REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MOCALI Piero
Dott. CAMPANATO Graziana
Dott. ZECCA Gaetanino
Dott. FOTI Giacomo
Dott. BIANCHI Luisa

- Presidente
- rel. Consigliere
- Consigliere
- Consigliere
- Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA/ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
1) P.P., N. IL ***;
avverso la sentenza n. 12665/2006 CORTE APPELLO di TORINO, del 24/03/2009;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 04/05/2010 la relazione fatta dal Consigliere Dott. GRAZIANA CAMPANATO;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Galati Giovanni, che ha concluso per l'inammissibilità.

FATTO E DIRITTO

P.P., legale rappresentante della s.r.l. C.I.O. e C.E., legale rappresentante della A. venivano imputati il primo di due delitti di falso ideologico in atto pubblico, di incendio colposo e di dodici contravvenzioni ed il secondo di quattro contravvenzioni. Tratti a giudizio avanti il Tribunale di Aosta e giudicati in contumacia, venivano entrambi ritenuti responsabili dei reati loro contestati con sentenza resa in data 5.5.2005 che veniva appellata. La Corte d'appello di Torino con sentenza in data 24.3.2009 assolveva il C. dal reato di cui alla Legge n. 1369 del 1960, articolo 1 perché il fatto non è previsto dalla legge come reato e dalle restanti imputazione per essere i reati estinti per prescrizione.

Anche il P. veniva assolto dal capo B) perché il fatto non sussiste; dal capo c) perché il fatto non è previsto dalla legge come reato, dalle contravvenzioni perché dichiarate estinte per prescrizione, per cui veniva confermata sola la condanna per il reato di incendio colposo (capo D) e, concesse le attenuanti generiche, la pena veniva determinata in un anno di reclusione.

Avverso detta decisione il predetto imputato propone ricorso per Cassazione e deduce manifesta illogicità della motivazione.

Secondo il capo d) la condotta posta in essere sarebbe consistita nel non adottare nella lavorazione del magnesio tutte le misure idonee in materia di sicurezza e prevenzione incendi.
Il ricorrente sostiene che l'incendio ebbe una portata limitata, fu circoscritto ad una parte del capannone, era inidoneo a propagarsi all'esterno e non rese nemmeno necessario un intervento di urgenza dei vigili del fuoco, che, presenti sul posto, ritennero di attendere una squadra da ***, situata a 22 chilometri di distanza.

Contesta pertanto la valutazione dell'entità dell'evento fatta dal giudice territoriale e la pericolosità di diffusione che questi ha ravvisato nel fatto che il fuoco si fosse manifestato all'interno di una fabbrica in cui vi erano focolai dovuti al magnesio.

Contesta l'affermazione del giudice di appello circa la carenza nel capannone dei sali speciali necessari a spegnere l'incendio (flux) in quanto vi sarebbero invece stati dei sacchi a portata di mano in base alle testimonianze acquisite.

La circostanza relativa alla presenza di abitazioni nel raggio di poche decine di metri dal capannone era irrilevante perché non si verificò la possibilità che il fuoco si propagasse fuori del medesimo.

Era illogica ed erronea l'affermazione che il cumulo di materiale di un metro cubo di volume che stava bruciando fosse composto tutto di magnesio perché in questo caso le dimensioni dell'incendio sarebbero state disastrose; in realtà nel mucchio la componente di magnesio era solo una minima parte.

Dal punto di vista psicologico contesta l'affermata condotta colposa costituita secondo i giudici dal fatto che nel capannone veniva depositati gli sfridi della lavorazione di magnesio e dal fatto che vi fosse polvere di tale sostanza ovunque.

Dall'istruttoria dibattimentale sarebbe invece risultato che i residui di lavorazione venivano raccolti in cassonetti sottostanti i banchetti ove si operava e che questi, contenenti anche la polvere di magnesio, venivano opportunamente svuotati e stoccati in fusti posti all'esterno del capannone.

In sostanza la sentenza sarebbe viziata perché il giudice di appello non avrebbe preso in esame tutti gli elementi a disposizione, non li avrebbe correttamente interpretati e non avrebbero giustificato in modo logico la scelta del loro giudizio.

Con il secondo motivo il ricorrente deduce violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera d) per mancata assunzione di una prova decisiva in quanto una consulenza o perizia tecnica avrebbe consentito di accertare la quantità di magnesio interessato nell'incendio.

Il Procuratore Generale ha concluso chiedendo la dichiarazione di inammissibilità del ricorso.

Le doglianze contenute nel ricorso ripropongono le questioni sollevate in appello ed affrontate dalla Corte territoriale.

In ordine al tema della colpa addebitata al P.; la sentenza sottolinea le gravi carenze della fabbrica in oggetto, che mancava di ogni forma di prevenzione nei confronti dei rischi di incendio:

non vi erano impianti di aspirazione delle polveri, non era stata effettuata la valutazione dei rischi, pur essendovi lavorazioni di materiale altamente infiammabile, vi era molta polvere, i bidoni degli sfridi venivano portati via ogni due o tre giorni.

Esistevano carenze provate documentalmente, mancando il certificato prevenzione incendi, non essendo stata effettuata la verifica delle prese a terra; durante le lavorazioni si manifestavano scintille.

Pertanto il pericolo di incendio era immanente nella fabbrica e largamente prevedibile per tutta una serie di mancati controlli.

Quanto alle cause dell'incendio, la Corte, come il tribunale, escludevano la necessità di una perizia in quanto l'origine del medesimo era stata chiaramente descritta dal teste I.M., che aveva visto sprigionarsi una scintilla da una prolunga situata a terra, che dava luogo ad alte fiamme, le quali si propagavano velocemente a causa della polvere e degli sfridi di magnesio contenute nei bidoni, circostanza questa confermata da tutti i testi, dai volontari della *** e dai vigili del fuoco di *** e di ***.

Peraltro, anche la consulenza dell'imputato non nega che il fuoco fosse stato alimentato dalla presenza del magnesio e si limita a contestare che tutto il mucchio stimato in un metro cubo di materiale visto bruciare fosse costituito da magnesio, stimando che quello che poteva essere bruciato non superasse la quantità di circa 10 chilogrammi.

Pertanto il giudice d'appello afferma che risulta provata non solo la trascuratezza colposa dell'imputato, ma anche il nesso di causa tra tale condotta e l'incendio, aggravato dal fatto che nel capannone mancavano i sali speciali idonei a bloccare l'inizio di incendio e che fu necessario attendere che venissero portati con un camion della M..

Quanto alle dimensioni del fuoco, alla pericolosità dello stesso ed alla possibilità di espansione, la Corte territoriale ravvisa la sussistenza dei parametri imposti dalla norma per il fatto che il fuoco si verificò e propagò nel capannone ove vi erano operai al lavoro; non era di modesta proporzione perché cagionò danni alle strutture portanti del capannone per il valore di euro 30.000,00, non era facilmente spegnibile anche perché vi era necessità di utilizzare sostanze speciali (flux); aveva una grande sforza espansiva perché arrivò a colpire gli uffici amministrativi e le suppellettili.

Il sindacato di legittimità, come più volte ribadito da questa Corte, non consente una rilettura degli elementi di causa, ma solo una valutazione del ragionamento esposto dal giudice di merito per spiegare le ragioni del proprio convincimento; iter argomentativo che deve essere immune da vizi logici e lacune e che deve dare risposta alle questioni poste dalle parti. Inoltre la illogicità della motivazione censurabile deve essere di spessore tale da essere percepibile ictu oculi (sezioni Unite penali 10 dicembre 2003, n. 47289, Petrella; Sezioni Unite 2 luglio 1997, n. 6402, Dessimone ed altri RV 207944).

Nel caso di specie la Corte territoriale, diversamente da quanto ritenuto dal ricorrente, ha esposto con completezza ed esaminando ogni elemento del processo, sia il fondamento del giudizio sulla colpa, che sulla sussistenza del nesso di causa tra la medesima ed il fatto.

Ha inoltre spiegato per quali ragioni riteneva superflua la chiesta perizia e, dunque, ha dato piena risposta alle sollecitazioni e contestazioni della difesa con argomenti immuni da vizi.

Ne consegue il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.