A. e B.B..

3.1. Ricorso per A.A.: si articola in quattro motivi.

Con il primo deduce l'inosservanza, l'erronea applicazione della legge, l'inosservanza delle norme processuali e la mancata assunzione di una prova decisiva ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. d) ovvero il rigetto della richiesta di acquisizione di documenti depositati dall'imputato.

Si contesta la decisione della Corte d'appello di Brescia che ha rigettato la richiesta di acquisizione di due documenti (e segnatamente: 1) il verbale di assemblea della R&G Group Srl del 2.5.2015 e 2) l'attestazione del risarcimento del danno con quantificazione in favore della persona offesa dal reato) ritenendo le produzioni documentali non attinenti ai motivi di gravame.

Il primo documento rappresenta il verbale dell'assemblea della società del 2.2.2015 che indica un altro soggetto quale responsabile della sicurezza ed il secondo riguarda l'avvenuto risarcimento del danno e quindi era connesso al secondo motivo dell'atto di appello.

Con il secondo motivo deduce la manifesta illogicità della motivazione ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) circa il diniego della concessione del procedimento di messa alla prova.

Si censura il rigetto dell'istanza sulla base dell'esistenza di un precedente per reato colposo risalente al 2011 e per il fatto che è coinvolta la medesima persona giuridica senza neanche prendere visionèdel programma di messa alla prova.

Con il terzo motivo deduce la manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) e travisamento del fatto in ordine alla prova dedotta in giudizio.

Si censura la sentenza impugnata laddove ha ritenuto la responsabilità dell'imputato pur essendo emerso che l'impianto di protezione posto sulla copertura del capannone fosse sufficiente ad evitare le cadute dall'alto dando la prevalenza ai dispositivi di protezione collettivi rispetto a quelli individuali.

Si sottolinea che il A.A. in quanto legale rappresentante della soc. R&G Group ha fornito i dispositivi individuali, ha montato il parapetto nonchè i dispositivi di aggancio ed ha eseguito idonea formazione per i lavoratori.

Con il quarto motivo deduce la manifesta illogicità della motivazione ex art. 606 c.p.p., lett. e) circa il diniego della concessione della sospensione condizionale della pena ed il mancato riconoscimento del giudizio di prevalenza delle circostanze attenuanti generiche.

Si censura l'omessa motivazione o la motivazione apparente su entrambi i profili.

3.2. Ricorso per B.B.: si articola in tre motivi.

Con il primo motivo deduce la violazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e) e la manifesta illogicità e contraddittorietà estrinseca della motivazione nella parte in cui ritiene integrata in capo al ricorrente la condotta omissiva colposa nonchè l'erronea applicazione del D.Lgs. n. 81 del 2008, artt. 40 cpv, 92 e 111.

In primo luogo si deduce la manifesta illogicità, contraddittorietà estrinseca e mancanza della motivazione nella parte in cui ritiene necessaria l'adozione in via prioritaria di dispositivi di protezione collettiva in luogo di dispositivi di protezione individuale.

La motivazione adottata in entrambe le sentenze di merito sarebbe manifestamente illogica laddove vorrebbe ricondurre la automatica priorità delle misure di protezione collettive in luogo delle misure di sicurezza individuali guardando alla necessaria collaborazione del lavoratore e ciò in quanto la scelta delle misure andrebbe invece parametrata al tipo di rischio che si tende ad evitare. Manifestamente illogica è altresì la aprioristica irrilevanza delle misure di protezione individuale ad interrompere il nesso di causa proprio in ragione della loro natura solo subordinata a quelle di protezione collettive.

In secondo luogo evidenzia la contraddittorietà estrinseca della motivazione (travisamento della prova) per ornessa o erronea valutazione della testimonianza resa dall'Ing. E.E. in data 28.9.2020 e del fascicolo tecnico (Omissis) sulla idoneità dei dispositivi di protezione individuale ad evitare il rischio di verificazione dell'evento nonchè la manifesta illogicità della motivazione nella parte in cui ritiene ineffettivi i dispositivi di protezione individuale.

Si censura, in quanto affetto da contraddittorietà estrinseca, il passaggio della sentenza impugnata dove si reputa il sistema anticaduta apprestato inidoneo per le cadute verso l'interno dell'edificio, difettando lo spazio minimo di caduta atteso che i dati accertati sarebbero invece dimostrativi della idoneità della misura di protezione individuale.

Si assume altresì la manifesta illogicità della motivazione in punto di ineffettività delle misure di protezione individuali.

In terzo luogo si assume l'erronea applicazione dell'art. 40 cpv c.p., D.Lgs. n. 81 del 2008, artt. 92 e 111 per avere integrato le valutazioni di cui sopra là condotta omissiva colposa.

Con il secondo motivo deduce la violazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e) e la mancanza e la manifesta illogicità della motivazione nella parte in cui ritiene sussistente l'elemento soggettivo della colpa specifica in capo al ricorrente nonchè l'erronea applicazione dell'art. 43 c.p. e D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 92.

Si assume che la sentenza impugnata non tratta della copertura soggettiva della condotta omissiva.

In primo luogo si assume la mancanza e la manifesta illogicità della motivazione perchè nessun passaggio è dedicato alla copertura soggettiva della condotta. In secondo luogo assume l'erronea applicazione dell'art. 43 c.p. e D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 92 e quindi la mancata trattazione del tema.

Con il terzo motivo deduce la violazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e) nonchè la mancanza e la manifesta illogicità della motivazione nella parte in cui determina il trattamento sanzionatorio nonchè l'erronea applicazione dell'art. 62 c.p., n. 6, artt. 69 e 133 c.p..

In primo luogo si rileva la mancanza della motivazione circa il riconoscimento o meno della circostanza attenuante del risarcimento del danno e l'erronea disapplicazione dell'art. 62 c.p., n. 6 nel caso di specie.

Si rileva la mancanza di motivazione sul punto.

In secondo luogo si assume la mancanza della motivazione in ordine al giudizio di bilanciamento tra circostanze e l'erronea disapplicazione dell'art. 69 c.p. nel caso di specie non essendo stata valutata la circostanza dell'intervenuto risarcimento del danno.

In terzo luogo rileva la manifesta illogicità e mancanza della motivazione in relazione alla determinazione della pena base e l'erronea disapplicazione dell'art. 133 c.p. al caso di specie.

4. Il Procuratore generale presso la Corte di cassazione ha rassegnato conclusioni scritte con cui ha chiesto il rigetto del ricorso.

5. La difesa dell'imputato ha depositato note di trattazione scritta.

 

Diritto


1. I ricorsi proposti dagli imputati sono inammissibili per le ragioni che si andranno partitamente ad esaminare.

1.1. Con riguardo al ricorso proposto per A.A., il primo motivo è manifestamente infondato.

Ed invero il giudice d'appello ha correttamente rigettato l'istanza di acquisizione dei documenti prodotti dalla difesa avuto riguardo al "devolutum" definito dai motivi d'appello; nella specie, peraltro la richiesta di rinnovazione dell'istruzione dibattimentale mediante acquisizione di "nuove prove", integrate da documenti formati preesistenti alla sentenza di primo grado, è stata avanzata soltanto in sede di discussione finale.

A riguardo deve ribadirsi invero che nel giudizio di appello l'acquisizione di una prova documentale, pur non implicando la necessità di una formale ordinanza di rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale, postula che la prova richiesta sia rilevante e decisiva rispetto al quadro probatorio in atti e deve essere operata assicurando il contraddittorio fra le parti, a pena di inutilizzabilità ai fini della deliberazione, ai sensi dell'art. 526 c.p.p., comma 1, (Sez. 3, n. 34949 del 03/11/2020, Rv. 280504).

Il secondo motivo è manifestamente infondato.

La sentenza impugnata motiva diffusamente il rigetto della richiesta di sospensione del processo con ammissione al beneficio della messa alla prova in ragione dell'esistenza di un precedente specifico, vale a dire una precedente condanna per delitto colposo aggravato dalla violazione delle norme di prevenzione degli infortuni sul lavoro commesso dall'imputato, anch'esso, in qualità di legale rappresentante della R&G Group Srl ; sulla base di tale elemento obiettivo i giudici del merito hanno escluso la possibilità di formulare una prognosi favorevole in ordine all'astensione dell'imputato dal commettere ulteriori reati.

Nè può ritenersi che il rigetto dell'istanza di sospensione per la messa alla prova, fondata sul presupposto della impossibilità di formulare un giudizio prognostico positivo, debba comportare l'obbligo di valutare anche "un possibile programma di recupero".

Il terzo motivo è inammissibile.

Ed invero sotto l'egida del vizio di motivazione in realtà la censura sollecita una nuova valutazione del compendio istruttorio in funzione del giudizio di responsabilità nei confronti dell'imputato. Inoltre reitera analoga doglianza proposta in appello senza confrontarsi con la puntuale risposta fornita dalla Corte territoriale la quale ha sottolineato che la installazione di una linea vita sulla copertura del capannone risulta una protezione meno efficace delle misure di protezione collettive, tenuto conto anche che la protezione individuale era stata apprestata per cadute all'esterno e non verso l'interno mancando l'altezza ritenuta sufficiente dal piano di calpestio di m. 5,71 (vedi fascicolo tecnico (Omissis)).

Occorre, invero, rammentare che la gestione del rischio di caduta dall'alto è affidata dalla legge a due principali forme di presidio: collettivo e individuale. La prima disposizione prevede che debba essere data priorità alle misure di protezione collettiva rispetto alle misure di protezione individuale (comma 1, lett. a); la ratio di tale indicazione risiede nel fatto che i dispositivi di protezione collettiva sono atti a operare indipendentemente dal fatto, e a dispetto del fatto, che il lavoratore abbia imprudentemente omesso di utilizzare il dispositivo di protezione individuale. La seconda disposizione consente al datore di lavoro di scegliere il tipo più idoneo tra i sistemi di accesso ai posti di lavoro temporanei in quota (art. 111, comma 2); è, quindi, valorizzata la possibilità per il datore di lavoro di optare, in relazione allo stato di fatto, per un sistema piuttosto che per un altro. Un'ulteriore disposizione prevede che il datore di lavoro possa disporre l'impiego di sistemi di accesso e di posizionamento mediante funi solamente nelle circostanze in cui risulti che l'impiego di un'altra attrezzatura di lavoro considerata più sicura non sia giustificato per la breve durata di utilizzo ovvero per caratteristiche del luogo non modificabili (art. 111, comma 4); tale disposizione rafforza l'indicazione iniziale circa la preferenza del legislatore per i sistemi di protezione collettiva in relazione ai lavori in quota.

L'obbligo di minimizzare i rischi insiti nelle attrezzature scelte è stato correlato dal legislatore al sistema prescelto dal datore di lavoro e l'installazione di dispositivi di protezione contro le cadute è stato correlato a tale scelta (art. 111, comma 5); nell'ambito del sistema prescelto dal datore di lavoro in ossequio alle disposizioni precedenti doveva, dunque, essere valutata la responsabilità colposa dell'imputato per l'omissione di cautele atte a minimizzare il rischio di caduta.

Dalla disposizione contenuta nell'art. 111, comma 6, si desume, altresì, che solo l'esecuzione di lavori di natura particolare può giustificare l'eliminazione temporanea di un dispositivo di protezione collettiva contro le cadute che, in ogni caso, dovrà essere immediatamente ripristinato una volta terminato il lavoro di natura particolare. L'intero corpo di regole cautelari individuate dal legislatore per i lavori in quota indica, dunque, che i dispositivi di protezione collettiva sono da considerare lo strumento di maggior tutela per la sicurezza dei lavoratori, sia in quanto vengono indicati come prioritari tra i criteri da seguire nella scelta delle attrezzature di lavoro, sia in quanto l'adozione di attrezzature di protezione individuale o di sistemi di accesso e posizionamento mediante funi è indicata quale scelta subordinata nel caso in cui, per la durata dell'impiego e per le caratteristiche del luogo, non sia logico adottare un'attrezzatura di lavoro più sicura.

La Corte territoriale ha fatto quindi corretta applicazione del principio affermato da questa Corte, secondo cui in tema di sicurezza dei lavoratori che devono eseguire lavori in quota, il datore di lavoro, ai sensi del D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, art. 111 è tenuto ad adottare misure di protezione collettiva in via prioritaria rispetto a misure di protezione individuale, in quanto le prime sono atte ad operare anche in caso di omesso utilizzo da parte del lavoratore del dispositivo individuale.

L'intero corpo di regole cautelari individuate dal legislatore per i lavori in quota indica, dunque, che i dispositivi di protezione collettiva sono da considerare lo strumento di maggior tutela per la sicurezza dei lavoratori, sia in quanto vengono indicati come prioritari tra i criteri da seguire nella scelta delle attrezzature di lavoro, sia in quanto l'adozione di attrezzature di protezione individuale o di sistemi di accesso e posizionamento mediante funi è indicata quale scelta subordinata nel caso in cui, per la durata dell'impiego e per le caratteristiche del luogo, non sia logico adottare un'attrezzatura di lavoro più sicura (Sez. 4, n. 24908 del 25 del 25/5/2021, Rv. 281680).

Correttamente la Corte territoriale ha ritenuto che il A.A., quale legale rappresentante della Rp. G Group Srl , società che aveva in subappalto le opere edili e presso la quale era distaccato il D.D., era tenuto a garantire la sicurezza delle condizioni di lavoro dei lavoratori presso di lui distaccati da altra ditta. Pertanto, non solo avrebbe dovuto verificare il puntuale rispetto delle normative prevenzionali correlate alle lavorazioni a lui commissionate ma, in caso di riscontrata inidoneità o mancanza, avrebbe avuto il preciso obbligo di segnalarne la necessità ed in ogni caso di pretenderne l'installazione.

Il quarto motivo è manifestamente infondato.

Il diniego della sospensione condizionale è stato motivato con motivazione immune da vizi logici sul rilievo che l'imputato ne avrebbe fruito per la seconda volta a fronte di una precedente e recente condanna e tenuto conto della offensività di tale addebito rispetto a quello per cui è processo.

Parimenti immune da censure è la motivazione che sorregge il giudizio di equivalenza delle circostanze eterogenee, stante il riferimento alla gravità del fatto, all'intensità della colpa e all'offesa arrecata.

1.2. Con riguardo al ricorso per B.B., il primo motivo è manifestamente infondato.

Per le ragioni già esposte nell'esaminare la posizione del A.A., in tema di sicurezza dei lavoratori che devono eseguire lavori in quota è prioritario ed assorbente il profilo della mancata adozione delle misure di protezione collettiva rispetto alle misure di protezione individuali (risultate peraltro nella specie anche inidonee).

La Corte territoriale ha fatto corretta applicazione delle norme anzidette, avendo evidenziato che, proprio in considerazione della particolarità del lavoro da svolgere, che richiedeva la realizzazione di numerose aperture nella pavimentazione prospicienti il vuoto, la predisposizione di misure di sicurezza collettiva, quali l'applicazione di reti anticaduta sotto il piano di calpestio del tetto o l'installazione di sottoponti, era senz'altro possibile e, anzi, doverosa; nè, alla luce delle risultanze istruttorie la linea vita sulla copertura del capannone, con connessa possibilità dei dipendenti di agganciarsi con le cinture di sicurezza messe a loro disposizione, era idonea a evitare la caduta attraverso i lucernari verso l'interno dell'edificio.

In ordine all'asserito "travisamento della prova" la censura, nella parte in cui ci si duole del "travisamento della prova" attiene esclusivamente alla valutazione del compendio probatorio, proponendone una diversa lettura alla luce della valorizzazione di taluni elementi fattuali rispetto ad altri, come tale preclusa in sede di legittimità.

Sul punto va ribadito che il vizio di travisamento della prova, desumibile dal testo del provvedimento impugnato o da altri atti del processo specificamente indicati dal ricorrente, è ravvisabile ed efficace solo se l'errore accertato sia idoneo a disarticolare l'intero ragionamento probatorio, rendendo illogica la motivazione per la essenziale forza dimostrativa dell'elemento frainteso o ignorato, fermi restando il limite del "devolutum" in caso di cosiddetta "doppia conforme" e l'intangibilità della valutazione nel merito del risultato probatorio. (Fattispecie in cui è stato ritenuto il travisamento della prova per essere stata trascurata la rilevanza, in punto di credibilità dei testi e della persona offesa, di alcune registrazioni telefoniche in cui era stata evocata la subornazione dei testi della parte civile e la falsità di alcune dichiarazioni rese a carico dell'imputata (Sez. 5, n. 48050 del 02/07/2019, Rv. 277758).

Inammissibile è il secondo motivo in quanto afferente a questione non oggetto di motivo di appello.

Inammissibile è anche il terzo motivo con riguardo alla mancata considerazione del risarcimento del danno in quanto non dedotto in appello. Peraltro giova rilevare che l'intervenuto risarcimento del danno è stato considerato dal giudice di primo grado ai fini della concessione delle circostanze attenuanti generiche. Infine con riguardo alla commisurazione della pena operata dal giudice di primo grado, va rilevato che lo scostamento dalla media edittale è stato condiviso dal giudice d'appello in ragione della gravità della condotta colposa e della rilevanza delle conseguenze dannose derivatene.

In conclusione i ricorsi vanno quindi dichiarati inammissibili.

Segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila ciascuno in favore della Cassa delle Ammende.

 

P.Q.M.


Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila ciascuno in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma, il 12 ottobre 2023.

Depositato in Cancelleria il 4 dicembre 2023