Cassazione Penale, Sez. 4., 15 dicembre 2023, n. 50097 - Responsabilità dell'ente pubblico per fatto illecito del dipendente. Nesso di occasionalità necessaria 



Presidente Picialli – Relatore Bruno

 

Fatto

 

1. Con sentenza emessa in data 1 dicembre 2022, La Corte d'appello di Roma, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Roma, appellata da M.F. e dai responsabili civili "Atac s.p.a." e "Le Assicurazioni di Roma - Mutua Assicuratrice Romana", ritenute le circostanze attenuanti generiche prevalenti sulla contestata aggravante, ha ridotto la pena inflitta a M.F. in quella di mesi 8 di reclusione, rideterminando in Euro 100.000 la somma liquidata a titolo di provvisionale in favore di ciascuna delle parti civili costituite, G.F. e G.G. , ed Euro 20.000 in favore di G.D. ; ha confermato nel resto la sentenza di primo grado che aveva ritenuto responsabile M.F. del reato di omicidio colposo commesso con violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro.

All'imputato era contestato il reato di cui all'art. 589 c.p., comma 2, per avere cagionato la morte di G.M. , di anni 4, con violazione della normativa antinfortunistica, segnatamente del D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 20 in relazione all'ordine di servizio n. 4 del 12/1/2009.

L'imputato, in qualità di dipendente "Atac s.p.a.", in servizio presso la fermata della metropolitana di Roma stazione "(omissis) ", per colpa generica ed in violazione dell'ordine di servizio richiamato, il quale stabilisce l'utilizzo esclusivo delle chiavi di emergenza per lo sblocco degli ascensori da parte delle persone autorizzate alle operazioni di soccorso, interveniva d'iniziativa per liberare gli occupanti di un ascensore bloccato, G.F. ed il figlio minore. Intraprendendo una rischiosa manovra di apertura di emergenza delle porte dell'ascensore bloccato in corrispondenza del vano di un ascensore affiancato, senza avvertire gli occupanti del varco di 40 cm. venutosi a creare tra le due cabine e senza avvalersi di apposito dispositivo di collegamento, causava la morte del minore G.M. , il quale precipitava nel varco creatosi tra i vani degli ascensori affiancati, cadendo da un'altezza di oltre venti metri.

I giudici di merito, nelle due sentenze conformi, ritenevano dimostrata la penale responsabilità dell'imputato in ordine al reato a lui ascritto, ravvisando a suo carico profili di colpa generici e specifici, consistiti questi ultimi anche nella violazione del "regolamento di esercizio ascensori ad uso pubblico" installati nelle stazioni delle linee ferroviarie regionali e nelle metropolitane.

2. Avverso la sentenza di cui sopra hanno proposto ricorso per cassazione l'imputato ed il responsabile civile "Le assicurazioni di Roma - Mutua Assicuratrice Romana", a mezzo dei rispettivi difensori, articolando i seguenti motivi di doglianza.

Per M.F. :

I) Mancanza, mera apparenza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in ordine alla ritenuta responsabilità dell'imputato per il delitto di cui all'art. 589 c.p., comma 2, con particolare riferimento al mancato riconoscimento della scriminante di cui all'art. 54 c.p., quantomeno nella forma putativa.

La Corte di appello di Roma è incorsa nel vizio di motivazione lamentato, perché ha ritenuto sussistente la fattispecie di reato contestata in assenza dei relativi elementi costitutivi ed ha fornito una risposta meramente apparente ed illogica rispetto alle puntuali doglianze difensive esposte nell'atto d'appello.

La motivazione della sentenza sarebbe sorretta da argomentazioni frettolose e connotata da un acritico rinvio al contenuto della sentenza di primo grado.

Il collegio si limita ad affermare che, in presenza degli elementi probatori risultanti dalla espletata istruttoria, devono essere respinti i motivi di appello con i quali il ricorrente ha invocato la scriminante putativa dello stato di necessità.

Secondo costante giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione, la scriminante di cui all'art. 54 c.p. opera nella ricorrenza di una situazione di pericolo, la cui causa non sia voluta dal soggetto agente, consistente nella minaccia di un danno alla persona non altrimenti evitabile.

È noto come, ai fini dell'integrazione dell'esimente, sia necessario che il pericolo di un danno grave alla persona sia attuale o imminente e comunque idoneo a far sorgere nell'autore del fatto la ragionevole opinione di trovarsi in tale stato.

L'erronea supposizione dello stato di necessità deve basarsi non già su un mero criterio soggettivo, riferito al solo stato d'animo dell'agente, bensì su dati di fatto concreti, tali da giustificare un erroneo convincimento in capo all'imputato di versare nella suddetta condizione.

Nell'atto d'appello, attraverso i primi due motivi, si lamentava il mancato riconoscimento della scriminante invocata, quantomeno nella forma putativa e si evidenziavano gli elementi probatori dai quali si potevano ricavare i presupposti di cui all'art. 54 c.p..

Si evidenziava come il caldo eccessivo e l'assenza di areazione nella cabina dell'ascensore avesse fatto sorgere nel ricorrente il convincimento, seppure erroneo, di una situazione di pericolo attuale e concreta per la madre ed il bambino, tale da imporre la necessità di un suo immediato intervento.

Proprio alla luce delle circostanze di fatto evidenziate dalla difesa (caldo eccessivo, mancanza di areazione, condizioni dell'illuminazione), pacificamente emerse nel dibattimento, veniva censurata la motivazione del primo giudice, il quale ometteva di enunciare le ragioni per le quali aveva ritenuto inattendibili tali elementi e non incidenti sulla invocata scriminante. Si censurava il ragionamento espresso dal giudice di prime cure, il quale, anziché valutare la condotta dell'imputato alla luce della rappresentazione soggettiva possibile degli elementi da lui conosciuti al momento dei fatti, si lasciava andare a considerazioni astratte e fantasiose.

Inoltre, nell'atto di appello si criticava il ragionamento con cui il primo giudice aveva omesso totalmente di tenere in considerazione le risultanze della relazione tecnica del consulente di parte, dottor F. , medico legale.

Lungi dal rispondere alle puntuali doglianze ed alle pertinenti critiche difensive, il giudice di secondo grado si limita a ripercorre le argomentazioni del primo giudice, offrendo una risposta totalmente insoddisfacente.

A fronte delle evidenze scientifiche rappresentate nella relazione del medico legale di parte, che ha riferito di un concreto pericolo per le persone intrappolate nell'ascensore, La Corte di appello si è limitata apoditticamente ad asserire come il parere tecnico non richiami dati certi, offrendo soltanto argomentazioni ipotetiche, senza quantificare il tempo entro il quale un malore come il colpo di calore potesse sopraggiungere.

La Corte di appello si è sottratta agli obblighi imposti, omettendo di fornire adeguata motivazione con riferimento alla valutazione della prova scientifica, limitandosi a liquidare sbrigativamente le conclusioni del consulente della difesa e le altre ipotesi alternative razionalmente possibili.

Anche le ulteriori argomentazioni difensive sono state del tutto trascurate o liquidate con giustificazioni superficiali e apparenti. Era noto a tutti come al momento del fatto fosse ancora in atto uno "sciopero bianco" del personale, che portava ad un rallentamento generale anche dell'attività di soccorso, ingenerando nell'imputato il convincimento della esistenza di un pericolo grave non altrimenti evitabile alle persone.

Appare evidente come il collegio, pur avendo rilevato le circostanze evidenziate dalla difesa, sia incorso nel medesimo errore del giudice di prime cure. La motivazione offerta appare meramente apparente oltre che manifestamente illogica. Il giudice di appello avrebbe dovuto rispondere ai rilievi difensivi, spiegando le ragioni per le quali ha ritenuto inidonee le circostanze evidenziate a suscitare nel ricorrente la convinzione della esistenza del pericolo incombente.

II) Mancanza di motivazione in ordine alla determinazione della pena ed al mancato contenimento della stessa nel minimo edittale.

III) Mancanza, mera apparenza e manifesta illogicità della motivazione in ordine al riconoscimento della responsabilità civile dell'imputato, alla quantificazione delle provvisionali, alla mancata sospensione dell'esecuzione della condanna al pagamento della provvisionale.

Per il responsabile civile "Le Assicurazioni di Roma - Mutua Assicuratrice Romana":

I) Contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione del provvedimento impugnato nella parte in cui la Corte distrettuale, pur ammettendo che il ricorrente avesse agito mosso da spirito di altruismo, ha ritenuto che la condotta serbata fosse connessa alle mansioni lavorative svolte.

Nel passaggio motivazionale evidenziato emerge la contraddittorietà dell'assunto sostenuto in sentenza, secondo cui l'iniziativa intrapresa dall'imputato, del tutto scollegata dalle mansioni e dai compiti rivestiti, sarebbe rimasta collegata all'attività lavorativa.

L'attenta analisi dei fatti avrebbe dovuto portare ad escludere che vi fosse un rapporto di occasionalità necessaria tra l'agire illecito del dipendente e l'ente alle cui dipendenze egli operava.

Detto concetto non può essere considerato privo di limitazioni e suscettibile di abbracciare ogni azione del dipendente, anche nei casi in cui il datore di lavoro non sia neppure mediatamente interessato.

L'avere posto in essere una condotta illecita per mero spirito altruistico interrompe il rapporto di occasionalità, escludendo la responsabilità del datore di lavoro, dovendo l'evento ascriversi ad una scelta del tutto personale dell'imputato.

II) Contraddittorietà della motivazione nella parte in cui, pur avendo riconosciuto la sussistenza di un comportamento improvvido del dipendente, la Corte territoriale ha affermato la responsabilità solidale del datore di lavoro.

La sentenza impugnata risulta essere contraddittoria anche in relazione ad un ulteriore aspetto.

La pronuncia non esclude il coinvolgimento dei responsabili civili, pur riconoscendo espressamente che la condotta posta in essere dal M.F. non rientrasse nelle sue mansioni, specificando al riguardo che risulta accertata la violazione del D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 20 - che impone ai lavoratori di non compiere d'iniziativa operazioni o manovre non di loro competenza - dell'ordine di servizio indicato nella imputazione ed anche del regolamento di esercizio ascensori ad uso pubblico installati nella metropolitana di Roma, approvato il 28/10/2014, norma che riserva al solo personale della ditta addetta alla manutenzione e, in caso di emergenza, alle forze dell'ordine e ai vigili del fuoco" le manovre necessarie di sblocco.

L'imputato ha mostrato di essere perfettamente edotto circa la procedura regolare da seguire in caso di blocco di persone in ascensore.

Risulta chiaramente provato dalla compiuta istruttoria che la condotta posta in essere dal M. fosse del tutto estranea alle mansioni a lui affidate; ciò viene anche valorizzato dalla Corte di appello, che tuttavia contraddice palesemente la propria motivazione condannando i responsabili civili in solido con l'imputato.

Come riconosciuto dalla stessa Corte di merito, l'imputato ha eseguito una manovra non rientrante nelle sue competenze, in quanto appannaggio esclusivo della ditta di manutenzione degli impianti elevatori; pertanto, l'evento si è verificato proprio a causa di tale condotta che deve essere definita come abnorme ed eccentrica.

In ragione di tanto, la Corte di merito avrebbe dovuto escludere la responsabilità solidale della ricorrente società.

3. Le parti civili costituite G.F. e G.G. hanno presentato un'articolata memoria conclusiva, chiedendo che venga pronunciata l'inammissibilità o il rigetto dei ricorsi.


Diritto


1. I ricorsi devono essere rigettati per le ragioni di seguito indicate

2. Il primo motivo proposto in difesa dell'imputato è infondato.

La Corte di appello ha offerto congrua motivazione a sostegno del convincimento espresso in ordine alla mancata ricorrenza in atti della scriminante dello stato di necessità, su cui è incentrato il ricorso, anche nella forma putativa.

Diversamente da quanto sostenuto nel ricorso, la Corte di merito ha analizzato in modo puntuale tutte le circostanze addotte dalla difesa, fondanti la prospettazione della invocata scriminante, escludendo, con ragionamento non censurabile in questa sede sul piano logico e corretto in diritto, che tali circostanze possano avere integrato i requisiti richiesti ai fini dell'applicazione dell'istituto.

Come è noto, la scriminante dello stato di necessità richiede che il soggetto agente commetta il fatto reato sotto la costrizione di un pericolo incombente ed attuale, il quale deve riguardare esclusivamente l'incolumità della persona.

Nella lettera della legge, la causa generatrice del danno incombente, che minacci gravemente la persona, non deve essere stata determinata dal soggetto agente ed il pericolo deve essere non altrimenti evitabile. Proprio tale ultimo requisito risulta essere particolarmente significativo nella configurazione della causa di non punibilità invocata, dovendo escludersi che il soggetto agente ne possa beneficiare ove il pericolo possa essere scongiurato altrimenti con mezzi leciti.

La ricorrenza della forma putativa della scriminante richiede che il soggetto agente, sulla base di ben determinate circostanze oggettive, abbia maturato il ragionevole convincimento di trovarsi in uno stato di necessità.

L'allegazione dell'erronea supposizione della esistenza della condizione giustificatrice, incombente sulla parte che invoca la sua applicazione, deve basarsi non su criteri soggettivi, riferiti a stati d'animo e percezioni dell'agente, ma su dati di fatto concreti, tali da fare ritenere che l'erroneo convincimento abbia una oggettiva pregnanza (cfr. Sez. 4, n. 2241 del 16/10/2019, dep. 2020, PG c/ Zito, Rv. 277955; precedenti conformi n. 18711 del 2012 Rv. 252636; n. 4114 del 2017 Rv. 269724; n. 19341 del 2009 Rv. 243777; n. 436 del 2005 Rv. 230857). Il che esclude che possa farsi luogo all'applicazione della scriminante tutte le volte in cui l'erroneo convincimento sia frutto di percezioni maturate nella sfera emotiva del soggetto agente.

3. Facendo buon governo dei principi di diritto richiamati, la Corte di appello ha ritenuto insussistente la scriminante in parola, analizzando in modo compiuto e logico tutte le circostanze rappresentate dalla difesa.

Ha ritenuto che le risultanze della consulenza medico legale di parte non fossero idonee a dimostrare una condizione di grave pericolo incombente sulle persone intrappolate nell'ascensore, ponendo in evidenza la mancanza di riferimenti certi in ordine al tempo entro il quale il paventato malore del "colpo di calore", nelle circostanze del fatto, potesse sopraggiungere e provocare effetti sulla madre e sul bambino in un ambiente chiuso con temperature elevate.

Ha analizzato l'aspetto riguardante la temuta lentezza dei soccorsi a causa dello "sciopero bianco" in atto del personale, ponendo in evidenza che le conseguenze di detto sciopero non erano state così significative (il teste R.F. , altro addetto presente in servizio, attivatosi per comprendere i tempi dell'intervento, ha riferito che, nonostante lo sciopero bianco in corso, erano in arrivo tre treni sulla linee interessata dalla fermata "(omissis) ", uno dei quali si trovava due fermate prima).

Nell'escludere la scriminante putativa ha evidenziato che la madre del bambino nel comunicare con l'imputato ed il teste R. attraverso l'interfono non aveva palesato una condizione di particolare sofferenza, essendo peraltro munita di una bottiglietta d'acqua - con la quale aveva anche rinfrescato il bambino - e delle carte con cui smuoveva l'aria.

Ha anche aggiunto come il tecnico addetto alla manutenzione, convocato d'urgenza, sopraggiunse dopo circa trenta minuti.

In conclusione, le risposte fornite dalla Corte di merito sono del tutto congrue. La difesa, nel reiterare le medesime doglianze, prospetta una diversa interpretazione delle emergenze probatorie.

Come è noto, in tema di giudizio di cassazione, sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito.

Il controllo di legittimità sulla motivazione, infatti, è circoscritto alla verifica della ricorrenza di due requisiti indispensabili, rappresentati dall'esposizione delle ragioni giuridicamente significative poste a fondamento della decisione e dall'assenza di illogicità evidenti nel discorso giustificativo del provvedimento. L'illogicità della motivazione della sentenza, quale vizio denunciatile, deve essere evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza (cfr. Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794 - 01; Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone e altri, Rv. 207944 - 01; cfr. altresì Sez. U, n. 47289 del 24/09/2003, Petrella, Rv. 226074 - 01). Deve anche aggiungersi a questo riguardo che l'illogicità della motivazione deve risultare dal testo del provvedimento impugnato, essendo alla Corte di cassazione normativamente preclusa la possibilità non solo di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi, ma anche di saggiare la tenuta logica della pronuncia portata alla sua cognizione mediante un raffronto tra l'apparato argomentativo che la sorregge ed eventuali altri modelli di ragionamento mutuati dall'esterno (così Sez. U, n. 12 del 31/05/2000, Jakani, Rv. 216260 - 01).

4. Il secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato: la dosimetria della pena è questione rimessa al prudente apprezzamento del giudice di merito e la richiesta avanzata in sede di legittimità di riesaminare la congruità della pena inflitta è inammissibile quando la stessa, come nel presente caso, non sia frutto di una scelta irrazionale o arbitraria (ex multis Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, dep. 04/02/2014, Ferrario, Rv. 259142 - 01:"La graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra nella discrezionalità del giudice di merito, che la esercita, così come per fissare la pena base, in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 c.p.; ne discende che è inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruità della pena la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e sia sorretta da sufficiente motivazione").

Peraltro, secondo consolidato orientamento di questa Corte, ove il giudice commini una pena che non si discosti di molto dal minimo edittale e che si mantenga nell'ambito della misura media edittale non è richiesta una specifica giustificazione, essendo reputato sufficiente il richiamo all'art. 133 c.p. (Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, Mastro, Rv. 271243; Sez. 4, n. 46412 del 05/11/2015, Scaramozzino, Rv. 265283; Sez.4, n. 27959 del 18/06/2013, Pasquali, Rv.258356; Sez. 2, n. 28852 del 8/05/2013, Taurasi, Rv.256464; Sez. 4, n. 2:1294 del 20/03/2013, Serratore, Rv.256197).

Si aggiunge come, nel rideterminare la pena per effetto della concessione delle attenuanti generiche in rapporto di prevalenza sulla ritenuta aggravante, la Corte di merito non fosse tenuta a rispettare la proporzione stabilita dal primo giudice, non trovando tale incombenza nessun appiglio normativa.

Si è in proposito condivisibilmente osservato che, ove l'appello comporti un nuovo giudizio in tema di comparazione tra circostanze, a lume della sentenza a Sezioni Unite Papola (n. 33752 del 18/04/2013), detto giudizio non soffre condizionamenti in ragione di quello condotto in primo grado (cfr. in argomento Sez. 5, n. 209 del 06/10/2022, dep. 2023, Rv. 284311:"Nel caso di impugnazione proposta dal solo imputato, non viola il divieto di "reformatio in peius" la decisione del giudice di appello che, avendo mutato tutti i componenti del computo della pena per il reato ascritto (mediante la riduzione della pena base, l'esclusione della recidiva e l'effettuazione del bilanciamento, in precedenza omesso, tra le attenuanti generiche e la residua aggravante) operi, per le già concesse attenuanti generiche, una riduzione minore, sia in termini assoluti, sia in termini di rapporto proporzionale, rispetto a quella effettuata, in ordine a tale componente, dal primo giudice ").

5. Infondato è il terzo motivo di ricorso.

Priva di pregio è la doglianza riguardante la mancanza di motivazione in ordine alla condanna al risarcimento del danno riconosciuto alle parti civili costituite, prossimi congiunti del minore deceduto. Il contenuto della sentenza rende conto in maniera puntuale dell'affermazione di penale responsabilità dell'imputato, da cui è dipesa la morte della vittima ed il conseguente danno arrecato alle parti civili.

La decisione riguardante l'entità della provvisionale, come già più volte ribadito in sede di legittimità, non è ricorribile per Cassazione. Si tratta invero di statuizioni provvisorie, non suscettibili di passare in cosa giudicata (cfr., tra le tante, Sez. 2, n. 44859 del 17/10/2019, Tuccio, Rv. 277773:"Non è impugnabile con ricorso per cassazione la statuizione pronunciata in sede penale e relativa alla concessione e quantificazione di una provvisionale, trattandosi di decisione di natura discrezionale, meramente delibativa e non necessariamente motivata, per sua natura insuscettibile di passare in giudicato e destinata ad essere travolta dall'effettiva liquidazione dell'integrale risarcimento").

Quanto alla richiesta di sospensione del riconoscimento della provvisionale, la Corte ha giustificato adeguatamente la decisione del rigetto, ritenendo meramente congetturale la paventata difficoltà di ripetizione delle somme liquidate nella ipotesi di ipotesi di ribaltamento dell'esito della vicenda.

Quanto al pregiudizio lamentato dal ricorrente, la Corte di appello ha ritenuto implicitamente di rigettare la richiesta, addivenendo comunque ad un ridimensionamento degli importi stabiliti in primo grado.

Le doglianze difensive sul punto si appalesano del tutto generiche.

Vertendosi in tema di impugnazioni delle statuizioni civili della sentenza di condanna penale, la disciplina relativa alla ripartizione dell'onere probatorio è governata dalle regole civilistiche. Ne discende che l'onere della dimostrazione dei gravi motivi che giustifichino la sospensione debba essere fornita dal richiedente. Tale prova non può consistere nella generica prospettazione della incapacità patrimoniale di sostenere l'esborso delle somme riconosciute a titolo di provvisionale. Nel ricorso la difesa si duole del fatto che la Corte di appello non si sia soffermata adeguatamente sulla ricorrenza dei gravi motivi, senza tuttavia evidenziare come abbia adempiuto in maniera efficace all'onere dimostrativo imposto in materia.

6. Deve parimenti rigettarsi il ricorso del responsabile civile.

Si è accertato che il fatto è stato commesso durante l'orario di lavoro del dipendente, sul luogo di lavoro ed a causa della disponibilità da parte del dipendente delle chiavi che consentivano l'apertura delle porte di emergenza dell'ascensore bloccato.

Il responsabile civile incentra la sua difesa - primo motivo di ricorso- focalizzando l'attenzione sul passaggio motivazionale in cui si evidenzia che l'imputato aveva agito spinto da una intenzione altruistica, passaggio peraltro contenuto nella parte riguardante il tema del trattamento sanzionatorio.

Su questa affermazione poggia l'assunto difensivo secondo il quale la Corte di merito avrebbe dovuto riconoscere l'inesistenza di un "rapporto di occasionalità necessaria" della condotta antigiuridica posta in essere dall'imputato con l'attività lavorativa. Da questo discenderebbe l'ulteriore conseguenza della mancanza di solidarietà dei responsabili civili nella intervenuta condanna al risarcimento del danno in favore delle parti civili.

Il rilievo difensivo non è suscettibile di disarticolare il ragionamento dei giudici di merito; l'argomentazione dello spirito altruistico evocato dalla Corte di appello nella parte motivazionale che non attiene alla responsabilità, ma alla graduazione della pena, non autorizza l'interpretazione proposta dal responsabile civile, rimanendo confinata in un ambito che rileva esclusivamente sul piano della commisurazione della pena.

La tematica proposta ha formato oggetto di altre pronunce di questa Corte, nelle quali si è affermato il principio, in base al quale la responsabilità civile della P.A. o dell'ente pubblico o incaricato di pubblico servizio per il reato commesso dal dipendente presuppone che tra il fatto illecito e le mansioni esercitate dal dipendente esista un rapporto di occasionalità necessaria. Tale relazione sussiste quando il soggetto compie l'illecito sfruttando comunque i compiti svolti, anche se ha agito oltre i limiti delle sue incombenze e persino se ha violato gli obblighi a lui imposti, dovendo essere escluso detto rapporto solo quando il dipendente, nello svolgimento delle mansioni affidategli, commetta un illecito penale per finalità di carattere esclusivamente personale (così Sez. 6, n. 44760 del 04/06/2015, Rv. 265356, in una fattispecie in cui la Corte ha ritenuto immune da vizi la sentenza che aveva riconosciuto il rapporto di occasionalità necessaria nella condotta compiuta da un agente di Polizia penitenziaria, condannato per il reato di cui all'art. 328 c.p., che non aveva informato il sanitario di guardia presso il carcere che un detenuto aveva chiesto l'intervento del medico, nè aveva soccorso il detenuto in questione, poi deceduto).

Perché resti integro il rapporto organico, fonte della diretta responsabilità dell'ente, occorre che il comportamento del reo possa dirsi in linea con le finalità proprie dell'amministrazione pubblica, nel senso che la responsabilità dell'ente deve ritenersi sussistente laddove il comportamento illecito del dipendente - ancorché deviato per violazione di norme regolamentari o per eccesso cli potere - risulti comunque finalizzato al raggiungimento dei fini istituzionali, rimanendo in tal senso insensibile il rapporto organico all'azione illecita con il conseguente coerente coinvolgimento dell'ente stesso nell'obbligo risarcitorio.

Ciò è accaduto nel presente caso, in quanto l'iniziativa intrapresa dall'imputato era volta anche a realizzare l'interesse dell'azienda al regolare svolgimento dell'attività del trasporto dei passeggeri.

Nel caso in esame, come correttamente ritenuto dal giudice di secondo grado, il M. ha comunque agito nell'ambito delle funzioni a lui attribuite, ponendo in essere la condotta mentre svolgeva il suo servizio e nell'ambito delle sue attribuzioni, a nulla rilevando che egli abbia ecceduto i limiti dei compiti che gli spettavano.

7. Il secondo motivo di ricorso è sostanzialmente reiterativo del primo. La difesa sostiene l'abnormità del comportamento del lavoratore, mancando di considerare la copiosa giurisprudenza di questa Corte, in base alla quale è abnorme solo la condotta del lavoratore che attivi un rischio assolutamente eccentrico o esorbitante dalla sfera di governo del soggetto titolare della posizione di garanzia; pertanto, è abnorme quel comportamento che risulti del tutto avulso dalle mansioni affidate al lavoratore e dai compiti che gli sono assegnati e che determini un evento lesivo assolutamente non prevedibile e scollegato dall'attività lavorativa.

8. In ragione di quanto precede, devono essere rigettati i ricorsi proposti dall'imputato e dal responsabile civile "Le Assicurazioni di Roma" con condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali, nonché alla refusione in solido tra loro delle spese sostenute dalle parti civili in questo giudizio di legittimità, liquidate in Euro tremila in favore di G.G. ed Euro tremila in favore di G.F. , oltre accessori come per legge. Si dispone l'oscuramento dati personali.

 

P.Q.M.

 

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti M. e Le Assicurazioni di Roma al pagamento delle spese processuali, nonché alla refusione in solido delle spese sostenute dalle parti civili in questo giudizio di legittimità, così liquidate: Euro tremila, oltre accessori come per legge, in favore di G.G. ; Euro tremila, oltre accessori come per legge, in favore di G.F. . Oscuramento dati personali.