Cassazione Civile, Sez. Lav., 20 dicembre 2023, n. 35610 - Malfunzionamento della pompa di erogazione del carburante e infortunio dell'autista



 


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana - Presidente -

Dott. RIVERSO Roberto - rel. Consigliere -

Dott. PANARIELLO Francescopaolo - Consigliere -

Dott. CINQUE Guglielmo - Consigliere -

Dott. AMENDOLA Fabrizio - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
 


sul ricorso 13553-2020 proposto da:

A.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA RAFFAELE CAVERNI 6, presso lo studio dell'avvocato ANNAMARIA SANTINI, rappresentato e difeso dall'avvocato GIUSEPPE ABBAGNATO;

- ricorrente -

contro

(Omissis) Spa in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DI VIGNA MURATA 1, presso lo studio dell'avvocato CORRADO CARRUBBA, rappresentata e difesa dall'avvocato CORRADO V. GIULIANO;

- controricorrente -

avverso la sentenza n. 971/2019 della CORTE D'APPELLO di PALERMO, depositata il 26/11/2019 R.G.N. 572/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 07/11/2023 dal Consigliere Dott. ROBERTO RIVERSO.
 

Fatto

La Corte d'appello di Palermo, con la sentenza in atti, in parziale riforma della sentenza impugnata, riduceva l'importo del risarcimento del danno già liquidato al lavoratore A.A. - autista della (Omissis) r.l. - a titolo di danno differenziale patrimoniale e non, sofferto in conseguenza dell'infortunio occorsogli il (Omissis), verificatosi per il malfunzionamento della pompa di erogazione del carburante del deposito (Omissis) di proprietà della convenuta e condannava pertanto (Omissis) Spa a versare al lavoratore la minor somma, rispetto a quella liquidata nella sentenza impugnata, pari ad Euro 76.575,50 oltre accessori.

Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione A.A. con tre motivi di ricorso ai quali ha resistito (Omissis) Spa con controricorso illustrato da successiva memoria. Il collegio ha riservato la motivazione, ai sensi dell'art. 380bis1 c.p.c., comma 2, u.p..
 

Diritto


1.- Con il primo motivo di ricorso è stata dedotta, ex art. 360, n. 3, 4 e 5, la violazione e falsa applicazione degli artt. 1227, 2043, 2051 e 2697 c.c. per aver la Corte d'appello ridotto il risarcimento del danno avendo ritenuto corresponsabile del sinistro il lavoratore ricorrente, nonostante il mancato raggiungimento della prova in merito sia all'effettivo aggancio al momento della caduta della cintura di sicurezza indossata dal A.A. al binario o all'anello collocati sul tetto di ogni autocisterna, sia all'utilizzazione da parte del lavoratore del casco di protezione.

2.- Con il secondo motivo di ricorso si denuncia la violazione degli artt. 1223, 1226, 2056 e 2697 c.c. in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3, per avere la Corte d'appello ridotto il risarcimento del danno patrimoniale liquidato in primo grado nella misura del 50% in quanto la limitata riduzione della capacità lavorativa del A.A. - ritenuto dal medico del lavoro inabile alla sola attività di autista di autobotti - e la natura delle lesioni patite, non precludevano al lavoratore, all'epoca dei fatti (Omissis), la possibilità di trovare altre occupazioni confacenti alle proprie attitudini e condizioni culturali compatibili con la sua minorata abilità professionale.

3.- Con il terzo motivo si prospetta la violazione degli artt. 1223, 1226, 2056 e 2697 c.c. in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3 per la riduzione del risarcimento del danno per ritenute previdenziali.

4.- I primi due motivi di ricorso sono fondati e possono essere affrontati unitariamente per la connessione delle censure relative alla determinazione del concorso del danneggiato nella produzione del danno.

5. Deve essere premesso, per quanto attiene alla dinamica del fatto, che secondo la Corte d'appello, in base alle prove raccolte in giudizio, l'infortunio sul lavoro occorso ai danni del lavoratore ricorrente si era verificato per l'inadeguato funzionamento dell'impianto di erogazione del carburante la cui manutenzione rientrava pacificamente fra le incombenze dell'(Omissis) S.P.A. Ciò posto, la Corte d'appello pur ratificando l'esistenza della prova della responsabilità della società convenuta, in sede di quantificazione dei danni ha sostenuto però che andasse pure confermata la tesi della concorrente responsabilità del lavoratore nella causazione dell'infortunio quantificata dal primo giudice nel 30%, affermando che tale contributo andasse anzi aumentato in appello al 50% "tenuto conto del mancato raggiungimento della prova in merito sia all'effettivo aggancio al momento della caduta della cintura di sicurezza indossata dal A.A. al binario o anello collocati sul tetto di ogni autocisterna che all'utilizzazione da parte del lavoratore del casco di protezione". Inoltre secondo la medesima sentenza non vi era in giudizio neppure "certezza che l'eventuale osservanza di entrambi i sistemi di protezione avrebbe escluso ogni danno per l'infortunato", come desumibile dalle affermazioni dei testimoni indicati in sentenza.

6.- Pertanto, sulla scorta delle riportate affermazioni, nonostante sostenga che non vi fosse nè la prova della colpa del lavoratore ricorrente (in ordine all'aggancio della cintura di sicurezza o all'utilizzazione del casco di protezione), nè la dimostrazione della incidenza causale della sua pretesa colpa nella produzione dell'infortunio, la medesima sentenza impugnata conclude che il lavoratore ricorrente era comunque corresponsabile dell'infortunio e che andava perciò ridotto, nella misura del 50%, il risarcimento del danno da accordargli.

7.- Appare così evidente come la Corte d'appello abbia inteso attribuire in capo al ricorrente danneggiato l'onere della prova sulla corretta esecuzione della manovra e della sua incidenza causale nella produzione dell'evento; laddove, una volta provato il malfunzionamento dell'impianto ed il nesso causale tra tale antecedente ed il sinistro occorso al lavoratore, l'onere di provare il concorso di colpa del danneggiato incombeva invece sull'esercente l'attività.

Ed invero in una fattispecie di responsabilità per attività pericolosa, come quella di cui si discute alla luce della domanda svolta in giudizio, chi esercita l'attività pericolosa deve rispondere di tutti i danni cagionati e non può affermarsi che sia il danneggiato a dover dimostrare di non aver avuto alcuna colpa. In ogni caso, il mancato accertamento della colpa del danneggiato determina la responsabilità esclusiva del fatto a carico del danneggiante.

In tali termini è del resto la pacifica giurisprudenza di questa Corte secondo la quale spetta a chi esercita l'attività pericolosa provare il caso fortuito inteso come fattore che in base ai principi della regolarità o adeguatezza causale esclude il nesso eziologico tra causa e danno ed è comprensiva della condotta incauta della vittima; v. ad es. ordinanza n. 16170 del 19/05/2022: "La presunzione di responsabilità contemplata dall'art. 2050 c.c. per attività pericolose può essere vinta solo con una prova particolarmente rigorosa, e cioè con la dimostrazione di aver adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno: pertanto non basta la prova negativa di non aver commesso alcuna violazione delle norme di legge o di comune prudenza, ma occorre quella positiva di avere impiegato ogni cura o misura volta ad impedire l'evento dannoso, di guisa che anche il fatto del danneggiato o del terzo può produrre effetti liberatori solo se per la sua incidenza e rilevanza sia tale da escludere, in modo certo, il nesso causale tra attività pericolosa e l'evento e non già quando costituisce elemento concorrente nella produzione del danno, inserendosi in una situazione di pericolo che ne abbia reso possibile l'insorgenza a causa dell'inidoneità delle misure preventive adottate. V. anche ordinanza n. 2259 del 26/01/2022.

Ciò posto deve essere altresì accolta la censura contenuta nel secondo motivo di ricorso in relazione al c.d. percipiendum non essendo spiegato perchè, accogliendo il terzo motivo dell'appello incidentale di (Omissis), la Corte abbia deciso di abbattere (di nuovo) il quantum del risarcimento del 50%; e comunque non essendo specificato in base a quale percentuale tale riduzione sia imputabile all'uno o all'altro autonomo titolo (concorso di colpa o percipiendum di cui all'art. 1227 c.c., comma 1 o comma 2).

8. Il motivo di ricorso relativo alla riduzione del risarcimento del danno per ritenute previdenziali è invece infondato.

Nell'atto d'appello il A.A. aveva lamentato la scrematura delle somme a lui dovute per ritenute previdenziali; sottolineando che le stesse non erano state versate all'Inps con perdita di contribuzione previdenziale e al contempo non erano state corrisposte all'appellante. Il lordo delle ritenute invece, secondo l'appellante, avrebbe dovuto essergli riconosciuto in modo tale che egli potesse impiegarle per una rendita onde ridurre il danno subito.

9.- La Corte d'appello sul punto ha affermato che la censura del ricorrente non cogliesse nel segno per la assorbente considerazione che il primo giudice aveva utilizzato la retribuzione come mero parametro per la quantificazione del rivendicato danno patrimoniale e nell'effettuare tale operazione aveva calcolato il trattamento retributivo percepibile dal A.A. nella sua complessità per poi ridurre il danno del 30%.

Il ricorrente sostiene invece che il parametro di riferimento del danno dovesse essere considerato al lordo, atteso che il mancato versamento contributivo aveva ed ha procurato un danno al A.A. pari alla contribuzione non versata.

10.- Il motivo difetta anzitutto di autosufficienza e specificità perchè non trascrive nè la domanda svolta in primo grado, nè la sentenza di primo grado e impedisce quindi di giudicare la natura della domanda che sarebbe stata svolta in giudizio, atteso che la Corte d'appello parla di danno contributivo solo in relazione alla retribuzione assunta come parametro allo scopo di liquidare il danno da invalidità permanente. La Corte d'appello parla di scrematura dal reddito del ricorrente delle ritenute previdenziali ma non parla di un'autonoma domanda relativa al danno previdenziale.

Della domanda di un danno contributivo in quanto tale, azionato in giudizio dal lavoratore, nulla è dato quindi sapere.

La somma liquidata dai giudici di merito era stata attribuita a titolo risarcitorio per il danno patrimoniale in relazione alle retribuzioni perdute per l'invalidità permanente subita in conseguenza dell'evento ed è pure conforme all'ordinamento che questo tipo di danno debba essere liquidato al netto dei contributi, giusto il consolidato orientamento di questa Corte di legittimità (Cass. n. 26654/23, n. 10853/2012, n. 24051/2008).


11.- Inoltre, il danno da contribuzione postula la prova dell'omissione contributiva di cui non vi è cenno nella sentenza impugnata, anche perchè, come già detto nella premessa in fatto, il lavoratore era dipendente di un altro datore di lavoro e nulla è stato dedotto in merito alle vicende di questo rapporto.

12.- Alla luce di quanto fin qui osservato devono essere quindi accolti i primi due motivi di ricorso mentre va rigettato il terzo. La sentenza deve essere cassata in relazione ai motivi accolti con rimessione al giudice di rinvio indicato in dispositivo il quale dovrà procedere ad una nuova determinazione del danno e provvedere altresì sulle spese del giudizio di cassazione.

13.- Non sussistono i presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato (conformemente alle indicazioni di Cass. s.u. 20 settembre 2019, n. 23535).

 

P.Q.M.


La Corte accoglie i primi due motivi di ricorso e rigetta il terzo; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa alla Corte d'appello di Palermo in diversa composizione anche per le spese del giudizio di cassazione.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della insussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell'art. 13, comma 1 bis citato D.P.R., se dovuto.

In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52 in quanto imposto dalla legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 7 novembre 2023.

Depositato in Cancelleria il 20 dicembre 2023